31.7.2012 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 229/7 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Paradisi fiscali e finanziari: una minaccia per il mercato interno dell’UE» (parere d’iniziativa)
2012/C 229/02
Relatore: IOZIA
Correlatore: HERNÁNDEZ BATALLER
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 14 luglio 2011, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno, di elaborare un parere d'iniziativa sul tema:
Paradisi fiscali e finanziari: una minaccia per il mercato interno dell'UE.
La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 8 maggio 2012.
Alla sua 481a sessione plenaria, dei giorni 23 e 24 maggio 2012 (seduta del 24 maggio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 144 voti favorevoli, 30 voti contrari e 13 astensioni.
1. Conclusioni e raccomandazioni
1.1 L'UE deve incrementare con tutti i mezzi possibili la propria azione nell'ambito del G20, dell'OCSE e del GAFI (gruppo di azione finanziaria internazionale) per porre fine nel breve periodo alle giurisdizioni fiscali opache e obbligare i propri Stati membri a lottare contro la criminalità che ha le sue basi in molte di esse.
1.2 I progressi in materia di governance fiscale che sono stati compiuti in consessi internazionali quali l'OCSE e il G20 non devono impedire all'UE di applicare norme più restrittive, al fine di facilitare il recupero dei capitali trasferiti all'estero in modo illecito a danno del mercato interno.
1.3 Il CESE invita le istituzioni dell'UE a adottare misure che impediscano l'abuso del «principio di residenza» mediante regimi di domicilio e proprietà fittizi che consentono alle società di partecipazione senza attività o alle società di comodo di evitare ai loro beneficiari economici di pagare le tasse nel loro paese di domiciliazione. Saluta con favore la decisione della Commissione di presentare una nuova proposta sui paradisi fiscali e finanziari entro l'anno, auspicando che vengano superate le resistenze di alcuni Stati membri ad una risposta efficace e penetrante contro l'utilizzo di attività rivolte ad eludere o evadere i sistemi fiscali nazionali.
1.4 La Commissione ha pubblicato una proposta di direttiva, COM(2012) 85 final, nella quale viene avanzata per la prima volta la regolamentazione relativa al congelamento e alla confisca dei proventi di reato nell'Unione europea. Il CESE raccomanda vivamente di considerare l'inserimento dei reati di natura fiscale, legati allo sfruttamento dei paradisi fiscali, nell'ambito delle previsioni della direttiva. La proposta fa parte di un'iniziativa politica più ampia destinata a tutelare l'economia lecita da infiltrazioni criminali ed è basata sull'articolo 82, paragrafo 2, e sull'articolo 83, paragrafo 1, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE).
1.5 I paradisi fiscali, come è noto, sono un numero elevato di territori - 44 in totale - vincolati giurisdizionalmente a uno Stato sovrano o essi stessi Stati sovrani. Anche quando non sono Stati sovrani godono di una grande autonomia amministrativa, applicano regimi di esenzioni o riduzioni fiscali, di opacità informativa, sulla titolarità e la provenienza dei capitali e il funzionamento delle entità finanziarie e delle società mercantili stabilite sul territorio.
1.6 Il Comitato ritiene che siano particolarmente deplorevoli e gravi le pratiche di consulenti fiscali e legali e di talune società di consulenza, che anche attraverso informazioni pubblicitarie, offrono la creazione di entità giuridiche per utilizzare i paradisi fiscali e finanziari come mezzo per eludere gli obblighi sostenuti dalle imprese che operano nell'Unione, con particolare riguardo ai loro obblighi fiscali per il pagamento dell'imposta sulle società, la trasparenza nelle operazioni aziendali e di finanziamento.
1.7 I paradisi fiscali provocano distorsioni del mercato interno: per questo motivo si rende necessaria un'azione comunitaria incisiva, che possa assicurare giustizia fiscale, impedire l'opacità destabilizzante, l'evasione fiscale e la corruzione tramite i paradisi fiscali. Non si deve escludere di prevedere l'individuazione di un reato penale in questa materia.
1.8 Devono essere rimossi tutti gli ostacoli allo scambio automatico di informazioni bancarie al fine di ottenere un'agevole identificazione dei titolari effettivi delle operazioni e dei conti bancari. Deve essere richiesta la redazione di bilanci di esercizio delle imprese multinazionali, disaggregati paese per paese, con la specificazione della consistenza delle attività, dei dipendenti e degli utili realizzati in ogni paese.
1.9 Tutto questo va perseguito, fatti salvi ulteriori progressi che si potranno avere in seguito a iniziative a carattere globale all'interno delle organizzazioni internazionali multilaterali, in particolare l'ONU e l'OCSE. Tutto ciò va perseguito in un quadro di fiducia e cercando l'equivalenza delle leggi, ricercando nuovi e più elevati standard di cooperazione internazionale in materia di paradisi fiscali.
1.10 Il CESE auspica che vi sia una strategia coordinata con i principali paesi, in primo luogo gli Stati Uniti, per adottare un approccio il più possibile globale alla regolamentazione della materia. Allo stesso tempo però il CESE ribadisce che la difficoltà di stabilire un piano d'azione internazionale concordato non può essere in alcun modo un freno o un ritardo all'azione dell'Unione europea. Gli standard europei sono tra i migliori al mondo, per esempio quelli previsti nella direttiva sul risparmio europeo. «The Foreign Account Tax Compliance Act» (FATCA) rappresenta uno sviluppo importante degli sforzi degli Stati Uniti di aumentare il rispetto della normativa fiscale per i cittadini americani che detengono strumenti finanziari stranieri e conti esteri. Il fisco americano richiede alle istituzioni finanziarie estere di fornire «automaticamente» i nominativi dei cittadini che hanno attività estere.
1.11 Tra i paesi europei, il Belgio possiede una legislazione molto avanzata che si ispira al principio: confidenzialità contro politica anti-crimine. La segretezza è l'alibi che marginalizza l'agenda fiscale e lo sviluppo di una politica anti-evasione!
1.12 È necessario sviluppare politiche integrate e interconnettere i differenti campi di azione. Gli standard contabili internazionali sono stai pensati per salvaguardare gli interessi degli investitori e del mercato: ora occorre concentrarsi anche sugli interessi dei cittadini. È necessario ripensare il ruolo dello IASB, organismo privato, e la sua funzione nel dettare regole contabili, che dovrebbero essere molto più semplici ed accessibili ad una lettura chiara e trasparente.
1.13 Il CESE segnala con rammarico che già da molto tempo gli operatori giuridici, economici e di polizia riconoscono che la maggior parte dei casi di corruzione mediante denaro pubblico, di illeciti a danno delle finanze pubbliche effettuati ricorrendo a paradisi fiscali, di occultamento di beni grazie al ricorso a prestanome, di riciclaggio di capitali, di corruzione di responsabili pubblici, non potrebbero verificarsi se le reti che ne sono responsabili non potessero contare su una struttura tecnico-legale che fornisce loro copertura in cambio di consistenti benefici, e che in taluni casi può finire per collocarsi al vertice delle suddette reti. Questa situazione rende necessario un intervento dell'Unione.
1.14 Il CESE chiede che venga promossa una strategia coordinata, che migliori la lotta alla frode fiscale e soprattutto alle «pratiche abusive», e limiti il diritto di stabilimento nel caso di una costruzione di puro artificio attuata a soli fini fiscali.
2. Introduzione
2.1 I paradisi fiscali sono luoghi dove alti funzionari delle principali società finanziarie e industriali mondiali, personaggi del jet set artistico o sociale e multimilionari che combinano affari e ozio si mescolano a personaggi più o meno oscuri, che utilizzano le stesse risorse finanziarie, grazie alle quali possono far emergere e utilizzare capitali realizzati non solo a spese della legalità, bensì grazie a reati economici e ad atti criminali che vanno da quelli più gravi come l'omicidio a reati come l'estorsione, il traffico di stupefacenti o di armi, la falsificazione, la frode, la truffa, il traffico di esseri umani e il gioco d'azzardo. Questi territori sono caratterizzati da una serie di requisiti comuni, come l'opacità nel loro funzionamento, un basso livello di tassazione per non residenti che, peraltro, non esercitano alcuna attività in tale territorio. Si determina in questo modo una concorrenza dannosa con una struttura segreta, che crea uno status giuridico del tutto privo di trasparenza.
2.2 Il tema dei paradisi fiscali deve essere analizzato lungo tre dimensioni principali: la disciplina fiscale e la conseguente possibilità di evasione fiscale; l'introduzione di falle nell'architettura della normativa finanziaria con la conseguente minaccia alla stabilità finanziaria; l'opacità informativa con la possibilità che sui paradisi si appoggino attività criminose. Il denominatore comune di queste dimensioni, presidiate rispettivamente dall'OECD, l'FSB e il FATF, è rappresentato dalla segretezza o dalla difficoltà di accesso alle informazioni. La rimozione o limitazione dell'opacità informativa permetterebbe di limitare considerevolmente i problemi e le minacce dei paradisi fiscali. Il dibattito che si sta svolgendo sugli standard nell'OECD, dovrebbe rimanere aperto, con l'obiettivo di ridurre gli oneri per le autorità fiscali e giurisdizionali. Il rischio reale è che si convenga su standard troppo deboli e complicati, solo per rispondere all'opinione pubblica (window dressing). La soluzione più semplice per il superamento di questo problema sarebbe lo scambio automatico delle informazioni.
2.3 Il fenomeno dei paradisi fiscali e finanziari appartiene alla storia del capitalismo, vi sono esempi fin dal tardo Medioevo. La rivoluzione francese e quella industriale segnano un punto cruciale di snodo nella nascita e nell'affermarsi dei paradisi fiscali.
2.4 Il fenomeno ha assunto dimensioni enormi, però, nel secondo dopoguerra, con una diffusione in ogni area del mondo, Pacifico, Caraibi, Isole dell'Atlantico ma anche piccoli e piccolissimi Stati europei. Solo nei cosiddetti paradisi fiscali, finanziari e societari sparsi nell'Europa geografica, si calcola siano costituite 1 000 000 di società e il doppio di trust. Secondo Raymond Baker, direttore del Global Finance Integrity, solo nelle Isole Vergini britanniche sono registrate 619 916 società, 20 per abitante.
2.5 L'attuale quadro economico è caratterizzato dalla globalizzazione degli scambi di beni e servizi, libera circolazione dei capitali e l'uso massiccio delle nuove tecnologie applicate anche nelle transazioni finanziarie internazionali e del commercio. Nonostante l'esistenza del dipartimento di «compliance» nella maggior parte delle istituzioni finanziarie, non ci sono abbastanza regole che disciplinano le transazioni che avvengono quotidianamente in quantità enorme.
2.6 Il mercato interno europeo, il benessere dei mercati finanziari e commerciali, l'ordinato sviluppo dell'economia, rispettosa di regole comuni assunte per salvaguardare l'interesse generale, devono fare i conti con enormi masse di danaro parcheggiate in aree e paesi compiacenti, protette da interessi enormi e da una capacità di corrompere e di piegare ai propri fini intere amministrazioni.
2.7 I paradisi fiscali introducono distorsioni sia a livello macroeconomico che microeconomico. A livello macro come si è già ricordato possono essere una minaccia per la stabilità dei sistemi finanziari. Inoltre, la possibilità di evadere o eludere la tassazione sugli investimenti reali e/o finanziari riduce il gettito per gli Stati, che dovrà essere inevitabilmente recuperato attraverso la tassazione dei redditi da lavoro: i paradisi fiscali sono quindi una fonte di distorsione di un corretto equilibrio della tassazione di capitale e lavoro. A livello microeconomico vi è una distorsione tra grandi, piccole e micro imprese: per questi tre tipi di attori, infatti, la possibilità di beneficiare delle possibilità di evasione, o quanto meno di tax planning aggressivo, offerto dai paradisi fiscali è progressivamente minore.
2.8 Durante il primo decennio del secolo XXI, come conseguenza delle due catastrofi il cui epicentro furono gli Stati Uniti d'America - gli attentati criminali dell'11 settembre 2001 a New York e a Washington e la crisi finanziaria scatenata dal fallimento Lehman Brothers del settembre 2008, si sono promosse azioni concertate della comunità internazionale per regolare il funzionamento dei cosiddetti «paradisi finanziari e fiscali».
3. I paradisi fiscali e finanziari
3.1 Le conseguenze indesiderabili che generano tali regimi hanno portato in molti casi ad azioni giudiziarie penali a causa del finanziamento del terrorismo internazionale e della criminalità organizzata, dell'evasione fiscale e del riciclaggio di denaro, creando rischi sistemici nei mercati finanziari e danni ai principi fondamentali della libera concorrenza, tra gli altri.
3.2 Di conseguenza, come sopra indicato, negli ultimi anni sono state spinte le azioni globali e si è deciso di istituire strutture e meccanismi di risposta comune alle minacce per la sicurezza nazionale degli Stati e il benessere dei loro cittadini.
Tra le varie decisioni prese a livello internazionale, è, forse, intervenuto un cambiamento sostanziale dagli approcci precedenti all'accordo raggiunto con il vertice di Londra del G20 del 2 aprile 2009.
3.3 Il CESE è favorevole all'introduzione di misure destinate a lottare contro le frodi e le altre attività illegali che vanno a detrimento degli interessi finanziari dell'UE e degli Stati membri e a garantire la cooperazione amministrativa attraverso lo scambio di informazioni in materia fiscale nonché ad autorizzare l'UE ad avviare i negoziati su un accordo tra l'Unione, da una parte, e la Confederazione svizzera, dall'altra, per lottare contro la frode fiscale diretta e l'evasione fiscale diretta e garantire la cooperazione amministrativa attraverso lo scambio di informazioni in materia fiscale.
3.4 A seguito del suddetto accordo del G20, si abbandona la tecnica dell'analisi e della raccomandazione, propria dei procedimenti precedenti degli organismi e dei forum che affrontano questo problema, e si chiede una condanna delle cosiddette «giurisdizioni non cooperative», compresi tutti i paradisi fiscali e finanziari, compresa la presentazione di proposte di sanzioni unilaterali, bilaterali e multilaterali, e la graduale eliminazione del segreto bancario così come una pubblicazione periodica di elenchi dei territori inadempienti.
3.5 Tuttavia, la successiva attuazione di questi impegni del G20 è molto deludente. Vengono addotte diverse ragioni.
3.6 Molte aree hanno abbandonato il rating di giurisdizione non cooperativa con la semplice firma di almeno 12 accordi fiscali bilaterali, che si svolgono tra loro (ad es. l'accordo tra il Liechtenstein e Monaco).
3.7 In breve, è sufficiente a garantire uno scambio di informazioni su richiesta dell'autorità di applicazione delle misure pertinenti (fiscali, penali, ecc.), senza che le autorità del territorio richiesto possano opporsi adducendo l'interesse nazionale, il segreto bancario o altri motivi simili.
3.8 In questi casi è evidente l'inefficacia del modello di azione bilaterale, quindi si dovrebbe incidere sul miglioramento dell'azione internazionale (multilaterale) e dei livelli sovranazionali.
Ciò è conformato dalla relazione pubblicata dalla Rete per la giustizia fiscale il 4 ottobre 2011, in cui quasi tutti gli accordi bilaterali stipulati dal 2009 in poi sono giudicati inutili. Tale organizzazione ha quindi elaborato un indice di opacità fiscale basato su due criteri: gli ostacoli frapposti alle richieste di informazione provenienti dalle autorità competenti di altri paesi e la rilevanza sul mercato mondiale delle giurisdizioni sospettate di opacità.
3.9 D'altra parte, come mostrano anche diversi rapporti specializzati (come quello elaborato da «Global Financial Integrity»), i flussi di capitali illeciti non cessano di aumentare a tassi superiori al 10 % annuo, con conseguenze devastanti che acutizzano, per esempio, ulteriori crisi del debito sovrano che affliggono molti Stati della comunità internazionale, e, in particolare, alcuni Stati dell'Unione europea.
3.10 Purtroppo l'UE solo ha delineato un quadro credibile per l'azione in questo settore, che è anche oggetto di una applicazione insufficiente.
3.11 Un esempio lampante è l'attuazione della direttiva 2003/48 sulla tassazione dei redditi da risparmio dei non residenti (persone fisiche) sotto forma di pagamenti di interessi.
3.12 Anche se, sin dalla sua entrata in vigore sono stati istituiti sistemi per lo scambio automatico di informazioni fiscali tra tutti gli Stati membri, e si è promosso la firma di accordi con i quattro Stati europei prima considerati paradisi finanziari e fiscali, Andorra, Liechtenstein, Principato di Monaco e San Marino.
3.13 Ma questi paesi europei, come la Svizzera, hanno legami differenziati con l'Unione che rendono l'applicazione di queste convenzioni molto complessa. Per esempio, il Liechtenstein ha aderito all'accordo sullo Spazio economico europeo ma non è obbligato a giurisdizione civile e commerciale a cooperare allo stesso livello con le rispettive autorità amministrative, perché non è parte della Convenzione di Lugano II, del 30 ottobre 2007 concernente la competenza giurisdizionale e il riconoscimento delle decisioni in materia civile e commerciale.
3.14 Speriamo che presto questa modifica di status giuridico dia i cambiamenti attesi, tenuto conto dell'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, il cui secondo comma dell'articolo 8 del Trattato UE (e la dichiarazione relativa a tale articolo, n. 3), sostiene l'istituzione di collegamenti strutturali con gli Stati vicini di piccole dimensioni.
3.15 Ovviamente, lo strumento ideale per regolare la questione sarebbe la sottoscrizione di un partenariato multilaterale per integrare in un unico modello queste giurisdizioni non cooperative nello spazio geopolitico e giuridico economico naturale.
3.16 Allo stesso modo, quattro Stati membri sono stati denunciati dalla Commissione europea dinanzi alla Corte di giustizia per il mancato recepimento della direttiva 2005/60 sul congelamento dei fondi.
3.17 Al fine di promuovere un'azione con un reale impatto sovranazionale, il Comitato economico e sociale europeo deve allinearsi con la posizione energica del Parlamento europeo nella sua risoluzione del mese di aprile 2011 (1), che tra l'altro ha sostenuto il miglioramento nella lotta contro l'opacità di informazioni sulle transazioni finanziarie transnazionali. Si potrebbe anche istituire uno strumento di denuncia simile all'atto di clemenza in materia di libera concorrenza per incoraggiare la segnalazione di tali comportamenti, premiando economicamente i denuncianti con una riduzione della pena da infliggere.
3.18 Inoltre, come complemento alla misura precedente, si richiama immediatamente la necessità di meccanismi concertati nel G20 per colmare le lacune normative off shore che aggirano così le leggi fiscali in vigore nei principali centri finanziari del mondo.
3.19 Già nel quadro rigoroso delle competenze dell'Unione europea è urgente adottare norme vincolanti ad hoc di diritto derivato che comprendano, tra l'altro, disposizioni che vietino a qualsiasi persona fisica o giuridica, che controlli fondi o entità domiciliate in paradisi fiscali e finanziari, di beneficiare di fondi pubblici.
3.20 Nel 2009 l'OCSE stimava tra i 1 700 e gli 11 000 miliardi di dollari i capitali allocati in questi paradisi, stilando allora una lista assunta dal G20 come base per avviare un duro confronto con gli Stati che non applicavano nessuna o solo alcune delle convenzioni internazionali in materia di trasparenza bancaria o fiscale.
3.21 Il rapporto dell'OCSE suscitò un'ondata di proteste, in particolare di Svizzera, Lussemburgo e ovviamente dell'Uruguay. Ci furono discussioni animate sul caso Stati Uniti: il Delaware.
3.22 Che il Delaware sia una sorta di paradiso fiscale lo sanno benissimo gli americani: quasi la metà delle società quotate a Wall Street e al Nasdaq hanno la sede nello Stato del vicepresidente degli Stati Uniti Joe Biden, per pagare meno tasse locali, non essendo gli utili imponibili. Che il piccolo Stato a Sud della Pennsylvania offra grossi vantaggi alle società off shore, presentandosi come una alternativa alle Isole Cayman o alle Bermuda, sono in meno a saperlo, ma chi opera nel settore ne è al corrente da tempo. Gli utili delle società stabilite in Delaware sono imputabili per trasparenza ai proprietari che, se non sono cittadini americani e se l'attività della società è svolta fuori dagli USA, non sono soggetti a tassazione negli USA.
3.23 Riciclaggio di denaro sporco, evasioni fiscali, provvista per operazioni di corruzione o per distrarre fondi alle proprie società: sono questi i più rilevanti e diffusi motori di questi paradisi. Da qui partono gli attacchi ai debiti sovrani in difficoltà, come pure le grandi campagne per la tutela della libertà incondizionata di movimento dei capitali, coinvolgendo media, partiti politici e rappresentanti delle istituzioni.
3.24 Una cattiva governance fiscale incrementa la frode e l'evasione fiscale e ha conseguenze gravi per i bilanci nazionali e il sistema di risorse proprie dell'UE.
3.25 Gran parte delle imprese multinazionali è strutturata in modo da poter trarre vantaggio dall'elusione fiscale nelle differenti giurisdizioni in cui operano. Il variare del trattamento fiscale da una giurisdizione all'altra favorisce le imprese di grandi dimensioni, internazionali o molto solide rispetto a quelle piccole, nazionali o in fase di avviamento. Tali strategie di elusione fiscale sono in contrasto con il principio di concorrenza leale e di responsabilità delle imprese. Inoltre, questi territori diventano base operativa di organizzazioni e imprese che portano merci sul mercato interno senza adeguati certificati di origine e le garanzie richieste dalla UE, con grave danno degli interessi dei consumatori e, a volte della salute pubblica. Un sistema a tale fine usato è quello dell'abuso del transfer pricing fissando i prezzi delle transazioni infragruppo sulla base di parametri di valutazione ancorati alle esigenze tributarie del gruppo, anziché facendo riferimento alle normali condizioni di mercato.
3.26 Le imprese multinazionali hanno sicuramente le risorse per fornire, senza pesanti aggravi amministrativi, un reporting pubblico paese per paese di: vendite, profitti operativi, operazioni infragruppo, utile ante imposte, imposte. Se queste informazioni divenissero di pubblico dominio sarebbe più evidente chi sta abusando del transfer pricing o adottando un tax planning aggressivo.
3.27 L'assenza di controlli fiscali o l'esistenza di regole deboli di vigilanza prudenziale, l'opacità delle informazioni ai fini della identificazione delle persone fisiche e giuridiche, o qualsiasi altra circostanza di carattere giuridico o amministrativo consentono alle imprese che operano dai loro territori di beneficiare di una quasi totale impunità e godere di vantaggi competitivi intollerabili, e di una copertura contro l'azione delle autorità giudiziarie e amministrative dei paesi terzi.
3.28 Il CESE condanna espressamente il ruolo svolto dai paradisi fiscali nel promuovere e nello sfruttare i fenomeni dell'elusione e dell'evasione fiscale e della fuga di capitali. L'UE deve intensificare la propria azione contro tali fenomeni, e adottare concrete misure sanzionatorie.
3.29 La comunità internazionale, consapevole del grave danno provocato dalla presenza di questi territori al commercio internazionale, all'interesse dei tesori pubblici nazionali, alla sicurezza e all'ordine pubblico, e, come dimostra la crisi iniziata nel 2008, allo stesso equilibrio dei sistemi finanziari, ha mosso alcune timide azioni volte a individuarli e a ricercare la loro progressiva eliminazione.
3.30 I risultati degli sforzi congiunti del G20 e delle Nazioni Unite, e di quelli fatti nel quadro di iniziative dell'OCSE continuano ad essere insufficienti per fare fronte alle sfide derivanti dai paradisi fiscali e dai centri finanziari extraterritoriali, e devono essere seguiti da azioni decisive, efficaci e coerenti.
3.31 Tuttavia, le azioni del G20, del GAFI, e dell'OCSE, tra le altre, fino ad ora hanno solo alleviato il pesante fardello dei danni causati dai paradisi fiscali e finanziari.
3.32 Bisogna individuare le giurisdizioni che non cooperano, procedere a una valutazione dell'osservanza delle norme e applicare misure dissuasive per promuoverne il rispetto. Il CESE considera inoltre che il quadro dell'OCSE per la lotta ai paradisi fiscali sia insoddisfacente, poiché bisogna migliorare l'indicatore che determina lo status di giurisdizione cooperativa, conferendogli un valore qualitativo. Occorre inoltre che l'OCSE non consenta che i governi escano dalla sua lista nera semplicemente promettendo che rispetteranno i principi di scambio di informazioni, senza provvedere alla effettiva applicazione di tali principi.
3.33 Ci sono indizi sufficienti per affermare che la crisi finanziaria è stata causata in parte da operazioni complesse e poco trasparenti avviate da operatori finanziari domiciliati in giurisdizioni che applicano il segreto fiscale causando grave pregiudizio agli investitori e agli acquirenti di questi prodotti finanziari. I paradisi fiscali ospitano operazioni fuori bilancio di istituzioni finanziarie, come pure prodotti finanziari complessi che non hanno contribuito all'innovazione del settore finanziario e causano instabilità finanziaria. Vi sono sufficienti evidenze che, soprattutto nei paesi in via di sviluppo, molti investimenti esteri diretti provengano da paradisi fiscali.
3.34 L'Unione europea, consapevole della situazione, ha manifestato puntualmente la sua condanna a tali regimi da parte di diverse autorità istituzionali. Purtroppo, non è stata in grado di promuovere un quadro normativo sopranazionale e amministrativo che contribuisca a indebolire i margini di impunità.
3.35 L'azione dell'UE si è concentrata sulla soppressione di circa 100 regimi fiscali dannosi e ubicati nella giurisdizione dei suoi Stati membri con scarso controllo finanziario, o all'esterno nel territorio di Stati terzi. In tal senso la Commissione europea ha adottato nel 2009 e nel 2010 due comunicazioni e un codice di condotta in materia di buona governance fiscale, e sono in vigore tre direttive concernenti i benefici delle risorse recuperate dall'evasione fiscale, la cooperazione amministrativa e la tassazione del risparmio (in corso di revisione). Inoltre lo statuto di clausole di conformità di buone pratiche o la buona governance in materia di tassazione è molto diffusa negli accordi dell'UE con paesi terzi in materia di associazione, commercio e cooperazione.
3.36 Nondimeno, i passi in avanti sono pochi, perché le competenze in materia di investigazione e sanzione ricadono sugli Stati membri.
3.37 Secondo le imprese bancarie la menzionata normativa statunitense ha dimostrato che l'adozione unilaterale di questo tipo di misure può porre problemi per gli istituti finanziari derivanti dall'incompatibilità degli obblighi di comunicazione, sequestro conservativo e chiusura di conti imposti dal FATCA con la normativa comunitaria e/o interna del paese di residenza dell'istituto finanziario.
3.38 Un importante discorso fu tenuto al Congresso americano il 4 marzo 2009 dall'allora primo ministro britannico, esortando l'alleato ad un impegno comune per un sistema economico globalmente regolato e impegnato contro un uso dei sistemi finanziari rivolto solo all'arricchimento personale.
Bruxelles, 24 maggio 2012
Il presidente del Comitato economico e sociale europeo
Staffan NILSSON
(1) Risoluzione del Parlamento europeo del 6 aprile 2011 sulla tutela degli interessi finanziari dell'Unione europea – Lotta contro la frode – Relazione annuale 2009 (2010/2247(INI)).