^nastasi e ^elletti IV EDIZIONE LUGANO Tipografia Carlo Traversa :f|& asf-.ie 11 rif^i 1 vrv'j ^V**^ •"*. ji ,.> JìisSSs iyy>. ^'J 22 207 799 ORA Uc. I Jb 4/1 RIMASTASI e BELLETTI ELEMENTI DI SCIENZE PIATITALI AGRICOLTURA ED IGIENE LIBRO DI TESTO per le Scuole Maggiori, Ginnasiali e Tecniche del Cantone Ticino compilato a norma dei programma governativo 15 Novembre 1895 IV EDIZIONE RIVEDUTA E NOTEVOLMENTE AUMENTATA (129 figure nel testo ) LUG ANO-MENDKISK ) Tipografia e Libreria Carpo Traversa 1904 D.Tfi. /^ v *A (& > rA lOB C \o_ JbJ \ fy > CU Fig\ 3. — Cuore, Polmoni e Principali vasi sanguigni. Ogni scompartimento ha uno o più orifizi con cui comunica coi grossi vasi sanguigni. Ciascuna di queste aperture è munita di valvole, che obbligano il sangue a scorrere sempre nella stessa direzione. Il cuore ha un doppio movimento, di contrazione e di dilatazione. Giustamente fu paragonato ad una pompa aspirante e premente: per le contrazioni dei ventricoli (70 al — 14 minuto nell’ uomo adulto) il sangue viene spinto nei polmoni ed alle varie parti del corpo, — mentre, quando i ventricoli si dilatano, il cuore aspira dell’altro sangue nelle sue cavità. Nel contrarsì dei ventricoli il cuore batte colla punta contro la parete del torace: questa leggiera scossa è detta battito del cuore. Le arterie sono tubi elastici che portano il sangue nutritivo o arterioso (di color rosso vivo) dal cuore ai diversi organi. Per solito si trovano molto profonde nel corpo, tranne al collo, alla giuntura della mano e nelle pieghe del ginocchio e del gomito. Ogni contrazione dei ventricoli, spingendo nelle arterie una ondata di sangue, imprime loro una scossa detta pulsazione. I grossi vasi arteriori, biforcandosi ripetutamente, si ramificano all’ infinito nei piccolissimi vasi capillari, che sono diffusi in tutte le parti del corpo. Le vene sono altri tubi (le cui pareti sono floscio ed assai più sottili di quelle delle arterie), che partono dai capillari e riportano il sangue dalle varie parti del corpo al cuore. Esse contengono il sangue venoso, di color rosso cupo, che circola senza produrre pulsazioni. Milza. — La milza è un organo di colore violetto cupo, di aspetto spungioso, situato nella parte superiore dell’addome, profondamente nascosto sotto al diaframma a sinistra dello stomaco. Questo viscere vien oggi considerato come una delle molte glandole linfatiche che trovansi nel corpo umano, e nelle quali si producono i corpuscoli bianchi del sangue. Atti della circolazione. — Dalle varie parti del corpo il sangue si dirige al cuore, raccogliendosi nelle vene cave, che lo versano nell’atrio destro: questo si contrae e lo manda nel sottoposto ventricolo, che lo spinge nell’arteria polmonare. Da quest’arteria il sangue venoso vien portato ai polmoni, dove (per la respirazione) al contatto dell’aria si purifica, si ravviva e diventa arterioso. Allora si raccoglie nelle vene polmonari, che dai polmoni lo riportano al cuore, versandolo nell’atrio sinistro: da questo passa nel ventricolo sinistro, il quale colle sue contrazioni lo spinge, per l’arteria aorta, alle diverse parti del corpo- - 15 — Il giro che fa il sangue passando dal ventricolo destro ai polmoni e da questi tornando al cuore (atrio sinistro) chiamasi piccola circolazione. La grande circolazione è il giro che fa il sangue andando dal ventricolo sinistro (per le arterie) alle varie parti del corpo, e da queste tornando (per le vene) al cuore (atrio destro). Ecco in succinto come accade la grande circolazione (V. fig. 4). Il sangue arterioso viene spinto dal ventricolo sinistro nel- l’ arteria aorta (m). Questa dapprima si dirige in alto, poi, nella parte superiore del petto, si curva e si divide. - Quattro vasi secondari (rt) se ne staccano per andare due alle braccia {arterie succlavie) e due alla testa {arterie cefaliche). - Il sangue che va da questa parte si diffonde alla periferia e, fatto venoso, si raccoglie nella vena cava superiore (o) che lo porta nell' atrio destro. Il tronco principale dell’aorta discende lungo la colonna vertebrale: all’altezza dello stomaco se ne stacca un ramo (r)< che va a diffondersi alla milza (s) ed al fegato (u), formando poscia la vena epatica (v,», che sbocca nella vena cava in - feriore (w). Il ramo q dell’ aorta {aorta ventrale), all’altezza delle vertebre lombari di nuovo si biforca per recarsi a ciascuno degli arti inferiori; quivi si ha la diffusione x. Dopo questa diffusione il sangue (fatto venoso) si riunisce nella vena cava inferiore (w). che ingrossata dalla vena epatica, versasi nell’atrio destro del cuore. Fig. 4. Circolazione del sangue e Atrio destro — f Ventricolo destro — k Atrio sinistro I Ventricolo sinistro — g Arteria polmonare — d Diffusione del sangue ai polmoni i Vena polmonare — m Aorta. Respirazione è quell’operazione della funzione di nutrizione, per cui il sangue venoso, passando ai polmoni, si libera dell’acido carbonico *), assorbe l'ossigeno (gas vivi- J ) Corpo gasoso, improprio alla respirazione. Lo vediamo prodursi p. es. in un braciere contenente carboni accesi. - 16 fìcante contenuto nell’aria) e così diventa sangue arterioso, che è il solo capace di nutrire l’organismo. L’ apparato respiratorio comprende la trachea ed i polmoni. La trachea è un grosso tubo, formato di anelli cartilaginosi, sovrapposti, che ha origine nella retrobocca. La sua parte superiore è resa più robusta da parecchie cartilagini sporgenti e chiamasi laringe (pomo d’Adamo). Nell’ interno della laringe trovansi alcune membrane ( corde vocali ) le quali, se premute dall’aria, vibrano e producono dei suoni (favella e canto). L’apertura superiore della laringe è protetta da una valvola detta epiglottide* che per solito è eretta, ma nell’atto della deglutizione dei cibi, viene da questi urtata e costretta ad abbassarsi per chiudere l’ingresso nella trachea. - Se essa non arriva in tempo a chiudere 1’orifìcio (càpita questo caso se si ride o si parla con piena la bocca), allora una porzione di cibo può penetrare nel condotto aereo (trachea), producendo soffocazione talora mortale. Inferiormente la trachea si biforca in due grossi bronchi, ciascuno dei quali penetra in un polmone : là ripetutamente si ramifica e termina nelle piccolissime vescichette polmonari. I polmoni sono due sacchi spugnosi, di uguale grandezza, collocati nella cavità del petto, appoggiati al diaframma, ravvolti in una tunica detta pleura. Vi si ramificano i bronchi, che immettono 1’ aria nelle vescìcole polmonari, le quali sono ravvolte da una sottilissima rete capillare, formata dall’arteria polmonare e dalla vena polmonare. Atti della respirazione. — La respirazione comprende due atti : a) l’ inspirazione. — Le coste si sollevano, così il torace si dilata, 1’ aria (passando dal naso o dalla bocca) penetra nella trachea, si diffonde nei bronchi, riempie le vescicole polmonari : l’ossigeno dell’ aria attraversa (per osmosi) le sottilissime pareti delle vescichette, si combina col sangue venoso e lo ravviva, convertendolo in sangue arterioso. - 17 — b) l’ espirazione. — Le coste si abbassano, la cassa toracica si restringe, i polmoni vengono compressi e ne viene espulsa l’aria, viziata dall’acido carbonico e dal vapor acqueo, che dal sangue (attraversando le pareti delle vescichette polmonari) sono passati nelle vescichette stesse. La respirazione vizia l’aria con una sorprendente rapidità. (L’uomo adulto aspira più di 4 litri d’aria al minuto). — Non sono rari i casi di morte per insufficienza d’aria: per ciò, nei locali ove son raccolte molte persone, apransi di spesso porte e finestre (anche se fa freddo), perchè l’aria possa rinnovarsi. Assimilazione. — Il sangue, vivificato per opera della respirazione, torna al cuore e da questo viene spinto agli organi, ciascuno dei quali ne trattiene e si appropria le molecole che gli abbisognano per sostituire quelle logorate dal proprio incessante lavorìo. In ciò consiste l’assimilazione, che avviene specialmente sotto l’influenza dei nervi. Se questa influenza manca, si ha l'atrofìa (o denutrizione) degli organi; se è troppo vivace abbiamo V ipertrofìa (eccessiva nutrizione) degli organi stessi. Secrezione. — Il sangue arterioso va in certi organi, detti glandole, che lo elaborano e con esso preparano gli umori secreti, che vengono consumati nell’ interno del corpo, 'tali sono le lacrime, la saliva, i succhi gastrici ed intestinali, la bile e la sinòvia (liquido vischioso, rassomigliante all’albume d’uovo; essa trovasi nelle articolazioni e serve ad ungere le ossa, onde non s’abbia attrito nei movimenti). Escrezione. — Passando il sangue ai reni (rognoni), quella parte di esso che è superflua o inadatta a nutrire gli organi, filtra giù dai reni e scola nella vescica orinaria, che di tratto in tratto si vuota pel canale dell’uretra. Altra parte superflua di sangue viene espulsa sotto forma di sudore, liquido acquoso, salato, che viene elaborato ed espulso da un numero considerevole di glandole sudoripare, aprentisi alla superficie della pelle. La pelle è una tunica che ricopre tutto il corpo ester- Anastasi e Belletti — Scienza naturali . 2 18 — riamente e si prolunga a rivestirne le cavità interne mediante le membrane mucose. Essa protegge il corpo, serve come organo del tatto e come organo di escrezione pei gas e pei liquidi. Si distinguono in essa tre strati: l’epidermide, il derma e il pannicolo adiposo. L ’epidermide è lo strato più esterno: non ha nervi, nè vasi sanguigni, per cui intaccata resta insensibile, non dà sangue. Ha vario spessore: rilevante sotto la pianta del piede, piccolissimo nella punta delle dita. Il derma è un tessuto resistente ed elastico, ricco di nervi tàttili e di vasi sanguigni, per cui quando è leso si ha dolore vivo ed emorragìa. Il pannìcolo adiposo è un tessuto lasso, nelle cui maglie è contenuta una quantità più o meno grande di grasso, il quale serve come di cuscino al derma e ripara il corpo dal freddo. L’ attività (Iella pelle è indispensabile alla salute ; perciò (mediante frequenti lavature e bagni) bisogna mantenere pulite tutte le parti del corpo : se no i pori vengono ostruiti dall’ untume e la traspirazione non si compie più regolarmente. b) Kipkoduzione. E questa la funzione per cui gli animali generano altri esseri simili a loro. Nella maggior parte degli animali essa avviene per uova. Tal modo di riproduzione è detto sessuale. Se le uova si sviluppano completamente nel corpo del- T animale generatore (sicché il nuovo individuo nasce vivo), la riproduzione è detta vivìpara (mammiferi). Se invece le uova vengono deposte e l’animale non ne esce se non dopo un dato tempo, abbiamo la forma di ri- produzione sessuale detta ovìpara (uccelli, pesci, insetti). La riproduzione sessuale può anche essere ovovivìpara; tale è quella degli animali che depongono uova, le quali si schiudono nell’ atto stesso in cui vengono depositate, o poco dopo (vipere). Negli animali inferiori si ha la riproduzione agàmica, che si opera mediante la formazione di germi , di gemme - 19 — sull’ individuo generatore, oppure per divisione in parti dell’ individuo stesso. Vive nel mare un animale raggiato detto Oloturia o cetriolo di mare, il quale è d’aspetto vermiforme, ha pelle spessa e coriacea. Quest’animale dividesi spontaneamente per metà. Ad una certa epoca della sua vita, le sue due estremità poco a poco s’allargano, mentre la parte mediana si fa sottile come un filo: poi il lìlo si spezza e ognuna delle due parti diventa un’oloturia perfetta. Questo animale ci fornisce esempio delia riproduzione scissipara, ossia per divisione in parti. c) Sensibilità. E questa la funzione per cui 1’ animale riceve le impressioni dei corpi esterni e ne ha la coscienza, ossia si accorge dell’ azione esercitata da questi corpi sul suo organismo. L’ apparato della sensibilità negli animali superiori comprende il cervello, i nervi e gli organi dei sensi. Il cervello è una massa molle e biancastra, tutta composta di tessuto nervoso, che riempie la scatola del cranio. Si divide in cervello (propriamente detto) ed in cervelletto, e si prolunga nel midollo spinale , il quale passa pel foro occipitale e va a riempire il canale vertebrale. I nervi sono teneri filamenti bianchi che partono dal cervello o dal midollo spinale o si spargono in tutte le parti del corpo, ramificandosi in fili sempre più sottili. Partono dal cervello 12 paia di nervi e 31 paia dal midollo spinale. Alcuni nervi servono soltanto a produrre i movimenti ( nervi motori), altri soltanto a ricevere e trasmettere le sensazioni ( nervi sensori ): vi sono poi dei nervi che attendono sia alla locomozione che alla sensibilità {nervi misti). La lesione dei nervi motori ha per conseguenza la paràlisi del moto) quella dei nervi sensori la paràlisi del senso. Gli organi dei sensi sono le sentinelle poste alla superficie del corpo per ricevere le impressioni esterne : i nervi sensori trasmettono poi queste impressioni al cervello, e così noi conosciamo ciò che accade dintorno a noi. I sensi, nell’ uomo e negli animali meglio conformati, sono cinque : vista, udito, odorato, gusto e tatto. — 20 L'organo della vista percepisce le impressioni della luce e risiede nell’occhio. Il bulbo dell'occhio è coperto di varie membrane, una delle quali {Viride) porta un’apertura (detta pupilla ), che si può ingrandire ©restringere, e che permette ai raggi luminosi di giungere alla rètina , membrana di tessuto nervoso, formata da una dilatazione del nervo ottico, nella quale si formano le immagini degli oggetti esterni. Il bulbo è protetto esteriormente dalle palpebre e viene continuamente inumidito dalle lagrime, onde possa muoversi senza attrito entro l 'òrbita. L'organo dell’udito riceve le impressioni dei suoni e rumori : esso ha sede nell'orecchio. Nell’orecchio troviamo dapprima il padiglione , che raccoglie i suoni nel condotto uditivo esterno. In fondo a questo condotto è tesa, come la pelle di un tamburo, la membrana detta timpano , dietro a cui v’ ha la cavità timpanica contenente alcuni ossicini . Internandoci ancor più, troviamo l’ orecchio interno , in cui sono sparse le diramazioni del nervo uditivo o nervo acustico. I suoni (che sono movimenti particolari, o meglio vibrazioni dei corpi elastici trasmesse al nostro orecchio generalmente per mezzo dell’aria), raccolti nel condotto uditivo esterno, scuotono il timpano che, urtando la catena degli ossicini, trasmette le proprie vibrazioni alle diramazioni del nervo acustico. L’organo dell’odorato, destinato a ricevere le impressioni degli odori, risiede nel naso. Due aperture, dette narici , conducono nel naso interno, il quale è tappezzato da una membrana mucosa, entro cui si espande il nervo olfattivo. Gli atomi di sostanze odorose, introdotti coll’aria nel naso interno, si fermano su questa mucosa, e stimolano il nervo dell’odorato,, che trasmette al cervello l’impressione ricevuta. L'organo del gusto (o del palato), che riceve le impressioni dei sapori dei corpi, risiede nella bocca, — specialmente nella lingua, sulla cui superficie si diramano le estremità del nervo del gusto. L'organo del tatto è diffuso su tutte le parti del corpo : ha sede specialmente nella pelle, ed ancora più specialmente nei polpastrelli delle dita. Uffioio dei vari sensi. — Per l’organo della vista l’animale ha cognizione della grandezza, forma, colore e distanza dei corpi: per V udito percepisce isuoni prodotti in natura e le voci emesse da altri animali: l 'odorato e il gusto gli servono specialmente per la scelta degli alimenti: mediante il tatto ha notizia della grandezza, forma, consistenza, temperatura dei corpi con cui viene a contatto. Cervello, cervelletto, midollo spinale e nervi che ad essi metton capo formano nel loro insieme il sistema ce- — 21 — rebrospinale, ohe presiede specialmente alle funzioni della vita animale (sensibilità e locomozione). Gli apparati della vita vegetativa sono invece influenzati da un altro ramo del sistema nervoso, detto sistema gangliare. Sistema gangliare. —■ Questo sistema (detto anche nervo intercostale o gran simpatico ) non è riunito, come il cerebrospinale, in un grosso cordone nervoso, ma è costituito da una reticella minutissima di nervi, che si raccolgono a formare 56 gangli (gomitoli di nervi), posti nelle cavità del tronco ai due lati della colonna vertebrale. Questi gangli sono collegati fra loro ed hanno qualche relazione anche col sistema cerebro-spinale. I nervi che partono dai gangli si diramano specialmente nelle pareti dei visceri, del cuore, dei vasi sanguigni e degli organi della secrezione. d) Locomozione. E la funzione per cui 1’ animale volontariamente, con una parte ovvero con tutto il corpo, passa da un luogo ad un altro. Gli organi della locomozione sono i muscoli, le ossa ed i nervi motori. I muscoli sono fasci di fibre contràttili, ossia capaci di accorciarsi e di estendersi. Mediante certi cordoni bianchi e forti ( tèndini ) i muscoli si attaccano alle ossa. — Delle ossa e dei nervi motori fu già detto altrove. Atti della locomozione. — Sotto l’azione dei nervi motori (che ricevono l’impulso dal cervello), i muscoli si contraggono, ravvicinando le ossa a cui sono attaccati, — oppure si distendono, e allora le ossa dell’ articolazione si allontanano. Articolazione è poi la giuntura mobile di varie ossa. Essa è. così formata: due ossi vengono a toccarsi colle loro estremità; uno di essi ha un incavo (cavità — 22 - articolare) entro cui si adatta l’estremità ingrossata (capo articolare) dell'altro osso. Se la cavità è quasi rotonda, il capo articolare ha forma sferica e allora il detto secondo osso può muoversi in tutti i sensi dentro la cavità del primo (tali le articolazioni della spalla e dell’anca). Se le ossa dell’articolazione formano invece una cerniera , il movimento può farsi soltanto in un senso (articolazione del gomito, della mano, del ginocchio). Per impedire poi gli attriti , i capi articolari sono rivestiti di cartilagini piuttosto molli e vengono lubrificati dalla sinòvia. Riassunto. Il lavoro del corpo umano può così riassumersi : Gli alimenti, per le trasformazioni che subiscono nell’apparato digerente, si trasformano in sangue: questo riscalda e nutre le varie parti del corpo. Le parti logorate ed inutili vengono espulse mediante la respirazione e la escrezione. Una parte del sangue viene invece elaborata e trasformata nei liquidi secreti. I muscoli (eccitati dai nervi motori), avvicinando e allontanando le ossa, producono i movimenti. Gli organi dei sensi ricevono le impressioni esterne e, per mezzo dei nervi sensori, le trasmettono al cervello. II cervello è la sede delle attività mentali ( intelletto, memoria e volontà). Il cervelletto sembra specialmente preposto ai movimenti. CLASSIFICAZIONE DEGLI ANIMALI Le classificazioni riuniscono in gruppi i corpi che hanno fra loro maggiori somiglianze, per facilitarne lo studio. La classificazione degli animali generalmente adottata è quella di Cuvier (1769-1832), modificata a stregua dei progressi della scienza. Tutti gli animali si possono ridurre a 7 forme fonda- mentali, a cui corrispondono 7 grandi gruppi, detti branche : Vertebrati — Artropodi —■ Vermi — Molluschi — Raggiati — Zoofiti — Protozoi. I vertebrati hanno tutti una impalcatura solida interna (scheletro osseo) e sangue rosso. Gli artropodi hanno una impalcatura solida esterna (scheletro cutaneo), corpo diviso in parti aventi forma di anelli e munito di 6, 8, 10 e più zampe articolate. I venni hanno corpo molle, frequentemente anellato, ma mancante di zampe articolate. I molluschi non hanno nè scheletro interno, nè scheletro cutaneo, nè anelli. Il loro corpo è molle, ravvolto in una membrana ( mantello ) e il più delle volte protetto da un guscio calcare, talvolta semplice, talvolta doppio. I raggiati hanno le diverse parti del oorpo disposte a guisa di 5 raggi intorno alla bocca. In essi T apparato digerente è ancora distinto dal circolatorio e dal nervoso. I zoofiti o animali-piante, hanno una sola cavità comune per la circolazione e la digestione, ed una sola apertura del corpo, il quale è conformato a raggi, secondo 4, 6, 8 oppure 12 direzioni. — 24 — I protozoi sono animali microscopici, costituiti per lo più da un muco vivente, semiliquido. Mancano di organi composti. Alcuni sono nudi, altri avvolti in una conchiglietta. Ognuna di queste branche dividesi in più classi (le classi del regno animale sono 23) : ciascuna classe comprende vari ordini ed ogni ordine comprende parecchie specie. (Si conoscono più di 200,000 specie animali). Prima Branca — VERTEBRATI La branca dei vertebrati, che è la forma fondamentale più elevata, comprende 5 classi. Classe temperatura respirazione riproduz 1. Mammiferi . costante polmoni vivipara 2. Uccelli . . » » ovipara 3. Rettili variabile » » 4. Ba.tr noi . . » polm. e branchie » 5. Pesci . . . » branchie > Classe dei Mammiferi. I mammiferi hanno il corpo per lo più coperto di peli : — cuore a quattro cavità : — ad eccezione dei monotremi partoriscono la prole viva e 1’ allattano nel primo periodo di sua vita. Nessun mammifero è velenoso: alcuni sono nocivi, altri pericolosi. Si dividono in 13 ordini: Bimani — Quadrumani — Cliirotteri — Insettivori — Carnivori — Pinnipedi — Rosicanti — Sdentati — Pachidermi — Ruminanti — Cetacei — Marsupiali — Monotremi. I. Ordine : Bimani. — Sola specie di quest’ ordine è l'uomo, l’unico animale dotato della ragione e della favella. — 25 - Esso lia corpo eretto e le estremità anteriori fornite di mani , ciascuna con cinque dita flessibili, di cui il pollice è opponibile a tutte le altre. Presenta cinque varietà o razze: la caucasea (bianca), la mongola (gialla), l’etiopica (nera), l’americana (rossa) e la malese (bruna). IL Ordine: Quadrumani. — Sono così chiamati perchè forniti di mani sia agli arti anteriori che agli arti posteriori, onde sono più atti ad arrampicarsi che a camminare sul suolo. Alcuni sono muniti di lunga coda prènsile. Piu di tutti gli altri animali rassomigliano all’uomo, di cui imitano i movimenti. Vivono a torme nelle foreste delle regioni più calde dell’Asia, dell’Africa e dell’America meridionale. In Europa si trova una sola specie (la bertuccia ) sugli scogli di Gibilterra. I quadrumani sono onnivori. Il gorilla è la scimmia più grande (alta m. 1,75) e robusta; ha pelo nero, naso schiacciato, denti formidabili, braccia lunghe, che oltrepassano il ginocchio. Lotta col leone, coll’ elefante, col leopardo : è selvaggio, indomabile. Lo chimpanzè è più gracile e socievole. L’ourang-utan vive solitario nei folti boschi dell’isola di Borneo. Ha braccia lunghissime, denti poderosi, carattere lento e timido. La bertuccia è piccola (alta m. 0.70), ha pelo grigio e manca di coda. Molto allegra in gioventù, diventa, invecchiando, maligna. Il mandrillo è una scimmia cinocefala (ossia con testa somigliante a quella del cane), ributtante e cattiva. La scimmia urlatrice vive nel Nuovo Continente e manda un urlo forte e lamentevole, che di notte risuona assai lontano. III. Ordine : Chirotteri o Volitanti. — Hanno le estremità anteriori fornite di una membrana sottile e nuda, foggiata a guisa di ala che li rende atti al volo. Hanno denti numerosi, molto acuminati. I volitanti dei nostri paesi sono utili perchè distruggono molti insetti. Di giorno stanno all’oscuro : escono la sera in cerca di insetti. I)’ inverno cadono in letargo. L’orecchione ha il corpo topiforme con pelo corto, bruno al disopra, grigio di sotto. Ha orecchie enormi. Il ferro di cavallo ha sul naso un’ espansione membranosa a ferro di cavallo : non vola alto come le altre specie. 26 - Il vampiro ò un pipistrello di media grossezza: ha il corpo coperto di un pelo corto e lucido ; sul naso ha una espansione membranosa. Trovasi nell’America del Sud: è comunissimo nella Guiana. Si nutre specialmente d’insetti; si attacca agli animali domestici ed anche all’ uomo per suggerne il sangue, arrecando loro una piccola ferita non molto pericolosa. I chirotteri fin qui accennati (detti anche pipistrelli ) si nutrono di insetti. V’hanno anche chirotteri frugivori, che si cibano cioè di frutta. Tali sono le rossette. La rossetta edule è considerata come cibo squisito. La sua testa assomiglia a quella del cane, le sue orecchie sono nude; manca di coda. Di giorno le rossette stanno nei boschi, sospese per le estremità posteriori ai rami, colla testa all’ingiù. Di sera si precipitano a centinaia sugli alberi per divorarne i frutti. IV. Ordine : Insettivori. — Sono animali di piccola mole, notturni, aventi muso acuminato, in forma di grugno, e zampe corte e robuste: vivono per solito sotto terra, si cibano per lo più di insetti, e d’inverno cadono in letargo. Comprende quest’ordine la talpa, il riccio, il toporagno. La talpa ha corpo cilindrico, terminato a cono ad una estremità e coperto di un pelo fitto, corto, di colore nero azzurrognolo. Ila occhi piccolissimi (sicché fu creduta cieca) e poca acuità visiva : invece ha eccellente udito e fine olfato. Questo animale è assiduo scavatore di gallerie : distrugge moltissimi insetti, ma è nocevole ai campi, pei danni che produce alle radici delle piante e pei cumuli che fa colla terra scavata. Lo si distrugge con trappole, oppure inaffiando le sue gallerie con un’infusione d’aglio nel petrolio. — D’inverno non cade in letargo, ma s’affonda di più nel terreno. Il riccio ha il dorso ed i fianchi coperti di acùlei pungenti. In caso di pericolo si raggomitola formando una palla, tutta protetta da baionette : nè si può obbligarlo a distendersi, se non immergendolo nell’acqua; allora tenta di salvarsi a nuoto e si discopre. Si ciba di rane, topi, insetti, lumache. Mangia centinaia di cantàridi senza restarne avvelenato. La sua carne è commestibile. Il toporagno rassomiglia al topo, ma il suo muso è una specie di proboscide aguzza e piatta. E’ uno dei mammiferi più piccoli, però voracissimo. Vive solitario vicino alle acque. Il gatto lo insegue e lo uccide, ma non lo mangia, perchè emette fetido odore. Frequente in Francia e Germania, F'ig. 5 — Testa di Vampiro V. Ordine : Carnivori. — Animali ben fatti, agilissimi, forti, spesso terribili. Nutronsi tutti, più o meno, di sangue e di carne. Hanno i denti canini fortissimi ed i molari forniti di punte aguzze : il più grande di questi molari chiamasi dente ferino. Le zampe, assai robuste, hanno le dita disgiunte e terminanti con unghie uncinate (artigli). Dividonsi in: digitigradi (che camminano sulle dita) e plantìgradi (che camminano sulla pianta del piede). Plantìgradi sono soltanto 1’ orso e il tasso. L’ orso ha forme tozze, pelame fìtto; è quasi sfornito di coda. Si ciba a preferenza di vegetali ; è agile alla corsa e si arrampica con facilità sugli alberi : ha un vigore enorme. L’orso bruno trovasi ancora sulle Alpi: può essere addomesticato ; 1' orso bianco che abita i campi di ghiaccio vicini al Polo è terribile nelle sue aggressioni e non si famigliarizza mai coll' uomo. ^ il f i 1 ? « / € i. ♦»<„ ^ L\ mh'hWi. tjWWi 1 * Fig:. 6. Orso bianco. Il tasso ha statura assai più piccola dell’orso: di giorno dorme nella sua tana, di notte va in cerca di cibo. Ha abitudini solitarie ; è un animale ibernante. La sua carne è squisita : la sua pelliccia è adoperata in lavori di sellaio: coi suoi peli si fanno pennelli per la barba. I carnivori felini (gatto, lince, leone, tigre, pantera ) hanno testa rotonda, mascelle corte, lunghi baffi, lingua ruvida, pupilla allungata, occhi scintillanti nelle tenebre, unghie retràttili e perciò sempre aguzze. Sono cacciatori notturni e carnivori per eccellenza. — 28 — I carnivori canini (cane, lupo, volpe ) hanno testa allungata, lingua liscia, unghie ottuse non retràttili, per cui non possono arrampicarsi. Le iene hanno forma di grossi cani: il loro corpo è più alto sul davanti che posteriormente, per cui il dorso (portante criniera ) risulta declive. Sono ributtanti, codarde e crudeli : nutronsi di cadaveri. Le màrtore ( dònnola, faìna, ermellino, pùzzola) sono carnivori piccoli, ma molto sanguinari, epperciò dannosi ai pollai ed alle piccionaie. Hanno corpo lungo, snello, zampe brevi, lingua liscia, unghie non retràttili. Forniscono pelliccio assai pregiate. La lontra (carnivoro acquatico) sta tra le martore e le foche : — s’avvicina a queste ultime per le membrane natatorie, da cui sono collegate le dita delle sue zampe. Ha muso largo, orecchie corte, lunghi ed ispidi baffi, coda lunga, grossa e robusta, color bruno. I suoi voluminosi polmoni le permettono di restare a lungo sott’acqua: è abile nuotatrice ed abilissima pescatrice. Le si dà un’ attiva caccia per la grande quantità di pesci che distrugge e per la pelliccia fine che fornisce, adoperata nella fabbricazione dei cappelli. Nei fiumi e stagni della Svizzera orientale è tanto frequente e cagiona si gravi danni alla piscicoltura, che i Governi sono costretti a far tenere dei corsi sul modo di darle la caccia. Nel Ticino è stabilito un premio di fr. 15 per ogni lontra uccisa. E un animale molto intelligente e può essere ammaestrato a pescare per conto del padrone. VI. Ordine: Piniiipedi. — Hanno dentatura analoga a quella dei carnivori ; e di fatto sono carnivori, ma nella forma somigliano ai pesci, avendo il corpo allungato, le zampe a forma di pinna ed unite alla coda. Vivono quasi sempre 'SIMivì Loxtr. -•\ \’ - 29 nell’acqua. Appartengono a quest’ ordine la foca ed il tricheco. La foca ha il corpo coperto di un fitto pelo grigio : per la forma del capo (ed anche pel latrato) somiglia al cane. Ila occhi'grossi e buoni: è intelligente e domesticabile, utilissima agli abitanti delle regioni polari. Fig. 8. — Trichrco. Il tricheco distinguesi dalla foca per due forti denti canini, che, scendendo verticalmente dalla mascella superiore, vengono a sporgere al di fuori e costituiscono due formidabili zanne (lunghe fin m. 0.80). Abita i mari polari ; è d’indole dolce e inoffensiva, ma aggredito diventa audacissimo. (Vedi flg. 8). A questo animale si fa una caccia accanita, a causa dell’ avorio delle sue zanne, dell’olio fornito dal suo grasso e della pelle che, conciata, dà un cuoio molto resistente. VII. Ordine : Rosicanti. — Mancano di canini, hanno in ambedue le mascelle due incisivi lunghi e taglienti. Nu- tronsi di semi, frutta, foglie, erbe e radici. Lo scoiattolo, il ghiro, la marmotta, il topo, la lepre, il coniglio sono ben noti. I castòri abitano le sponde dei fiumi e dei laghi settentrionali, vivono in colonie e si costruiscono dimore in comune, di forma conica. Assai pregiato è il loro pelo, come anche la sostanza giallognola, odorosa, medicinale (detta castoreo), che secernono in borse ghiandolari poste sotto il ventre. L’ istrice o porcospino ha la schiena e le coscie armate di aculei (lunghi fin 30 cm.), di color bruno con cerchi bianchi ; è ammalerei- - 30 - vagfji°» solitario, notturno. La sua carne ha il sapore di quella del inaiale. La cavia o porcellino d’india è poco più grande d’un topo, ma ha piacevole aspetto, onde molti l’allevano in casa benché non dia grande profitto. Vili. Ordine : Sdentati. — Animali esotici, mancanti sempre dei denti incisivi, spesso dei canini, talvolta anche dei molari. Per questa loro dentatura incompleta non possono cibarsi che di tenere foglie, ovvero d’insetti. Tutti hanno forti unghioni. Il bradipo (detto anche tardigrado per la lentezza delle sue mosse) ha testa rotonda, gli occhi collocati sul davanti, le membra anteriori molto pili lunghe delle posteriori ; manca di coda. (Vedi flg. 9). I piedi sono muniti di tre unghioni che gli servono per aggrapparsi ai rami degli alberi, delle cui foglie si nutre : a causa di tali unghioni trovasi impacciato nel camminare sul terreno ; è un animale melanconico, poco o nulla intelligente, grida lamentevolmente ai. Vive nelle foreste del Brasile. L’ armadillo ha il corpo protetto superiormente da una corazza di squame ossee : aggredito, si aggomitola come il riccio ; è inoffensivo e stupido. Il lormichiere ha il muso allungato a tubo e rivolto in basso, lingua vermiforme e viscida, che vibra ne’ formicai e nelle fessure dove nascondonsi gli insetti di cui si ciba. E rivestito di un abbondante e ruvido pelame: è grosso e forte, notturno, solitario e indolente. Il pangolino ha coda lunghissima e corpo protetto da grosse squame cornee, embriciate (disposte cioè l’una sotto l’altra come le tegole dei tetti). Queste squame sono tanto dure da resistere alle palle di fucile : quando l’animale è minacciato, le solleva verticalmente, presentando come una selva di lame di coltello, e allora la tigre stessa trattiensi dall’ affrontarlo. IX. Ordine: Pachidermi. — Quadrupedi di gran mole, — con pelle grossa e dura, donde traggono tal nome ( 1 ). Fig. 9. Bràdipo, (1) Dal greco pachis (spessa), derma (pelle). Quasi tutti hanno le dita racchiuse in un invoglio corneo detto zoccolo. I pachidermi solipedi o solidungoli hanno le dita ravvolte da un solo unghione. Sono il Cavallo, VAsino e la Zebra. I pachidermi mul- tàngoli hanno da 2 a 5 unghioni al piede. Sono : il Maiale, il Cinghiale, il Rinoceronte, F Ippopotamo, il Tapiro, V Elefante. II cavallo (ben proporzionato, snello, docile, coraggioso, intelligente), l’asino (sobrio, mite, umile, paziente, allegro e gentile in gioventù, reso triste, testardo dall’ età e dai cattivi trattamenti), sono animali ben conosciuti. Fig. 10 . — Cavallo. y V La zebra è un po’ più piccola del cavallo: lia il mantello a fondo bianco rigato di striscio nere ; é d’ un carattere tanto selvaggio che non fu mai possibile assoggettarla all’uomo. 11 maiale è pachiderma multungolo, setoloso, tardo, immondo, assai prolifico, domestico, indocile, vorace, utilissimo per la sua carne, il lardo, le setole e la pelle ; è di corpo tozzo : la sua testa termina in un grugno: i grandi canini (zanne) sono sporgenti e rivolti all’insù. Il cinghiale rassomiglia al porco, ma è affatto selvatico. Difendesi con coraggio contro i cacciatori. X'-r-c.v' Fig. 11 . — Rinoceronte. 32 - Il rinoceronte indiano è un pachiderma obeso, di forza smisurata, protetto da una pelle cornea, impenetrabile, divisa in tanti scudi per via di grosse pieghe. Sul naso ha un corno conico, aguzzo (lungo anche 60 cm.). Manca di canini. Vive solitario in luoghi paludosi, nutrendosi di foglie d’alberi; è lento e pacifico,^ ma aggredito diventa feroce. (Vedi fig. 11). Il rinoceronte africano distinguesi dal precedente per aver il naso munito di due corni rivolti all’ indietro: 1’ anteriore di essi è molto più lungo del secondo; L’ ippopotamo (dal greco : liìppos — cavallo, potkmos — fiume) è di forme enormi e tozze. Gli ippopotami vivono in mandre sulle sponde dei fiumi. A terra hanno passo pesante, stanco, ma nell’ acqua sono agilissimi. Hanno testa ottusa, quadrangolare, orecchie piccole, grandi fauci, canini foggiati a zanne, gambe corte, pelle dura; forniscono zanne pregiate pel loro avorio. 11 tapiro è un pachiderma camuso, della grandezza di un asino; ha orecchie corte, occhi piccoli, un principio di criniera. Vive nell'America meridionale — erbivoro — ombroso — la sua carne è commestibile. L’ elefante e il più grande mammifero terrestre. Le informi e corte sue estremità sostengono un corpo tozzo, pesante, coperto di un ruvido cuoio. Ila un mozzicone di coda, due orecchiaccie pendenti ed occhi piccolissimi. La sua dentatura è semplicissima, avendo da ciascun lato, sia sopra che sotto, un grosso molare : poi, nella mascella superiore, due incisivi lunghissimi formanti le zanne (lunghe lin 2-3 metri) da cui si ricavano 30-80 Chilogr. d'avorio. Ma ciò che più lo distingue è la sua proboscide, smisurato prolungamento del naso, avente foggia di tubo, che a lui serve come organo di tatto, di odorato, di prensione ed anche come potente difesa. Con essa può afferrare un fuscello di paglia e sradicare un albero. Può allungarla fino a due m. e restringerla a 60 crn., oppure avvolgerla a spirale. Fig. IL'. — Tfsta d’ Elefante. — 33 Cibasi di erbe, radici, frutta. Si lascia addomesticare e si avvezza a portar carichi enormi. Campa oltre un secolo. Fu usato anticamente in guerra; è molto intelligente. (Vedi fìg. 12). X. Ordine: Ruminanti. — Diconsi ruminanti perchè rimasticano il cibo. Il loro stomaco ha quattro cavità. (Vedi fìg. 13). Cadono i cibi dapprima nel rumine, che è la cavità più ampia, e poi entrano nel secondo stomaco, più piccolo, a foggia di palla, detto cuffia o reticolo. Dalla cuffia il cibo, ridotto in pallottole, ritorna alla bocca, dove l’animale lo rimastica a suo agio e più minutamente, e da dove, per la seconda deglutizione, discende direttamente nel terzo stomaco (omaso o centopelli ); da questo passa poi nell’abomaso o quaglio, dove il cibo viene compiutamente digerito. /. esofago d. reticolo o cuffia c. omaso o centopelli c. rumine b. abomaso o quaglio a . intestino Fìg. 13. — Stomaco dei Ruminanti. I ruminanti hanno i piedi fessi ; mancano per lo più di canini, non hanno incisivi nella mascella superiore e portano 24 grossi molari. Hanno corna, ora cave, ora piene. Sono erbivori, vivono in società, comprendono molte specie domestiche importantissime. Il Bue, la Pecora, la Capra danno latte, carne, pelli, peli. 11 Bufalo è un animale selvaggio, più grande del bue domestico. Lo Stambecco, il Camoscio e la Gazzella somigliano alla capra, ma non hanno barba. Tutti questi sono ruminanti cavicorni. I ruminanti cervidi (corna ramose, piene, annue) comprendono il Capriolo, il Cervo, l’Alce, la Henna (prezioso animale domestico dei Lapponi, ai quali fornisce latte e carne, ed a cui serve còme bestia da soma e da tiro), e la giraffa (alta fin 6 m.). I camelli sono ruminanti senza corna, dal collo lungo, viventi in regioni aride, domesticabili ed usati come bestie da soma per attraversare i deserti. Anastasi e Belletti — Scienze Maturali. 3 Il Dromedario ha il eolio lungo ed arcuato ed una gobba adiposa sul dorso. Il Llama è più piccolo di esso: ha pelo ruvido. Il Guanaco, l’Alpaca e la Vigogna danno una lana molto fina. XI. Ordine : Cetacei. — Hanno il corpo nudo e forma di pesci. Diversificano però dai pesci per avere sange caldo, respirazione polmonare e la pinna caudale disposta orizzontalmente. Vivono esclusivamente nel mare. I cetacei mancano degli arti posteriori ; quelli anteriori hanno forma di natatoie. 11 Capidoglio e la Balena sono cetacei immani (lunghi fin oltre 20 J metri) ohe danno grande quantità d’olio (anche 10 tonnellate). Il .Narvalo ha un unico e gran dente orizzontale, lungo 2 m., arrotondato e scavato a spira. 11 Lamantino, il Dugongo, il Delfino, la Focena sono i cetacei minori ; hanno per lo più carattere socievole, forniscono carne, grasso, pelli; i primi due sono erbivori. XII. Ordine: Marsupiali. — Le femmine degli animali di quest’ordine hanno sul ventre una borsa .( marsupium) dove tengono i loro piccoli, finché questi non siano capaci di procacciarsi il nutrimento. Appartengono a quest’ordine il Kanguro e la Sariga ed altri animali di forme piuttosto strane, che vivono in Australia ed in America. Fi g . H. — Kanguro. Il Kanguro ha le estremità posteriori 5 o 6 volte più lunghe e robuste delle anteriori : la sua coda è lunga 1 m., larga e forte, e costituisce in certo modo un quinto membro, che agevola a questo animale — 35 - il modo di locomozione che gli è proprio. Quando 'vuol avanzarsi, siede sulle zampe di dietro e, colla coda rigida, poggiata a terra, salta come spinto da una molla e va a cadere ad una distanza di 5-10 m.; è erbivoro ; dà carne squisita. La Sariga ha l’aspetto e la grossezza di un topo, arti ugualmente lunghi. Ila sul ventre una piega cutanea, e non una vera borsa. I piccoli, appena un po’ cresciuti, s’arrampicano sul dorso della madre e quivi stanno, avvolgendo le loro code attorno a quella della madre, che getta la propria in avanti. XIII. Ordine : Monotremi. — Sono così chiamati perchè (come gli uccelli) hanno una sola apertura per 1'emissione delle feci e delle orine; la loro bocca è sprovvista di denti ed il becco è somigliante a quello deH’anitra. I piedi hanno cinque dita con unghie forti e una membrana natatoria sviluppatissima. Depongono uova, ma nutrono i loro nati con un liquido simile al latte. L’ Ornitorinco (vedi fig. 16) ha la forma di una piccola lontra : vive per lo più nell’acqua in cui nuota come i più celeri pesci: sulla terra corre con pari sveltezza. Si ciba di vermi ed altri piccoli animaletti cui cerca nella mota. h’ Echidna invece sta sempre a terra e somiglia al nostro riccio ; si nutre di formiche. — Ambedue abitano esclusiva- mente 1’ Oceania. Fig, — Ornitorinco. Classe degli Uccelli. Gli uccelli sono animali vertebrati, a sangue rosso e caldo, respirazione polmonare, i quali si riproducono per uova, che (tranne qualche eccezione) covano col calore del loro corpo. Fig . 15. Sariga. « - 36 — Sono specialmente conformati per la vita aerea. Hanno diffatti, onde volare, le estremità anteriori foggiate ad ali, assai estese, — il corpo acuto sul davanti per meglio fender 1’ aria, e terminante in una coda la quale serve di timone, — i piedi leggieri, le ossa cave, piene d’aria, — le penne anch’esse leggiere e piene d’aria. I sensi del tatto e dell’ olfatto sono negli uccelli poco sviluppati : questi animali hanno invece vista perfetta. Lo scheletro differisce molto da quello dei mammiferi ; le mascelle sono prive di denti e si allungano a formare il becco : le vertebre cervicali sono spesso molto numerose. Le penne vengono mutate almeno una volta all’anno : le più importanti fra esse sono le remiganti (quelle delle ali) e le timoniere (della coda). Apparato digerente. — Negli uccelli granivori l’esofago presenta un allargamento ( gozzo o ingluvie ) dove i cibi si fermano per un certo tempo e subiscono una specie d’insalivazione. Il loro stomaco si divide in antistomaco e ventriglio. Quest’ultimo (che rappresenta lo stomaco dei mammiferi) ha robuste pareti muscolari, che, fortemente contraendosi, son capaci di frangere i grani : sono in ciò coadiuvate dagli spigoli delle pietruzze che il granivoro ingerisce cogli alimenti e che non feriscono il ventriglio, perchè la membrana di rivestimento di quest’ ultimo è cornea e dura. Tutti gli uccelli si riproducono per uova, che devono esser covate durante un certo tempo (periodo d 'incubazione). I pulcini o lasciano il nido appena usciti dall’ uovo ( prole precoce) o vi rimangono ancora più o meno a lungo ( prole inetta). II nido degli uccelli è in generale fatto con grande arte. Alcuni uccelli sono stazionari, altri migratori. Hanno per lo più locomozione attivissima, gran cura della prole, poca intelligenza, ma istinti sviluppatissimi. Si conoscono 9400 specie d’ uccelli, le quali vengono per solito ripartite in 8 ordini: Corridori, Rapaci, Passe- racei, Rampicanti, Colombi, Gallinacei, Trampolieri, Palmipedi. I. Ordine : Corridori. — Inetti al volo ; corpo grande, gambe lunghe e prive di piume, soltanto 2-3 dita tutte anteriori, piume a foggia di crini, unghie simili a zoccoli. Vivono nell’emisfero australe. Lo Struzzo è di tutti gli uccelli il più alto (altezza media m. 2.50, ma può oltrepassare i tre metri) : il suo peso varia da 40 a 50 Cg. Le ali, piccole in paragone alla massa del corpo, non gli servono per volare, ma gli agevolano la corsa. La testa, il collo e le gambe sono nude: ogni piede lia due dita; colla forza del piede resiste a tutti gli animali del deserto. - Il suo corpo è coperto di morbidissime piume, tutte nere, tranne quelle delle ali e della coda che sono bianche. Queste ultime, linissime ed ondeggianti, sono di molto pregio e vengono usate nelle acconciature delle signore, nei ventagli di lusso ecc. Lo struzzo vive nell’Africa centrale; è dotato di una gran forza, per cui può portare un uomo in groppa ; i negri lo adoperano infatti come cavalcatura : esso può fare fin quarantatre chilometri all’ora, velocità superiore a quella del cavallo. È domesticabile, voracissimo e ladro. Fornisce, oltre alle piume, buona carne, grasso ed uova saporite del peso di oltre 1 Cg. Fi?. 17. — Struzzo Il Casoaro è affine allo struzzo e vive nelle isole dell’Oceania: ha il corpo coperto di piume filiformi, rassomiglianti ai crini del cavallo : una specie (Casoaro del cimiero) porta sulla testa una protuberanza cornea a foggia di elmo. 11 Chi vi od Apterice, grosso quanto una gallina, ha ali cortissime, affatto inette al volo. Abita la Nuova Zelanda : è d’indole selvaggia e non esce dal suo nascondiglio che alla sera. Al pari del casoaro e dello struzzo è velocissimo alla corsa. IL Ordine : Rapaci. — Sono carnivori : hanno becco robusto ed uncinato (rostro), piedi con quattro dita (3 anteriori, 1 posteriore) fornite di forti artigli, — ali grandi, corpo robustissimo. Prole inetta. - 38 I rapaci diurni hanno testa piccola con occhi laterali, piume fitte, remiganti rigide, volo potente. Il Grifone (che cibasi di cadaveri), il Condor delle Ande (m. 2.75 d’apertura d’ali), VAvoltoio degli agnelli (terrore dei cainosci, pecore, capre, agnelli, volpi, fagiani, eco. che abitano le Alpi), l’Aquila, lo Sparviero, il Falco (v. fig. 18), la Poiana ecc. I rapaci notturni hanno occhi grandi, atti al veder di notte e posti sul davanti della testa, grossa e schiacciata; piume molli e remiganti pieghevoli. Fig. 18. - Falco pescatore II Gufo reale (v. flg. 19), i vari Gufi minori, il Barbagianni, VAllocco e la Civetta. III. Ordine: Passeracei (divisi in Cantatori e Schiamazzatori). — I maschi dei primi hanno canto melodioso. Tutti poi sono uccelli di piccola mole, dalle gambe sottili (eccett. Corvo, Cornacchia). Fabbricansi i nidi con molta arte, hanno prole inetta, per lo più emigrano nell’inverno. Distruggono moltissimi insetti, per cui la caccia accanita che loro vien fatta torna di gran danno all’ agricoltura. Fig. 19. — Gufo reale Fig. 20. — Upupa I più comuni sono: Passero, Merlo, Allodola, Usignuolo, Fringuello, Frosone, Cardellino, Canarino, Stornello, Pettirosso, Scricciolo (re delle siepi), Capinero, Rondine, Tordo, Gazza, ecc. li Upupa (vedi fig. 20) si riconosce per la doppia fila di penne che porta sul capo: vive solitaria nelle terre basse ed umide: non canta, ma emette due gridi, .ritenuti dai superstiziosi di cattivo augurio. È sudicia e puzzolente. Si nutre d’insetti cui cerca nello sterco degli animali. 11 Colibrì (uccello mosca) vive nelle regioni calde dell’America, e specialmente al Brasile: è piccolissimo (talune specie hanno soltanto 25 mm. di lunghezza), è vestito di penne dai colori sfavillanti, onde — 39 — vien paragonato ad una gemma svolazzante. E molto ricercato per le piume, con cui si l'anno vari ornamenti muliebri (collane, orecchini ecc.) L’Uccello di Paradiso (vedi fìg. 21) è assai più grande del colibrì: il suo piumaggio è splendido, onde in commercio ha gran valore. Vive nelle foreste della nuova Guinea. Nella coda ha due penne, lunghe circa ses-/ santa cm., prive di barbe. IV. Ordine: Rampicanti. — Le' quattro dita dei piedi son disposte due sul davanti e due posteriormente, per cui questi uccelli possono stringere fortemente i rami degli alberi. Stanno per lo più nei paesi caldi ; hanno piumaggio variopinto ma voce sgradevole. Prole inetta. Picchio, Cùcùlo, Pappagallo, Tucano ecc. Fiff. 21 - Uccello di paradiso V. Ordine: Colombi. — Uccelli piuttosto grossi, con ali lunghe ed acuminate, piume fìtte, gambe corte ; capaci di volo rapidissimo e sostenuto. Sul terreno camminano a passi. Vivono appaiati. Prole inetta. Colombi, Tortore, Piccioni. E celebre il Piccione-messaggiero per la sua mirabile facoltà di orientazione, onde può tornare al suo nido, anche dopo lunghissimo viaggio. Venne perciò adoperato in guerra a trasmettere corrispondenze. Il Piccione tomboliere, dopo che si è sollevato in aria, suol fare parecchi capitomboli colla testa all’ indietro. VI. Ordine: Gallinacei. — Uccelli di corpo pesante ed ali corte, atti alla corsa più che al volo: hanno piedi lunghi che adoperano per razzolare : il dito posteriore ( sprone ) è corto e più alto delle dita anteriori. Granivori. Utilissimi (carne squisita, gran numero di uova). Prole precoce. Gallo domestico, Tacchino, Pavone, Fagiano, Pernice, Quaglia. VII. Ordine : Ti'ampolieri. — Uccelli dalle gambe molto lunghe, sottili, nude, e per ciò capaci di camminare nelle paludi e sulle spiaggie dei fiumi, laghi e mari. In generale hanno collo lungo e flessibile, becco lungo. Sono la migliore selvaggina. — 40 Beccaccia, Fòlaga, Airone, Gru, Ottaraa, Cicogna, Ibis, Gallinella d’acqua ecc. Vili. Ordine : Palmipedi. — Piedi corti colle dita unite da membrana natatoria, becco largo e piatto. Le penne, spalmate di un liquido oleoso, preservano questi animali dalla umidità e dal freddo dell’ acqua in cui essi nuotano e si tuffano. Trampolieri e Palmipedi hanno per la maggior parte prole precoce. Anitra , Oca, Cigno (elegantissimo palmipede detto re delle acque). Pellicano, Rondine di mare, Procellaria, Pinguino, Gabbiano ecc. I palmipedi marini, coi loro escrementi depositati sugli scogli in cui passano la notte, producono il guano, ottimo concime, di cui si fa esteso commercio. Classe dei Rettili. Animali a sangue rosso e freddo : respirazione polmonare. La vipera è ovovipara ; gli altri rettili depongono delle uova che però non covano. Hanno il corpo coperto di scaglie ; camminando, strisciano col ventre a terra. Per la maggior parte cadono in letargo durante l’inverno; allo svegliarsi del letargo perdono l’antico involucro e mettono pelle nuova. Alcuni possono riprodurre le parti recise del loro corpo. Si dividono in tre ordini : Chelonii, Sauvii ed Ofìdii. I. Ordine : Chelonii o Testuggini. — Corpo largo, prov- le. clavicola o. omoplata o scapula cv. vertebre cervicali » dv. vertebre dorsali c. coste sternali t. tibia p. perone /. femore Scheletro di Testuggine I — 41 visto di una doppia corazza ossea, coperta di scaglie cornee (il pezzo superiore chiamasi scudo ; l’inferiore, piastrone). La corazza non lascia passare che la testa, le 4 estremità e la coda, organi retràttili cui l’animale può celare rinchiudendosi tutto entro la corazza stessa. Questi animali sono privi di denti, camminano a stento, hanno vita tenace. Le scaglie dei loro scudi dorsali, ben levigate, si adoperano per la fabbricazione degli oggetti detti di tartaruga. Y’hanno testuggini terrestri, palustri, fluviali e marine. Quasi tutte danno buona carne ed uova commestibili. V’hanno testuggini marine che pesano anche mezza tonnellata. II. Ordine : Salirli o lucertiforuii. — Hanno per solito 4 zampe corte, coda lunga, bocca grande, fornita di denti saldati colle ossa mascellari. Carnivori; non velenosi. La Lucertola, il Ramarro e VOrbettino (mancante di zampe) sono frequenti nei nostri paesi ed affatto innocui. Terribile è invece il Coccodrillo, che infesta le sponde e le acque dei grandi fiumi tropicali. Giunge alla lunghezza di 6 m. e più. Le sue mascelle enormi sono armate di denti aguzzi, ricurvi all’indietro. La pelle è coriacea, protetta da scudi durissimi, invulnerabile alle palle da schioppo. Il coccodrillo cammina a stento sul terreno, mentre nell’acqua nuota con agilità. Fig. 23. — Coccodrillo. I coccodrilli dell’America chiamatisi Alligatori o Caimani, quelli dell'Asia Gaviali. Il coccodrillo del fiume Nilo fu adorato dagli Egiziani. Altri sauri presentano forme stranissime. Così il Drago volante porta, ai due lati del corpo, una membrana, specie di paracadute, per cui può saltare di ramo in ramo; il Camaleonte ha una cresta sul capo, occhi grandi che può muovere in senso inverso l’uno dell’altro, pelle che cambia di colore per effetto di collera, paura, caldo, freddo, ecc.; il Basilisco ha sul dorso una cresta mobile e sulla testa una specie di cappuccio ; l’Iguana porta una enorme saccoccia sotto il collo ed una cresta dentata che va dal capo fino alla punta della coda. É - 42 — HI. Ordine : Ofìdii o Serpenti. — Corpo allungato, cilindrico, squamoso, privo di arti, lingua bifida. Vita tenacissima. Serpenti non velenosi sono: la Biscia d'acqua, i Colubri, la Biscia dal collare (tutti innocui) e il Boa (terribile). Quest’ultimo serpente è di smisurata lunghezza, grossezza e forza; avvinghia la preda nelle sue spire e poi l’inghiotte a poco a, poco: durante la digestione rimane istupidito ed emana un odor fetido. È frequente nel Brasile. Nei nostri paesi è frequente il Colubro (in dialetto Scorzon). I serpenti velenosi hanno nella mascella superiore due denti veleniferi lunghi e cavi, che mediante un canaletto comunicano colla gianduia del veleno, posta di dietro ad essi. II veleno è un liquido giallo, inodoro, insipido, che bevuto è innocuo, mentre se viene introdotto nel sangue può in pochi minuti produrre la morte. Nei nostri paesi non vi hanno altri serpenti velenosi all’infuori delle vipere ( Vipera berus e Vipera, aspis). La vìpera fugge l’uomo, ma se questi inavvertitamente la schiaccia o tenta di afferrarla, si difende con rabbia. Le piccole piaghe che essa fa sono spesso mortali, se non vi si porta immediato rimedio. Appena avvenuta la morsicatura, devesi fare una legatura al disopra della ferita (per interrompere ogni comunicazione del sangue velenoso col resto del corpo), allargare la ferita e denudarne le parti interne, farne succhiare il sangue da bocca ben sana, cauterizzare la piaga con ferro rovente o con potassa caustica. In ogni caso ricorrere prontamente al medico. La vipera coi suoi denti corti non può iorare il cuoio delle scarpe. Vive per lo più in luoghi montani e sassosi, ma anche nelle praterie paludose. D’inverno cade in letargo. Nei paesi caldi vivono altri terribili serpenti velenosi, quali il Cròtalo (serpente a sonagli), il Trigonocelalo è la Naja. Quest’ultima è detta serpente dagli occhiali per una specie di figura a mo’ d’occhiali che porta sul dorso. Caratteristica di questo ofidio è la facoltà di dilatare straordinariamente il collo, sotto l’azione di una forte collera. Quando è agitata da questa passione, solleva verticalmente la parte anteriore del corpo, spalanca le fauci, proietta innanzi la lingua bifida, fa scintillar gli occhi, manda un lungo sibilo e si lancia sulla preda. , Essa è assai temuta per il suo veleno potente. b ig. 24. — Naja. 1 1 - 43 — Nelle Indie lo psillo (incantatore di serpenti) fa strabiliare la folla giuocando colle naje; ma si crede ch’egli strappi loro i denti veleniferi di cui una sola puntura basterebbe per ucciderlo sull’istante. Classe dei Batraci. I batraci od anfibi stanno fra i rettili ed i pesci. Hanno pelle nuda e viscida, sangue rosso e freddo, riproduzione ovipara. Subiscono la seguente metamorfosi : Dall’uovo nasce il girino , che ha forma di pesce, vive nell’acqua, respira per branchie ed è fornito di coda. Poi la pelle del girino si apre sul dorso, l’anfibio mostra le zampe, perde la coda e le branchie e, acquistati i polmoni, riesce a vivere nell’aria. t 2 3 5 6 Fig. 25 — Sviluppo della ra\*a.— 1. Girino appena nato. — 2. Girino con branchie esterne. — 3. Girino colle zampe posteriori. — 4. Girino con 4 estremità sviluppate. — 5. Girino più sviluppato. — 6. Rana perfetta. 1 batraci si dividono in anuri (privi di coda) ed oro- dèli (cioè forniti di coda anche dopo la metamorfosi). Sono batraci anuri la Rana comune, la Raganella (ranocchio verde), il Rospo e il Pipa. Quest’ ultimo è un rospo singolare che abita le paludi della Guyana e del Brasile; la femmina ha sul dorso molte cavità o celle, entro cui le uova restano fino al completo sviluppo del nuovo animale. Batraci urodeli sono la Salamandra ed il Proteo. Fig. 26.— Pipa. 'OÌooo3< — 44 — Classe dei Pesci. Questa classe comprende 13000 specie. I pesci sono vertebrati acquatici a corpo fusiforme, pelle coperta di squame, sangue rosso e freddo, respiranti per branchie, provveduti di pinne natatorie e per lo più anche di vescica natatoria. Le branchie sono formate di frangio composte d’un grandissimo numero di lamine lunghe e strette, ricche di canaletti sanguigni. L’animale inghiotte incessantemente l’acqua dalla bocca; questa va a bagnare le branchie collocate dietro alla cavità orale e, sollevando due piccoli coperchi posti ai due lati della testa, esce per le fessure branchiali. In questo continuo passaggio, il sangue (diffuso nelle branchie) assorbe dall’acqua la poca aria che gli occorre. La vescica natatoria è un sacco membranoso (per lo più diviso in due scompartimenti) che l’animale può a suo grado riempire d’aria oppur vuotare, e così, variando il suo volume, può salire o scendere nelle acque. I pesci vengono generalmente ripartiti in cinque grandi ordini : 1. Dipnoi; sono pesci dei paesi caldi, affini agli anfibi, aventi organi per cui possono respirare nell’aria e nell’acqua. Ne è tipo la Lepidosirena, vivente nel Brasile; 2. Acantotteri, ossia con raggi spinosi e rigidi nella pinna dorsale ; 3. Anacantini, che hanno tutte le pinne con raggi molli, flessibili ; 4. Ganoidi, che hanno scheletro cartilagineo o osseo, con squame smaltate o scudi ossei sulla pelle; 5. Cartilaginosi, il cui scheletro è tutto formato di cartilagini molli. Agli Acantotteri appartengono il Pesce Persico, la Triglia, il Magnarone (l’unico pesce che abbia cura delle — 45 — To. I b 4>j proprie uova), il Tonno, il Pesce-spada (che ha il muso prolungato a mo’ di una spada lunga un metro), il Pesce San Pietro , la Rana pescatrice. Quest’ultima è munita di filamenti mobili, cui agita a guisa di vermi, onde i pesci ingannati sono attratti e cadono nella enorme bocca della pigra pescatrice che sta affondata nella sabbia. Fra gli Anacantini trovansi i pesci più stimati d'acqua dolce : Anguilla, Trota, Temolo, Luccio, Carpa, Tinca, Barbo, tutti commestibili. Il Salmone vive nel Iteno : la sua carne è squisita. Il Siluro (voracissimo), il più gran pesce d’acqua dolce, vive nel Danubio. Fig\ 27 — Siluro hp m Le Aringhe, le Acciughe e le Sardelle viaggiano pel mare in torme sterminate: se ne fa attivissima pesca, perchè, sia fresche che salate, marinate, disseccate, o conservate nell’olio, forniscono un pregiato alimento. 11 Merluzzo somministra pure una gran quantità di carne commestibile ed un olio medicinale (olio di fegato di merluzzo). Il Pesce volante (vedi fig. 28) è simile al luccio ed ha le pinne del petto molto lunghe, onde può sollevarsi sulle acque dell’Oceano ad un volo alto anche 10 metri. 11 Pesce istrice ha il corpo cosparso di punte aspre e triangolari e può (come il Pesce palla ) gonfiarsi d’aria e formare una palla. Ai Gsuioidi appartiene lo Storione maggiore, pesce a scheletro cartilaginoso che vive nel Caspio, nel Mar Nero e nei loro affluenti. La pesca ne è di grande importanza. Oltre le carni, se ne ricava una gran quantità d’uova con cui fabbricasi la salsa detta caviale; la sua vescica natatoria bollita fornisce Vittiocolla (colla di pesce): la sua pelle è Biblioteca delia Magistrale Locarr - 46 — usata come cuoio. Lo Storione comune abita l’Adriatico, risale il Po, e dà ottima carne. Tra i Pesci Cartilaginosi troviamo i giganti del mare: il Pescecane (agilissimo e voracissimo), il Pesce-sega, il Pesce-martello. Un piccolo pesce cartilaginoso, frequente nelle acque dolci d’Europa, è la Lampreda, a forma di serpentello: colla sua bocca circolare, fatta a ventosa, essa si attacca agli animali morti e vivi. Cibo delicato. Pesci elettrici. — Alcuni pesci sono forniti di un organo particolare con cui possono dare forti scosse elettriche e così stordire i loro nemici èd intorpidire la preda. Tali (fra gli ana- cantini) il Siluro elettrico e il Gimnoto (anguilla elettrica) è fra i cartilaginosi la Torpedine. Piscicoltura. — I pesci in generale sono animali molto utili aH’uomo per gli svariati prodotti (carni, uova, olii, cuoio) che se ne ritraggono. Per ciò vengono insidiati in mille modi, e talvolta con cieco accanimento anche all’epoca del frégolo. Attualmente la piscicoltura tende a moltiplicare e diffondere le specie migliori, mediante l’allevamento artificiale. Con tal mezzo e colle leggi protettive sperasi aumentare la produzione di questi animali che forniscono un alimento sano e poco costoso. Nella Svizzera interna contansi oltre 100 stabilimenti di piseicol- tura, nei quali allevansi a milioni gli avannotti, che vengono poi immessi nelle acque pubbliche onde ripopolarle. Nel Ticino fu istituito uno stabilimento di tal genere a Lugano onde provvedere al ripopolamento del Ceresio: esso ha introdotto in questo lago un pregiato sal- monide, il Coregone, che prima non vi si trovava. Altri piccoli stabili- menti per l’incubazione delle uova della Trota di fiume furono istituiti da volonterosi privati a Faido, Pollegio, Malvaglia, Gerra Yerzasca, Fusio, Prato V. M., Cavergno, Cerentino, Riva S. V., Rovio, Tesserete, Dino e Stabio. Lo Stato (Confederazione e Cantone) accorda a tutti un modesto sussidio, giustamente incoraggiando la piscicoltura, che per il nostro paese, così ricco di acque, può costituire una fonte di ricchezza, come lo è l’allevamento del bestiame bovino. Fig. 28 — Pesce volante. 47 II. Branca — ARTROPODI. Gli artropodi sono animali aventi scheletro cutaneo diviso in anelli, e forniti di zampe articolate. Vengono ripartiti in 4 classi : Insetti : 3 anelli e 3 paia di piedi. Miriapodi : molti segmenti e 24 e più piedi. Aracnidi : 2 anelli, 4 paia di piedi. Crostacei : invoglio calcare, dieci o più zampe. Classe degli Insetti. Gli insetti (numerosissimi) hanno il sangue incoloro, il corpo protetto da tegumenti coriacei e diviso in tre segmenti (testa, torace ed addome). Sono forniti di sei zampe articolate e quasi tutti portano sulla testa due antenne. I loro occhi sono composti, cioè formati di moltissimi occelli piramidali, i cui vertici convergono al centro dell’occhio. Gli insetti respirano per trachee, che sono sottilissimi canaletti aerei ramificati nel corpo, le cui aperture segnano sull’esterno dell’animale certi punti neri (detti stimme), visibilissimi p. e. sul corpo del baco da seta. La vita degli insetti presenta varie metamorfosi. Dalle uova escono le larve, vermiformi, voraci, aventi vario numero di zampe. In caso di metamorfosi incompleta la larva, mutata a più riprese la pelle, mette poco a poco le ali e diventa l’insetto perfetto. In caso di metamorfosi completa la larva, a un certo stadio, cessa dal mangiare, chiudesi in un bozzolo e quivi sta immobile. In tale stato è detta ninfa o crisalide. Dal bozzolo esce, dopo un certo tempo, la ninfa tramutata in insetto perfetto. In questo stato accadono le nozze. - 48 - Gli insetti muoiono quasi subito dopo la deposizione delle uova. La maggior parte degli insetti è provvista di ali: queste talvolta sono coriacee, dure, e allora diconsi elitre — oppure sottili, diafane, e allora diconsi ali membranose. A seconda della mancanza o presenza delle ali e della forma di queste, gli insetti si dividono in 8 ordini: atteri (senz’ali) — ditteri (due ali) — lepidotteri (4 ali squamose) — imenotteri (4 ali sottili come velo) — neurotteri (4 ali membranose, percorse da nervature) — emitteri (4 ali, di cui le 2 superiori per metà coriacee e per metà membranose) — ortotteri (4 ali diritte) — coleotteri (4 ali di cui le due superiori, elitre, ricoprono come un astuccio le due inferiori membranose). I. Ordine : Degli Atteri è notissimo il Pidocchio. Questo insetto parassita predilige la testa dei fanciulli. E fecondissimo: due femmine in due mesi possono produrre 10,00') uova (lendini). Copiose lavature d’olio liberano dallo schifoso ospite chi ne è affetto : l’olio chiude le trachee del pidocchio, il quale, non potendo più respirare, deve morire. II. Ordine : I Ditteri hanno due ali e tromba succhia- toria. Mosca, Pulce, Zanzara, Estro bovino, Estro equino, Estro pecorino, Tafano, tutti insetti importuni, spesso tormentosi all’uomo ed agli animali domestici. III. Ordine : I Lepidotteri o farfalle sono insetti a metamorfosi complete, hanno 4 ali coperte di minuta polvere squa- Fig*. 29 - Zanzara (femm.) mosa, di solito vagamente colorata. Lepidotteri diurni: il bellissimo Macaone, la Pièride del biancospino (noeevole agli alberi), la Cavolaia (devastatrice degli orti), la Vanessa pavone, che porta sulle ali 4 occhi di pavone. Lepidotteri crepuscolari : l’Atropo, grossa farfalla detta testa di morto, perchè sul torace porta il disegno di un teschio, la Stinge del pino (vorace) e la Macroglossa delle stellatee. Lepidotteri notturni : il Bombice del gelso, utilissimo per la seta che si ricava dal suo bozzolo. Seta più grossolana danno il Bombice — 4Ù — dclTailanio, quello del ricino e la Saturnia della quercia. WAcidalia brunmtn e la Farfalla del pomo sono nocevolissimc agli alberi fruttiferi sulle cui gemme depositano le uova: queste, sviluppandosi, generano il baco che guasta il frutto. Così pure nocive (al grano, agli abiti, alle pelliccie) sono le Tignuole. Graziosa e singolare farfallina (microlepidottero) è la Alucita esodattila, di cui le ali sia anteriori che posteriori s’allargano in sei divisioni penniformi. IV. Online: Gli Imenotteri hanno metamorfosi complete, quattro grandi ali disuguali, membranose e trasparenti. Alcuni (Vespe, Api, Formiche) vivono in colonie ed hanno istinti, costumi ed organizzazione sociale mirabili. L’uomo alleva le Api per averne miele e cera. Imenottero nocivo è la Tentredine del pino: utile invece è la Cinipe della quercia, che fa produrre sulle foglie di quercia le galle utilizzate nella concia delle pelli e nella fabbricazione dell’inchiostro. V’. Online: I Xeurottrri hanno metamorfosi complete e 4 ali eguali, solcate* da numerose nervature articolate. La larva del Formicaleone scavasi nella sabbia un buco a forma d’imbuto, ove attende gli insettini, suo cibo, che vi cadono. La larva della Friganea sta nascosta in una specie di astuccio composto con granelli di sabbia, gusci di piccole chiocciole ecc. e cammina portando questo invoglio che è talora di forma assai graziosa. VI. Online: Gli Pmitteri hanno metamorfosi imperfette e 4 ali membranose, di cui spesso le due superiori sono per metà coriacee. Cicale, Gorgoglioni (pidocchi delle piante;. Fillossera (che devasta le radici della vite), Cimici, Cocciniglia (che vive sul cactus e da cui si ricava il vero carmino). VII. Online: Gli Ortotteri hanno metamorfosi incomplete e 4 ali. di cui le 2 inferiori (membranose) si ripiegano sotto le 2 anteriori, che sono diritte, coriacee. La Forbicina (innocua), la Blatta (che infesta le cucine), la Libellula (che ha forme eleganti e graziosi movimenti), il Grillo (dall’eterno cri-cri), la Locusta verde (frequente nei prati), la Locusta migratrice (terribile devastatrice dei terreni coltivati, nei paesi caldi), la Pulce dei Ghiacciai, il Fillio fogliasecca (di cui l'addome e le elitre imitano la forma di una foglia) ecc. Vili. Online: I Coleotteri (ali ad astuccio) hanno metamorfosi complete e formano Pontine più numeroso. Fitr. 30. — Alucita Anastasi « Belletti —■ Scienze Naturali. X — 50 — Il Cervo volante (dirti, eornabò) il Maggiolino (vacchetta), la Cetonia dorata (gorieu). il Cerambice muschiato (moscardina), la Coccinella dei sette punti (gallinella del Signore) la Lucciola, la Cantaride (questa, fatta seccare, dà polvere per vescicanti), l’Anobio pertinace (roditore dei mobili di legno), il Tenebrione (ospite dei granai, mulini e forni), il Rinchite della betulla e Vllobio del pino (voracissimi), lo Scarabeo ercole (di terribile aspetto, ma innocuo) eec. I.arva Ninfa Insetto Fig. 31 — Balanino dki.i.e noci 11 Balanino delle noci ha una proboscide lunga e sottile: depone le uova nelle avellane o nelle ghiande quando sono ancor tenere. La larva che nasce dall’uovo si nutre del seme, in autunno fora la dura buccia del frutto, si seppellisce sotterra dove vive allo stato di ninfa: nell’anno successivo la ninfa si trasforma in insetto perfetto. Poche eccezioni fatte (ape, baco da seta, cocciniglia, cinipe del calice....) gli insetti sono animali nocivi, specialmente pei danni che arrecano alla vegetazione. A gran torto si insidiano gli uccelli insettivori, che ne distruggono una enorme quantità. Classe dei Miriapodi. Onesti artropodi traggono il loro nome dal gran numero di piedi che porta il loro corpo. Come gli insetti, respirano per trachee ed hanno due antenne, però non subiscono metamorfosi: pel gran numero dei loro segmenti somigliano alle larve degl’insetti. Cibansi di piccoli insetti. Sono innocui " all’uomo. I r ig. 32. — Scolopendra. Il Millepiedi o . lulo terrestre è bruno: vive sotto ai sassi: toccato, si arrotola, La Scolopendra o centogambe è bruna dì sopra, più chiara di sotto. Vive in luoghi umidi ed oscuri. - 51 ) I ) Classe degli Aracnidi. Gli aracnidi (tipo : il ragno ) hanno il corpo diviso in 2 anelli: il primo anello consta del capo e del torace intimamente uniti, il secondo anello (molle ed a forma di sacco) costituisce l’addome. Hanno quattro paja di zampe: la testa non ha antenne e per lo più è fornita di otto occhi. Alcuni respirano per polmoni, altri per trachee. Sulla parte inferiore dell’addome hanno molte piccolissime aperture, da cui schizzano un liquido vischioso, che all’aria si congliitina e forma un filo, con cui questi animali tessono le loro ingegnosissime tele. Colle tele essi trappolano gli insetti di cui si cibano. I Ragni hanno i palpi quasi lìlamentosi. Il ragno più grosso dei nostri paesi è YEpeira diadema, frequente nei giardini: tesse la sua tela, molto regolare, con una celerità straordinaria: ha l’addome costellato di punti brillanti. Gli aracnidi meglio organizzati sono gli Scorpioni, muniti alla testa di due grandi chele o palpi ed all’addome di un aculeo velenifero. La ferita dello scorpione de' nostri paesi non è molto temibile: per farne cessare il bruciore, basta lavarla con olio o con ammoniaca. La Tarantola è di color fulvo. Vive presso Taranto nella Paglia. Credesi da Fig-. 33. — Scorpione. quelle popolazioni che il suo morso possa tornar fatale all’uomo, il quale non si salva, se non tenendo in moto il sangue col ballare sfrenatamente la tarantella. , Gli achridi sono piccoli aracnidi, dal corpo appiattito o globoso. Alcuni vivono nelle sostanze alimentari, come l'Acaro domestico, che abita nella polvere di formaggio. Altri vivono sul corpo dell’uomo e- degli animali superiori : tali la Zecca e l’Acaro della scabbia. Si curano gli animali che ne sono infetti con abbondanti fregagioni d’olio. Classe dei Crostacei. Animali dal corpo protetto di un involucro coriaceo, muniti di due o quattro antenne, con dieci o più zampe, per lo più acquatici e perciò a respirazione branchiale. Il Gambero comune, il Gambero di mare, VAragosta e alcune specie di Granchi danno una carne squisita. t III. Branca — VERMI. Onesti animali hanno corpo nudo, molle, mancante di zampe. Vivono alcuni nell’acqua o nella terra umida, altri nel corpo degli animali. Sono ripartiti in 4 classi: Ancllidì, Boti feri, Xoniatel- minti e Platelminti. 1. a Classe: Gli Anellidi (80-120 anelli) parte sono a sangue bianco, parte a sangue rosso. Alcuni per muoversi hanno setole, altri ventose. Lombrico — Mignatta. 2. a Classe: I Rotiti'ri sono vermi piccolissimi, che abitano le acque stagnanti o le sabbie dei tetti. Hanno la testa provvista di cigli, con cui mettono in rapido movimento rotatorio le alghe e gli animaletti di cui si cibano. 11 Rotifero comune, che sta nelle arene (lei tetti, rimane nella polvere secca come morto; ma appena bagnato rivive e muovesi. ìi. a Classe: I Neniateliniiiti sono vermi dal corpo cilindrico che vivono parassiti nel corpo dell’uomo e degli animali. La Trichina è un verme sottile come un capello: s'annida prima nelle carni del topo: talora il topo è mangiato dal maiale e la trichina passa in quest'ultimo. L’uomo la ingerisce cibandosi di carni di porco trichinate: le piccole trichine, sviluppandosi nel nostro corpo, traforano le pareti dello stomaco, i visceri ed i muscoli, producendo la terribile malattia della trichinosi, che spesso ha esito fatale. Gli Ascaridi vivono nell’intestino dell’uomo senza produrvi gran danno; una specie piccolissima (1 ’Ossiuro) s'annida nell'intestino crasso dei bambini, cui torna molestissimo. 4. a Classo: I Platelminti sono vermi dal corpo piatto, nastriforme, che vivono parassiti nel corpo degli animali superiori. La Tenia (verme solitario) e il Botriocefalo s’annidano nello intestino, l’Echinococco nel fegato. 11 Cenuro va a cacciarsi nel cervello delle pecore, producendo in esse il capostorno, insolferibile tormento. Nota. — La più scrupolosa nettezza del corpo, degli abiti, dei cibi, dell’acqua e della dimora, sia dell'uomo che degli animali domestici, potrà sola preservarli dagli insetti e dai vermi parassiti, tanto nocivi alla salute. IV. Branca — MOLLUSCHI I molluschi sono animali a sangue freddo e bianco, per lo più acquatici ed ovipari, respiranti • per branchie. La loro struttura interna è complicata (hanno sistema nervoso, organi dei sensi, apparato digerente e circolatorio): la loro forma esterna è semplice. II corpo ne è molle, umido, viscido, senza scheletro e senza anelli. Ordinariamente sono muniti di una corazza calcarea, che forma un nicchio o conchiglia ; questa può essere monovalve, oppure bivalve. A seconda che hanno la testa distinta o non distinta dal rimanente del corpo, di- consi poi cefalofori o acefali. tsono ripartiti in tre classi principali : Cefalopodi, Gasteropodi, Lamellibranchi. I / 1 ('lasse: I Cefalopodi hanno il capo distinto dal resto del corpo, due grandi occhi e otto tentacoli intorno alla testa. Nuotano rapidamente a ritroso. La Seppia ha una borsa piena d’inchiostro bruno, che versa nell'acqua per intorbidarla e così sfuggire' ai nemico. 11 Polpo (tig. 34) è un vorace e forte mollusco, che s avvinghia talvolta ai nuotatori e li tira in fondo al mare. Argonauta e il Nau- tilo hanno pure strane forme. Classe: I Gasteropodi sono così detti per un grosso piede carnoso, posto sotto il ventre, col quale stri- s eia no sul suolo. ssaw mima Fig. 34. — Polpo. — 54 - Alcuni sono nudi, come la Limaccia (dial. nere) : altri portano una conchiglia monovalve, come la Chiocciola (dial. liimaga), ;ì. a Classe : I Lamellibranchi hanno un corpo senza testa distinta, portano conchiglie bivalve, stanno per la maggior parte nel mare. Noto mollusco di questa classe, d’acqua dolce, è VAnodonta (dial. tabacchiera). I Lamellibranchi marini sono: l’Ostrica (cibo pregiato), il Pettine, la Me- leagrina margaritUera. — Quest’ultima, allorché un corpo estraneo penetra nella sua conchiglia, lo copre di una secrezione che indurendosi forma la perla. La Terèdine è un piccolo conchifero che fora i legnami : la Fòlade scava le roccie più dure. • 'f Fig;. 35. — Met.kagrixa Margaritjpkka. V. Branca — RAGGIATI. Questi animali (marini) hanno le membra del corpo disposte in cinque raggi attorno ad un centro, che per solito è occupato dalla bocca. Il loro corpo è spesso coperto di un guscio rigido. 1. a Classe: Echinodermi (il riccio di mare, a forma di palla spinosa). 2. a Classe: Asterie (le Stelle di mare e le Oloturie). VI. Branca — ZOOFITI. Animali d’organizzazione semplice, col corpo disposto a raggi secondo 4, 6, 8 o più direzioni. Tre classi: Idromeduse, coralli e spugne. 1. a (lasse: Le Itlroinetluse hanno corpo gelatinoso: molte fra esse sono provvedute di organi indicanti, con cui producono un vivo bruciore sulla pelle di chi le tocca : altre sono luminose e producono di notte sul mare il fenomeno della fosforescenza. Il corpo delle Moti use è una gelatina diafana, poco più consistente dell’acqua. Questi animali hanno forma ora di ombrelli, ora di campane: sono d’aspetto elegante e di colori rosei o cilestri, bellissimi. Sono tanto fragili che, gettati dal mare sulla spiaggia, si dileguano senza quasi lasciar traccie materiali onde furono detti viventi ìtolle di sapone. Vogano a storme innumerevoli in alto mare: la balena dà loro la caccia. 2. a Classe: I Coralli o polipi hanno corpo molle, ora cilindrico, ora conico, fissato al suolo per l’estremità posteriore: all’estremità anteriore sta la bocca circondata da parecchi tentacoli. Alcuni sono nudi come le Attinie (bellissimi polipi, somiglianti ad un bore sbocciato). Altri hanno un invoglio calcare, e, aggregandosi in colonie, continuamente aumentate per via della riproduzione gemmipara, formano degli arboscelli petrosi, ora informi e scolorati, ora d’aspetto leggiadro e vagamente colorati in rosso. Minutissimi polipi coralligeni ( Madrepore) fabbricarono così nell’Oceano indiano e nel Pacifico delle isolo intere e dei gruppi di isole. i$. a Classe: Le Spugne hanno per sostegno uno scheletro percorso da numerosi canaletti. (Questo scheletro lavato e depurato dà la spugna del commercio). Entro questi canaletti sta il corpo molle dell’animale, la cui organizzazione è poco conosciuta. Le spugne si riproducono per uova, per germi ed anche per scissione di par.ti. VII. Branca — PROTOZOI. Animali d’organizzazione semplicissima, spesso microscopici, che si riproducono per gemme, per germi e per distacco di parti. 1.* Classe: Infusori. — Così chiamati, perchè sviluppaci in grande quantità nelle infusioni e in genere nelle acque dove trovansi sostanze organiche in putrefazione. 80110 formati da una cellula 0 da un grumo di muco. Una specie (VEuglena verde) vive negli stagni e talora è tanto abbondante da colorare l’acqua in verde. Altra specie (la jSoctìluoa) produce fosforescenza sulle acque del mare. 2. a Classe: Rizopodi. — Piccoli animali, formati da un muco semiliquido, che diramasi in tutte le direzioni con lilamenti a guisa di radici. Molti sono nudi. Altri (detti fora mini feri) sono involti in conchigliette calcari. Specchio delle Classi del Regno Animale 1. Branca. — 2 . » 3. » 4. » 5. > 6 . » Vertebrati (5 classi): Mammiferi, Uccelli, Rettili, Batraci, Pesci. Artropodi (4 classi): Insetti, Miriapodi, Aracnidi, Crostacei. Vermi (4 classi): Ànellidi, Rotiferi, Nematelminti, Platelminti. Molluschi (3 classi): Cefalopodi, Gasteropodi, Lamellibranchi. Raggiati (2 classi): Echinodermi, Asterie. Zoofiti (3 classi): Idromeduse, Coralli, Spugne. Protosoi (2 classi): Infusori, Rizopodi. BOTANICA -Ai — La Botanica è lo studio dei vegetali, ossia di quegli esseri viventi che si nutrono e si riproducono. Gli organi di nutrizione delle piante sono la radice, il fusto e le foglie: gli organi di riproduzione sono il fiore, il frutto, il seme e le gemme. Tessuti. — I diversi organi d’una pianta alla lor volta sono formati da parti più semplici, dette tessuti. I tessuti risultano dall’aggregazione delle cellule, piccole vescichette rotonde contenenti sostanze diverse, ora solide, ora liquide, ora gasose. Se le cellule aggregate conservano la loro forma rotonda si ha il tessuto cellulare. Se le cellule sono fusiformi, ossia allungate e assottigliate alle estremità, chiamatisi fibre : la loro unione forma il tessuto fibroso. Se invece le cellule sono cilindriche e comunicanti fra loro, costituiscono i vasi, di cui risulta il tessuto vascolare. Vi sono nella pianta vasi 'aerei (o trachee), vasi linfatici (enlro cui scorrila linfa) e vasi latticifevi, abbondanti nella corteccia, e nei quali scorre il lattice che è un liquido lattiginoso e gommoso, costituente il succo speciale della pianta. Nutrizione. a) Organi della nutrizione. Radice. — La radice giace sotterra, cresce in direzione opposta o perpendicolare al tronco e tende sempre ad affondarsi nel suolo. Essa sostiene la pianta e lo trasmette gli umori che assorhù dal terreno. - 58 - Fig. 36 — Sezione dei. caule DI UNA PIANTA DICOTILEDONE Alcune piante non traggono il loro nutrimento dal suolo, ma lo assorbono da altri vegetali a cui si avviticchiano. Tali la cuscuta o strozzatine, il vischio ere. Queste diconsi piante parassite. Le radici hanno diverso colore (non inai verde però) ed anche forme diverse. Iti generale constano di una parte mediana detta fìtione, da cui partono dei rami radicali, muniti di sottili lìbrille o barbe. Fusto o caule è quella parte della pianta che cerca 1’ aria e la luce ed ergesi per lo più verticalmente sul suolo. Esso porta i rami, le foglie, i iìori, i frutti. Nelle piante dicotiledoni presenta tre parti : corteccia, legno e midollo. (Vedi fìg. 86). La corteccia, o scorza, risulta di tessuto cellulare e di tessuto fibroso. Il legno è costituito da fibre e presenta delle zone concentriche, in tanto maggior numero quanto più il vegetale è vecchio. Il midollo è sostanza puramente cellulare, d’apparenza bianca e spugnosa. Nel fusto delle piante monocotiledoni (vedi fig. 37) non vi è un midollo propriamente detto: sotto la corteccia si Fig. 37. — Sezione del caule DI UNA PIANTA MONOCOTILEDONE riscontrano dei fasci libro-vascolari che sono più fitti alla circonferenza che verso il centro. Il fusto verde e flessibile delle erbe chiamasi stelo ; quello cavo e sparso di nodi del Frumento, del Granoturco, ecc., chiamasi culmo o canna; il caule sotterraneo dell'Aglio, della Cipolla dicesi bulbo ; quello delle Palme, cilindrico ed incoronato da un ciuffo di foglie (come colonna ornata dt capitello), è detto stipite. Il fusto legnoso e compatto degli alberi è detto tronco .. Foglia. — La foglia ha per lo più la forma di una sottile lamina verde, a due faccio (pagina superiore e pagina interiore), solcata da nervature ed unita ai rami od al tronco mediante un cordoncino detto picciuolo. V’hanno però foglie grosse e carnose, come quelle delle piante grasse. Altre sono lineari, come quelle del pino, o lesiniformi come quelle del ginepro. In altre manca il picciuolo, e queste diconsi foglie sessili (es.: foglia del Lino), oppure il picciuolo si allarga in basso ad abbracciare il tronco con una espansione membranosa, detta guaina (foglia del Granoturco). La pagina superiore delle foglie per lo più è liscia e la inferiore è rugosa: in questa s’aprono dei pori microscopici, detti stomi, che servono alla respirazione della pianta. Per quanto alla disposizione delle nervature, le foglie possono essere parallelinervie (come quelle del Frumento), palminervie (Vite), penninervie (Castagno), peltinérvie (Cappuccina o Nasturzio indiano). Il margine della foglia ora è liscio e continuo, ora seghettato, o dentato, o lobato. Circa la sua forma, la foglia può essere rotonda, ovale, cuoriforme, lanceolata, semilunata, reniforme ecc. b) Atti della Nutrizione. La Nutrizione della pianta ha per iscopo la conservazione e lo sviluppo dell’individuo. Questa funzione comprende diverse operazioni : 60 - 1. a Assorbimento, ossia introduzione nell’organismo della materia nutriente sotto forma di un liquido detto linfa ; 2. a Circolazione della materia nutriente nelle varie parti delForganismo; 3. a Respirazione, ossia scambio di gas tra l’aria e il vegetale, allo scopo di purificare e vivificare la linfa; 4. a Secrezione ed escrezione, ossia elaborazione della linfa e sua separazione in liquidi utili alla pianta e parti inutili da espellersi. 5. a Assimilazione, ossia incorporazione dei principii nutritivi negli organi del vegetale. Assorbimento. — Le piante traggono i materiali nutritivi dall’aria atmosferica da cui sono circondate e dalla terra in cui sono infisse. Quelle acquatiche li traggono dall'acqua e quelle parassite dai corpi organici su cui vivono. I canaletti delle piante essendo estremamente esigui, ne viene che gli alimenti delle piante debbono.trovarsi allo stato gasoso, oppure allo stato liquido. L’acqua scioglie certi principii minerali contenuti nel terreno e il liquido così formato penetra, per porosità, nelle cellule delle fibre radicali e da queste va nei rami radicali e nel fittone. Se manca l'acqua nel terreno, non accade più la soluzione dei principii minerali, non si produce più la linfa e quindi cessa la nutrizione del vegetale. Circolazione. — La linfa, ossia il liquido che viene assorbito dalle radici e che contiene disciolti gli alimenti della pianta, per forza di capillarità ascende per tutto il corpo legnoso sino alle foglie. Nelle foglie, per mezzo della respirazione, viene modificata e resa atta alla nutrizione degli organi; dopo di che ritorna in basso ( linfa discendente ) ad irrigare e nutrire i vari organi, passando fra la corteccia e il tronco. Specialmente abbondante è la linfa in primavera: affatto mancante nel- T inverno. Respirazione è il continuo scambio di gas tra il vegetale e l’aria atmosferica. — 61 — Di giorno il vegetale aspira dall'aria anidride carbonica (corpo gasoso, asfissiante, composto di ossigeno e di carbonio), trattiene il carbonio ed emette ossigeno. Di notte invece la pianta assorbe ossigeno ed emette anidride carbonica. Per conseguenza è pericoloso dormire di notte in locali chiusi, contenenti molti vegetali. Gli organi respiratori delle piante sono le loro parti verdi, specialmente le foglie (comparate perciò ai polmoni degli animali); come fu detto, esse son provviste di apposite boccuccie (stomi) per le quali l’aria penetra nella linfa. Secrezione ed escrezione. — Coi materiali contenuti nella linfa discendente, la pianta (sotto l’azione delle forze vitali).prepara le sostanze che le occorrono per la formazione e conservazione dei tessuti, i succhi che le sono propri. Questa elaborazione dicesi secrezione: i suoi prodotti sono l’amido, la fecola, lo zucchero, il legno, le gomme, le resine, gli olii, ecc. Le parti improprie alla nutrizione degli organi, e quindi inutili, vengono poi rigettate all’esterno mediante il lavoro di escrezione. Assimilazione. — Una volta convenientemente elaborati i materiali nutritivi, questi (per l’ assimilazione) s’incorporano colla sostanza del vegetale, di cui procurano il sostentamento e l’incremento. Cresce la pianta in due direzioni: in altezza , per via del graduale sviluppo delle gemine : in larghezza, per la formazione di nuovi strati interni. Cosi ogni anno formasi un nuovo strato nel corpo legnoso: questi strati restano talora, per la varia intensità del colore, distinguibili l’un dall’altro, e per ciò, tagliando certi alberi alla base e contando il numero delle zone legnose, si può conoscere approssimativamente l’età dei vegetali. Dimensioni delle piante, — Alcuni vegetali (come certi funghi) sono microscopici: altri (come la WeUingtonia gigantea, il Baobab , YEucalyptus , il Castagno) raggiungono delle proporzioni enormi (fin 140 metri di altezza). Durata delle piante. — V’hanno piante che vivono un anno solo (piante annue}-. altre che vivono più anni (perenni). Si citano esempi di vegetali che visser migliaia di anni. — <Ì2 Riproduzione. Lo piante hanno due diversi modi di riproduzione: li. ovipara e lì. gemmipara. La Riproduzione ovipara ha luogo mediante corpic- ciuoli che compiono un ufficio analogo a quello delle uova degli animali. Nella massima parte delle piante gli organi produttori dell’uovo (ossia i fiori) sono esterni. Queste piante chia- mansi fanerogame (ossia a nozze manifeste). Altre piante (es. i funghi) hanno questi organi poco apparenti e come nascosti: tali piante chiamansi crittogame (ossia a nozze occulte) e i loro organi riproduttori diconsi spore. La Riproduzione geimnipara compiesi mediante le gemme che spuntano sull’asse principale della pianta e, sviluppandosi, si trasformano in altri individui. Questi ultimi per solito non si staccano dal vegetale generatore e, mediante altre gemme, danno origine alla lor volta a nuovi individui: così che un albero è da considerarsi, non come un semplice individuo, ma come l’aggregato di molti individui. Riproduzione delle piante fanerogame. a) Organi della riproduzione ovipara. Fiore. — Il fiore è quella parte delle piante fanerogame che contiene gli organi riproduttori. — Il fiore completo ha quattro parti, ossia verticilli, di cui due esterni (od accessorii ) e due interni (od essenziali).. I verticilli accessori, che servono a proteggere gli altri, e di cui il fiore di molte piante è sprovvisto, sono il calice e la corolla. II calice è l’involucro più esterno del fiore ed è formato di foglioline (ordinariamente verdi), dette sèpali. Se i sepali sono saldati insieme alla base, abbiamo il calice g amosepalo; se invece i sepali sono liberi (cioè non congiunti in nessuna parte), il calice chiamasi dialisepalo. La corolla trovasi immediatamente al disopra del calice ed è formata da una o più espansioni fogliacee (dette pista lì), per lo più dipinte di vaghissimi colori. Essa può essere gamopetala o diahpetala. La corolla gamopetala ora è campanulata (come nel Convolvolo), ora imbutiforme (Tabacco), ora labiata (Salvia), o personata (Bocca di leone), o ligulata (Fiordaliso) ecc. La corolla dialipetala può essere eroe iforme t Cavolo), papiglionaeea (Pisello). cariofillata , (Garofano), rosacea (Rosellina di macchia) ecc. In alcuni fiori (esempio : il Giglio) vi ha un solo verticillo accessorio, che chiamasi perigonio : le sue parti di- consi tèpali. — I verticilli essenziali del fiore sono l’androceo (formato dagli stami ) e il gineceo (formato dai pistilli). Lo staine consta di un filo sottile (detto filamento), recante all’estremità superiore una specie di sacchetto (antèra), nel quale è contenuta la polvere fecondante (polline), per solito di colore giallo. Il pistillo è composto dell’ovario di forma rotonda, contenente gli òvuli), dello stilo (filamento cavo, che ergesi sull’ovario) e dello stimma (corpicciuolo spugnoso, viscido, di varia forma, sopportato dallo stilo). Distinzione dei fiori. — V’hanno fiori che contengono sia stami (organi maschili) che pistilli (organi femminili). Questi fiori diconsi ermafroditi. Altri contengono soltanto stami, oppure soltanto pistilli ; questi diconsi unisessuali, e possono quindi esseie o staminiferi o pistilliferi. Infiorescenza. — I fiori sono portati da piccoli gambi o peduncoli. — Se un peduncolo porta un sol fiore, questo fiore dicesi solitario : se invece il peduncolo si ramifica in altri peduncoli secondari avremo Yonibrella (come nella Carota), oppure la spiga (Frumento), o la pannocchia (Avena), o il grappolo (Acacia), o il gattino od amento (Nocciuolo). ' Frutto. — Il frutto non è altro che l’ovario fecondato e giunto al suo pieno sviluppo. Le parti principali del frutto sono il pericarpo ed il seme. Il pericarpo è la parte esterna del frutto, destinata ad avvolgere e proteggere il seme; esso proviene dalla parete — «4 - dell’ovario più o meno ingrossata, ed ora è carnoso, ora membranoso, talvolta anche osseo. Il seme (granello elittico, secco) proviene dall’òvu/o ed è quella parte del frutto che racchiude gli elementi di una pianta novella. Nel seme vi sono alcuni invogli protettori, che ne formano la buccia , contenente la màndorla. Questa racchiude Yembrione, vaie a dire una pianta piccolissima, in cui distinguonsi la radiciietta (futura radice) e la piumetta (che tende ad elevarsi verso il cielo e formerà il fusto) ; fra la radichetta e la piumetta trovasi il corpo cotiledonare, che durante la germinazione forma il primo alimento della pianta e costituisce la prima o le due prime foglie deH’embrione. Siccome queste foglie seminali spesso hanno forma di scodella, furono dette cotiledoni: talora esse sono sottili e somiglianti a foglioline (come nel Ricino), ma. talora (come nel Fagiuolo) sono grosse assai più delTembrione e, a primo aspetto, poco somigliano ad ma foglia. Secondo il numero dei cotiledoni distinguonsi le piante fanerogame in : Monocotiledoni, ossia il cui embrione ha una sola foglia seminale (Frumento, Tulipano); e Dicotiledoni, aventi cioè due foglie seminali (Pesco, Pisello). Le piante crittogame sono anche dette Acotiledoni. Distinzione dei frutti. — Il frutto bivalve del fagiuolo chiamasi legume; quello sugoso, a spiccili, dell’Arancio è detto esperidio ; quello della Vite, del Ribes, in cui i semi nuotano in una polpa liquida, chiamasi bacca; quello carnoso, contenente un sol seme, del Ciliegio e del Pesco, dicesi drupa; quello carnoso, tondeggiante, con più semi, del Melo e del Pero, dicesi pomo; peponide dicesi quello della Zucca; cono quello del Pino; sìcono quello del Fico; cariòsside quello secco del Frumento, nel quale il pericarpo non distinguesi dal seme; sàmara quello alato dell’Acero (dialetto Jlompia ); ghianda quello della Rovere ecc. b) Atti della riproduzione ovipara. I diversi atti della riproduzione ovipara delle piante fanerogame sono la fioritura, la fecondazione, la maturazione, la disseminazione e la germinazione. Fioritura. — Nascono i fiori dalle gemme fiorali che spuntano sul vegetale e si dischiudono ad epoche diverse secondo le specie, il clima, il terreno ecc. I fiori, in generale, una volta aperti, non si chiudono più : v’ hanno però esempi di fiori che apronsi al mattino e chiudonsi la sera, o viceversa. Durante la fioritura le antère si aprono e ne esce il polline. Fecondazione. — È questo F atto vitale per cui gli ovuli contenuti nell’ovario trasformansi in semi. Il polline (o cadendo pel proprio peso, o trasportato dal vento, dal- F acqua, dagli insetti) va a posarsi sullo stimma, che, essendo vischioso, lo trattiene. Quivi ogni granello di polline si trasforma in un esilissimo tubo membranoso (detto budello pollìnico), che penetra nello stilo e, sempre più allungandosi, scende fino a raggiungere l’ovario, dove, venendo a contatto cogli ovuli, li feconda. Maturazione. — Quando i budelli pollìnici sono giunti a toccare gli ovuli, avvengono nel fiore importanti modificazioni. Il calice, la corolla e gli stami si distaccano e cadono. La parete dell’ovario trasformasi nel pericarpo e gli ovuli diventano semi: l’ovario cioè cangiasi in frutto. Questo, quando è maturo, staccasi alla sua volta dal vegetale. Disseminazione. — I frutti staccati dal vegetale o si aprono da sè ( frutti deiscenti), lasciando uscire i semi: oppure, se indeiscenti, lasciano libero il seme, dopo che il pericarpo lentamente è marcito. Molti semi sono leggieri (perchè provveduti di ali, di Anastasi e Belletti — Scienze Naturali 5 villi, di pappi) e vendono disseminali dal vento e dalle acque correnti. L’ uomo poi, pel proprio utile, propaga largamente i sgmi di moltissime specie vegetali. Germinazione. — Giunto il seme in terreno propizio, geminiti, ossia sviluppasi a l'ormare un nuovo individuo. La radichetla s’infigge nel terreno: la piumetta, I' Ig. 38. — SKME DEI. FAG1UOLO HE COMINCIA A GERMINARE squarciata la buccia, elevasi al disopra della superficie del suolo (lìg. 38) i cotiledoni nutrono dapprima il giovane vegetale ; più tardi se vengono sollevati al disopra del suolo, nel qual caso vengono detti epigei (vedi fig. 39), cadono esausti sul terreno. Perchè accada la germinazione occorrono: calore (fra i 10° e i 50°), acqua (che dal terreno, penetrando nel seme, lo rammollisca^ e^ne faccia gonfiare le sue parti) ed aria. Fig. 39. — Germinazione dei. fagiuolo; COTILEDONI Eri GEI 67 — Questa è necessaria alla vita del seme, quanto a quella della pianta o dell’ animale. I semi sotterrati troppo profondamente, perchè privi d’aria, non possono germinare. c) Riproduzione gemmipara. Gemme. — Le gemme o bottoni (fig. 40) sono cor- picciuoli di forma rotonda od ovoide, che nascono all’ ascella delle foglie o in testa ai rami e che contengono i rudimenti del tronco, delle foglie e dei fiori del nuovo individuo. Esse compaiono in primavera, ma nel primo anno si sviluppano poco. Siccome sono protette da forti squame, possono affrontare i rigori dell’ inverno e soltanto nella primavera successiva si apriranno poi a formare i nuovi rami. Il l'amo non è dunque che un nuovo individuo inserto sul tronco principale, da cui succhia il suo nutrimento. Se al nuovo individuo offresi altro modo di nutrirsi, si potrà separarlo dal tronco generatore e ridurlo a vita indipendente. Così moltiplicansi le piante più rapidamente che mediante i semi. La moltiplicazione artificiale delle piante può farsi per tale a, per margotto e per innesto. (Vedi in proposito il capitolo speciale dedicato all’.Agrieo7tura). Riproduzione delle piante crittogame. Le piante crittogame non hanno fiori, ma si riproducono per mezzo di spore, corpicciuoli rotondi, ora liberi, ora contenuti entro sacchettini detti sporangi, e disseminati in modo variabile sulle diverse parti del vegetale. Nelle Felci trovansi queste spore sulla pagina inferiore delle foglie; nelle Alghe e nei Funghi sono disseminate nei tessuti. — 68 - Quando le spore germogliano, si aprono in un punto della loro superficie e la sostanza che ne esce sviluppasi a formare la nuova pianta. Lo studio del come si riproducano le crittogame ha condotto a trovar modo di coltivarle artificialmente : così ora coltivansi i funghi e se ife ha un prodotto sano e abbondante. Appendici delie piante. Le appendici sono parti secondarie del vegetale, oppure organi accessori che cooperano alle funzioni vitali dello stesso. I peli, che trovansi alla superficie del fusto, delle foglie, dei fiori, dei frutti, altro non sono che prolungamenti della epidermide. I pungiglioni (come quelli della Rosa) sono appendici della corteccia, e perciò poco aderenti ai rami. Le spine sono rami accorciati, e siccome derivano direttamente dal legno del tronco, difficilmente si può distaccarle. I viticci sono filamenti erbacei, flessibili, spirali, per lo più provenienti da infiorescenze nelle quali qualche fiore non si è sviluppato; talvolta provengono anche dalle nervature mediane delle foglie. Le ghiandole sono otricelli variamente conformati, che preparano liquidi di diversissima natura (1’ umor acre dell’ortica, gli olì volatili delle piante odorose ecc.). Classificazioni botaniche. Chiamasi Tassonomia quella parte della Botanica che si occupa di riunire le piante in gruppi secondo le loro affinità, ossia di classifìcarle. - 69 — Fig. 41 Abete La prima classificazione sistematica delle piante fu data dal naturalista svedese Carlo Linneo (vissuto dal 1707 al 1778). Egli divise le piante in 24 classi, basate principalmente sulla considerazione del numero degli stami. — Ogni classe venne da lui suddivisa in ordini, a seconda del numero dei pistilli. Ma il numero degli stami e quello dei pistilli non sono sempre costanti nello stesso genere : varia perfino negli individui di una medesima specie, per cui la classificazione di Linneo non presenta caratteri rigorosamente certi. Perciò i botanici posteriori escogitarono e proposero altri sistemi di classificazione (fondati sull’ osservazione del complesso degli organi), il più lodato dei quali è quello di Lorenzo Jussieu (1748-1836). Secondo il sistema Jussieu le piante vengono divise in 3 grandi sezioni: Dicotiledoni, Monocotiledoni eà Aco- tiledoni. Le sezioni sono suddivise in classi (15), le classi in famiglie (circa 300) e le famiglie in generi: ogni genere comprende poi parecchie specie. Le specie vegetali oggi note pare oltrepassino il numero di 390,000. Nella presente operetta noi non faremo che dare un rapido sguardo alle principali famiglie della classificazione di Jussieu, rilevando soltanto le specie più utili e conosciute. - 70 — Nomenclatura binomia. — Una saggia innovazione (li Linneo fu quella di dare una norma alla nomenclatura botanica. Egli stabilì che il nome di una pianta qualunque venga espresso con due sole parole tratte dalla lingua latina : un nome (designante il genere) ed un aggiuntivo (designante la specie ). Allium sativum (aglio), Allium Cepa (cipolla), Alliitm pornnn (porro) sono i nomi di tre diverse specie del genere Allium. Questa nomenclatura binomia, che venne a sostituire utilmente la confusa nomenclatura prima in uso, è ancora in oggi da tutti seguita. Piante Dicotiledoni. Sono queste le piante più perfette e più numerose. Come già fu detto, il loro carattere distintivo è di avere l’embrione fornito di due (o più) cotiledoni. Si ripartiscono le famiglie dicotiledoni in 3 grandi gruppi: Apètale, ossia con lìore privo di corolla. Le principali famiglie di questo gruppo sono le Conifere, le Amentàcee > le Juglàndee, le Laurìnee, le Poligònee, le Euforbiàcee. le Ortìcee, le Chenopodiàcee. Monopètale, ossia con corolla gamopetala. Tali sono le Campanulkcee, le Cucurbitkcee, le Labiate, le Personale, le Boragìnee, le Solanàcee, le Primulkeee, le Eri- càcee, le Rubikeee, le Compòsite, le Oleàcee, le Gelso- mìnee ecc. Polipètale, ossia con corolla dialipètala. Tali le famiglie seguenti : Ombrellìfere, Rosacee, Leguminose, Crocì- iere, Ampelìdee, Ribesiàcee, Ranuneolkcee, Matvàeee, Papaverkcee, Cariofillee, Ninfeàeee, Violàcee, Aurantik- eee, Mirtkcee, Tiglikcee, Aeerìnee, Còrnee, Thekcee. a) Apetale. Conitele. — Le piante di questa famiglia sono alberi o arbusti, che abitano di preferenza i climi freddi. In gene- rale hanno fusto conico, diritto, molto alto. Lo loro foglie sono aghiformi e per lo più persistenti (onde la pianta riesce sempre-verde). Il frutto ha forma di cono squamoso. Le conifere costituiscono quasi per intiero le foreste degli alti monti: sono molto risate anche per ornamento di parchi e giardini. Per la natura del loro legno (leggiero, impermeabile all’ acqua) e per la lunghezza e regolarità del fusto, i Pini, gli Abeti (vedi lig. 41) e i Larici sono annoverati fra i migliori legnami da costruzione. Dalle conifere si ricavano varie resine (pece, trementina, catrame ece.). Il maestoso Cedro del Libano si eleva lino a 40 metri dì altezza: la Wellingtonia gigantea della California supera i 120 metri e raggiunge l’età di 0-4 mila anni. Il Cipresso è frequente nei cimiteri. La Tuia (bassa, a foglie embriciate) usasi nei giardini per siepi. 11 Tasso (volg. tòssico) produce bacche rosse, sospette. I frutti del Ginepro sono adoperati in medicina e in cucina : gli Olandesi se ne servono per la fabbricazione del gin (specie d’acquavite). I semi (pignoli) del Pinus pinea sono commestibili. Bellissima conifera esotica è VAraucaria, die sporge i rami a guisa delle braccia di un candelabro (vedi fig. 42). Ameiitacee. — Il carattere principale delle Àmentacee è di avere i fiori riuniti in amenti (o gattini). Sono piante quasi tutte europee o per lo più di alto fusto. Arauc.aria Fiff. 41 ' ' fd 11 Castagno e il Nocciolo danno un seme commestibile. 11 Salice comune fornisce i vimini: il Salice piangente (V. fig. 43) è pianta di ornamento funebre. Dal Rovere (Quercus robur) si ha un legno fortissimo: nei lavori posti sott’acqua, riesce quasi eterno ; il suo frutto Fig. 43. — Salice piangente. ■i * ■ v A A ' > p/m'Àr- ui-c* (ghianda ) è ottimo alimento pei maiali. Colla corteccia della Quercia comune si conciano le pelli: la corteccia di una specie di Quercia (Quercus suher) fornisce il sughero. Il Faggio dà il miglior legno da ardere: dal suo frutto ( faggina , faggiuola) estraesi un olio commestibile e combustibile. La Betulu, il Pioppo, il Carpino e l’Ontano (dialetto: ornisela) danno pure legname buono per vari usi. 1 Platani e gli Olmi forniscono folte ombrìe e per ciò sono frequenti nei viali pubblici, passeggi, piazze ecc. Le Jiiglaiulee hanno per tipo il Noce (Juglans regia). I loro liori maschi hanno forma di gattino, i femminei sono solitari : il frutto è una noce a due valve : la scorza e le foglie contengono un sugo astringente. Il noce è albero grande, con chioma ampia; cresce rapidamente: il suo legno è assai ricercato per la costruzione dei mobili. Legno, cor- teccia, foglie e mallo forniscono tinture brune. Dal seme (di grato sapore) estraesi un olio commestibile e combustibile. Le Laurinee sono piante sempreverdi di elegante portamento, penetrate di essenze aromatiche. Da noi sono arboscelli, ma nei paesi caldi sono alberi d’alto fusto. Colle foglie dell’Afioi-o incoronavansi gli uomini grandi: ora con esse si condiscono certe vivande. La corteccia del Laurus cinnamo- mum fornisce la nota droga detta cannella. Da un’altra Laurinea ricavasi la canfora (disinfettante). Il frutto della Miristica moscata è la noce moscata del commercio. Le Poligonee hanno l’usto rigonfio alle articolazioni, foglie guainanti e frutto angoloso (poligono). Sono per lo più erbacee ed annue ; vivono di preferenza nelle regioni temperate. L’Acetosa maggiore (dialetto panicucca) ha foglie a forma di saetta: contiene un succo rinfrescante e grato, leggermente acidulo: da <[uesta pianta erbacea e daU’Aeetose/Za (dial.: pan e vin), appartenente alla famiglia dello Ossalidee, estraesi l’acido ossalico, usato per levarle macchie d’inchiostro dalla lingeria. Alcune specie di Rabarbaro sono coltivate come piante alimentari; altre danno radice amarissima, medicinale. Colla farina che ottiensi dai semi del Formentone (o Fraina) si fa una polenta nerastra, grata al palato, ma di diffìcile digestione. Le Euforbiacee contengono un sugo lattiginoso, irritante, usato in medicina sotto il nome di euforbio. L’Erba cipressino o Erba rogna (velenosa) è comune nei luoghi incolti, sassosi. Dai semi del Ricino spremesi un olio purgativo : da lineili del Crotontiglio, un succo venefico, usato come vescicatorio. Il Bosso fornisce legno durissimo, ricercato dai tornitori, incisori in legno, fabbricanti d’istrumenti da fiato eco. Da incisioni praticate sulla corteccia della Sifonia elastica sgorga una linfa, che, rappresa, forma la gomma elastica. Dalla radice del Manioc ottiensi la fecola commestibile, detta tapiòca. Il Mancinello delle Antille è albero velenosissimo: credesi pernicioso il solo riposare alla sua ombra. Le Orticec sono piante erbacee o legnose, per lo più venuteci dall’Asia. E questa una famiglia poco naturale, cioè che comprende piante d’aspetto assai diverso. L’Ortica comune è un’erbaccia molesta, notissima per il bruciore che producono le sue foglie; v’ha una specie di Ortica che fornisce fibre tessili assai pregiate, il Lùppolo è frequente nelle siepi : s’iin- pìega nella fabbricazione della birra. Il Fico dei nostri paesi produce frutti squisiti: alcune specie di fichi che vivono nell’India forniscono un umore lattiginoso con cui si fabbrica il cautchouc (sostanza molle, flessibile, impermeabile all’acqua). Le foglie del Gelso alimentano il baco da seta. Il Canape dà una pregevole fibra tessile: le sue foglie ed i frutti contengono un narcotico potente, con cui gli Orientali preparano Yhaschich, bevanda inebbriante, il cui abuso è fatale alla salute. 1 semi del Pepe usansi per condire le vivande. Il frutto dell'ditterò del pane contiene una polpa sana e di piacevole sapore, somigliante al pane. Le Chenopodiacee sono piante erbacee della zona temperata. Molte vivono sulla spiaggia del mare e danno soda (come la saisola o erba soda ) : altre sono alimentari : taluna è velenosa. Lo Spinace è pregiato ortaggio. La Barbabietola ha una radice carnosa commestibile; una specie di barbabietola è largamente coltivata in Europa per estrarne zucchero. Ad Aarberg (Cantone di Berna) v’ò una gran fabbrica di zucchero di barbabietole. b) Monopetale. Le Canipaiiulacee hanno questo nome per la forma campanulata della loro corolla, che superiormente è divisa in 5 lobi e per solito vivacemente colorata in azzurro. Sono piante erbacee, frequenti nei boschi ed anche coltivate nei giardini per ornamento. Di qualche utilità è il Rapunoolo (dial. rampùngiur), la cui radice mangiasi coll’ insalata. Le Cucui'bitaeee sono erbacee, rampicanti, con corolla a 6 divisioni e frutto grosso e polposo ( peponide ). La Zucca (Cucùrbita maxima) è il tipo di questa famiglia : il suo frutto è commestibile, come anche quelli del Popone (Mellone), del Cocomero o Anguria, del Cetriuolo. La Coloquìntide (coltivata in Oriente) dà uno dei più forti purganti. Le Labiate sono facili a riconoscersi per la forma della corolla, tagliata di traverso nella parte superiore, onde offre la iìgura di due labbra. Oliasi tutte emettono soavi odori, per ciò sono coltivate nei giardini ed usate in profumeria, in medicina e nell’arte culinaria. Notissime la Salvia, la Menta, la Melissa, la Lìmoncina, il Timo, il Basilico, il Rosmarino, la Lavanda, la Maggiorana. — Specie selvatiche di poco pregio sono l'Ortica falsa (Lamium purpureum), la Salvia dei prati e l’Erba acciuga. Le Personsite (così dette dalla voce latina persóna , che vuol dir maschera ) si distinguono per la forma della loro corolla mascherata, ossia avente due labbra, che le danno l’aspetto d’una gola spalancata. La Bocca di Leone è coltivata nei giardini. La Digitale, il Tasso barbasso e la Veronica hanno applicazione in medicina. Alle Boraginee (tipo : la Boragine ) appartengono il Mìosoti (Non ti scordar di me), le Lingue di cane (frequenti nei luoghi sassosi), l'Eliotropio o Vaniglia selvatica, che noi coltiviamo nei vasi e nei giardini pel grato profumo dei suoi fiori. Le Solanacee hanno una corolla gamopetala, divisa superiormente in cinque lobi. Per lo più sono erbacee. 1 tuberi della Patata e i frutti del Pomodoro e del Peperone sono commestibili: il decotto di Dulcamara è medicinale: il Giusquiamo, la Belladonna, lo Stramonio e il Tabacco contengono principi ' velenosissimi. Le Priinulaeee sono piante erbacee, perenni, con caule sotterraneo. Molte hanno bei fiori. La Primula o Primavera, il Panporcino, la Soldanella alpina. Alle Ericacee spettano l'Erica comune, l'Erica da scope, il Corbézzolo (dai frutti insipidi, ricercati dagli uccelli), le Azalèe e le Rose delle Alpi (fig. 44). I Vaccinii o Mirtilli (dialetto negrisoeu, giustron), le cui baccole nere, acidule, astringenti, sono man- gereccie, vengono da alcuni autori annoverati in questa famiglia. Da altri se ne fa una famiglia distinta (quella delle Vaccinie). Le Rub iacee hanno calice e corolla di forma regolare (con 4 o 5 lobi). Da noi sono erbacee, ma raggiungono grandi proporzioni nei paesi caldi. La Robbia dei tintori (che dà il nome alla famiglia) è largamente coltivata nell’ Europa meridionale, per avere dalle sue radici una sostanza colorante rossa (detta garance dai francesi). Oggi però la sua importanza è di molto scemata per aver la Chimica trovato il modo di p,, r 4< _ RosA DRLLK fabbricare artificialmente il principio colorante rosso che essa contiene, detto alizarina. Il Cattò è un arboscello ’ > gissimo avviene del carbonato di calce, formando allora lo incrostazioni calcaree , i tufi calcari, le stalattiti e le stalagmiti. Paghi delle poche e brevi nozioni che abbiamo dato sulle generalità dei minerali, diremo poche cose sui più importanti di quelli che sono direttamente necessari all’uomo o per loro stessi, o per i composti a cui essi danno luogo. IVfetalloicli. Idrogeno. — E un gas incoloro ed inodoro; pesa circa 14 volto e mezzo meno dell’aria, sicché un litro di esso pesa appena gr. 0,089. Raramente trovasi libero in natura, poiché solo viene qualche volta emesso dai vulcani attivi: trovasi in voce in grandissima quantità combinato coll’ossigeno a costituire l’acqua, e con altri corpi, specialmente col carbonio, coll’ossigeno o coll’azoto, a formare tutti i prin- cipii chimici immediati dei vegetali e degli animali. L'idrogeno ò un gas combustibile, cioè che arde, dando una damma pochissimo illuminante, ma dotata di fortissimo calore. Combinato col carbonio forma il gas d’illuminazione, che traesi per distillazione dal carbon fossile. Se l’idrogeno viene a mescolarsi coll’ossigeno dell’aria atmosferica in presenza di un corpo acceso con fiamma, s'accende con fortissima detonazione, capace di arrecare gravissimi danni all’ambiente ove accade. Da ciò devesi imparare ad avere la massima prudenza cogli apparecchi a gas illuminante, a chiudere sempre, quando ce ne siamo serviti, i rubinetti di uscita del gas, a non entrare mai con un lume acceso in una stanza ove per l’odore si manifesti la presenza del gas nell’aria, poiché ne potrebbe avvenire una detonazione, causa spesso di effetti tenibili. In questo caso, si corra ad aprire le finestre, e a chiudere i rubinetti che lasciavano uscire il gas : questo, più leggero dell’aria, uscirà all’aperto, ed ogni pericolo sarà cosi scongiurato. Sonvi in natura sorgenti di idrogeno combinato col carbonio, costituente un gas che i chimici chiamano idrogeno protocarbonato, o gas delle paludi, poiché svolgesi anche dalle paludi, nello cui acque sono sostanze organiche in putrefazione. Trovasi spessissimo anche nelle miniere di carhon fossile, e i minatori lo chiamano grisou. — Se, mescolato coll’ossigeno dell’aria, viene in contatto di un corpo acceso con liamma, detona con violenza arrecando gravissimi danni. A diminuire il pericolo delle esplosioni nelle miniere, V inglese I)avy inventò una speciale lampada di sicurezza, che da lui prese il nome di lampada di Da vy, colla quale, traendo profitto dallo particolari proprietà delle reti metalliche, si impedisce al grisou di accendersi fuori della lampada stessa. fi questa molto simile alle lampade ordinarie dei minatori, ma la liamma è circondata da un cartoccio di fittissima rete metallica, la quale non permette in alcun modo alla fiamma di uscire al di fuori. Se il gas vi penetra dentro, esso s’infìainma; ma non potendo la fiamma prodottasi oltrepassare il cartoccio di rete metallica, perchè al contatto con essa si raffredda, si impedisce in tal modo la accensione del gas esterno. 11 gas delle paludi svolgesi anche dall’acqua del laghetto di Muzzano, presso Lugano; nell’inverno, (piando il lago è gelato, i fanciulli si divertono a praticare un piccolo foro nel ghiaccio, dal quale esce tosto una bolla di gas, che a contatto di Figura ó6. un zolfanello acceso s’infiamma producendo una pie- lampada di Dm- cola detonazione. Ossigeno. — È un gas sonza colore e senza odore, indispensabile alla combustione ed alla respirazione, la quale non è che una vera e propria combustione. Si trova mescolato coll’azoto nell’aria, della quale forma 21 parti sopra 100 in volume: combinato coll’idrogeno, forma l’acqua. L’ossigeno si può preparare artificialmente decomponendo alcuni composti che ne contengono in gran copia; ed otte- Anastasi e Belletti — Scienze Naturali — 98 - natolo puro si amministra agli ammalati per rendere più attiva la respirazione, ed infonder loro quella vitalità ohe va spegnendosi. Un litro di ossigeno pesa gr. 1,430. Acqua. — L’acqua, che i chimici chiamano protossido di Idrogeno, contiene sopra 100 parti in peso 11,11 di Idrogeno, e 88,89 di Ossigeno. Essa esiste in natura in tre diversi stati fisici: liquida nel mare, nei laghi, nei fiumi e nelle sorgenti ; solida nella neve, nella brina, nella grandine, nei ghiacciai; aeriforme nell’atmosfera di cui forma 1’ umidità e le nubi, e nell'interno della terra. L'acqua in natura non è mai pura, ma contiene sempre in soluzione gli elementi dell’ aria e diversi sali. L’acqua dolce, potabile delle sorgenti e dei fiumi tiene sempre disciolte traceie di sali di calce e di magnesia. Un’acqua potabile per essere buona non deve contenere più di mezzo grammo circa per litro di questi sali: sene contiene di più, dicesi cruda, non discioglie bene il sapone e non cuoce bene i legumi. Quelle acque che contengono disciolta grande quantità di sostanze minerali diconsi acque minerali, e ricevono il nome dal minerale che in esse predomina: cosi sono dette saline, se contengono sai comune; solforose, se acido solfidrico ; acidule, se acido carbonico ; ferruginose, se contengono sali di ferro-, arsenicali, se acido arsenioso. Sono I note nel Ticino le acque solforose di Stabio, e le ferruginose di Acquarossa in Val di Blenio. L'acqua solidificandosi aumenta di volume, ma diminuisce di densità, motivo per cui il ghiaccio galleggia sull’acqua. L’acqua può assumere, solida che sia, regolari forme cristalline: così i fiocchi di neve sono composti di graziose stelline formate da tanti piccolissimi aghi prismatici, aggruppati simmetricamente in modo che ne risultano forme assai variate, ma tutte a simmetria esagonale (V. fig. 57). Azoto. — L’Azoto, come l’Ossigeno e l’Idrogeno, è un corpo gasoso che forma circa i 4 / r , dell'aria, nella quale si — 99 - trova mescolato coll’ossigeno. Un litro di questo gas pesa grammi 1,257 : non è venefico, zione, e il suo ufficio nell’aria energica dell’ossigeno. Per sé stesso non è molto importante nelle sue applicazioni: ma sono invece importantissimi i suoi composti coll’ ossigeno, fra i quali accenneremo V Acido a- zotico o nitrico od acqua forte. E un liquido di color gialliccio, quando è impuro, che intacca fortemente le sostanze organiche, ingiallisce il tessuto ma non è atto alla respira- è quello di mitigare l’aziono Fig - . 57. — Cristalli di neve. corneo, è usato in moltissime arti ed industrie, per le incisioni sul rame, sull’acciaio; e, siccome intacca tutti i metalli, eccettuato l’oro, viene impiegato dall’orefice per fare il saggio dell’oro colla pietra di paragone. Coll’acido nitrico si prepara la nitroglicerina, miscuglio di glicerina e di acido nitrico, che esplode facilissimamente, anche per una semplice scossa, tramutandosi in composti gasosi che hanno un volumo diecimila volte circa maggiore della massa esplodente. Per attenuare questa facilità di esplosione, e renderla più maneggevole, la si suo! mescolare con sabbia silicea, ottenendosi così la dinamite del commercio. — Se in un miscuglio, fatto con determinate proporzioni, di acido nitrico e di acido solforico, si pone per circa 1 / 4 d’ora del cotone cardato (il cellulosio dei Chimici), poi lo si estrae, lo si lava ben bene, e lo si fa asciugare, si ottiene il cotone iuhninante o pirossilo ; è questa uno sostanza infiammabilissima che esplode con grande violenza, sicché usasi meglio per mine che per armi da fuoco, le quali scoppierebbero facilmente. — Il cotone fulminante, diseiolto in una miscela di alcool e di etere, forma un liquido siropposo, incoloro, che è il collodio, usato dal chirurgo e dal fotografo. Una soluzione di canfora nel collodio, costituisce il celluloide, con cui oggi si fanno colletti, manichini, biglietti d’augurio; e, tirato in (ìli sottilissimi, forma la seta artificiale, conciti si fanno stoffe bellissime, che però presentano il grave inconveniente di essere assai infiammabili. Zolfo. — Lo zolfo o solfo è un minerale semplice, solido, di colore giallo citrino, abbastanza diffuso in natura, specialmente nei terreni vulcanici. Si può dire però che la — 100 — patria dello zolfo è la Sicilia, e si chiamano solfare luoghi ove esso si trae dalle viscere della terra. Può presentarsi cristallizzato o amorfo. Per separare 10 zolfo dalle materie terrose con cui è mescolato, usasi, principalmente in Sicilia, 11 metodo del calcarone , adoperando lo zolfo stesso come combustibile. In una fossa a piano inclinato , circondata da un muro (fig. 58) si ammucchia lo zolfo bruto, in pezzi, in modo da lasciare liberi dei canali verticali a a a a, destinati al passaggio dell’aria. Ricoperto di terra il mucchio di minerale, introduconsi nei canali delle fascine accese, le quali ben presto accendono lo zolfo con cui vengono a contatto. Una parte quindi dello zolfo abbrucia, e il calore proveniente dalla sua combustione, determina la fusione della parte rimanente, che liquefatta scorre nella parte più bassa del piano inclinato costituente il fondo della fossa, da cui esce per un’apposita apertura A. A tale metodo, col quale si perde tutto lo zolfo che abbrucia, con danno grandissimo della vegetazione circostante, la quale muore per P anidride solforosa che si svolge, ma presentante il vantaggio di potersi usare sul luogo stesso di estrazione del minerale, evitando così ogni spesa di trasporto, si va sostituendo quello del Forno a galera. E questo (fig. 50) una particolare specie di forno A molto lungo ed alto, avento ad una estremità il focolare, dall’altra il fumaiuolo. Nel forno si colloca una doppia fila di olle di terra B B, la cui Fi?. 58. — Calcarone. — 101 - bocca sporge da una apertura praticata nella volta del forno. Ogni olla per mezzo di un tubo, attraversa del torno, comunica con un’ olla esterna C un canaletto sboc- la quale con sopra mastello di legno i) D. I vasi interni si riempiono di zolfo quale giunge dalle zollare, poi se ne chiude la bocca. Allora si accende il fuoco: lo zolfo dapprima si liquefa, poi volatilizza; ed i va pori passano dal vaso interno all’esterno, dove per la bassa temperatura si condensano in zolfo liquido che cola e si solidifica nel mastello sottoposto. (Questo metodo, come quello del calcarone, p iff. 59 — l’OR.vo A GALERA dà lo zollo greggio, il quale contiene sempre delle materie terrose, a toglier le quali devesi prò cederò alla purifi cazione o raffina mento. Per raffinare lo zolfo si opera nel modo indicato dalla figura (50. - Si in troduce in una par ticolare storta a cilindro D G una certa quantità di zolfo greggio, che è stato liquefatto nella cal- •//. V// 'A //'/•'*'//.Yt /. W- 'V/. daia a. Lo zolfo fuso, big. 60 — Raffinamento dei.lo zolfo. - 102 ben presto pel calore del sottostante focolare, volatilizza e dalla storta passa in vapori nella grande camera in muratura A: venendo a contatto con le pareti fredde di questa, vi si condensa sotto forma di polvere cristallina minutissima, la quale costituisce i fiori di zolfo. Ma le pareti, scaldandosi a poco a poco, finiscono coll’assumere una temperatura superiore a quella di fusione dello zolfo, e allora questo cola liquido dalle pareti, e va a raccogliersi sul pavimento inclinato s della camera, da cui esce per il foro o, e scola in una caldaia di ghisa, dove il calore lo conserva liquido. Allora lo si versa in stampi di legno, entro i quali si solidifica raffreddando; e si ha così lo zolfo in pani o in canna. Molteplici sono gli usi dello zolfo: esso serve nella preparazione della polvere da sparo, che risulta formata di zolfo, carbone e salnitro; nella fabbricazione degli zolfanelli; nella solforazione di alcune piante per difenderle dall’azione letale di dannose piante od animali parassiti; nella preparazione dell’acido solforico , noto volgarmente col nome di olio di vetriolo, nella vulcanizzazione della gomma elastica, ed ha pure qualche applicazione nella medicina. Fosforo. — E un minerale che non si trova mai isolato in natura, ma traesi dalle ossa degli animali, nelle quali esiste combinato colla calce. Da 100 chilogrammi di ossa si possono aver 8 o 9 chilogrammi di fosforo. Ottenuto mediante una serie di processi chimici, si presenta di colore giallo d’ambra, molle tanto che può tagliarsijcol coltello ; nell’oscurità si mostra luminoso, fenomeno questo che è detto fosforescenza, ed al quale il fosforo deve il suo nome. Siccome è assai facilmente alterabile all’ aria, è necessario conservarlo nell’acqua, nella quale è pure prudenza tagliarlo, perchè non abbia ad accendersi, poiché si accende a soli 60 0 per il semplice attrito che esso incontra sfregando contro ad un corpo. — 103 - La maggioro quantità del fosforo che si produce viene impiegata a fabbricare gli zolfanelli fosforici, (inventati nel 1832), e nella sola Europa si consumano annualmente circa 300 tonnellate di fosforo in tale fabbricazione. 11 fosforo è assai pericoloso, vuoi perchè facilmente si accende, vuoi perchè le sue emanazioni intaccano le ossa, producendo una malattia, detta necrosi, a cui vanno soggetti gli operai impiegati nelle fabbriche di fiammiferi, vuoi infine perchè è un potente veleno. Il contraveleno per il fosforo è la magnesia caustica nell’ acqua di calce. — A questo fosforo, die dal suo colore è detto fosforo giallo, facilmente infiammabile e velenoso, si tende oggi a sostituire il fosforo rosso. che assai più difficilmente s’accende, e che non è velenoso. Con esso si fabbricano i così detti fiammiferi svedesi, la cui estremità non porta fosforo ma una pasta tale che s’infiamma solo quando venga sofl'regata su di un miscuglio di fosforo rosso e di altri corpi di cui è spalmato il lato esterno della scatola. Carbonio. — E un minerale semplice esistente sotto diversi aspetti. Abbonda nei corpi organici ed inorganici. Allo stato purissimo e cristallizzato costituisce il diamante. Esso può essere perfettamente incoloro, oppure variamente colorato con leggiere tinte giallognole, azzurrognole ed anche nerastre. Il diamante disperde molto la luce, e perciò se è tagliato e levigato risplende dei più vivi colori dell’iride. Esposto per qualche tempo al sole, e trasportato poscia nella oscurità, si mostra fosforescente. — Fortemente riscaldato in contatto dell’aria, abbrucia svolgendo anidride carbonica. — Trovansi i diamanti nei terreni alluvionali, e le località più celebri e più anticamente note per la loro ricchezza in diamanti sono : l’India, l’isola di Borneo e il Brasile. Nello scorso secolo se ne trovarono anche neH’America settentrionale, nei monti Urali, e specialmente in Australia e nell’Africa Meridionale (Transwaal). Sono notissimi gli usi del diamante come gemma; ma i diamanti meno belli, che non servirebbero per quell’ uso, vengono impiegati per tagliare il vetro, per farne cuscinetti per le ruote dei cronometri, e per altri analoghi usi. Allo scopo di accrescere lo splendore dei diamanti che servono co- — 104 — Fig. r>2. Diamanti-: A ROSETTA me gemma, essi vengono lavorati, cioè si taglia alla loro superficie un determinato numero di facce, le quali, disposte convenientemente, aumentano la rifrangenza della luce. Secondo il numero di queste facce e la loro inclinazione, il diamante si dice lavorato a brillante (fig. 61) o a rosetta (fig. 62). Il valore (lei diamante è sempre assai elevato, e si calcola secondo il suo peso, valutato in carati , ritenendosi il carato, in media, pari a grammi 0.20. Comunemente si ritiene il prezzo del diamante diretta- mente proporzionale al quadrato del peso, espresso in carati, e ciò tino a diamanti aventi un peso inferiore ai 10 carati; se poi il diamante supera questo peso, il suo valore diventa al tutto arbitrario. 1 piccoli diamanti non lavorati, ma che possono essere lavorati, si pagano circa 50 franchi al carato. I lavorati di perfetta trasparenza ed iridescenza valgono tino a 200 franchi al carato. Così se si hanno tre diamanti, ]>. es. del peso rispettivo di 1, 2 e 3 carati, il prezzo supposto di fr. 200 varierà nel n odo seguente: Carati 1 ; Fr. 200 „ 2; 2* = 4 X 200 = „ 800 „ 3; 3- = 9 x 200 = „ 1800 l’aro che il più grosso diamante conosciuto sia quello del Raja di Matun. a Sonico, che secondo alcuni peserebbe 648 carati, ossia grammi 133, secondo altri soli 367 carati, pari a gramjni 73,40. Altri carboni assai meno preziosi del diamante, ma molto importanti per le loro applicazioni industriali, sono la grafite o piombaggine, di cui si fanno matite; Vantracite, il litantrace o carbon fossile, la lignite e la torba impiegati come combustibili. Il carbon fossile, oltre a servire quale combustibile nelle industrie, usasi anche, alla preparazione, mediante distillazione, del gas illuminante. iNella preparazione del gas illuminante si possono distinguere tre principali operazioni: l.° la distillazione del carbon fossile nella storta ; 2.° la condensazione della maggior parte dei vapori svoltisi; 3.° la depurazione del gas. La distillazione si compie entro storte di ghisa o di terra refrattaria, A A (fig. 63) della lunghezza di 2 a 3 m., a sezione per lo più elittica e del diametro di 50 cm. circa. (Jueste storto sono murate in numero di 5 o 7 entro ap- — 105 — { positi forni, e sul davanti portano un tubo verticale T, che penetra in un cilindro di ghisa orizzontale li, posto in alto, detto bariletto. La parte anteriore della storta si chiude con coperchio di ghisa, ed ogni fessura, dopo la carica, si 1 tura ermeticamente con creta od argilla. Ogni carica è di circa 100 Cg. di carbone, la distillazione del quale si compie in 4 o 5 ore. I vapori ed i gas svoltisi colla distillazione nelle storte, per mezzo dei tubi T passano nel bariletto K, riempito per circa metà d’acqua. In questo si condensano ^éièt Wmm&Èm l'iiT. 63 . — Gazomktro — Preparazione del ffas illuminante. in gran parte i vapori, formando un miscuglio liquido, denso, di colore nero lucente, detto catrame. - I gas ed i vapori che non si condensano nel bariletto, per mezzo di opportuna tubulatura arrivano ad una serie di tubi in ghisa D (detti refrigeranti), nei quali ha luogo una seconda condensazione di catrame e di vapore acqueo, che contiene disciolti sali ammoniacali: in vasche collocate inferiormente si raccoglie il catrame e l'acqua ammoniacale. La condensazione dei vapori viene completata in un altro apparecchio, detto di lavatura, formato per lo più da larghi cilindri o O verti- É — 106 — cali, di ghisa, ripieni di coke, nei quali è continuamente spinta dell’acqua dalla parte superiore. In questi cilindri non solo si compie la condensazione, ma ottiensi ancora, come si suol dire, la lavatura del gas, poiché attraversando i pezzetti di coke vi lascia le ultime particelle di catramo o di ammoniaca sfuggite all’ acqua. Durante la condensazione e la lavatura, una gran parto dello sostanze che riuscirebbero dannose per il gas illuminante vien eliminata meccanicamente : ma ne rimane sempre una rilevante quantità che si elimina per azione chimica, e questa operazione dicesi depurazione. Gli apparecchi di depurazione sono formati da grandi cassoni M nei quali si pone un miscuglio di solfato di ferro (vitriolo verde), di calce spenta e di segatura di legno. Il gas attraversa questo miscuglio, e, depurato, perviene, mediante apposita tubulatura, al gasometvo propriamente detto, costituito da una grande campana di lamiera di ferro, immersa in un bacino d’acqua. Dal gasometro il gas vien spinto con pressione uniforme, alle condutture e distribuito ai consumatori. Molteplici sono i prodotti della distillazione, oltre il gas illuminante: così si ha il coke, carbone poroso, grigio, che serve come combustibile, ed una parte del quale è usato per il riscaldamento stesso del forno ; il carbone di storta, compatto, assai duro, prodotto dalla condensazione nella parete superiore della storta delle particelle di carbone che si elevano durante la distillazione. Impiegasi specialmente il carbone di storta in certo pile elettriche. Dal catrame traesi con diversi processi chimici una infinita serie di sostanze, quali sono la benzina, l'anilina e i colori che se ne ottengono, l’acido fenico, la naftalina, la paraffina, la saccarina, che ha potere dolcificante fino 500 volte maggiore di quello dello zucchero, la lucilina, e perfino l’antifebrina e l’antipirina, usate dal medico come potenti febbrifughi. — 107 - Salgemma. — Minerale assai utile è il Cloruro di sodio, composto di cloro e di sodio, che comunemente diciamo sale di cucina, e che i mineralogisti chiamano salgemma. Trovasi in ragguardevoli quantità nelle viscere della terra o alla sua superficie, nelle acque del mare, ove esiste nella proporzione media del 3 0[Q in peso, nelle acque di alcuni laghi, ed in quelle di non poche sorgenti. I depositi sotterranei di salgemma più noti sono quelli di Cordova in Ispagna, di Stassfurt in Prussia, e specialmente quello di Wieliczka, in Austria presso Cracovia, da cui da secoli traesi il minerale. Anche la Svizzera ha ricchi depositi di sale a Rheinfelden, a Schweizerhall, a Kiburg e a Bex. Il salgemma presentasi ora incoloro e trasparente, ora invece grigio, rossastro, giallognolo, e qualche volta anche verde od azzurro ; ma queste diverse colorazioni le deve a sostanze eterogenee che esso contiene. Cristallizza in cubi, i quali riunendosi assumono la forma di una tramoggia. Il sale è condimento indispensabile ai cibi dell’ uomo ; lo si somministra al bestiame ruminante, a cui riesce assai utile ; preserva dalla putrefazione le sostanze animali e vegetali, ed ha una importantissima applicazione nella industria per la preparazione della soda. Calcare. — Altro minerale composto, di massima importanza, è il calcare o calcite chimicamente detto carbonato di calce, che può assumere aspetti e forme diversissime. E sparso sulla crosta terrestre in tale quantità, che viene considerato come una roccia. Quando è cristallizzato, limpido e trasparente, ha nome di Spato d'Islanda; quando ha struttura granulare cristallina, di colore bianco, dicesi calcare saccaroide, ed il più pregiato è il marmo statuario di Carrara. Chiamansi poi genericamente col nome di marmi quei calcari a struttura compatta, di colori svariatissimi, ora a tinta uniforme, ora variegati, che vengono usati nelle costru- - 108 - zioni diverse. Sono calcari la creta bianca, il tufo calcareo, le stalattiti e le stalagmiti, come pure sono calcari, sebbene molto impuri, le pietre da costruzione. Il Cantone Ticino è assai ricco di calcare, anzi potreb- besi dire che questo l'orma la maggior parte delle montagne del Sottoceneri. Le applicazioni del calcare sono moltissime : lo spato d’Islanda serve nella fabbricazione di strumenti di fisica; i marmi saccaroidi vengono impiegati, specie il bianco, nella scoltura; gli altri marmi poi servono come materiali da costruzione, o per fare oggetti diversi d’ornamento. Una però delle più importanti applicazioni del calcare si è quella della preparazione della calce. Per far ciò, lo si riscalda fortemente in apposite fornaci, per modo che perde l’acido carbonico, e si trasforma in calce, comunemente detta calce viva. Questa poi, bagnata con acqua, dà la calce spenta, la quale mescolata con sabbia silicea costituisce la calcina, usata da’ muratori nelle costruzioni murarie. I calcari usati nella preparazione della calce essendo raramente puri, ne risulta che il prodotto della loro calci- nazione presenta diverse qualità, secondo la natura e le proporzioni delle sostanze con le quali la calce è mescolata, che sono specialmente magnesia, ferro, e, in ispecie, argilla. E detta calce grassa quella che proviene da calcari quasi puri; magra quella proveniente da calcari impuri. Se i calcari contengono dal 10 al 30 °/ 0 di argilla, danno le calci idrauliche, che fanno presa sott’acqua ed acquistano molta durezza; mentre se essi contengono dal 40 al 50 °/ 0 di argilla, danno colla calcinazione, il cosidetto cemento, il quale mescolato con acqua, rapprendesi più o meno prestamente, formando una massa durissima e molto resistente all’ umidità. (fesso. — Il gesso è pure un minerale di calce, ed i chimici lo chiamano solfato di calce dall’esser esso composto di acido solforico e di calce. E minerale abbastanza — 109 - diffuso, e il Sottoceneri ne ha a Meride in quantità considerevole. Può essere cristallizzato o granulare, ed in quest’ ultimo caso ha nome di Alabastro. Riscaldato in apposite fornaci, perde completamente l’acqua che contiene, e fornisce quella sostanza bianca, che, macinata opportunamente, forma il gesso comune. Questo è avidissimo dell'acqua, e le sue particelle assorbendola, acquistano forma cristallina ed aumentano di volume solidificandosi rapidamente, e per queste sue proprietà è, usato in muratura e per modellare. Usasi anche nelle preparazioni dei colori a pastello e dello stucco, che si ottiene bagnando il gesso con una soluzione di colla, addizionata con una piccola quantità di solfato di zinco. Soda. — In commercio ora trovasi un minerale di estesissime applicazioni, il Carbonato di soda, o semplicemente soda, che viene impiegato in quantità considerevoli nella fabbricazione dei saponi, del vetro, nell’imbiancamento delle tele e in moltissime industrie. Molt’ anni fa proveniva quasi unicamente da Alicante, ove si preparava la soda colle ceneri di certe alghe marine; ma ora la si trae dal saie marino. Potassa. — Analoga alla soda è la potassa o carbonato di potassa, che ha quasi gli stessi usi della soda, serve cioè alla fabbricazione dei saponi molli, del vetro, nella lavanderia ecc. Si trae dalle ceneri dei vegetali terrestri. La potassa dà altri composti molto importanti, quali sono il nitrato di potassa o nitro, usato nella preparazione della polvere da sparo e nella salsamentario ; e il clorato di potassa, impiegato nella fabbricazione della polvere esplodente per le capsule delle armi da fuoco, dei fiammiferi a fosforo rosso, e nella preparazione dell’ossigeno per uso della medicina. Magnesia. — La magnesia, che comunemente viene impiegata come sostanza purgante, è un minerale composto di acido carbonico e di magnesia: è cioè un carbonato di magnesia. La magnesia usta, detta dal Chimico ossido di - 110 - magnesio, è quella polvere bianca e leggera che si ottiene bruciando il magnesio, metallo oggi notissimo, che arde spandendo una luce vivissima ed abbagliante. Un composto di magnesia è anche il solfato di magnesia, o sale d’Inghilterra, usato quale energico purgante. La cosi detta schiuma di mare, o semplicemente schiuma, usata a far pipe e portasigari, è un silicato di magnesia, piuttosto molle, e che può essere facilmente scolpito. L’industria però oggi fabbrica una schiuma artificiale colla magnesia e un silicato di potassa solubile, e mediante opportuni stampi modella la pasta ottenuta in mille modi svariati. Granito. — Il granito è un minerale composto, che per la grande quantità in cui si trova nella crosta solida del globo, è considerato più propriamente come una roccia. Risulta esso di quarzo, feldspato e mica: ora è grigio-biancastro, ora roseo, e viene abbondantemente usato nelle costruzioni. Il Cantone Ticino è ricco di granito, anzi si può dire che gran parte delle montagne del Sopraceneri sono costituite da granito. Ve ne sono cave rinomatissime a Crosciano, ad Osogna, a Biasca, a La- vorgo ed a Gordola. Notissimo e pregiato è il granito rosso di Baveno. Quarzo. — Il Quarzo è conosciuto volgarmente col nome di cristallo di rocca. E minerale composto, e cristallizza in prismi esagonali sormontati da una piramide esagonale, (fìg. 64). Talora si trovano cristalli di Quarzo di mole gigantesca che raggiungono il peso di vari quin- Fig. 64. — Cristalli di Quarzo — Ili — tali: talvolta invece i cristalli sono piccolissimi, ed anche microscopici. Il Quarzo può essere incoloro, o colorato variamente, sicché ne risultano moltissime varietà che hanno nomi ed applicazioni speciali. Le varietà più importanti sono : il quarzo jalino, incoloro, trasparente e spesso limpidissimo; Vametista, di un bel color violaceo; il quarzo affumicato, di colore grigio-fumo, e qualche volta anche nerastro; la pietra focaia, grigia e pellucida; la cafcedonia , bianco-azzurrognola; Vagata, di colori vari, formata per lo più da strati concentrici variamente colorati; la corniola , specie di agata, semiti asparente, rosseggiante. Il quarzo è assai diffuso in natura, poiché, oltre a trovarsi solo, forma, con altri minerali, enormi ammassi di roccie, quali sono il granito, il gneiss, il micaschisto, il porfido e le arenarie. Ha molte applicazioni: le varietà incolore e trasparenti, usansi a far lenti, quelle vagamente colorate s’impiegano come gemme; le altre, come le agate, le ealcedonie, le corniole si impiegano come pietre dure per intarsi, mosaici e lavori di incrostazione. Vi fu un tempo in cui la pietra focaia usavasi nelle armi da fuoco. Al presente poi il quarzo ha ricevuto una applicazione della massima importanza nella fabbricazione del vetro. 11 gruppo del Gottardo è assai ricco di quarzo. I metalli combinati con altri corpi danno pure un numero grandissimo di minerali, che, se non sono talora importanti per sé stessi, lo diventano perchè servono spesso albestrazione del metallo che contengono. Così la pirite di ferro, è un minerale di un bel colore giallo lucente, formato di zolfo e ferro, durissima, cristallizzata frequentemente in cubi. Si usa specialmente nella preparazione dell’acido solforico. La malachite, o carbonato di rame, composta cioè di rame e di acido carbonico, ha un bel colore verde, e trovasi sopratutto in Siberia, d’onde se ne traggono pezzi bellissimi, che vengono lavorati o come pietre da gioielleria, o come marmi finissimi. Hanno pure qualche importanza il granato usato come pietra da gioielliere, la steatite, minerale molle ed untuoso, nota sotto il nome di saponaccia, che serve a scrivere sulle — 112 — lavagne, e, ridotta in polvere, a spargerne internamente le scarpe ed i guanti quando si mettono per la prima volta; il mica, che è spesso in lamine trasparenti e vetrose, onde si sostituisce ai vetri sulle navi da guerra, e se ne armano i fornelli delle stufe. Bellissimo minerale libroso è Vaniiunto, che può essere filato per farne tessuti incombustibili. Usato dagli antichi Romani per farne lenzuola in cui raccogliere la cenere dei cadaveri che venivano abbruciati, oggi serve a farne abiti per pompieri, sipari e scene da teatro. Gemme. — Meritano pure di essere ricordate fra i minerali le così dette gemme o pietre preziose, la più importante delle quali è il diamante, di cui già si disse altrove. Il corindone, che è un minerale di alluminio, costituisce le altre principali gemme, ed assume nomi diversi dai varii colori che presenta. Così quando è di un bel rosso dicesi rubino, se giallo è dotto topazio, se azzurro zaffiro, se violetto ametista orientale, se verde smeraldo. Pregiata gemma è anche il giacinto, minerale di zirconio, di un bel colore rosso di fuoco, tendente all’ aranciato. Argille. — Non rimarchevoli per valore, ma della massima importanza per le loro molteplici ed utili applicazioni sono le argille, le quali si spappolano nell’ acqua, formando una pasta molle elio si può modellare a piacimento, e, disseccata al calore, conserva la forma ricevuta. A seconda della loro maggiore o minore purezza prendono vari nomi, e servono ad usi diversi. — Così il caolino è bianchissimo, e serve a fare porcellane : ve n’ ha una varietà nel Vicentino, nota appunto col nome di terra di Vicenza, ed un’altra varietà lungo il corso inferiore del Reno, usata a far pipe, e perciò detta terra da pipe. — h'argilla plastica, biancastra o giallognola o rossiccia, usata a far maioliche, terraglie e stoviglie; Vargilla figulina, impiegata a far oggetti diversi, detti terre cotte; Vargilla calcare, con cui 113 si fanno tegole, mattoni e laterizi in genere; e lilialmente le argille ferruginose, distinte, col nome di ocre, in rosse, gialle, brune ecc., servono come sostanze coloranti comuni. Minerali combustibili. — Fra ì minerali, alcuni sono combustibili, come le resine, i bitumi ed i carboni fossili. Fra le resine primeggia l’ambra, resina proveniente da una specie di pino, oggi scomparso dalla faccia della terra. Ve n’ ha in diversi luoghi, ma specialmente sulle coste del mar Baltico e della Sicilia, ove la gettano le onde che la distac-' cano dagli strati sottomarini di lignite fra cui l’ambra si trova. Se ne fanno vernici lucentissime, beccucci da pipe e da portasigari, oggetti d’ornamento, e viene altresì usata come sostanza odorifera in Oriente, ove la si abbrucia negli appartamenti e nei templi. Fra i bitumi il più importante è senza dubbio il petrolio, che, convenientemente purificato, viene usato quale combustibile specialmente nella illuminazione. Abbonda il petrolio in Asia, ma, più che altrove, nell’America del Nord, negli Stati Uniti, e precisamente nella Pensilvania. lfasfalto è un bitume solido che trovasi segnatamente nel lago Asfaltide, nell’ antica Palestina, oggi Siria. Serve, mescolato con sabbia, a far pavimenti in luoghi umidi ; da solo, a calafatare navi e ad impeciare oggetti marinareschi. Pare che gli Egiziani antichi lo usassero, insieme ad altre sostanze, ad imbalsamare i cadaveri. Fra i carboni fossili troviamo: La grafite o piombaggine, di color grigio-piombo, molle, untuosa al tatto, che tinge in grigio-nerastro la carta, e per questo è usata specialmente a far matite. Per essere la grafite corpo refrattario, impiegasi anche a far crogiuoli, in cui si fondono metalli. Se ne trova specialmente in Inghilterra ed in Baviera. L’ antracite, specie di carbon fossile, nera brillante, brucia senza fiamma, svolgendo molto calore, per cui serve come combustibile. Anastasi e Belletti. — Scienze Naturali. 8 114 I litantrace, o carbon tossile, nero, fragile, che abbrucia con lunga fiamma fuligginosa, spandendo un denso mwm ms§m ^g^v'iSi *ìés/IJ sa® A**® nm fumo di odore fortemente bituminoso, usasi come combustibile nelle industrie, e, distillato, dà il gas illuminante ed una infinita schiera di altre importantissime sostanze, di cui si disse parlando del carbonio. Abbonda specialmente in Inghilterra e nell’America del Nord. - 115 — La lignite consiste in tronchi o rami di alberi naturalmente carbonizzati per modo che d’ordinario conservano ancora la forma e la struttura legnosa. E usata come combustibile. Ve ne sono depositi in Francia, in Germania, in Italia ed altrove. La torba è un altro combustibile fossile, ma di recente formazione, composto di avanzi di piante acquatiche, carbonizzati in vario grado in seno alle acque. Torbiere rinomatissime trovansi in Olanda, in Iscozia, in Danimarca, in Germania; non ne è priva la Svizzera, e lo stesso Cantone Ticino ne ha una di certa importanza a Sessa. Ha la torba parecchie utili applicazioni, e serve anche come combustibile, quantunque dotata di non grande potere calorifico, nelle industrie. Metalli. Fervo. — Si dice spesso che il re dei metalli è l’oro, e ciò per il suo pregio; ma per le molteplici, svariate ed utilissime applicazioni, il vero re dei metalli è il ferro, poiché senza di esso non avremmo oggi nè gli istrumenti, nè le macchine meravigliose che sono il braccio più potente del- l’industria umana. Conosciuto dai tempi antichissimi, il ferro non si trova mai puro in natura, ma sempre combinato con altri corpi; ed in questo stato esiste non solo nel regno inorganico, ma altresì nei vegetali e negli animali. Non tutti i minerali di ferro si prestano però all’estrazione del metallo, e quelli che a ciò meglio si usano vengono fusi in apposite fornaci che diconsi a Iti forni (fig. 66), entro cui sono disposti a strati, alternati con carbone fossile. Il metallo così ottenuto per fusione è la ghisa, che contiene dal 3 al 6 ° /o di carbonio; questa fusa all’aria perde il carbonio, e forma così il ferro puro, che comunemente dicesi dolce. Però, se la decarburizzazione si fa incompleta, per modo che al ferro - 116 - rimanga da 0,8 ad 1,8 °/ 0 di carbonio, si ottiene Vacciaio. Il ferro ottenuto con questa serie di operazioni, è metallo di color grigio, suscettibile di bel pulimento, che fonde a 1500°, malleabile, duttilissimo, buon conduttore del calorico e della elettricità. Il suo peso specifico è circa 7,7. È magnetico, e può egli stesso magnetizzarsi temporaneamente, permanentemente se è acciaio. Esposto all’ aria facilmente si ossida, cioè si copre di una sostanza gialla caratteristica, che chiamiamo ruggine, e che intacca profondamente il metallo, sicché, per ovviare a questo inconveniente, conviene ricoprirlo con opportune vernici. — Prima di diventare liquido per il calore, il ferro si fa pastoso, e di questa importantissima proprietà si approfitta per modellarlo col martello e per saldarlo sopra sè stesso, o, come dicono i fabbri ferrai, per bollirlo. Ridotto in lamine sottili mediante il laminatoio, e coperto di uno straterello di stagno, forma la latta-, se le lamine sono un po’ più grosse, si ha il ferro bianco, con cui si fanno utensili diversi; se invece sono coperte di uno strato leggerissimo di zinco, si ha il ferro zincato o galvanizzato. Si impiega specialmente il filo di ferro galvanizzato nell’agricoltura e in qualunque altro lavoro in cui debba il ferro essere esposto all’aria, poiché lo zinco, sebbene esso pure si ossidi, preserva però il ferro dalla ruggine. Se si arroventa l’acciaio, poi rapidamente lo si raffredda tuffandolo nell’acqua, nell’olio o nel mercurio, acquista grandissima durezza, ma nello stesso tempo diventa assai fragile : tale operazione è la tèmpera, e l’acciaio che l’ha subita dicesi acciaio temperato. La ghisa serve a costruire oggetti destinati a sopportare forti pressioni, ma non essendo elastica, non può essere impiegata per farne travi per case: se ne fanno quindi colonne, grossi tubi per condurre acqua e gas, e lavori di getto. •— L’acciaio usasi specialmente a fame lame di armi diverse, coltelli, rasoi, assi per ruote, per volani alle macchine, ed ha tali e tante applicazioni, quali ne ha il ferro, che sarebbe impossibile enumerarle tutte. \M'é\ Jillliiiéyjiiu -Mmm gÉlSSa5** Si y'mrn Wmà •s* =. .«*. Paris©* llpfÉ!®8l iÉtlIlt l rr v- ■ ; ■.zàÉm^mrn. '*iKfciU(uì> W, :XV ± tiS&’&i&i'l msm Fig. 66. — Alto Forno. a. Bocca del forno. — b , <\ agli 80 franchi al chilocramma. — 123 - Oro. — L’oro era noto anche agli antichi, che ne pregiavano il suo bel color giallo caratteristico, lo splendore, la malleabilità e la duttilità. Oggi si ottengono delle laminette d’oro che hanno lo spessore di 1'700000 di mm., le quali, guardate per trasparenza, lasciano passare la luce verde, e dei fili che possono avere 1/1000 di mm. di diametro. È un metallo molto pesante, poiché il suo peso specifico è 19,32. Fonde a circa 1100° in un liquido verdastro, che non si presta a fare lavori di getto. Non è intaccato da nessun acido, salvo che dall’ acqua regia, che è una miscela di acido azotico e di acido cloridrico. L’oro trovasi quasi esclusivamente allo stato nativo, spesso in alcune roccie e in sabbie che provengono dalla disgregazione delle roccie stesse. E mescolato sovente ad altri metalli, massime all’argento. Presentasi talora in pagliuzze, in laminette, e in pepiti di vario peso: abbonda in tutti i luoghi in California, ma ve n’ha anche negli Urali, in Australia, e da pochi anni si trovarono ricchi giacimenti auriferi nell’Alaska. Si conoscono grossissime pepiti di oro: quella del museo di Pie- troborgo, trovata negli Urali, del peso di 35 kg., e quella trovata nel 1858 in Australia, che pesa 85 kg. Siccome l’oro è ancora più molle dell’argento, non si adopera mai puro per farne oggetti che devono vincere gli attriti dell’uso, ma lo si allega col rame nella proporzione di 900 000 per le monete, e in quantità diverse per gli oggetti d’ornamento e per il vasellame. Le leghe più usate per la gioielleria sono le seguenti: 750 parti di oro e 250 di rame (oro a 18 carati), 667 di oro e 333 di rame (oro a 16 carati), 500 di oro e 500 di rame (oro a 12 carati). L’oro costa circa 3440 fr. al kg., se è puro; ma allegato col rame, come nelle monete, al titolo di 900/1000, costa solo fr. 3100. Gli usi dell’oro sono notissimi : oltre alle monete e alla gioielleria, serve alla doratura, che può essere praticata o facendo aderire delle laminette d’oro sugli oggetti di legno o di altra sostanza che non possono essero trattati diversamente, o applicandolo, ridotto in polvere finissima, con un pennello su vetri o porcellane. — V’ha poi anche la — 124 - doratura a fuoco, ora quasi del tutto abbandonata perchè nociva agli operai per i vapori di mercurio che ne esalano, ed alla quale oggi si è sostituita, come si disse, la doratura galvanica. In medicina poi si può dire che ben poche sostanze hanno, corno l’oro, eccitate le ricerche degli antichi medici, e sono state loro attribuite tante virtù. Nel secolo Vili Gerber, alchimista arabo della Me- sopotamia. adoperava la tintura (?) d’oro per allontanare la vecchiezza, e nel secolo NI un altro illustre tilosofo e medico arabo di Bucara, Avicenna, attribuì all’oro il potere di dissipare la noia e la tristezza, virtù questa che all’oro, sott’ altro punto di vista, conservasi ancora oggigiorno. Platino. — Piata in ispagnuolo significa argento e platino vorrebbe dire piccolo argento. Non fu introdotto in Europa che nel 1 740 : come l’oro, non trovasi che allo £tato puro, sebbene mescolato con altri metalli, in pagliuzze e in massi di diverso volume nelle sabbie alluvionali di poche regioni, quali la Colombia, la California, i Monti Urali, la Siberia e l’Australia. Le pepiti di platino sono però sempre più piccole di quelle d’oro, poiché le maggiori hanno raggiunto appena il peso di 9 kg. circa. È il metallo più pesante che si conosca, essendo il suo peso specifico 21,5. È malleabile e duttilissimo, sicché Wollaston ottenne dei fili di platino aventi il diametro di 1/1200 di mm., mille metri dei quali pesavano solo 5 centigrammi. Gode il platino della proprietà del ferro di rammollirsi e diventar pastoso alla temperatura di circa 1500°, ed in questo stato può bollirsi, cioè saldarsi sopra sé stesso. Fonde a circa 1700°, e per tale sua elevata temperatura di fusione usasi per farne crogiuoli in cui si fondono altri metalli. Non è intaccato da nessun acido, salvo dall’acqua regia. Il Platino, che è un bel metallo di color bianco simile all’argento, non ha molte applicazioni : se ne fanno punte di parafulmini, crogiuoli e capsule per il Chimico, fili di diverso diametro per la mineralogia e per l’elettrotecnica. In Russia se ne fecero monete aventi corso legale, ma i gioiellieri non l’impiegano, preferendo essi l’argento che costa assai meno ed ha lo stesso aspetto. Il prezzo del platino è molto elevato, ed oggi si aggira intorno ai 3500 fr. al lcg. GEOLOGIA Gli scienziati che si occupano della Storia della Terra, e che si chiamano geologi, hanno studiato lino alla maggiore possibile profondità il suolo che noi calpestiamo, ed hanno potuto accertarsi che esso è formato da differenti sgfggts^i: £'r • HéSÉ£iì@| F. Terreni quaternari o diluviali (uomo) Terreni E. Terreni terziari (grandi mammiferi.] Dinoterio, Megaterio) di D. Terreni secondari (Ittiosauro, Pte-l 01 'i£i ne C. Terreni primari (earbon fossile) 'T - en J B. Terreni cristallizzati origine ignea A. Granito Fig. 67 — Successione dei principali TERRENI. strati, di minerali diversi, posti gli uni sugli altri molto regolarmente, a cui hanno dato il nome di terreni. Incominciando dallo strato inferiore hanno trovato il granito, poi uno strato di terreno cristallizzato, formato da quarzo, silice ed altri minerali : poi uno strato di terreno ove spesso trovasi il earbon fossile ; indi un altro strato che contiene residui d’animali di forme strane, fra cui rettili colle ali; al di sopra di esso un altro strato contenente avanzi di immensi mammiferi, fra cui il Dinoterio gigante, ora scomparsi dalla terra; e finalmente un ultimo strato, costituito — 126 - (la argilla, sabbia, ghiaia e terra vegetale, su cui l’uomo semina e pianta i vegetali per suo uso e vantaggio. Questi diversi strati o terreni sono caratterizzati dai fossili, cioè da avanzi di esseri organizzati, vegetali od animali, che, sepolti nel terreno in formazione, vi si conservarono totalmente o parzialmente, o lasciarono impronte od altre traccie non dubbie Si Fig. 68. — Impronte di Labyrinthodon PAC1I1GXA1US K DI UCCELLO À TRE DITA. all’epoca della loro formazione animali nè vegetali. della loro presenza. Gli strati costituenti il nostro suolo, o, come dicesi, la crosta solida della Terra, si dividono in terreni di orìgine ignea, e terreni di origine acquea. Quelli di origine ignea, che sono i primi due, cioè il granito e il terreno cristallizzato, sono stati formati da materie in fusione, ad altissima temperatura, venute dalle profondità della terra. Essi comprendono, oltre al granito, i porfidi, i basalti e le lave, e non presentano fossili, il che vuol dire che non c’erano sulla terra nè I terreni di origine acquea sono stati deposti dalle acque del mare e dalle acque dolci. Sono quattro strati, che, dal basso all’alto, sono così distinti : 1. Il terreno primario, posto sopra il terreno cristallizzato. In quell’epoca grandi foreste che coprivano la superficie terrestre, sono state sepolte sotto le alluvioni, e si sono lentamente trasformate in carbone fossile, dando il no- m Fig. 69 — Paesaggio ideale dell'epoca carbonifera. - 128 — me di terreno carbonifero a quello strato ove si rinvengono. 2. Il terreno secondario, posto sopra il terreno primario. Il mare in quell’epoca ricopriva ancora gran parte dell’Europa, compreso il nostro Cantone, e forse le alte cime delle Alpi ne formavano arcipelaghi di isole rocciose. Rettili fitti osa uro), molluschi e pesci a noi sconosciuti, che vivevano in quelle acque, hanno lasciato le ossa ne’ suoi de- Fig. 70 — Ittiosauro. positi. Pare che pochissimi fossero allora gli animali terrestri: una specie di pipistrello, il pterodattilo, ed un uccello con denti ed una lunga coda a mo’ di lucertola. Fig. 71 — Pterodattilo. 3. Il terreno terziario, sopra il terreno secondario. Durante quell’epoca v’erano in Europa grandi laghi d’acqua dolce, sulle rive dei quali vivevano molti mammiferi, quali - 120 il Dinoterio (fig. 72), il Mentite rio (fig. 74), differentissimi da quelli che vivono oggi. Il sommo naturalista Cuvier, studiandone le ossa, ha potuto ricostruirne gli scheletri e Pili DlNOTERIUM G1GANTEUM descrivere questi animali, che da sì lungo tempo sono scomparsi dalla faccia della Terra. 4. Terreno quaternario. È il terreno che sta sopra a tutti gli altri, di più recente formazione, e che dicesi anche terreno di- iuviale : in esso cominciano a trovarsi avanzi umani e tracce dell’umana industria. L’uomo, allora affatto selvaggio, viveva nelle caverne da cui doveva cacciare elefanti (mammut), rinoceronti ed orsi giganteschi (orso delle caverne). Le sue armi erano di selce rozzamente lavorata : solo più tardi egli immaginò di lavorare le ossa degli animali uccisi, della cui carne si era cibato, per farne diversi utensili. Riassumendo quanto si è esposto intorno ai terreni, possiamo dire che, procedendo dall’alto al basso, abbiamo il Anastasi e Belletti — Scienze Maturali. 9 Fijr. 73 — Mascella inferiore dì Dixoterio. — 180 — terreno quaternario, il terziario, il secondario, il primario, tutti suddivisi in diversi strati, poi i terreni cristallizzati e da ultimo il granito. E qui viene spontanea una domanda: * Sotto al granito v’ha qualche altra cosa, o si estende esso fino al centro della terra? Ciò che sta sotto il granito nessuno l’ha mai visto sul luogo, ma i vulcani hanno l’apparenza di essere ben profondi, e le lave che essi vomitano, senza dubbio vengono da maggiore profondità che non il granito. Ma siccome la lava è liquida, è necessario ammettere che a tale profondità vi sia un immenso calore. Infatti se si pratica un foro assai profondo verticalmente nel terreno, si giunge ad uno strato, che varia di profondità nei diversi paesi (a Parigi 27 m.), nel quale la temperatura si mantiene costante; ma dopo si osserva che la temperatura aumenta di 1 grado per ogni 30 metri circa di profondità; sicché a 100 chilometri di profondità la temperatura sarebbe di circa 3000 gradi, temperatura questa superiore d’assai à quanto occorra per fondere la lava. Tale altissima temperatura è detta calore centrale terrestre. Se ne conchiude quindi che la terra nel suo interno è completamento in fusione, e che lo strato solido sul quale camminiamo ha uno spessore di circa 50 chilometri, corrispondenti a lql27 circa del raggio medio terrestre. Il Cantone Ticino presenta pressoché tutta la successione dei terreni che abbiamo descritto; così nella parte Fig. 74 — Mp.gaterio. asm - 131 — settentrionale di esso abbiamo i terreni di origine ignea, come il granito ed i terreni cristallizzati, costituiti da gneis, schisti e micaschisti, che formano molte montagne del Sopraceneri. I graniti vengono estratti in grande quantità dalle cave di Cresciano, di Osogna, di Biasca e di Lavorgo. Il gneis si trova nella Leventina, nella Vallemaggia, ed anche nel Sottoceneri, come a Sessa, ad Astano ed in quasi tutto il basso Malcantone. "Vi. mm mM Fig - . 75. — Cono vulcanico. Nei terreni di origine acquea il nostro Cantone presenta una importantissima roccia, il Calcare, il quale, più o meno puro, costituisce quasi totalmente il Monte Generoso, il San Giorgio, il San Salvatore, il Caprino, il Brè e il Boglia. Il più puro, opportunamente cotto in apposite fornaci, dà la calce ; se è misto a magnesia, forma la dolomia, che troviamo pure nel S. Salvatore, sulle Canne (l’Organo ed in altri luoghi. A Manno v’ha un deposito che è il tipo perfetto del terreno carbonifero : esso è formato di frammenti di quarzo, di gneis e di micaschisto, e contiene numerosi avanzi, talora di considerevoli dimensioni, d’una flora che rammenta quella del terreno carbonifero, quali sono tronchi di sigilla rie, di calamiti , di lepidodendri e di stigmarie. Non mancano nel Ticino animali fossili, poiché si trovano numerose ammoniti (genere di molluschi conchiferi univalvi) nei marmi di Arzo, di Besazio, nel calcare grigio o pietra di Saltrio, della vetta del Generoso, ed in altri luoghi. Negli stessi terreni di origine acquea, e più propriamente nel quaternai'io, troviamo nel Ticino meridionale importanti depositi di argilla, con cui si fanno tegole, mattoni e laterizi diversi. Ve n’ha a Balerna, a Riva S. Vitale, a Noranco ed a Canobbio presso Lugano. Le montagne del Cantone Ticino non sono prive di metalli diversi, sebbene vi si trovino oggi in minima quantità. Sul Gottardo si raccolgono le così dette rose di ferro; in Valle Morobbia si vedono ancora le rovine delle gallerie scavate nella montagna per estrarne il minerale di ferro, e gli avanzi degli alti forni costruiti per fonderlo. Ad Astano ed a Monteggio trovansi tracce d’oro e d’argento, con ve- nuzze di piombo e di antimonio: minerali di rame e d’argento v’hanno nel Gambarogno, e delle piccole vene d’oro devono trovarsi sulla sommità delle Alpi, poiché ne abbiamo prove non dubbie nelle sabbie del Ticino, da cui si estrae dell’oro. Ma la quantità minima’ in cui si trovano questi minerali metalliferi, che non compenserebbe la spesa dell’estrazione, obbliga il nostro Cantone a chiedere all’estero i metalli di cui ha bisogno. FISICA CAPITOLO I. I tre stati fisici dei corpi. Tutti i corpi esistenti in natura possono presentarsi sotto tre diversi stati di aggregazione molecolare, o, come più volgarmente si dice, sotto tre diversi stati fìsici : solidi, liquidi, gasosi od aeriformi. Il corpo solido è sempre più o meno duro, ha una forma sua propria cui tende a mantenere, e le sue parti non possono essere distaccate se non mediante uno sforzo più o meno grande. Ne sono esempi le pietre, i metalli, i legni. Il corpo liquido invece non ha una forma sua propria, ma prende quella del vaso in cui è contenuto, poiché le sue particelle, a separar le quali occorre piccolissimo sforzo, scorrono facilmente le une sulle altre. L’acqua, il vino, il latte, Polio, il petrolio, il mercurio ce ne offrono esempi bellissimi. Il corpo allo stato gasoso, come il corpo liquido, non ha forma propria, assumendo quella del vaso in cui si contiene, ancora per effetto della grande scorrevolezza delle particelle, o meglio delle molecole, da cui è costituito; anzi questa scorrevolezza è tanta che le molecole del corpo gasoso tendono sempre ad allontanarsi le une dalle altre, cioè ad espandersi, per effetto di una proprietà che i fisici chiamano appunto espansibilità. Il corpo gasoso che meglio si presta quale esempio è l’aria, nella quale noi viviamo, e senza della quale anzi la nostra vita sarebbe impossibile. Quasi tutti i corpi però possono prendere successivamente i tre stati, cioè possono da solidi diventar liquidi, e da liquidi gasosi, e reciprocamente da gasosi diventar liquidi, e da liquidi passare allo stato solido. Se ne può fare un bellissimo esperimento prendendo del ghiaccio, che è acqua allo stato solido, e mettendolo in una pentola al fuoco: si vedrà ben presto che il ghiaccio si liquefa, cioè diventa acqua allo stato liquido ; e se si continua il riscaldamento l’acqua passa allo stato gasoso sollevandosi sotto forma di vapore nell’aria. E quindi evidente che i tre stati tisici dei corpi dipendono unicamente dal calore, sicché può dirsi che riscaldando opportunamente un corpo solido lo si fa diventar liquido, e continuando il riscaldamento giungerà un punto in cui passerà allo stato gasoso. Inversamente raffreddando un corpo gasoso, lo faremo diventar liquido, e continuando il raffreddamento lo avremo allo stato solido. Oggi si potrebbe asserire che pressoché tutti i corpi si sono ottenuti allo stato liquido ed allo stato gasoso, e viceversa tutti i corpi gasosi sono stati liquefatti ed anche solidificati con opportuni congegni ed accorgimenti. Il passaggio di un corpo dallo stato liquido a quello di gas può avvenire in due modi: colla evaporazione o colla ebollizione. La evaporazione avviene lentamente, a qualunque temperatura, e ci spiega il perchè l’acqua posta in un piatto, dopo un certo tempo non la si trovi più, fatto questo su cui è basata la estrazione del sale dall’acqua del mare nelle così dette saline. Se noi invece mettiamo sul fuoco una pentola contenente acqua, sentiamo che a poco a poco si riscalda, e vediamo da essa sprigionarsi vapori sempre più copiosi, finché si mette a bollire, cioè manda grosse bolle di vapori non solo dalla superficie, ma da tutta la sua intera massa : è questa la ebollizione, che potrebbe dirsi una evaporazione violenta, anziché invisibile e lentissima. Sulla possibilità di far passare un corpo gasoso allo stato liquido per mezzo di raffreddamento, è basata la di- stillazione dell’acqua e degli altri liquidi. Per distillare l’acqua, allo scopo di averla purissima, si impiega l'alambicco, (fig. 76), cioè si fa bollire l’acqua stessa in una par- ticolare caldaia C, detta cucurbita, chiusa da un opportuno coperchio, il capitello, per modo che il vapore che se ne svolge è obbligato a passare, attraversando il tubo T, per un lungo tubo ravvolto a spirale S, detto serpentino, e Fig. 76 — Alambicco. mantenuto freddo per mezzo d’acqua che continuamente si cambia nel serbatoio u. Il vapore cosi raffreddato si liquefa, e scende a goccie, cioè stilla dall’estremità del serpentino B in un recipiente esterno destinato a raccoglierlo. I solidi possono diminuire il volume, sebbene di poco, per effetto di esterna pressione, sono cioè compressibili ; ancor meno lo sono i liquidi, ma sono invece moltissimo compressibili i corpi gasosi. Un semplice esperimento ce lo può dimostrare : si prenda un bicchiere, e, capovolto, lo si immerga, avendo cura di tenerlo ben diritto, nell’acqua contenuta in un recipiente trasparente. Al momento in cui esso col suo orlo tocca l’acqua, è pieno d’aria, ma se lo si immerge sino a farlo toccare il fondo del vaso, si vede che l’aria occupa un posto minore, il che è quanto dire che essa ha diminuito il suo volume, — 13<> — in seguito alla pressione esercitata dall’acqua, cioè si è compressa. Al sollevare del bicchiere l’aria si dilata, cioè si espande, essendo cessata la pressione da parte dell’acqua. CAPITOLO II. Ottica. Ih ottica studia la luce. Diffìcile assai è il dare una esatta definizione della luce: tuttavia oggi suol dirsi che è un agente fisico, cioè una forma speciale di energia che produce in noi la sensazione della visione. Varie sono le sorgenti della luce, tra le quali primeggia il sole che illumina la terra. La luce impiega un certo tempo a giungere dal sole alla terra, tempo che è di 8’ e 13”, quantunque abbia una velocità di 310,000 Chilom. al minuto secondo. Altri corpi però emettono luce, e diconsi per ciò luminosi, come le stelle, i corpi fosforescenti e quelli in combustione, col mezzo dei quali otteniamo la luce artificiale in sostituzione della solare. Alcuni corpi lasciano passare attraverso di loro la luce, sicché noi vediamo che essa si trasmette sempre in linea retta : tali corpi diconsi trasparenti ; altri invece non la lasciano passare, e diconsi opachi. Lo spazio privo di luce, perchè un corpo opaco ne impedisce il passaggio, dicesi ombra. Un corpo opaco, se è forbito e liscio, rimanda, cioè riflette i raggi luminosi che cadono su di esso ; tale corpo dicesi specchio; e in questa riflessione esiste sempre un certo rapporto regolare e costante fra la direzione del raggio luminoso che cade sullo specchio, o raggio incidente , e quella del raggio che è rimandato, o raggio riflesso. Infatti se noi ci mettiamo in una stanza, e facciamo cader la luce solare su di un piccolo specchio al quale diamo una certa inclinazione, vediamo apparire sul muro una macchia luminosissima, la quale si muove ad ogni movimento dello specchio. Ouella macchia luminosa altro non è che la luce del sole riflessa dallo specchio; e siccome lo spostamento dello specchio produce uno spostamento anche nella posi- zione della macchia luminosa osservata, possiamo concludere che realmente esiste un rapporto regolare fra la direziono del raggio incidente e quella del raggio riflesso, rapporto che può misurarsi esattamente con opportuni istrumenti. Vi ha di più : la riflessione della luce ci spiega anche la formazione della immagine degli oggetti luminosi, ottenuta per mezzo degli specchi. Così, ponendo un oggetto qualunque illuminato davanti ad uno specchio piano, ne vediamo la immagine al di là dello specchio. Se noi immergiamo obliquamente un bastone nell’acqua, sembraci che esso sia spezzato in corrispondenza della superficie dell’acqua stessa. Questo latto, che comunemente osserviamo quando si immergono i remi di una barca nell’acqua, dicesi rifrazione, ed ha luogo tutte le volte che un raggio luminoso passa da un corpo trasparente in un altro pure trasparente, ma di diversa densità, in direziono obliqua. Un facile esperimento ci può dimostrare la rifrazione della luce. Si prenda un catino, si ponga nel fondo di esso una moneta, e l’osservatore dispongasi a tale distanza dal vaso, da vedere appena appena l’orlo della moneta a lui opposto. Si versi quindi dell’acqua nel vaso stesso, e si vedrà la moneta intieramente, quasi che il fondo del vaso si fosse sollevato. Ciò avviene anche quando la luce attraversa obliquamente un vetro, ed entra nell'aria. Trova spiegazione nella rifrazione della luce anche il fenomeno conosciuto col nome di miraggio. E desso una illusione ottica che fa vedere al di sotto del suolo o nell’atmosfera l’immagine rovesciata degli oggetti lontani. — Questo fenomeno, che si osserva di fre- Figf. 77. — Rifrazione della luce. - 138 quente nei paesi caldi, era noto fino dai tempi antichissimi, ma il primo a darne la spiegazione l'u Monge, matematico e fisico francese, che fece parte della spedizione d’Egitto sotto Napoleone I. Fi#. 78. — Miraggio. Quando un vetro attraverso al quale passa la luce non è piano dai due lati, le deviazioni subite dai raggi luminosi sono molto complicate. Un vetro per lo più in forma di disco, avente almeno una delle sue superficie curva, prende il nome di lente. Le lenti che sono di divezza specie, servono in generale per ingrandire gli oggetti; ma per far sì che una lente ingrandisca un oggetto con essa guardato, conviene collocarsi ad una certa distanza dalFoggetto; e questa distanza è tanto più piccola, quanto più la lente ingrandisce. Se si uniscono parecchie lenti secondo determinate regole, si ottengono ingrandimenti maggiori, e con tali lenti così riunite si fanno i microscopi. Sono essi stru menti coi quali si possono vedere oggetti piccolissimi, anche invisibili ad occhio nudo, ingranditi 500, 800 ed Fig\ 79. — Lenti. — 139 — anche 1000 e più volte. Si può, disponendo ancora in altro modo le lenti, fare una specie di microscopio che ingrandisce gli oggetti lontani, e li fa così sembrare vicini. Un tale strumento è detto cannocchiale, che può assumere nome di telescopio se viene specialmente impiegato a guardare i corpi celesti. Chiamansi occhiali quelle lenti che servono a correggere i difetti della vista, cioè la miopìa e la presbitìa. Le lenti convesse servono ai presbiti, le concave ai miopi. Se noi prendiamo una lente biconvessa, e su di essa riceviamo dei raggi solari, e la andiamo avvicinando ad un foglio di carta, vediamo in un certo momento comparire sulla carta una macchia bianca, la quale, avvicinando ancora la lente, si impicciolisce, e finisce col non essere più che un punto luminosissimo. Ciò proviene dal fatto che tutti i raggi che cadono sulla lente vengono riuniti in quel punto, che dicesi foco della lente. E in questo punto che mettendo la mano ci sentiamo scottare, e possiamo con esso accendere un fiammifero o della polvere da sparo ; poiché il calore che in questo caso accompagna la luce si è concentrato nel medesimo punto, o, come si dice, il foco calorifico coincide col foco luminoso. Ogniqualvolta un raggio luminoso attraversa un corpo avente due faccio piane non parallele, esso si espande, si disperde e produce una specie di macchia o striscia colorata, nella quale si riconoscono i sette colori dell’iride. Quésta striscia colorata è detta spettro solare, e i sette colori che presenta si succedono dall’alto in basso nel modo seguente: rosso, aranciato, giallo, verde, azzurro, indaco, violetto. Questo fatto ci dimostra che la luce bianca del sole non è semplice, ma composta di sette colori diversi; e tanto ciò è vero che possiamo riunire quei sette colori dello spettro, ed ottenere ancora la luce bianca. Per far 140 ciò si prende un disco di cartone, e, diviso in sette settori eguali, si copre ciascun settore con una carta avente uno dei colori dello spettro, in modo da ottenere un intero spettro solare. Indi sospeso il disco per il suo centro per mezzo di un piccolo perno, gli si imprime un rapido movimento circolare : mentre dura il moto il disco appare di color bianco, ma diminuendo la rapidità del movimento si distinguono, prima confusamente, poi distintamente, i sette colori dello spettro. Bellissimo esempio di decomposizione della luce si ha nell’arcobaleno od iride, che è un grande arco in cui sono distribuiti i colori dello spettro, dovuto alla rifrazione della luce attraverso alle goccioline di pioggia che cade nella regione del cielo opposta al sole. Si osserva spesso l’arcobaleno nelle goccioline d’acqua che si separano da una cascata, dal getto d’acqua d’una fontana e simili. I corpi illuminati hanno la proprietà di riflettere o tutti o solo alcuni dei raggi che ricevono; e si ammette oggi che [ÉljÉllj Fig. 80. — Arcobaleno. dal colore del raggio o dei raggi riflessi dipenda il colore del corpo stesso. Quindi un corpo si mostra azzurro se, assorbendo sei dei sette colori dello spettro, riflette il co- - 141 lore azzurro; verde se riflette il verde, bianco se li riflette tutti ; nero se tutti li assorbe e non ne riflette alcuno. Si erra quindi allorquando comunemente si dice che nella oscurità tutti i corpi sono neri; dovrebbesi dire piuttosto che non hanno colore, poiché solo' la luce produce nei corpi i colorì diversi. CAPITOLO III. Gravità ed azioni molecolari. Peso «lei corpi. — Ogni corpo abbandonato a sé stesso nello spazio cade, e la causa di tale caduta è dovuta al peso del corpo stesso, o, come si dice in Fisica, alla gravità. I corpi cadendo seguono la direzione segnata dal filo a piombo, che dicesi verticale. Chiamasi centro di gravità di un corpo il punto al quale può considerarsi applicato il peso del corpo stesso. Ogni corpo ha un unico centro di gravità, e dalla diversa posizione di esso relativamente al punto d’appoggio del corpo, si hanno tre modi di equilibrio: T equilibrio stabile, l'instabile e l'indifferente. Un corpo è nella posizione di equilibrio stabile quando, deviato dalla sua posizione primitiva, vi ritorna da sé stesso, tosto che non vi si opponga alcun ostacolo. Questo equilibrio si ha quando un corpo è in tale posizione che il suo centro di gravità si trovi più in basso che in ogni altra posizione. In tale condizione, se il corpo viene spostato, il suo centro di gravità sempre si rialza; e siccome la gravità tende sempre ad abbassarlo, dopo una serie di oscillazioni lo riconduce alla sua posizione primitiva, e l’equilibrio si ristabilisce. Figura 81. Equilibrio stabile. • 142 — Tale è il caso di un uovo posto su di un piano orizzontale, col suo asse maggiore parallelo al piano stesso. Per dare un esempio di equilibrio stabile si può prendere un turacciolo di sughero e conficcarvi inferiormente una moneta, e lateralmente, in direzione opposta, due forchette da tavola ; indi far poggiare il turacciolo per mezzo della moneta sull’orlo d’una bottiglia, e si vedrà che esso rimane dritto : deviato anche dalla sua posizione, tende sempre a ritornarvi. L 'equilibrio instabile è quello di un corpo, il quale deviato da questa sua posizione d’equilibrio, tende ad allontanarsene maggiormente. Tale è il caso di un uovo appoggiato su di un piano orizzontale, in modo che il suo asse maggiore sia verticale ; è quello di un bastone che si fa stare in equilibrio ritto sopra un dito. Dicesi infine equilibrio indifferente quello che persiste in tutte le posizioni che un corpo può prendere. Si ha questo genere di equilibrio quando, nelle diverse posizioni del corpo, il suo centro di gravità non è nè rialzato nè abbassato, come succede di una sfera che poggia sopra un piano orizzontale. Se noi prendiamo corpi diversi, quali sarebbero una palla di piombo, una di sughero ed un pezzetto di carta, e li lasciamo cadere, p. es., da una finestra, vediamo che prima tocca la terra la palla di piombo, poi quella di sughero, indi la carta: da ciò sembrerebbe potersi dire che i corpi cadendo hanno diverse velocità, ma questa differenza di velocità è unicamente dovuta alla resistenza deH’aria, poiché con un esperimento facile si può dimostrare che nel vuoto tutti i corpi cadono con velocità eguale. E questa velocità che hanno i corpi cadendo è tanto maggiore, quanto più alto è il luogo da cui discendono, o, ciò che è lo stesso, quanto più lunga è la durata della loro caduta. Non tutti i corpi, presi a volume eguale, hanno eguale peso, poiché non tutti sono egualmente densi. Così un litro d’acqua pesa un chilog., mentre un litro di mercurio pesa chilog. 13,590, perchè il mercurio è assai più denso del- — 143 — l’acqua, e precisamente è 13 volte e mezzo circa più denso. Nei corpi possiamo distinguere tre sorta di pesi: il peso assoluto, misurato solo dalla pressione che esercita un corpo sull’ ostacolo che ne impedisce la caduta ; il peso relativo, cioè quello paragonato alla unità di peso, presa come termine di confronto, e che viene determinato dalla bilancia; il peso specifico, che è il peso di un corpo preso nella unità di volume (centimetro cubo, decimetro cubo, o metro cubo). Abbiamo pure il peso specifico relativo dei corpi: per i solidi e i liquidi esso è riferito al peso dell’acqua distillata a 4°, presa ad eguale volume; per i gas al peso deU’aria, a 0°, essa pure presa ad eguale volume. Così dicendo che il peso specifico relativo del ferro è 7,7, si vuol dire che un certo volume di ferro pesa 7 volte e 7 / 10 quello che pesa un volume eguale di acqua, alle condizioni normali. Altrettanto dicendo che il peso specifico dell’ ossigeno è 1,430, si vuol indicare che un determinato volume di esso pesa 1,430 quello che pesa l’aria a volume eguale. Spesso, quantunque non sia perfettamente esatto, in luogo di peso specifico si usa dire densità di un corpo : si dice quindi che la densità dpi piombo è 11,36, quella dello stagno 7,37, dell’argento 10,5, dell’oro 19,32 e così di seguito, per indicare che i predetti corpi presi nell’unità di volume, p. es., un decimetro cubo, pesano rispettivamente Kg. 11,36, 7,37, 10,5, 19,32 ecc. Quando si conosca il peso specifico di un corpo, e il suo volume, è facile determinarne il peso relativo: così se si volesse sapere quale peso abbia un dado di ferro avente lo spigolo di m. 0,40, sapendo che il suo peso specifico è 7,7, non si avrebbe che a calcolare il volume del dado secondo le regole geometriche, e quindi moltiplicare il volume ottenuto in dee. cubi per il peso specifico. Non solo i corpi solidi hanno peso diverso, ma i liquidi e i gas diversificano di peso gli uni dagli altri. Per pesare i corpi si impiegano certi strumenti di uso 144 - quotidiano, che sono le bilancie. V’hanno differenti specie di bilancie; ma quella che più spesso si impiega, e che del resto è anche la più semplice, è composta di un’asta verticale di metallo o di altra sostanza, fissa colla sua estremità inferiore in un opportuno piede, e portante superiormente un’asta orizzontale, detta giogo, che poggia colla sua parte centrale mediante lo spigolo di un pezzo triangolare o coltello, su di un pianerottolo di sostanza durissima. Agli estremi del giogo sono sospesi per mezzo di catenelle i bacini o piatti della bilancia , destinati a ricevere l’uno i pesi o marchi, l’altro i corpi da pesare. Diremo che una bilancia è esatta, quando, essendo i piatti e le catenelle dello stesso peso, il giogo rimane orizzontale. La bilancia ridotta alla sua massima semplicità è una leva. Per leva intendesi qualunque asta rigida, mobile intorno ad un punto, il fulcro, e agli estremi della quale sono applicate due forze che tendono a farsi equilibrio. Delle forze applicate agli estremi di una leva, Luna è detta potenza, e l’altra, che si oppone alla potenza, è la resistenza. Distin- guonsi tre sorta o generi di leve , dipendenti dalla posizione del fulcro; così si ha la leva di l.° genere se il fulcro è posto fra la potenza e la resistenza; leva _ _ di 2° genere se la resistenza è * posta fra la potenza e il fulcro; leva di 3." genere quando la potenza è posta fra il fulcro e la resistenza. Le distanze del fulcro ai punti ove sono applicate la potenza e la resistenza diconsi bracci di leva, e rispettivamente braccio della potenza e braccio della resistenza. La bilancia dunque è una leva di primo genere a bracci eguali, agli estremi dei quali si applicano la potenza p F R A F R P a F P R - 145 — rappresentata dai corpi da pesare, e la resistenza formata dai marchi. Grandissima è la forza che può svilupparsi con una leva, e per questo la vediamo spessissimo impiegata dai tagliapietre sotto forma di spranghe di ferro o di stanghe, per muovere massi anche grossissimi. Essi sanno per pratica che per vincere una grande resistenza con relativo piccolo sforzo, hanno bisogno di un braccio della potenza assai lungo, e un braccio della resistenza molto corto, e quindi, avvicinano il iulcro, formato da pezzo di pietra o di legno, quanto più è possibile al masso che deve essere mosso. La leva di secondo genere può essere rappresentata dai remi di una barca, i quali hanno il loro punto d’appoggio o fulcro nell’acqua, la barca forma la resistenza da muovere, mentre la potenza è costituita dallo sforzo muscolare del rematore. Altra leva di secondo genere è la carriuola dei terrazzieri, in cui il perno della ruota è il fulcro, il carico la resistenza, e l’operaio colle sue braccia forma la potenza. Anche lo schiaccia-noci è una leva di secondo genere. Le molle da fuoco rappresentano una leva di terzo genere: in esse la potenza è applicata nella parte mediana ove si prendono colla mano, la resistenza è formata dal tizzone che si vuol muovere, e il fulcro dalla parte ricurva ed elastica delle molle stesse. Le diverse leve variamente combinate fra di loro ed opportunamente modificate nelle infinite forme ohe possono prendere, costituiscono moltissimi congegni che hanno numerosissime applicazioni nelle macchine usate nell’industria. Equilibrio dei liquidi. — Se noi versiamo un liquido qualunque, per esempio, dell’ acqua, in un vaso, vediamo che la sua superficie libera si dispone in un piano, che è detto orizzontale, in cui si mantiene sempre, qualunque sia l’inclinazione che noi diamo al vaso stesso. Come l’a- equa, tutti i liquidi presi in piccola massa e in quiete, presentano la loro superficie libera orizzontale. Se si versano tre liquidi di densità diversa, per esempio mercurio, acqua ed olio, in un vaso di vetro Anastasi e Belletti — Scienze naturali. 10 — 14C — trasparente, si vede che si dispongono in ordine di densità decrescente dal basso all’alto : e cioè sul fondo si depone il mercurio, al disopra di esso l’acqua e su questa galleggia l’olio, ma le loro superficie di separazione sono ancora orizzontali, e quindi parallele fra di loro. Altrettanto avviene se si mettono in un vaso un liquido ed un gas che non sia solubile nel liquido stesso: il gas, che è sempre più leggiero, galleggia sul liquido. Questo fatto ha servito alla costruzione del livello a bolla d’aria. Chiamansi vasi comunicanti quei vasi riuniti insieme in modo che un liquido versato in uno di essi, passa liberamente negli altri. Quando si hanno due o più vasi comunicanti, un liquido si dispone in essi per modo che le sue superficie nei diversi vasi sono tutte in uno stesso piano orizzontale. Su questo fatto è basato il livello ad acqua, che consta di due piccole bottiglie di vetro trasparente comunicanti fra di loro mediante un tubo metallico sostenuto da apposito trepiedi, e nelle quali si versa dell’acqua, che si innalza in entrambe disponendo le due superficie in uno stesso piano orizzontale. È impiegato dagli ingegneri, dai c-apomastri e dagli agrimensori per fare delle livellazioni. Per questo motivo vediamo nelle fontane zampillanti innalzarsi un getto d’acqua, il quale dovrebbe salire realmente alla stessa altezza della sorgente da cui l’acqua discende, se non vi fosse la resistenza dell’aria, lo sfregamento contro le pareti dei tubi che la conducono, e l’urto dell’acqua ricadente sul getto stesso, che ne diminuiscono di molto la forza. Anche i pozzi artesiani sono simili alle fontane artificiali: si fora il terreno a grande profondità, e l’acqua zampilla. Ed ecco come ciò avviene. La crosta del globo, è, come abbiamo visto, fatta a strati di terreni sovrapposti gli uni agli altri. Di essi taluni sono permeabili, cioè lasciano passare l’acqua, come le sabbie e le ghiaie, altri, come l’argilla, sono impermeabili, cioè non lasciano passare l'acqua. — 147 — Ora supponiamo che vi sia acqua su di qualche altura, e che essa penetri sotterra per diversi strati permeabili, iinchè viene ad incontrare uno strato impermeabile, sul quale formerà un deposito. Se] si fora il terreno fino a raggiungere questo deposito, l’acqua uscirà per il foro zampillando, senza però mai salire all’altezza donde penetra nella terra. Se noi immergiamo un corpo in un liquido, ci sembra che il corpo stesso sia diventato più leggiero, abbia cioè perduto una parte del suo peso, e ciò per effetto della spinta che il corpo stesso riceve dal liquido dal basso all’alto. Questo fatto, che fu per la prima volta osservato da Archi- mede, celebre geometra e fìsico di Siracusa del secolo III a. C., è noto sotto il nome di principio d’Archi- mede, e con la esperienza si dimostra che la spinta che il corpo riceve da parte del liquido, dal basso all’alto, è eguale al peso di una quantità di liquido avente un volume eguale a quello del corpo, eguale cioè al peso del liquido che esso sposta. Per dimostrare con la esperienza quanto si è detto, ecco come si opera. Si prende una particolare bilancia, detta idrostatica, la quale differisce dalle bilàncio comuni per avere il giogo B A che può essere innalzato per mezzo della ruota dentata E M posta alla base del fusto- P, ed i piattelli molto alti, aventi inferiormente un uncino. Allineino di uno Fig. 82 — Bilancia idrostatica. — 148 - dei piattelli n si appende un cilindro di ottone cavo c, al quale inferiormente appendesi un secondo cilindro pure di ottone s, ma massiccio, di volume però esattamente eguale alla capacità del cilindro cavo. Ciò fatto si stabilisce l’equilibrio della bilancia mettendo nell’altro piattello m o dei pesi marchi, o meglio una zavorra qualsiasi, p. es., dei pallini da caccia. Ottenuto l’equilibrio, si immerge il cilindro d’ottone massiccio nell’acqua contenuta in apposito vaso V, acqua che dovrebbe essere distillata e alla temperatura di 4° C., e si vede che la bilancia trabocca dalla parte della zavorra. Se allora versiamo acqua nel cilindro cavo, quando esso è pieno, vediamo che l’equilibrio si ristabilisce perfettamente. E siccome il volume del cilindro massiccio è eguale alla capacità del cilindro cavo, il volume dell’acqua contenutavi, sarà perfettamente eguale a quello dell’acqua spostata dal massiccio, il quale riceve quindi da questa una spinta dal basso all’alto eguale al peso dell’acqua che sposta. Ora ò facile capire come possano presentarsi tre casi, poiché il peso di un corpo può essere : eguale al peso del liquido spostato, e quindi alla spinta dal basso all’alto; in questo caso il corpo sta interamente immerso nel liquido, come avviene dei pesci e di alcuni corpi artificiali; maggiore del peso del liquido spostato, superare cioè la spinta dal basso all’alto: in questo caso il corpo cade attraverso al liquido; minore del peso del liquido spostato, e quindi della spinta all’in su, e allora il corpo non si immerge totalmente, ma se ne immerge solo quella parte che sposta un volume di liquido avente peso eguale a quello di tutto il corpo. Un corpo che sta immerso in parte in un liquido e in parte ne emerge, chiamasi galleggiante. Si vede quindi facilmente come siano capaci di galleggiare non soltanto i corpi meno pesanti del liquido in cui sono immersi, ma anche quelli che ne sono più pesanti, purché siano foggiati in modo da spo- - 149 — stare una quantità di liquido il cui peso sia maggiore di quello del corpo. Così una bottiglia di vetro vuota messa nell’acqua non va a fondo, sebbene il vetro pesi più dell’acqua; una sfera di ferro massiccia posta sul mare cola a fondo, mentre galleggia una colossale nave corazzata. Invece di scavare un corpo pesante , lo si può far galleggiare unendolo ad un volume sufficiente di un corpo più leggero del liquido: su questo principio si fondano gli apparecchi di salvataggio pei naufraghi, quali le cinture di sughero o salvagente. Misura tlei volumi. — Il principio d’Archimede offre il modo di misurare il volume di un corpo qualunque, per irregolare che sia. E bene quindi di ricordare che il grammo è stato definito: il peso di 1 cm. cubo di acqua distillata alla temperatura di -f- 4° C ; onde i pesi e i volumi dell’acqua, in queste condizioni, sono espressi dalle medesime cifre. D’altra parte noi sappiamo che, immergendo un corpo in un liquido, p. es., nell’acqua distillata, esso subisce una spinta dal basso all’alto eguale al peso del liquido spostato. Potremo quindi pesare il corpo nell’aria e pesarlo quando è immerso nell’acqua ; ma siccome, come si è detto, i pesi ed i volumi dell’acqua sono espressi dalle medesime cifre, quando l’acqua si trovi alla temperatura di 4° C, la differenza tra i due pesi esprimerà anche il volume del corpo in cm. cubi, poiché ad ogni grammo di acqua spostata corrisponde in volume 1 cm. cubo. Valga un esempio. Si abbia un corpo qualunque, di forma irregolare, p. es., una chiave di cui si voglia determinare il volume : la pesiamo nell’aria, e troviamo che pesa, p. es., 128 gr. Ciò fatto, la pesiamo immersa nell’acqua, e troviamo che non pesa più che 97 gr. la perdita apparente di peso sarà quindi: gr. 128 — gr. 97 = gr. 31. Il numero 31 rappresenta il peso dell’acqua spostata, e nel tempo stesso il suo volume, che sarà di 31 cm. cubi e quindi 31, per quanto si è detto, indicherà anche il volume della chiave in cm. cubi. Fenomeni (li capillarità. — Se immergiamo una vergherà di vetro in un liquido che non la bagni, p. es., nel mercurio, vediamo che il liquido stesso si abbassa (fig. 83 a) intorno al corpo immerso ; ma se la stessa verghetta la immergiamo in un liquido che la bagni, come potrebbe essere l’acqua, vediamo che questa si solleva (fig. 83 b) intorno alla verga. Parimenti se immergiamo un sottilissimo tubo di — 150 — vetro in un liquido che non lo bagni, come il mercurio (fig. 83 c) vediamo questo abbassarsi nell’interno del tubo al disotto della superficie esterna del mercurio stesso ; ma se al contrario immergiamo il cubicino in un liquido che bagni d b Fig. 83 c Fenomeni di capillarità. a il vetro, come è l’acqua, il liquido sale (fig. 83 d) nell’interno del tubo al disopra della superficie dell’ acqua esterna ; anzi l’abbassamento o l’innalzamento del liquido nel tubetto è tanto maggiore, quanto è minore il diametro del tubo. Questi fenomeni diconsi capillari , o di capillarità, perché si manifestano in quei tubi che hanno diametro piccolissimo, sicché ponno dirsi grossi come capelli. Se esaminiamo la superficie di un liquido che bagna il vaso che lo contiene, è facile accorgerci che essa non è piana ed orizzontale dappertutto, ma solo a qualche distanza dalle pareti del vaso, presso le quali si fa concava e si rialza su di esse. All’opposto il mercurio, o qualunque altro liquido che non bagna il vaso che lo contiene, presso le pareti di esso presenta una superficie convessa. Questa superficie concava o convessa chiamasi menisco: e si può stabilire questo principio: si ha sempre un menisco concavo quando il liquido bagna il solido, un menisco convesso quando il solido non è bagnato. Col menisco concavo si ha elevazione del liquido; col menisco convesso, depressione. La causa di questi fenomeni vuoisi cercare in un’azione attrattiva, detta adesione, che si manifesta fra le molecole di due corpi — 151 — differenti, quando le loro superficie combaciano. Cosi un pezzo di piombo tagliato di fresco da un altro, richiede un certo sforzo prima di essere staccato da questo, se nel mettere a contatto le superficie di taglio si è avuto cura di farle strisciare l’una sull’altra e premerle leggermente. Se si fanno strisciare pure l’una sull’altra due lastre di vetro ben piane e terse, difficilmente poi si riesce a distaccarle. Potrebbesi credere che tali fenomeni fossero dovuti anche all’azione della pressione atmosferica, ma facilmente si dimostra che ciò non è, poiché persistono anche nel vuoto. I fenomeni di capillarità ci spiegano il perchè un pezzetto di zucchero si imbeve di caffi non appena lo tocca, perchè l’olio o il petrolio della lucerna sale per il lucignolo, perchè l’acqua penetra nel legno, nella terra, nelle spugne, il sangue scorre nel nostro corpo in vene esilissime (capillari sanguigni), la linfa sale per le fibrille radicali delle piante. Ci spiegano anche, sebbene altri fenomeni vi concorrano, perchè alcuni insetti (l’idrometra) camminano a loro agio sulla superficie dell’acqua, sulla quale può anche deporsi un ago d’acciaio, unto che sia, senza che vi cada dentro, benché assai più pesante. CAPITOLO IV. Aereostatica. Aria e Atmosfera. — La nostra terra è circondata da un miscuglio di sostanze gasose, Varia, nella quale noi viviamo, anzi senza della quale la vita animale e vegetale sarebbe impossibile. Il complesso dell’aria che avvolge la terra fino ad un’altezza di circa 300 chilometri, accompagnandola ne’ suoi movimenti, dicesi atmosfera. L’aria, come tutti i gas, è pesante, ed un esperimento facilissimo ce lo può dimostrare. Se si attacca un pallone di vetro, da cui sia stata prima tolta l’aria mediante un’apposita macchina, la macchina pneumatica, ad un piattello di una bilancia, e lo si equilibra mediante un certo numero di pesi-marchi posti nell’altro piattello, aprendo la chiavetta di cui il collo del pallone è munito, l’aria vi entra di nuovo, ma immediatamente la bilancia trabocca dalla parte del pallone. Per - 152 - ristabilire l’equilibrio occorre quindi porre nell’altro piattello una nuova quantità di pesi-marchi: conoscendo la capacità del pallone, e supponendo che dapprima l’aria sia stata tolta tutta, si potrà desumere il peso dell’aria per ogni unità di volume. Con esperimenti fatti recentemente da Regnault, nei quali evitò molte cause di errore, in cui per la imperfezione degli apparecchi aveva dovuto incorrere lo stesso Galileo, il primo che provasse sperimentalmente il peso dell’aria, si è potuto stabilire che un decimetro cubo d’aria secca pesa gr. 1,293 e 0" C e a 760 mm. di pressione. Poiché l’esperienza prova che l’aria è pesante, essa deve premere sui corpi che vi sono immersi, ed il valore di questa pressione si potrà esattamente stabilire quando si possa trovar modo di equilibrarla con un’altra pressione conosciuta. L’esistenza della pressione atmosferica si prova con alcune esperienze, divenute ormai classiche, fra cui quelle degli emisferi di Magdeburgo e del crepiìvescica. I primi sono costituiti da due emisferi di ottone (fig. 84), cavi, portanti ciascuno una maniglia all’esterno, e foggiati in modo da poter esattamente combaciare per gli orli. Una delle maniglie è forata e munita di chiavetta con la quale l’emisfero può essere fatto comunicare colla macchina pneumatica. Si chiudono gli emisferi, e si opera la rarefazione dell’aria nel- Fig. 84 Emisffrt di Magdeburgo. l’interno : allora per quanto sia grande lo sforzo che un uomo faccia per separarli (fig. 85), se il loro diametro è di poco superiore ai 10 cm., non vi riuscirà. Ma aprendo la chiavetta, l’aria rientrerà sibilando entro la cavità dei - 153 - due emisferi, ed allora essi potranno essere facilmente separati. Fig. 85 — Emisferi di Magdeburco quando si è rarefatta l’aria. Il creparescica (fig. 86) è formato da un manicotto di vetro a forma di cilindro o di tronco di cono, chiuso ad un estremo da una membrana di vescica ben tesa. Si pone sul piatto della macchina pneumatica, e vi si rarefa l’aria. La membrana prima s’incurva, poi si rompe, e l’aria esterna vi penetra rapidamente dentro, producendo una forte detonazione. Un uovo sodo può farsi entrare in una bottiglia comune di vetro con molta facilità. A tale scopo si rarefa l’aria contenuta nella bottiglia mettendo in questa un pezzetto di carta accesa. L’aria interna si riscalda, si dilata, e un poco ne esce: allora si pone l’uovo, piivato del guscio, .sull’orifizio del collo della bottiglia e presto l’aria interna raffreddandosi non esercita più al di sotto dell’uovo una pressione eguale a Fig. 86 — Crepavf.scica. quella che esercita l’aria esterna, sicché quest’ultima vincendo quella, spinge l’uovo entro la bottiglia. Un bicchiere pieno d’ acqua, (fig. 87) chiuso con un foglio di carta, non si vuota capovolgendolo, perchè la pressione atmosferica sostiene il peso del liquido, o meglio la pressione idrostatica del liquido, sull’orifizio chiuso dal foglio. Per togliere da un recipiente una quantità di liquido, si fa uso della pipetta dai chimici, (fig. 88) o di un altro strumento analogo, comunemente di latta, dai venditori di acque dolci- o ghiacciate, la cui estremità inferiore Fig. 87 — 154 - rigonfia viene introdotta nel liquido, sicché questo la riempie, e sollevandolo si ha cura di chiuderne con un dito l’orifizio superiore, sicché mancando la pressione atmosferica dall’alto in basso, il liquido non esce; ma non appena si toglie il dito, l’aria premendo sulla superficie superiore del liquido, lo fa uscire. La pressione atmosferica si può misurare, ed Evangelista Torricelli nel 1648 fece a tale scopo un esperimento che rimase celebre, e che oggi suolsi ripetere in tutte le scuole. Egli prese un tubo di vetro aperto ad una estremità, e chiuso ■ all’altra, lungo circa 80 cm.: lo riempi esattamente di mercurio, poi chiuse con un dito l’orifizio, e lo capovolse (fig. 89) introducendolo nel mercurio contenuto in una vaschetta. Tolse il dito dall’apertura quando fu sotto il livello del mercurio della vaschetta, ed osservò che il mercurio del tubo scendeva ad una certa altezza, alla quale si fermava (fig. 90). Naturalmente nella parte del tubo lasciata libera dal mercurio si formava il vuoto [camera torricelliana o barometrica), non avendo potuto penetrarvi la benché minima quantità d’aria o di qualunque altro corpo. Ora la pressione esercitata dalla colonna di mercurio sul liquido della vaschetta in ogni punto della superficie libera deve avere valore eguale; è quindi evidente che la colonna di mercurio dev’essere sostenuta dalla pressione atmosferica, e ciò è tanto vero che, se si rompe l’estremità superiore del tubo sicché vi possa penetrare l’aria, il mercurio d’un tratto precipita tutto in basso, disponendosi circa allo stesso livello entro e fuori del tubo. Facendo l’esperienza al livello del mare, si trova che, il Fig. 88 — Pipetta. - 155 — partendo dal livello del mercurio nella vaschetta, l’altezza della colonna è di 760 mm., alla temperatura di 0° C. Ripetendo l’esperienza in luogo elevato, la colonna di mercurio è minore, e decresce coll’aumentare dell’altitudine. :<5\vt ' • .,v ySgjg'jg r'-. Fig. 89 Esperimento di Torricelli Fig. 90 L’esperimento di Torricelli ci pone in grado di asserire che la pressione dell’aria equivale a quella esercitata da una colonna di mercurio alta 760 mm. E facile ora trovare il valore numerico di questa pressione. Suppongasi che la base della colonna cilindrica di mercurio abbia una super- canili — 156 — ficie di 1 cmq.; essendo la sua altezza di 76 cm., il suo volume sarà di 76 cmc. Si sa che un cmc. di mercurio pesa circa grammi 13,6 (essendo il peso specifico del mercurio 13,6), quindi la colonna di mercurio preme sopra una superficie di 1 cmq. con una forza eguale a 76 X 13,6, cioè gr. 1033, pari a chilogr. 1,033. Ne consegue che la pressione atmosferica al livello del mare sarà anch’essa eguale a chilogr. 1,033 per ogni cmq., a chilogr. 103,3 per ogni dmq. e a chilog. 10330 per ogni mq. Si è calcolato che la superficie del corpo umano è in media di mq. 1 1 p2, e quindi la pressione che su di esso esercita l’atmosfera è di circa chilog. 15495. Sembrerebbe che sotto a questo enorme peso l’uomo dovesse rimanere schiacciato, ma è facile persuadersi del contrario quando si ponga mente che la pressione si esercita da tutte le parti, e che quando due o più forze operano in modo tale da elidersi reciprocamente, il corpo a cui sono applicate rimane in equilibrio. Se invece del mercurio usiamo l’acqua, avvengono gli stessi fenomeni; ma, essendo l’acqua 13 volte e 6[10 meno densa del mercurio, ne occorre una colonna alta metri 10.336, Gli istrumenti atti a misurare la pressione atmosferica diconsi barometri. Vi hanno diverse specie di barometri, di cui i due più comuni sono il barometro a vaschetta (tìg. 91-92) e il barometro a sifone. Il barometro a vaschetta consiste, come l’ap parecchio di Torricelli, in un tubo di vetro lungo circa 90 cm., con diametro interno abbastanza grande (circa 10 millimetri), posto esattamente verticale, ripieno di mercurio purissimo, e capovolto in una vaschetta assai larga contenente del mercurio puro. La vaschetta può assumere diversa forma, a seconda che il barometro deve o non deve essere trasportato. La lettura della pressione si fa su di una apposita scala, su cui sono segnati i millimetri, applicata alla tavoletta stessa che porta il barometro. L’origine delle divisioni millimetriche è al livello del mercurio nella vaschetta, alla quale si dà appunto un diametro molto grande per poter trascurare le variazioni di livello prodotte dall’entrata e dall’uscita del mercurio nel tubo, - 157 — quando la pressione atmosferica varia. — Il barometro a sifone (fig. 93) consta pure di un tubo di vetro chiuso M m Fig. 91 Fig 9'J Barometro normale a vaschetta Barometro a vaschetta all’estremità superiore, lungo circa 90 cm.. unito a gomito, mediante un tubetto capillare, con un altro tubo più corto, ma di diametro eguale al primo. L’altezza della colonna — 158 — barometrica è data dalla differenza di livello fra il mercurio del ramo lungo e quella del ramo corto. Questo barometro ha il vantaggio di potersi facilmente trasportare, senza pericolo che possa penetrarvi l’aria. Oltre ai barometri a mercurio, vi sono i barometri metallici od aneroidi, i quali, se possono trasportarsi con tutta facilità, presentano però l’inconveniente di non essere molto precisi, e di non servire lungo tempo. V’hanno parecchie specie di barometri metallici, ma il più comune è quello di Bourdon (fìg. 94). È questo costituito da un tubo metallico a pareti sottilissime, a sezione elittica chiuso ermeticamente, dal quale è stata estratta la maggiore quantità d’aria possibile, fisso pel suo punto di mezzo, ed incurvato a circolo incompleto. Le sue estremità non sono 'libere, ma, mediante leve, collegate ad un congegno assai semplice, il quale determina lo spostamento di un indice mobile su di un quadrante graduato, quando le estremità del tubo si avvicinano o si allontanano. Aumentando la pressione esterna il tubo si curva di più, e l’indice scorre da sinistra a destra; diminuendo la pressione, il tubo per la sua elasticità si svolge, e l’indice si muove in senso opposto. La graduazione di questo barometro si fa per confronto con un barometro a mercurio. Ad ogni barometro poi dev’essere annesso un termometro, perchè, essendosi convenuto di ridurre tutte le osservazioni barometriche alla temperatura di 0°, C. per renderle comparabili fra loro, ed il mer- Fig. 93 Barometro a sifone. — 159 — curio dilatandosi, come tutti i corpi, per il calore, occorre, se la temperatura è superiore allo 0°, sottrarre dall’altezza della colonna barometrica, la quantità dovuta alla dilatazione prodotta dall’eccesso di temperatura, e, se è inferiore, aggiungere la quantità dovuta alla contrazione per il difetto di temperatura. Gli usi del barometro sono svariati : due però sono i più importanti, quello di misurare le altezze verticali, e quello di preavvisare i mutamenti del tempo. La esperienza ha dimostrato che, innalzandosi su di ima montagna, la colonna barometrica si abbassa di 1 mm. per ogni 10m., 466 circa, e quindi si potrebbe, sapendo ciò, misurarne l’altezza ; ma questo solo può dirsi per piccole differenze ili livello; per valutare altezze maggiori si impiegano certe formolo un po’ complesse, che qui non è il caso di riferire. Per i mutamenti del tempo possiamo dire che in generale a Lugano il barometro si mantiene comunemente al di sopra di mm. 737,4 quando il tempo è bello, e al di sotto di questo punto, durante la pioggia, la neve, il vento e i temporali. Tale punto negli aneroidi ohe devono servire unicamente per Lugano, porta la dicitura variabile, intendendosi dire con ciò che vi possono essere, in media, tanti giorni di bel tempo, quanti di pioggia o di vento. Un corpo immerso in un gas, e quindi anche nell’aria atmosferica, riceve una spinta diretta dal basso all’alto, Kie. 94 - Barometro aneroide di Bourdon. — IRÒ — eguale al peso del gas spostato. Per rendere manifesta la spinta che sopporta un corpo immerso nell’aria, si adopera il baroscopio (fig. 95). Quest’ apparecchio consiste in una piccola bilancia, alle estremità del cui giogo, invece di piattelli, sono applicate due sfere, l’una piccola e massiccia di piombo, l’altra grande e vuota di ottone, che nell’aria si fanno equilibrio. Se si pone l’apparecchio sotto alla campana della macchina pneumatica, e si estrae l’aria, il giogo s’inclina dalla parte della sfera grande, mostrando così che questa in realtà pesa più della piccola, e che nell'aria l’equilibrio sussisteva solo perchè essa, spostando una maggiore quantità d’aria, ne risentiva una spinta maggiore. È quindi naturale che un corpo immerso nell’aria, in- , vece di cadere, si innalzerà ogniqualvolta la spinta superi il suo peso. La più importante applicazione di questo principio si ha negli a reostati o palloni volanti , che sono involucri di forma per lo più sferica od oblunga, di stoffa poco pesante ed impermeabile, gontiati dapprima con aria calda, oggi con idrogeno o gas illuminante, i quali si innalzano nell’aria o vi stanno in equilibrio secondo quanto si è detto. La forza ascensionale di un pallone è costituita dalla differenza fra il peso dell’aria spostata dal pallone, e il peso del pallone stesso. Il pallone è avviluppato da una robusta rete di funi, alla quale è legata una navicella in vimini per gli aereonauti, gli strumenti loro necessari e la zavorra. Il pallone all’atto della partenza non viene gonfiato completamente, perciò mentre s’innalza, e la pressione atmosferica esterna diminuisce, il gas contenuto nel pallone 95 — Baroscopio. — 11)1 — si espande, e la forza ascensionale si mantiene presso a poco costante, ita quando il pallone si trova completamente gonfiato, di mano in mano che la salita prosegue e la pressione esterna diminuisce, il gas contenuto nel pallone dilatandosi ancora, sfugge per l’apertura inferiore, o bocca del pallone, e la forza ascensionale va continuamente diminuendo, finché diventa nulla ad una altezza tale che la densità dell’aria stessa sia tanto piccola da non potere più la spinta dal basso all’alto superare il peso del pallone. Cessa allora il pallone di innalzarsi, o non può più muoversi che orizzontalmente obbedendo al vento , poiché il grande problema della dirigi- bilità dei palloni non è ancora stato completamente risolto. Se l’aereonauta vuole allora salire ancora, alleggerisce il pallone vuotando dei sacchetti di sabbia che tiene nella navicella, e che costituiscono la zavorra ; ciò che fa anche quando vuole frenare od arrestare la discesa del pallone. fìr. «o - pali o.™ volanti;. Quando invece vuol rallentare la salita o farlo discendere, apre, mediante una funicella, una valvola che chiude una apertura posta nella parte superiore del pallone, e per questa sfugge una parte di gas in esso contenuto. Talora nella discesa si impiega il paracadute (fig. 97). - Anastasi e Belletti — Scienze Naturali 0 \- •• 11 Quest’apparecchio è formato di un ampio pezzo di robusta tela circolare di circa 5 metri di diametro, che, por effetto della resistenza dell’aria, si stende in forma di un vasto ombrello, e cade lentamente. Al lembo di questo pezzo di tela sono attaccate delle funicelle che sostengono la navicella dell’aereonauta. Nel centro del paracadute è praticato un foro, attraverso il quale sfugge l’aria compressa in conseguenza della discesa, altrimenti si producono delle oscillazioni che si comunicano alla navicella, e possono essere pericolose. Nella fig. 96 vedesi, allato al pallone, un paracadute piegato ed attaccato alla rete mediante una corda che passa su di una carrucola, e va ad unirsi alla navicella. Basta lasciar libera questa corda perchè il paracadute abbandoni il pallone. Pare che la maggiore altezza raggiunta daH’uomo cogli aereostati sia quella di 10500 m. a cui si sollevò Glaisher: a tale altezza la pressione atmosferica era di 210 min. di mercurio. Fig:. 97 — Paracadute. Da pochi anni rendono servigi utilissimi alla meteorologia le sonde aeree. Sono, queste, piccoli palloni volanti gonfiati con idrogeno e formati di un involucro leggerissimo. - 163 — Le sonde aeree non sono destinate a portare aereonauti, ma sono provviste di istrumenti che registrano in modo continuo la pressione, l’umidità, la temperatura delle regioni aeree attraversate. Tali palloni furono e sono lanciati di frequente in Francia, in Germania ed in Isvizzera pure dall’Ufficio Centrale di Meteorologia di Zurigo, e raggiunsero altezze straordinarie di 15000 ed anche 18000 m., portando poi nella loro discesa indicazioni esatte sulle condizioni atmosferiche di così elevate regioni. Le pressioni esercitate dai gas o dai vapori si misurano con istrumenti particolari, detti manometri, che possono essere ad aria libera, ad aria compressa, e manometri metallici. Fig. 98 — Macchina pneumatica. lillllllllllPU'lWl Per estrarre aria dall’interno di un recipiente e riversarla nell’aria esterna, si ricorre ad un apparecchio che è la macchina pneumatica (fig. 98). La prima idea ne è do- 164 — vuta ad Ottone di Guerricke che la immaginò verso il ltiòO. In seguito essa fu oggetto di notevoli miglioramenti, lino a prendere la forma attuale. Lo spazio ove si suol produrre la rarefazione è spesso costituito dalla capacità interna di una campana. — Si adatta la campana, come mostra la figura 98, sul piatto della macchina, che è costituito da un disco di vetro ben piano, e munito di un foro centrale : l’orlo della campana è accuratamente spalmato di grasso perchè aderisca bene al piatto, senza che tra l’uno e l’altro possa esservi alcuna, anche piccola, comunicazione tra l'interno della campana e l’aria esterna. Altre volte si tratta di cavar l’aria dall’interno di un pallone : questo allora è munito di una tubatura a vite che si adatta all’apertura centrale del piatto, lavorato a quest’uopo a madrevite. La parte principale della macchina è formata da due cilindri o corpi di tromba, ordinariamente di vetro, in fondo ad ognuno dei quali si apre un condotto metallico : i due condotti si riuniscono poi in uno solo, che si prolunga fino all’apertura del piatto. Nei due cilindri scorrono rispettivamente due stantuffi, le cui aste dentate ingranano in una ruota pure dentata, girevole in un senso e nell’altro mediante una manovella. La disposizione è tale che, movendo la manovella in un senso, uno degli stantuffi si innalza, mentre l’altro si abbassa ; movendola in senso opposto, s’ abbassa l’uno mentre s’innalza l’altro. Ognuno degli stantuffi porta una bacchetta metallica che l’attraversa a sfregamento duro : questa bacchetta porta in basso un tappo conico che si adatta ad una apertura praticata nel fondo del cilindro ; in alto essa passa attraverso un foro praticato nel coperchio del cilindro, ma un dischetto metallico, di cui è munita, le impedisce di uscire da quel foro per più di qualche millimetro. Così quando uno stantuffo si abbassa, trascina con sè la sua bacchetta — 165 — che tosto c hnide l’apertura del fondo del cilindro ; e ciò fatto, lo stantuffo seguita a discendere da solo, scorrendo lungo la bacchetta che resta immobile. Quando poi lo si solleva, subito la bacchetta è sollevata d’un piccolo tratto, rendendo libera l’apertura che aveva chiuso; ma, poiché il dischetto superiore urta contro il coperchio del cilindro, essa si ferma, e lo stantuffo compie da solo il resto della salita. Ogni stantuffo poi non è massiccio, ma attraversato da un foro dal basso all’alto, contro il quale si adatta una valvola tenuta a posto da una spirale metallica, e che può aprirsi per uno sforzo diretto dal basso all’alto. Descritta così la macchina pneumatica, ecco come essa funzioni. Supponiamo che uno stantuffo si posi sul fondo del suo cilindro. Girando la manovella in modo da sollevarlo, si rende libera l’apertura inferiore, ed in virtù della espansibilità dei gas, l’aria che si trova sotto alla campana e nel condotto, si espande e va ad occupare tutto lo spazio che lo stantuffo rende libero sotto di sè nel salire. La valvola dello stantuffo, per effetto della pressione atmosferica esterna, maggiore di quella dell’aria contenuta nel corpo di tromba, rimane chiusa. Se, giunto in alto, si abbassa lo stantuffo, tosto l’apertura posta nel fondo del cilindro è chiusa dal tappo conico della verghetta, e l’aria vi rimane imprigionata. Proseguendo la discesa, il volume di quest’aria diminuisce e la sua pressione cresce, finché apre la valvola dello stantuffo, passa nella parte superiore del cilindro, e di qui, per il foro del coperchio, all’esterno. Come lavora uno stantuffo, così lavora anche l’altro con moto alterno : cioè mentre uno si innalza, l’altro si abbassa. Non è però possibile spingere la rarefazione dell’aria oltre un certo limite ; poiché, per quanto la base dello stantuffo si adatti bene al fondo del cilindro, vi rimane sempre un certo spazio, il quale, siccome nuoce alla perfetta rarefazione delParia, è detto spazio nocivo. D’altra parte quando l’aria posta sotto alla campana e 160 — nella parte inferiore del cilindro ha raggiunto una sì piccola pressione da non poter più aprire la valvola dello stantuffo, neppure quando questo ha finito la sua discesa, la macchina non funziona più, benché non sia stato raggiunto il vuoto perfetto. Per constatare il grado di rarefazione ottenuto, si misura la pressione dell’aria rimasta alla campana mediante un manometro di forma particolare, detto provino o barometro tronco. E questo formato da un tubo di vetro rin- curvo ad U, di cui un ramo è aperto e l’altro chiuso. Il braccio chiuso è ripieno di mercurio che vi rimane sollevato per effetto della pressione atmosferica, ma quando la pressione diminuisce, il mercurio discende dal ramo chiuso nell’aperto, e dalla differenza di livello si può giudicare il grado della rarefazione ottenuta. Se, p. es., il dislivello fra le due colonne di mercurio è di 3 mm., la pressione dell’aria rimasta sarà di 4> — 0,004 di atmosfera. Vi sono altre macchine pneumatiche che permettono di spingere ad un grado anche maggiore la rarefazione dell’aria: tali macchine sono a mercurio, e servono specialmente per rarefare l’aria nelle lampade elettriche ad incandescenza, nei tubi di vetro destinati allo studio dei raggi di Rongten, ecc. Se immaginiamo una macchina pneumatica in cui le valvole si muovano in senso perfettamente opposto, cioè si apra il foro del fondo del cilindro quando lo stantuffo si abbassa e si chiuda quando si solleva, si chiuda la valvola dello stantuffo quando esso si abbassa, e la si apra quando si solleva, si potrà spingere dell’aria, od un gas qualunque, in un recipiente, e fortemente comprimerlo. Tale è la macchina di compressione, di cui il più comune e semplice esempio lo vediamo in quella usata per gonfiare le gomme poste alle ruote dei velocipedi. Particolari specie di macchine pneumatiche sono le pompe o trombe idrauliche, che possono essere aspiranti, 107 — prementi, ed aspiranti e prementi. Le pompe da incendio hanno due corpi di tromba, allo scopo di ottenere la continuità del getto. CAPITOLO V. Termologia. Effetti del calore sui corpi. — Quando un corpo so- lido, liquido o gasoso viene scaldato, esso si dilata, cioè aumenta il suo volume, o, come si suol dire, occupa uno spazio maggiore di quello che occupava prima: quando invece lo si raffredda, esso si restringe, ossia diminuisce il suo volume. Per dimostrare la dilatazione dei corpi si impiega comunemente la sfera di S’ Gravezande (figura 99). E questa una sfera di ottone, la quale alla temperatura ordinaria passa a perfetto sfregamento attraverso ad un anello dello stesso metallo. Ma questa sfera, scaldata al calore della fiamma di una lampada ad alcool, e posta sopra Panello non vi passa più. Può essere anche dimostrata la dilatazione dei corpi mediante un apparecchio che è molto simile al pirometro di Brongniart, e che perciò fu da taluni detto anche pirometro. È questo costituito da un’asta metallica A fissa ad un suo estremo per mezzo di una vite di pressione b, mentre l’altro estremo libero è in contatto col braccio minore di un indice K, mobile su di un arco di cerchio graduato. Nelle condizioni normali l’indice si trova allo zero della graduazione ; ma se l’asta viene riscaldata per il calore sviluppato dall’accensione dell’alcool Fiff. 99 Spera di S’ Gravezande. — ICS - posto in apposito recipiente sottostante, si vede l’indice a poco a poco ascendere ed in questo modo si rendo sensibile l’allungamento dell’asta. Occorre calore per far passare un corpo dallo stato solido allo stato liquido; ne occorre anche per farlo passare dallo stato liquido allo stato gasoso. E siccome il calore produce la dilatazione dei corpi, così un solido aumenterà il volume diventato liquido, e questo farà altrettanto diventando gasoso. Inversamente un gas che si liquefa, occupa meno posto nel nuovo stato; e generalmente avviene lo stesso per un liquido che si solidifica. Kig. 100. — Pirometro. ; tWìì L’acqua però fa eccezione; essa aumenta di volume passando allo stato solido, cioè diventando ghiaccio ; ma il suo aumentato volume ne fa diminuire la densità, e perciò vediamo che il ghiaccio galleggia sull’acqua. E facile ora comprendere quanto sia straordinaria la forza con la quale i corpi si allungano quando si scaldano, o si raccorciano quando si raffreddano. Così p. es., una verghetta di ferro, avente la sezione, di un cmq., che nel ghiaccio avesse la lunghezza di 30 cm., posta nell'acqua bollente si allungherebbe di lp2 mill. circa. Ciò in apparenza è ben poco; ma se si volesse impedire tale allungamento, dovrebbesi gravare la verghetta di un peso di 7500 chilogr. Come ognun vede, grandissima è la forza sviluppata dal calore e dal freddo: ma che è poi il calore ? Non è cosa facile dare una esatta definizione di questa speciale energia della natura ; e noi ci limiteremo a dire che le parole calore e freddo non esprimono due cose differenti, poiché raffreddare non vuol dire aggiungere freddo, ma togliere calore. Se noi tocchiamo un oggetto che abbia più calore del nostro corpo, o, come si dice, che abbia una temperatura superiore alla nostra, diciamo che è caldo ; se la temperatura è inferiore, diciamo che è freddo. SL Temiometro. — Per misurare la temperatura dei corpi sono stati inventati degli strumenti detti termometri (misuratori del calore), nei quali si trae profitto della dilatazione dei corpi. — E siccome i liquidi si dilatano assai più che i solidi, essi vengono preferiti nella fabbricazione dei termometri. Il termometro è un tubo di vetro, chiuso alle estremità, ad una delle quali porta un ri- gonfiamento sferico o cilindrico, detto bulbo, contenente un liquido che facilmente si dilati per mezzo del calore, p. es. mercurio o alcool, che spesso è colorato in rosso per renderlo più visibile. Perchè il termometro possa servire a confrontare la temperatura dei diversi corpi, o a valutarne le variazioni in uno stesso corpo, dev’essere diviso in un certo numero di parti eguali, corrispondenti a diverse dilatazioni del liquido termometrico, ■— dev’ essere cioè graduato; e questa graduazione o scala può essere fatta secondo diversi sistemi: però le scale più generalmente usate sono due, quella centigrada o di Celsio, che consta di 100 parti, e Yottantigrada o di Réaumur, che porta 80 parti. Le parti eguali in cui è divisa la scala termometrica, si dicono gradi. Per graduare un termometro si comincia coll’immer- geme il bulbo nel ghiaccio che fonde (fig. 102): si vede allora che il livello del mercurio, si abbassa nel tubo, e Fig. 101 Termometro — 170 - Unisce per fermarsi ad un certo punto. Ebbene, durante tutto il tempo in cui il ghiaccio fonde, il mercurio non lo quindi un punto fisso, che nelle graduazioni predette si chiama Zero , punto che corrisponde alla temperatura del ghiaccio fondente. Ciò fatto, si pone lo strumento in un particolare recipiente (iig. 103) ove si fa bollire dell’acqua, in modo che il vapore che se ne svolge abbia a circondare ed involgere completamente il bulbo del termometro. Il livello del mercurio sale allora rapidamente, e si ferma ad un certo punto, nel quale rimarrà per tutto il tempo in cui l’acqua bolle. Ecco dunque un secondo punto fisso, facile a ritrovarsi, come il primo, che può essere segnato o col numero 100 o col numero 80, corrispondente alla tempei atura del vapore dell’acqua bollente. Se l’abbiamo segnato col numero 100, divideremo lo spazio posto fra 0 e 100 in 100 parti eguali, o gradi, ed avremo così un termometro centigrado o di Celsio ; lo divideremo invece nel secondo caso in 80 parti eguali, ed avremo allora un termometro ottantigrado o di Eóaumur. Non solo si possono segnare i gradi al di sopra dello zero, ma anche al disotto di esso, per indicare temperature inferiori a quella del ghiaccio fondente, come si possono segnare i gradi al di sopra del 100 e dell’80 per indicare temperature superiori a quella del vapore dell’acqua bollente. Si convenne allora di chiamare gradi positivi quelli al di sopra dello zero, e negativi quelli al disotto di esso, vedremo muoversi. Ecco Fig. 102 — DETERMINAZIONE DfcLLO ZERO NEL TERMOMETRO. UH — 171 — adottando nella scrittura i segni dell’addizione -f- pei gradi positivi, e della sottrazione — per negativi. Cosi -j- 25°, o semplicemente 25° indica 25 gradi positivi o al di sopra dello zero, e — 11°, undici gradi negativi o al di sotto di zero. Gli usi del termometro sono sì vari che difficilissimo sarebbe enumerarli tutti: esso serve nelle scienze, nelle industrie, nell’eco- nomia domestica e nell’agricoltura. Il calore però ' non si propaga con eguale facilità nell’interno dei corpi: gli uni, come il ferro, il rame e i metalli in generale, lo lasciano passare benissimo attraverso di loro, o, come si dice, 10 conducono bene da un capo all’altro della loro massa, e si dicono perciò buoni conduttori; gli altri, come l’aria, il carbone, 11 legno lo conducono meno bene, e dieonsi cattivi conduttori. Macchine a vapore. — Se noi riscaldiamo dell’acqua in un vaso chiuso e ben resistente, la temperatura dell’acqua supera i 100 gradi, ed il vapore che se ne svolge ha una forza grandissima. Si è misurata questa forza, e si è trovato che essa è di circa 1 chilcgr. per ogni cmq. quando la temperatura è di 100° C. Se l’acqua raggiunge la temperatura di 122 gradi, la forza del vapore è di 2 chilog. per ogni cmq.; a 145° essa è di 4 chilog. e così via ; e questa pressione o tensione del vapore può essere utilizzata come forza motrice. Su questo principio sono Fiff. 103 DETERMINAZIONE DHL PUNTO 100 NEL TERMOMETRO CENTIGRADO. «ipfirini — 172 - fondate le macchine a vapore. Una macchina a vapore consta essenzialmente di due parti: la caldaia o generatore del vapore , e il cilindro con lo stantuffo. La caldaia consta comunemente di un tubo di ferro a pareti molto resistenti, terminato agli estremi da due calotte sferiche, posto su di opportuno fornello, ove si produce il fuoco. Nella parte superiore della caldaia, vi sono parecchie aperture destinate ad introdurre l’acqua nella caldaia, a farne uscire il vapore per immetterlo nel cilindro, a dare un getto del Fùr. 10-1 — Spaccato di macchina a vapore (Locomotiva a caldaia tubulare per ferrovie). vapore stesso per il fischietto d’avviso, e a far funzionare la valvola di sicurezza. Anteriormente due tubi di vetro a pareti molto resistenti comunicano coll’interno della caldaia, ed indicano a quale livello vi si trovi l’acqua. Una tale caldaia è usata nelle macchine a vapore — 173 - fìsse ; nelle locomotive invece la caldaia è tubulare, cioè formata da un numero abbastanza grande di tubi di ghisa dentro ai quali passano i prodotti della combustione, perchè l’acqua abbia a presentare una maggior superfìcie al riscaldamento. Il cilindro è assai più complesso, poiché porta un ingegnoso congegno, detto cassetto di distribuzione del vapore, (fig. 105 B) il quale permette al vapore di entrare / fw R V b Kig. 105 a n) Cilindro, stantuffo e cassetto di distribuzione del vapore. b ) Cassetto di distribuzione in particolare. ora da una parte ora dall’altra per imprimere allo stantuffo un movimento rettilineo alternato di andata e ritorno, che mediante opportuni pezzi a leva si trasforma in moto circolare, destinato a mettere in movimento ruote di opifici o di locomotive. Comunemente il vapore, dopo aver agito — 174 — sullo stantuffo, esce dal fumaiolo insieme ai prodotti della combustione, come si vede nelle locomotive delle strade ferrate ; in altri casi come nei piroscafi, il vapore dal cilindro passa in un recipiente, che si chiama condensatore, nel quale ritorna allo stato liquido. La caldaia della macchina a vapore è poi sempre munita del così detto manometro, (fig. 106 e 107) che ha l’aspetto di un particolare orologio, collocato nella parte anteriore della macchina, e che serve ad indicare, in atmosfere, a quale tensione si trovi il vapore nell’interno della caldaia. I manometri metallici usati nelle macchine a vapore sono analoghi ai barometri aneroidi. Il vapore si introduce in un tubo di metallo molto flessibile ed elastico, incurvato o a circolo completo (fig. 106) o incompleto (fig. 107), avente la sezione lenticolare, come il tubo dell’aneroide. Esso è fìsso ad un estremo, e libero all’altro, al quale o è direttamente applicato un indice (fig. 106), o è unito un congegno semplicissimo di leve e di ruote dentate che mettono in movimento un indice, (fig. 107) che segna su di un quadrante, graduato per confronto con un manometro ad aria libera. Innumerevoli sono le applicazioni delle macchine a vapore; la prima locomotiva fu costrutta da Giorgio Stephenson nel 1812 per la strada ferrata della officina Killingsvort (Inghilterra) ; e il primo piroscafo in Europa, costrutto dall’americano Fulton, lo si vide sulla Sema a Parigi nel 1803. 3Ieteoi*e. — I fenomeni che avvengono nell’atmosfera Fig'. 106 — Manometro metallico. 175 — si dicono meteore: così i venti, la nebbia, le nubi, la pioggia, la brina, la neve, sono meteore. I venti sono correnti aeree con direzione e velocità varie, prodotte dalla differenza di temperatura fra due luoghi diversi. Diconsi regolari i venti che soffiano sempre e con certe norme di durata e di direzione; irregolari quelli che spirano in qualunque tempo e luogo senza norme che regolino la loro direzione e durata. Così sono venti regolari gli alisei, che soffiano continuamente in una grande zona, tagliata in mezzo dell’equatore terrestre, sicché nell’emisfero nord soffiano da nord-est a sud-ovest, e nell’emisfero sud da sud-est a nord-ovest. I venti regolari poi possono essere costanti o periodici, a seconda che spirano sempre o solo in certe epoche. Così, mentre i venti alisei sono costanti, -sono invece periodici i monsoni, venti che soffiano dalla costa orientale dell’Africa ad est attraverso l’arcipelago indiano lino alle isole coralline nell’Oceano pacifico, per sei mesi dai continenti (inverno) verso il mare, e per altri sei mesi (estate) dal mare verso i continenti. Sono venti regolari periodici le brezze di terra e le brezze di mare, che spirano ora dal mare verso terra, ora dalla terra verso il mare. Un esempio di venti regolari periodici l’abbiamo anche nei nostri laghi: quello che spira dal lago verso terra chiamasi volgarmente breva, e col Fig. 107 — Spaccato posteriori-: DI MANOMETRO METALLICO DI BOURDOX. ftjLJ '». nome di tirano (specialmente nel lago di Como) indicasi quello che spira dalla terra verso il lago. Franklin sperimentalmente provò che la causa generale dei venti è la ineguaglianza di temperatura, e quindi di densità dell’aria fra due luoghi diversi. Egli pose una candela accesa verso il basso della porta che metteva in comunicazione due stanze diversamente riscaldate, e una seconda candela accesa verso l’alto della stessa porta. Egli vide che la fiamma della prima candela si diresse dalla stanza fredda alla calda, quella della seconda, dalla stanza calda alla fredda. Stabili per tal modo che fra le due stanze aventi diversa temperatura vi sono due correnti, una in basso ed una in alto. Ora, siccome si sa che l’aria calda è più leggera dell’aria fredda, è facile capire che l’aria riscaldandosi si solleverà, formando una corrente alta, e il posto da essa lasciato vuoto verrà occupato da altra aria fredda, la quale darà luogo ad una corrente bassa. Così per es., se sulla china di un monte cade una certa quantità di neve, l’aria in contatto con essa si raffredda, diventa più pesante, e scende a valle. Per tal modo si spiega il detto che corre sulla bocca di tutti “ ha nevicato ai monti „ allorquando si sente un’arietta frizzante che scende dal nord, e che ci annuncia l’approssimarsi dell’inverno. La direzione del vento viene generalmente indicata con una banderuola (a nemoscopio), posta sull’alto degli edifici, e la velocità è spesso determinata mediante un apposito e particolare mulinello ( anemometro ), che fa, a seconda della velocità del vento stesso, un certo numero di giri in un tempo determinato. La direzione è riferita ai quattro punti cardinali ed ai punti intermedi, e la velocità si misura in metri, ed è lo spazio percorso in un minuto secondo. I venti irregolari sono assai frequenti, e ad ogni cambiamento di temperatura, ad ogni caduta di pioggia o di — 177 — neve producesi qualche movimento nell’atmosfera, quindi correnti d’aria o venti di cui non è sempre possibile predire la direzione e la velocità. Terribili meteore, che per fortuna avvengono raramente nell’atmosfera, sono i cicloni e le trombe. 1 cicloni sono venti che, mentre girano intorno ad un asse, si avanzano nel tempo stesso. Si formano specialmente nei mari caldi, non lungi dai tropici, e comprendono masse d’aria aventi un diametro che varia dai 15 ai 45 chilometri all’ora. Le trombe hanno grande analogia coi cicloni, ma consistono in colonne d’acqua o di vapore acqueo che s’innalzano dal mare, e vanno a raccogliersi superiormente in una nube, colla quale si uniscono, prendendo la forma di un cono rovesciato. Alla base della tromba l’acqua è in violenta agitazione, e la colonna è animata da un movimento vorticoso mentre procede percorrendo una linea affatto irregolare. Tale colonna d’acqua sale ad un’altezza che varia da 10 ad oltre t>00 metri, e il movimento di traslazione può avere una velocità di circa un chilom. all’ora. Le trombe sono sempre pericolosissime anche per le più grosse navi. Si citano esempi di trombe marine che procedettero dal mare sulla terra, avanzandosi per molti chilometri e rovinando quanto incontrarono nel loro cammino. V’hanno anche le trombe di terra, che compaiono Figura 108 — Tromba marina. wmmà (mrn. Wm? wmà Ssf'/Z-x -vsj-z: Anastasi e Belletti. — Scienze Naturali. 12 — 178 - spesso quando l’atmosfera è calma, eccedendo in grandezza le trombe marine. Superano talora i 300 metri di larghezza: sono animate da due movimenti, l’uno rotatorio, l’altro di traslazione: abbattono caso, sradicano alberi, e, accompagnate spesso da nembi di pioggia, arrecano la massima rovina ovunque passano. Nell’aria atmosferica esiste sempre una certa quantità di vapore acqueo che ha una relazione costante con la temperatura dell’aria stessa. Una prova dell’esistenza del vapore acqueo nell’aria l’abbiamo in quel velo d’acqua che si deposita sulle pareti di un vaso contenente, in estate, dell’acqua fredda. Allorquando la terra è umida e più calda dell’aria, il vapore acqueo che questa contiene si solleva, ma incontrando ben tosto gli strati freddi dell’aria, esso si condensa in piccolissime goccioline, sicché si rendo visibile costituendo la nebbia. Può dirsi dunque che la nebbia è una massa di vapore acqueo condensato, che occupa le regioni basse dell’atmosfera, offuscandone la trasparenza. Se le masse di vapore acqueo, invece di occupare le regioni basse dell’atmosfera, occupano quelle elevate, esse formano lo nubi , che presentano forme e colori diversi: per la forma distinguonsi i cirri, i cumuli, gli strati e i nembi. Allorquando il vapore acqueo formante le nubi si condensa e si raffredda per modo da passare allo stato liquido, esso cade attraverso l’aria sulla terra, costituendo la pioggia. La quantità di pioggia che cade si misura, mediante il pluviometro, in millimetri. Così leggendosi p. es. che nel tal luogo sono caduti mm. 57 di pioggia, si deve intendere che se la pioggia caduta in quel luogo non fosse evaporata» nè si fosse infiltrata nel terreno, ma fosse tutta rimasta sul suolo, vi avrebbe formato uno strato alto 57 mm. Se nelle regioni delle nubi la temperatura discende a 0° od anche al di sotto, il vapore acqueo atmosferico si condensa al punto da passare prima allo stato liquido, quindi al solido, congelandosi e formando dei piccoli cristallini di ghiaccio aghiformi, aggruppati in modi diversissimi, costituenti la neve. La rugiada è vapore acqueo atmosferico, che sotto forma di goccioline minutissime si deposita sui corpi durante la notte, in seguito al loro ralfreddamento. La rugiada non si forma se l’aria è secca, oppure agitata dal vento, o ingombra di nubi. Se i corpi su cui va a condensarsi nella notte il vapore acqueo hanno una temperatura inferiore a 0°, esso si congela, formando la brina. La grandine , alla cui formazione pare concorrano, oltre alFabbassamento rapido di temperatura delle alte regioni dell’atmosfera, altre cause non ancora bene determinate, è acqua congelata in un modo particolare, cioè a strati concentrici e di diversa limpidezza, formanti un globetto della grossezza variabile di un chicco di granoturco a quella di un uovo. Disastrosa sempre è la grandine per le località colpite, ed oggi si fanno esperienze intese a provare se è possibile impedire la formazione della grandine coll’innal- zare nell’aria atmosferica una potente colonna di gas prodotto dalla combustione della polvere nello sparo dei così detti cannoni grandinifughi. Nell’atmosfera avvengono altri fenomeni dovuti alla elettricità , quali sono il lampo, il tuono e il fulmine. Il lampo è una luce abbagliante ed istantanea, prodotta da una scintilla elettrica, o da un complesso di scintille elettriche, che scocca tra due nubi cariche di elettricità contrarie. La luce del lampo è bianca nelle regioni basse dell’atmosfera, ma nelle elevate, dove l’aria è più rarefatta, ha una tinta violacea. Talvolta i lampi hanno una lunghezza di parecchi chilometri, e nell’aria seguono un cammino a zig-zag; fenomeno questo che si attribuisce alla resistenza dell’aria - 180 - compressa da una forte scarica, per cui la scintilla devia dalla linea retta per prendere la direzione nella quale la resistenza è minore. Il lampo è sempre accompagnato da una detonazione più o meno forte, detta tuono, effetto della violenta commozione che le nubi e l’aria subiscono per opera della scarica elettrica. Qualche volta il tuono è un colpo secco e di breve durata ; più spesso è un rumore prolungato di intensità ineguale, il che dipende dalla lunghezza della linea in cui avviene la scarica elettrica, e dall’eco che ripercuote il tuono. Lampo e tuono sono sempre contemporanei, e l'inter- vallo, talora anche di parecchi secondi, che passa spesso fra questi due fenomeni, proviene dalla differenza tra la velocità del suono, che è di 340 m. al minuto secondo, e quella della luce che si aggira intorno ai 300000 Km. al secondo. Il fulmine è la scarica elettrica che avviene tra una nube temporalesca e la terra (fìg. 109) o tra la terra e una nube. Esso colpisce di preferenza gli oggetti più vicini alle nubi, e i corpi migliori conduttori della elettricità, come gli edificii elevati, gli alberi alti, i corpi metallici. Gli effetti del fulmine sono svariatissimi : esso uccide gli animali, accende le sostanze combustibili, fonde i metalli, riduce in frammenti i corpi cattivi conduttori. Quando penetra nel suolo fonde le sostanze silicee che trova nel suo passaggio, producendo per tal guisa, nella direzione della scarica certi tubi vetrificati, detti fulgoriti, che sono talora lunghi persino una decina di metri. In generale dove cade un fulmine si diffonde un odore che si è paragonato a quello dello zolfo infiammato o del fosforo; ma realmente è dovuto all’ossigeno elettrizzato dell’aria, che i chimici chiamano ozono. A preservare gli edifici dal fulmine, l’americano Franklin inventò nel 1775 il parafulmine. È questo un’asta di — 181 ferro (fig. 110) A b acuminata alla sua estremità superiore, e dorata alla punta per preservarla dalla ruggine, impiantata solidamente sulla parte più alta degli editici. Dal piede di quest’asta scende lino al suolo un filo o un cordone me- 18 g|ggjg] -K2& ^KÉflìtfi Figura 109— Fulmine. fallico (qualche volta due) c l) c’ d’, che termina in un pozzo E E, o in uno strato umido del terreno E’ F’. Il parafulmine ha lo scopo di neutralizzare l’elettricità delle nubi temporalesche che passano sopra l’edificio su cui è fissato; e per conseguenza non solo impedisce l’accumulazione della elettricità nella terra, ma tende a ridurre le nubi allo stato naturale, effetti questi che cospirano entrambi a prevenire la caduta del fulmine. Talora però lo svolgimento della elettricità è sì abbondante, che il parafulmine non è sufficiente a scaricare il suolo, ed il fulmine scoppia: ma allora la scarica colpisce il parafulmine a motivo della sua maggiore conduttività, e l’edifìcio è preservato. - 182 - L’esperienza ha dimostrato che un’asta di parafulmine protegge efficacemente all’ingiro uno spazio circolare di un raggio doppio della sua altezza. Così per es. un edificio, la A ! Edificio con parafulmine. Fig. 110 cui pianta potesse inscriversi in un circolo del raggio di 10 m., potrebbe essere difeso da un parafulmine posto nel punto di mezzo del tetto, ed avente l’altezza di 5 m., o da due alti m. 2,50 e distanti 10 m. l’uno dall’altro. — 183 - CAPITOLO VI. Elettrologia. Quantunque già 600 anni prima di Cristo si conoscesse qualche cosa intorno a questa straordinaria energia della natura, che chiamasi elettricità , si può dire che solo il secolo scorso veramente ne ha fatto progredire gli studi in modo ammirabile. — Se noi prendiamo un bastoncino di ceralacca o di vetro ben asciutto, e lo strofiniamo fortemente con un pannolano pure ben secco, indi lo avviciniamo a pezzettini di carta, vediamo che questi vengono attirati. Ciò vuol dire che lo sfregamento sviluppa l’elettricità alla superficie della ceralacca e del vetro. Questo fatto non avviene quando soffreghiamo una verga di ferro; ma se avvolgiamo più volte una porzione della verga di ferro in una stoffa di seta, e la teniamo per questa in mano, riusciamo ad attirare dei pezzettini di carta. Ciò significa che allorquando tenevamo in mano la verga di ferro senza la seta, l’elettricità, attraversando il nostro corpo, si perdeva nel suolo, di mano in mano che si sviluppava sulla superficie della verga: mentre quando la verga è involta nella se'ta, questa impedisce alla elettricità di giungere fino alla nostra mano, e quindi rimane sul ferro. Nella ceralacca e nel vetro invece l’elettricità resta là dove lo sfregamento l’ha sviluppata : per questa ragione si dice che il ferro, il corpo umano, la terra, l’acqua sono buoni conduttori della elettricità ; mentre la ceralacca, il vetro, lo zolfo, la seta, sono cattivi conduttori. L’impedire il passaggio alla elettricità attraverso ad un corpo buon conduttore mediante un corpo cattivo conduttore, si dice isolare quel corpo. Per produrre molta elettricità furono inventati certi apparecchi, detti macchine elettriche. 184 — Fra le macchine elettriche, o più propriamente elettro- statiche, una delle più note è quella di Ramsden (fìg. 111). E questa formata da un disco di vetro a portato dal sostegno o, e messo in movimento dal manubrio M. Girando sul ite V!.IXÌ aagagL-ij-L" ^ Fig. Ili — Macchina elettrica. a. Disco di vetro portato dal sostegno (), che, messo in movimento dal manubrio M , sfrega fra i cuscinetti F F , e si elettrizza. La sua elettricità viene dai pettini P trasmessa ai conduttori metallici C C \ mentre l'elettricità dei cuscinetti si disperde nel suolo mediante la catenella metallica D. proprio asse viene soffregato fortemente dai quattro cuscinetti p F, in mezzo ai quali è obbligato a passare, e così si elettrizza. La elettricità da esso assunta, per mezzo dei pettini l* viene trasmessa ai conduttori C c, che sono iso- — 185 - lati, cioè sostenuti da quattro colonnette di vetro; mentre la elettricità dei cuscinetti si disperde nel suolo mediante la catenella metallica D. Più tardi si pensò di condensare una grande copia di elettricità e conservarla quindi per qualche tempo; e l’olandese Muschenbrock, professore di fìsica nell’Università di Leida, casualmente inventò quel condensatore che assunse poi il nome di bottiglia di Leida. Se si avvicina la nocca di un dito al collettore d’una macchina elettrostatica in azione, o se si scarica una bottiglia di Leida con opportuno scaricatore, si ottiene una scintilla che può avere diversa lunghezza, diversa luminosità e diverso colore. La lunghezza può variare da un millimetro fino a 60 e più centimetri, come si osserva nelle scintille ottenuto con potenti rocchetti di Ruhmkorff; la luminosità dipende dalla quantità di elettricità impegnata nella scarica ; e il colore della scintilla dipende specialmente dalla natura del gas che attraversa. NeH’aria, a pressione ordinaria, è bianca e brillante ; nell’aria un po’ rarefatta è rossastra ; nel vuoto violacea, nell’idrogeno rossa ; verdastra nell’anidride carbonica. L’aspetto e il colore della scintilla elettrica si osservano molto bene nei tubi di Geissler, nei quali appunto si trovano rinchiusi diversi gas a piccolissima pressione. Se si spinge ancor più lontano la rarefazione, si arriva insensibilmente ad un’altra forma di scarica ; e quando la pressione è ridotta a qualche milionesimo di atmosfera, come nei tubi di Crookes, si osserva un nuovo fenomeno : ogni luminosità scompare, e il vetro presenta nella regione opposta al polo negativo, o catodo, una viva fluorescenza di color verde. Le radiazioni emesse dall’elettrodo negativo sono state chiamate raggi catodici. Questi raggi sono arrestati da certi corpi, quali sono le lamine metalliche, il vetro, il mica; mentre ne attraver- - 186 - sano altri, come le lamine sottili di alluminio : ed oltre a rendere fluorescente la porzione di vetro che colpiscono, producono delle altre radiazioni oscure, che noi non vediamo, e che sono dette raggi X o raggi di Rontgen. I raggi di Rontgen hanno la proprietà di attraversaro liberamente certi corpi opachi, il cartone, il legno, l’ebanite, i muscoli e i tessuti animali; e sono invece arrestati da altri corpi, i metalli, i sali di calcio, le ossa; ed infine possono impressionare le lastre sensibili fotografiche, e destare la luce per fluorescenza su schermi ricoperti di alcune sostanze, e specialmente di platinocianuro di bario. Sui principi qui brevemente accennati sono fondati i duo procedimenti, oramai notissimi, della radioscopia e della radiografia, che hanno già reso utilissimi servigi alla medicina ed alla chirurgia. Ma una scoperta ed un’ invenzione fatte alla line del secolo XVIII portarono una vera rivoluzione negli studi della elettricità. Luigi Galvani, professore di fisiologia all’Università di Bologna scoperse nel 1789 che ogniqualvolta i nervi lombari di una rana scorticata e morta di recente vengono fatti comunicare, mediante un metallo, coi muscoli di una gamba, la rana si contrae fortemente. — Interpretò Galvani il fatto ammettendo che esisteva una elettricità propria della rana, e di tutti gli animali in generale, e considerò quindi il corpo degli animali come un vero condensatore, una bottiglia di Leida che per il fenomeno della vita spontaneamente si scarica. — Alessandro Volta, professore di fisica all’ Università di Pavia, rifacendo l’esperienza di Galvani, notò che la esperienza riusciva assai meglio ricorrendo ad un arco formato di due metalli, p. es. rame e zinco, saldati insieme, e pensò che nel contatto dei due metalli diversi si producesse la elettricità, per causa della quale avvenivano le contrazioni nella rana. Basandosi su ciò Volta inventò nel 1799 la sua meravigliosa pila che fu il principio dei grandi progressi fatti dalla elettricità nel passato secolo. — 187 — La pila di Volta è costituita da dischi di rame e di zinco insieme saldati, collocati gli uni sugli altri a modo di colonna o pila, ma in modo che tutti quelli di rame siano rivolti da una parte, quelli di zinco dall’ altra. Fra le coppie è posto un disco di panno inzuppato di acqua aci- dulata con acido solforico, e ai dischi estremi o poli, 1’ uno di zinco, 1’ altro di rame, sono applicati due fili di rame, i reofori della pila : il rame costituisce il polo negativo, lo zinco il polo positivo della pila, fra i quali si stabilisce una corrente elettrica, ammettendosi che, a circuito chiuso, S Fiff, 112 — Pila di Buxskn. la corrente circoli, in una pila voltaica, dal polo positivo al negativo nella parte esterna, e dal negativo al positivo nella parte interna. La pila di Volta però dà una corrente che presto si indebolisce, ed era quindi evidente che altri fisici inventassero altre pile, fra cui quella a due liquidi, di Danieli e di Bunsen. La pila di Bunsen (fig. 112) è costituita da un vaso esterno di maiolica o di vetro F, entro al quale è posto un manicotto di zinco z : in esso trovasi un vaso di terra non verniciata, in cui si colloca un cilindro od un prisma di carbone di storta. I liquidi impiegati sono : nel vaso esterno acqua acidulata (ljlO) con acido solforico, nel vaso utterno acido azotico. — 188 — Vi sono anche pile ad un solo liquido, ed una delle più usate è quella di Leclanché. La primitiva pila Leclanché era formata da un vaso di vetro contenente una soluzione di sale ammoniaco (gr. 250 di sale per ogni litro d’acqua), nella quale era immerso un cilindro di zinco formante il polo negativo, mentre il polo positivo era formato da un prisma di carbone di storta circondato da un miscuglio di ossido di manganese e di coke frantumato, contenuto in un vaso di terra porosa. Numerosissimi sono gli usi delle pile per gli svariatissimi effetti che esse possono produrre, effetti che soglionsi raggruppare in tre categorie: effetti fìsici, effetti chimici, effetti fisiologici. — Fra gli effetti fisici hanno speciale importanza quelli calorifici, luminosi e magnetici : così se noi componiamo una potente pila con venti elementi Bunsen, e chiudiamo il circuito con un sottilissimo filo di platino, lo vedremo tosto arroventarsi e spander luce. — Questa esperienza è il principio su cui è basata la illuminazione con lampade ad incandescenza, le quali consistono in filamenti di carbone chiusi in ampolle di vetro (fig. 113) vuote d’aria, e portati alla incandescenza dal calore sviluppato dalla corrente. Non devesi però confondere la illuminazione ad incandescenza con la luce elettrica che brilla fra le punte di due cilindretti di carbone, posti nel circuito di una poderosissima pila. — La prima esperienza fu fatta da Davy nel 1808 con una pila di 3000 coppie di Volta; e nelle scuole si usa ripeterla con l’ap- Kig. 113 — Lampade elettriche NCANDESCENZA. — 189 n Fiì* - . 114 Arco voltaico parecchio segnato dalla figura 114. È formato da due cilindri di carbone di storta, terminati in punta a-b, completamente isolati, ed inseriti nel circuito di una potentissima pila. Affinchè però fra le punte dei due carboni si sviluppi la luce, occorre che siano ad una certa distanza, che nelle lampade così dette ad arco , è mantenuta costante da ingegnosi apparecchi automatici, i regolatori, che servono a ravvicinare i carboni di mano in mano che si consumano. Non si può esaminare direttamente l’aspetto dell’ arco, rimanendo l’occhio abbagliato dal suo grande splendore ; ma è possibile averne una fotografia; e si vede allora che il carbone in corrispondenza col polo positivo si consuma più di quello posto al negativo, e presenta una particolare incavatura (fìg. 115). Si crede che la temperatura di questa specie di cratere sia di circa 8500°, cioè quella di vaporizzazione del carbonio, ed alla quale quasi tutti i corpi si fondono e si volatilizzano. La quantità enorme di calore così ottenuta viene utilizzata nei forni elettrici, dei quali la parte essenziale è appunto un arco voltaico alimentato da correnti di straordinaria intensità. — Ne approfitta l’industria per vari usi, fra cui la preparazione del carburo di calcio, impiegato per la produzione del gas acetilene. Le correnti elettriche possono anche magnetizzare il ferro o OH Fìg. 115 — Carboni dell’arco voltaico. — 190 — l’acciaio, come vedremo più avanti parlando del magnetismo. Gli effetti chimici delle correnti elettriche consistono nella decomposizione di alcuni corpi composti, quali l’acqua, l'acido cloridrico ed altri molti, e dei sali metallici : su quest’ ultimo effetto sono basate due importantissime industrie: la galvanostegia e la galvanoplastica. Consiste la prima nel decomporre sali metallici (d’oro, d’argento, di nikel, di platino), per coprirne metalli diversi, avendosi così la doratura, l’inargentatura, la nichelatura ecc. ; e la seconda nel decomporre il solfato di rame, per ottenere poi il metallo depositato in stampi o modelli rappresentanti medaglie, monete, clichés, ed anche statue di non piccole dimensioni. Gli effetti fisiologici sono quelli che le correnti elettriche producono sugli animali, e consistono in scosse e contrazioni muscolari assai energiche quando le pile siano potenti. Prendendo colle mani i reofori di una forte pila di Bunsen, 50 o 60 elementi, la scossa è assai forte; con 150 o 200 è insopportabile ed anche pericolosa. Però, più che ad un numero grandissimo di pile, oggi si ricorre ad uno speciale apparecchio d 'induzione che è il Rocchetto di Ruhmkorff, col quale anche una debolissima pila può produrre effetti potentissimi. — Negli Stati Uniti d’America la corrente elettrica viene impiegata come mezzo di esecuzione della pena capitale. CAPITOLO VII. Magnetismo ed Elettromagnetismo. Esiste in natura un minerale di ferro che ha la proprietà di attirare il ferro, l’acciaio e pochi altri metalli. Se ne trova in molte località, e i Greci antichi che lo avevano trovato presso la città di Magnesia, nell’Asia Minore, lo chiamarono Magnete, mentre oggi dicesi Magnetismo la - 191 — proprietà che tale minerale possiede. Con questo minerale, detto anche ossido di ferro magnetico o calamita naturale, si può strofinare una sbarra di acciaio, ed ottenere così una calamita artificiale. Una sbarra d’acciaio magnetizzata presenta massima l’energia magnetica in due punti assai prossimi alle due estremità, i quali si dicono poli. Se noi sospendiamo una sbarra magnetizzata per un filo, in modo che possa muoversi liberamente in un piano orizzontale, e accostiamo ad uno dei suoi poli una calamita, vediamo che mentre un polo della calamita attira un polo della sbarra, 1’ altro lo respinge. Se noi osserviamo bene il fenomeno, vediamo che sempre un polo attira o respinge l'altro, ciò che si esprime dicendo che i poli simili si respingono e quelli contrari si attraggono. Kig. 116 Bussola. Fig. 117 Bussola marina. Una piccola sbarra d’acciaio magnetizzata, comunemente in forma di losanga (rombo), sospesa in modo che possa muoversi in tutte le direzioni in un piano orizzontale, chiamasi ago magnetico. Se noi lasciamo in quiete un ago magnetico, vediamo che prende sempre una certa direzione, nella quale ritorna se lo facciamo deviare; e se osserviamo bene questa direzione, ci accorgiamo che un polo dell’ ago è rivolto verso il Nord, e l’altro verso il Sud. La Bussola (fig. 116-117) non è altro che un ago calamitato, sostenuto da un perno, intorno al quale esso gira liberamente. Molteplici sono gli usi della bussola, la quale ci permette di orientarci in ogni tempo ed in tutti i luoghi, poiché quando si conosce il Nord, gli altri tre punti cardinali si trovano facilmente. Essa rende quindi immensi servigi in particolar modo ai marinai. Flavio Gioia, di Amalfi, nel secolo XIV fece conoscere all’Europa la bussola, che i Chinesi avevano inventata molto tempo prima. Oggidì non si fabbricano più le caiamite artificiali collo strofinamento di una calamita naturale su d’ una sbarra di acciaio, ma mediante una corrente elettrica che passa entro Fig. 118 — Linea telegrafica. L ^ imam ssfijp» un filo di rame ricoperto di seta, avvolto intorno alla spranga d’acciaio che si vuol calamitare. Se alla spranga d’acciaio se ne sostituisce una di ferro dolce, essa si magnetizza, e continua ad essere magnetizzata fintantoché dura la corrente, ma quando la corrente cessa, cessa anche l’azione magnetica nella sbarra stessa. Si fa così una elettro-calamita, la quale costituisce la parte fondamentale del telegrafo elettro- magnetico. Infatti supponiamo che una pila elettrica B sia posta a Lugano A (fìg. 118), e che mediante un filo di ferro L-L', sostenuto da corpi isolanti, costituente la linea telegrafica, comunichi con uno speciale apparecchio detto ricevitore, - 193 - collocato a Mendrisio A , nel quale sia una elettro-calamita E-F (fig. 119). Questa, ricevendo la corrente della pila trasportata per mezzo della linea telegrafica, si magnetizza e quindi attira a sé un’asticciuola di ferro a leva A-D che le sta vicino. Al cessare della corrente, cessa anche l’azione della elettro-calamita, e l’asticciuola di ferro, prima attratta da essa, se ne allontana per effetto anche di una molla r che le è applicata. Fig. 119 Rjcrvjtorf. Ora, se a brevissima distanza dalla estremità del braccio della leva opposto a quello che viene attratto dalla elettrocalamita, è collocato un nastro di carta p che scorre nella direzione indicata dalla freccia, per essere messo in movimento da un meccanismo d’orologeria K, e se la estremità stessa della leva è munita di una punta o di un dischetto mobile, continuamente intriso di una sostanza colorante nera, come potrebbe essere l’inchiostro da stampa, è facile capire che questa punta toccherà la carta ogni volta che la leva viene attratta dalla elettro-calamita, e farà su di essa un punto se il contatto è brevissimo, traccerà invece una lineetta se il contatto è di maggiore durata. Potendo noi da Lugano, me- Anastasi e Belletti — Scienze Naturali. 13 — 194 - diante un altro speciale apparecchio, detto Manipolatore (fig. 120), chiudere ed aprire il circuito elettrico in modo che la corrente sia di breve o di lunga durata, l’asticciuola a leva del ricevitore di Mendrisio segnerà a nostro piacimento sul nastro di carta mobile dei punti o delle lineette. Ora combinando convenzionalmente insieme questi punti e queste linee per modo che abbiano a rappresentare le lettere dell’alfabeto e le cifre numeriche, potremo avere il cosi detto alfabeto telegrafico, per mezzo del quale potremo comunicare con altri a qualsivoglia distanza. Un tale telegrafo è detto telegrafo-elettro-magnetico scrivente di Morse, dal nome del suo inventore Samuele c. Fig. 11Ì0 — Manipolatore. Morse di Charleston (Stati Uniti), che nel 1835 ne presentò un modello, da lui stesso costrutto, alla Università di New- York. Il primo telegrafo elettro-magnetico fu posto in attività negli Stati Uniti nel 1844 fra Washington e Baltimora, e da allora fu adottato dovunque. V’hanno però anche altri apparecchi telegrafici, migliori del descritto : così alcune città sono in comunicazione fra di loro col telegrafo stampante di Hughes, mediante il quale il ricevitore stampa direttamente il dispaccio in caratteri tipografici, senza bisogno di alfabeto convenzionale; e i più importanti centri commerciali, p. es. Parigi e Lione, sono provvisti anche del pantelegrafo Caselli, apparecchio in- — 195 - gegnosissimo, per mezzo del quale è possibile avere la esatta riproduzione del carattere e della lìrma dei corrispondenti. E se in luogo di una o più frasi si vuole trasmettere delle note di musica, un disegno, un piano, un ritratto, il pante- legrafo riproduce tosto alla stazione d’arrivo, fosse pure distante più centinaia di chilometri, ogni punto, ogni linea di quanto fu scritto e disegnato da chi inviò il dispaccio. Questo apparecchio fu inventato dall’abate Prof. Giov. Caselli di Siena nel 1856, che lo perfezionò poi successiva- Fig. 121 — Soneria elettrica. m Spaccato d'interruttore — m’ Interruttore — p Pila — b Campanello. mente a Parigi, con la cooperazione dell’insigne costruttore francese Froment. Una comunissima ma non meno importante applicazione delle elettro-caiamite l’abbiamo nella soneria elettrica (campanello elettrico) (fig. 121). In questo apparecchio la corrente elettrica prodotta dalla pila P passa sull’elettrocalamita E, e la magnetizza: ben tosto l’àncora portante il battaglio B viene attirato, e dà un colpo alla piccola campana di bronzo. La corrente è allora momentaneamente interrotta, poiché il battaglio non è più in contatto colla vite C, 196 — a cui mette capo il reoforo negativo della pila. Per effetto appunto di questa interruzione della corrente, l’elettro-ca- lamita non è più magnetizzata, ed allora 1’ àncora a cui è unito il battaglio, per effetto della molla a cui è attaccata, ritorna nella sua posizione primitiva, e quindi viene di nuovo a contatto della vite c. Si ristabilisce così ancora la corrente, la quale di nuovo magnetizza l’elettrocalamita: il battente percuote il campanello, e così di seguito, determinando una serie di percosse nella campana, che durano fino a che è chiuso il circuito. — L’apertura e la chiusura del circuito si praticano mediante Vinterruttore a bottone m m’ (fig. 121). È questo formato da un disco di legno o di porcellana, a superfìcie inferiore concava, nel centro del quale è posto un bottone o cilindretto di porcellana o di ebanite, il quale (fig. 121 m), premuto, va ad urtare contro una leggera molla d’ acciaio o di ottone, che può toccare un pezzo metallico, a cui mette capo uno dei reofori della pila, mentre l’altro reoforo è congiunto alla molla che può esser mossa dal bottone : il tutto poi è portato da un disco piano di legno. Esercitando quindi sul bottone stesso una leggera pressione, si chiude il circuito, cessando la pressione, il circuito si apre, e la soneria non funziona più. Telefono. — Un’altra non meno importante nè meno comune applicazione dell’elettrocalamita l’abbiamo nel telefono, apparecchio che serve per trasmettere a distanze molto notevoli i suoni, e quindi anche le parole. Distinguiamo due specie di telefoni: il telefono magnetico e il telefono a pila od elettro-magnetico. Il telefono magnetico (fig. 122) è formato da una calamita rettilinea A rinchiusa in una impugnatura di legno o di ebanite. Ad una delle estremità, e sopra un rocchetto di legno B, è avvolto un filo di rame, lungo, sottile e ricoperto di seta, i cui capi f ed f’ scendono lungo la impugnatura, e ne escono mettendo capo ai due serrafili V e V’. Un disco di ferro dolce, di due o tre 197 — decimi di millimetro di spessore M è incastonato per il suo contorno, un po’ davanti alla calamita, fra la parte ampliata che finisce l’impugnatura e una imboccatura E in legno a foggia di imbuto molto concavo, il cui fondo, munito di un foro, lascia vedere una porzione del disco di ferro. Uno di tali apparecchi serve da trasmettitore; un altro, affatto identico, è il ricevitore. Come funzioni questo telefono facilmente si capisce. Infatti se si produce un suono davanti alla imboccatura del trasmettitore, le vibrazioni dell’aria fanno vibrare il disco di ferro dolce, il quale avvicinandosi od allontanandosi dall’estremità delia calamita produce delle correnti ora in un senso, ora in senso opposto, le quali — TELEFONO. trasmesse alla calamita del ricevitore per mezzo dei fili metallici, fanno sì che il disco posto davanti ad essa entri in vibrazione, e le sue vibrazioni trasmesse all’aria riproducano i suoni e le parole. Un tale apparecchio, che serve solo per piccole distanze, è stato con molto vantaggio sostituito dall’attuale telefono a pila, mediante il quale si può parlare a distanze grandissime, come da Lugano a Zurigo, e più oltre ancora. Questo telefono ha per ricevitore un vero telefono a calamita, mentre il trasmettitore è più complicato, esendovi applicato un nuovo apparecchio delicatissimo, e pure semplicissimo, destinato a riprodurre anche i piccoli suoni, che chiamasi microfono, inserito in un circuito che comprende la pila, il filo di linea e il telefono 198 - ricevitore. Trasmettitore e ricevitore comunicano quindi fra di loro mediante fili metallici, i quali, sostenuti da corpi isolanti, vanno di palo in palo, da un luogo all’altro, costituendo la line a telefonica. Macchine d’indnzione o dinamo-elettriche. — Come le correnti elettriche producono magnetismo, così le caiamite svolgono delle correnti elettriche, come si vede nel telefono calamita. Su questo fatto sono fondati certi apparecchi generatori di correnti detti dinamo-elettriche o semplicemente dinamo, nei quali la energia elettrica si ottiene a spese dell’energia meccanica. La importanza di tali apparecchi, entrati ora nell’industria, va sempre crescendo, e il loro studio costituisce uno dei rami più importanti e più fecondi della elettro-tecnica. Noi dovremo accontentarci di darne un brevissimo cenno. Ogni macchina d'induzione o dinamo (fìg. 123) comprende: l.° un induttore, formato da una calamita q da una elettro-calamita ; 2.° l'indotto, costituito da un sistema di conduttori, che divengono sedi di correnti, indotte ; 3.° un collettore, destinato a raccogliere le correnti le quali mediante le spazzole e i fili vengono condotte dove si vogliono utilizzare. Si distinguono due classi principali di dinamo-elettriche: a corrente continua, in cui la corrente va sempre nello stesso senso, come nelle pile o negli accumulatori, e a corrente alternata, nelle quali la corrente cambia di senso ad intervalli eguali di tempo. Queste macchine, talora piccole e di effetti minuscoli, talora enormi e di effetti colossali, sono messe in moto da cascate d’acqua, da macchine a vapore, e servono sopra tutto a mettere in movimento degli opifici, a dare luce, a caricare accumulatori elettrici, a muovere carrozzoni di Tramway o di ferrovie, e per altri usi industriali. Non devonsi confondere però le dinamo-elettriche coi 199 - motori elettrici, nei quali per mezzo delle dinamo si manda una corrente nell’indotto, e si ottiene così un moto di rotazione che può essere utilizzato per produrre lavoro meccanico. Anche i motori elettrici possono essere a corrente continua o a corrente alternata: i primi hanno una importantissima applicazione nei tramway elettrici e nelle ferrovie elettriche, mentre nelle carrozze automotrici la corrente viene fornita ai motori della vettura, collocati vicino alle ruote, da una batteria di accumulatori posti nella car- b '\ g . 123 — Dinamo. rozza stessa. Nel sistema a Ilio aereo (fig. 124), che è uno dei più usati, la corrente sviluppata da una potente dinamo M mossa da una cascata d’acqua, viene portata ai motori collocati sotto il letto della carrozza, presso alle ruote, mediante un’asta di ferro munita di una rotella scanalata u di bronzo, colloccata al di sopra della vettura, e di cui è mantenuto il contatto col filo aereo, durante :1 movimento, per mezzo di una robusta molla. La corrente elettrica necessaria viene prodotta, come si è detto, nella stazione centrale da - 200 una dinamo M, di cui uno dei poli è in comunicazione col filo aereo isolato, e l’altro è in relazione con le rotaie, che funzionano da conduttore di ritorno. Kig. 124 — Tramway - elettrico. Uopo quanto si è detto, è facile capire che, potendosi con una dinamo-elettrica far funzionare un motore elettrico, sarà senza difficoltà risolto il problema del trasporto del- Fenergia da un luogo all’altro. Così la corrente elettrica che fa muovere i motori del tramway di Lugano è prodotta a Maroggia, ove sono le dinamo mosse da una cascata d’acqua che viene dalla Valmara ed è trasportata a Lugano mediante grossi fili di rame sostenuti da cappelletti isolanti, come una linea telegrafica o telefonica. Sulle carrozze dei tramway di Lugano vi sono due aste metalliche che vengono poste in contatto, mediante opportune rotelle, con due fili aerei, poiché la corrente impiegata è trifasica ; ma' ci è impossibile parlare di tale particolare corrente elettrica in questo volumetto di coltura affatto elementare. Al filo aereo è stata sostituita oggi una terza rotaia , come nella ferrovia elettrica Porto-Ceresio Milano, colla quale viene in contatto una speciale spazzola, di cui è provvista la vettura motrice, in cui sono collocati gli opportuni motori elettrici, che trasformano l’energia elettrica in lavoro meccanico, facendo muovere i convogli. Non crediamo affatto inopportuno l’accennare qui brevemente, e nella maniera più chiara che ci sarà possibile, - 201 alla telegralia senza, fili , che oggi copre di gloria il suo inventore Marconi, giovane bolognese studiosissimo ; ma prima di parlare di ciò, dobbiamo dare una idea delle cosi dette onde elettriche. La scarica elettrica (scintilla elettrica), ottenuta in certe condizioni, può paragonarsi ad un centro di scuotimento, poiché essa genera nel mezzo circostante delle vere perturbazioni od onde elettriche , le quali si propagano con una grandissima velocità, paragonabile a quella delle onde luminose. Il fisico tedesco Hertz è riuscito ad ottenerle producendo delle scariche, oscillanti più rapide di quelle che si possono ottenere nella scarica di una bottiglia di Leida. Un apparecchio molto opportuno per ottenere onde elettriche è Yoscillatore od eccitatore del Prof. Righi. È questo (fig. 125) formato da due sfere d’ottone A e B immerse Kigr. 125 — Oscillatore od kccitatorb dei, Prok. Righi. ®-~ ( completamente, a piccola distanza, nell’olio di vasellina o di paraffina, contenuto in un tubo di vetro o di ebanite, e munite di aste metalliche terminate pure in due sfere più piccole, che escono dal tubo. Avvicinando alle sfere esterne due conduttori, ad estremità sferica M ed N a cui vanno a metter capo i poli di un potente rocchetto di Ruhmkorff, si ottiene nell’intervallo fra le due sfere A B, in seno all’olio di paraffina, una scarica oscillante a rapidissime oscillazioni. Le onde elettriche per tal modo generate, si propagano rapidamente e a distanze grandissime nello spazio, e godono di notevoli proprietà. Investendo, p. es., delle polveri metalliche contenute in un tubo di vetro o o (fig. 126), detto coherer , diminuiscono assai la grandissima resistenza che 202 — queste oppongono al passaggio della corrente d’una pila p, sicché una soneria elettrica o inserita nel circuito, e che non funziona per la grande resistenza incontrata dalla corrente nelle polveri, si mette a suonare non appena il tubo è investito da un’onda elettrica. Questo è il principio del coherer a polveri metalliche, dovuto alle ricerche del Calzecchi e di altri fisici, e di cui con tanta abilità si è giovato il Marconi nelle sue interessantissime esperienze di telegrafia senza fili. Egli quindi produce in una stazione, che chiameremo trasmettitrice, delle ondulazioni elettriche mediante potentissimi apparecchi, e nella stazione ricevitrice, anche a distanza di migliaia di chilometri, come avviene tra l’Inghilterra e l’America del Nord, colloca un apparecchio ricevitore con coherer a polveri metalliche; e in luogo d’una soneria elettrica, pone il coherer in relazione con un ricevitore telegrafico di Morse, ed ottiene così la trasmissione di un telegramma, che in questo caso suolsi chiamare radiogramma. o d'h Fig. Ili — Coherer, Pila e soneria elettrica. AGRICOLTURA 1. L’Agricoltura è l’arte di ben coltivare la t'erra,' allo scopo di trarne il maggior profitto per Fuomo. Essa è la fonte prima delle ricchezze per la famiglia e per lo Stato; onde riuscire proficua, dev’ essere esercitata con intelligente attività, valendosi di tutte le indicazioni suggerite dalla scienza e dalla esperienza. L’agricoltore non deve ìmmobilizzarsi nella formula: « Così faceva mio nonno, così taceva mìo padre, — e così laccio anch’io. » — I nostri vecchi hanno sempre lavorato onestamente come sapevano ; essi non potevano indovinare le scoperte fatte ai nostri giorni. Sarebbe come rimproverarli perchè viaggiavano colla diligenza quando non si sapeva neppure che cosa fosse la ferrovia, o perchè accendevano i lumi ad olio nelle strade, mentre nessuno aveva mai parlato del gas e della luce elettrica. Oggi le cose sono mutate : le scienze naturali hanno di molto progredito, ed hanno fatto progredire l’arte della coltivazione della terra e le altre che alla stessa si connettono. Chi non vuol tener calcolo di tali progressi si condanna ad una sconfitta inevitabile sul campo della concorrenza. 2. Con una coltivazione razionale e con un lavoro intenso, l’agricoltore sa ottenere abbondanza di prodotti anche là dove il clima è ingrato ed il suolo è povero : mentre in certi paesi più ricchi di sole e dotati di un clima felice, essendo la terra trascurata o mal coltivata, riesce appena a mantenere uno o due abitanti per Kmq. In alcuni paesi settentrionali, (Svizzera, Olanda, Svezia, Norvegia) malgrado la rigidità del clima e la sterilità originaria del terreno, i contadini vivono in una modesta agiatezza; mentre in molti Stati del mezzodi, che posseggono condizioni favorevoli alle più svariate coltivazioni, si vedono grandi plaghe di terreno incolte o mal coltivate, sulle quali vive una classe agricola povera e priva magari del necessario. — 204 — La ragione deila differenza va cercata nel fatto che l’agricoltore dei paesi nordici è istrutto nell’arte sua e cerca di continuamente perfezionare la sua coltivazione, onde aumentare la quantità e migliorare la qualità dei suoi prodotti. 3. Istruzione agricola nel Ticino. — Il contadino ticinese, convinto della necessità dell’ istruzione, reclama da qualche tempo l’istituzione di una Scuola cantonale dì Agricoltura (1). Questo desiderio non è stato ancora soddisfatto: frattanto però lo Stato ha istituito una Cattedra ambulante di Agricoltura , al cui titolare gli agricoltori possono liberamente rivolgersi per istruzioni, suggerimenti, consigli ed analisi. In quella guisa che si consultano gli avvocati e i medici, si impari a con- . sultare anche gli agronomi; tanto più che questi, per lo più pubblici funzionari, rispondono gratuitamente. 4. Società agricole. — Aggregandosi ad una delle Sezioni della Società Ticinese d Agricoltura, la quale comprende più di 3500 membri ed è sussidiata dalla Confederazione e dal Cantone, l’agricoltore ticinese può trovare istruzi one ed appoggio. Dette Sezioni organizzano infatti delle conferenze, dei corsi d’innesto, dei corsi pei casari, delle Esposizioni locali e cantonali, pubblicano libri e periodici speciali pei contadini, — ed inoltre praticano la compera in comune (e quindi a miglior mercato) di sementi, di macchine agricole ecc. 5. Divisione dell’Agricoltura. — Presa nel suo significato etimologico, l’Agricoltura (dal latino ager, campo) significherebbe la coltivazione dei campi : ma in realtà essa comprende la coltivazione delle piante utili, e quindi la coltivazione, non soltanto dei campi, ma anche quella dei prati ( Praticoltura ), degli orti ( Orticoltura ), dei giardini Floricoltura), degli alberi da frutta ( Frutticoltura ), della vite ( Viticoltura), delle selve e foreste ( Selvicoltura e ( Forestieoltura ). Nè qui è tutto: siccome l’agricoltore ha bisogno degli animali domestici per aiutarlo nel lavoro (1) AWIstituto Elvetico di Locamo (scuola privata) è slata recentemente annessa una Sezione pratica di tigricoltura. — 205 — e per averne carni, uova, latte, burro, formaggio, lana, seta, miele, cera, letame eco.; così l’allevamento (lei bestiame nelle molteplici sue forme (Allevamento dei bovini, degli ovini e dei suini, Pollicoltura, Coniglicoltura, Piscicoltura, Bachicoltura, Apicoltura eco.) rientra pure nel quadro dell’ istruzione agricola. Naturalmente non ci è possibile riferire in poche pagine la considerevole massa di cognizioni ohe riguardano tutti i suaccennati oggetti: ci limiteremo qui a riassumere le nozioni più generali circa la coltivazione del terreno e la propagazione dei vegetali, soggi ungendo le più necessarie informazioni intorno alla fillossera ed alla foresti- coltura. Coltivazione del terreno. 6. I mezzi nei quali vivono i vegetali sono l’aria ed il terreno, che loro forniscono gli alimenti. Inoltre i vegetali come tutti i corpi viventi, hanno bisogno indispensabile di acqua; questa scioglie i sali contenuti nel terreno e ne rende possibile l’assorbimento per parte delle radici e porta in circolazione nell’interno della pianta i materiali che servono a nutrirla. La pianta, se nel terreno manca l’acqua, intristisce ed anche muore. Grande quantità d’acqua viene elargita al suolo dalle pioggie, dalle nevicate, dalle rugiade: ma in dati periodi, detti di magra, essa viene a mancare, e allora la siccità arreca gravi danni alle coltivazioni. Per ripararvi si ricorre alle irrigazioni regolari, mediante ruscelli derivati dai fiumi. Sui monti e sui ronchi dove non ci sono fiumi, si devono raccogliere le acque di sorgente ed incanalarle accuratamente per distribuirle alle case e stalle, ai terreni coltivati eco. Là dove un solo proprietario non arriva, si costituisca un Consorzio. Là dove mancano del tutto le sorgenti, si costruiscano delle cisterne per la conservazione dell’acqua piovana: nei periodi di siccità esso torneranno preziose. 7. Terreno agrario. — Dicesi terreno agrario quello strato di materiali terrosi che può essere facilmente esplorato dalle radici delle piante e che fornisce loro il necessario nutrimento. In esso si possono distinguere due strati: il più superficiale è chiamato strato coltivabile, od humus, ed è quello che viene smosso e concimato : esso è più o - 206 — meno soffice, poroso e di color bruno, perchè misto a radici morte e tinto dalle materie concimanti. Il secondo strato è detto sottosuolo. Nelle nostre pianure questo sottosuolo è formato di terreno alluvionale o di sedimento , vale a dire delle sabbie e ghiaie trasportate e deposte dalle acque: nei monti; al disotto dello strato superficiale, troviamo la roccia. 8. Elementi del terreno agrario. — Il terreno coltivabile contiene svariati elementi minerali (od inorganici), che sono assimilati dalle piante e restituiti nelle loro ceneri. I principali fra questi elementi sono la silice, la potassa e la soda, i nitrati di potassa e di soda, la calce ed il fosfato di calce, le argille e alcuni ossidi di ferro. 9. Silice. — La sabbia è silice impura. La silice è insolubile nell’acqua, ma viene sciolta lentamente dall’acido carbonico. Essa può entrare nell’ organismo delle piante, perchè le radici hanno la proprietà di emettere quest’acido. I cereali sono le piante che richiedono maggiore quantità di silice '; questa conferisce rigidità al loro culmo, onde non s’incurvi e possa sostenere il peso delle messi, e dà alle loro paglie la lucentezza. 10. Nitro. — Abbondanti nel terreno sono pure i nitrati (od azotati) di potassa e di soda, noti volgarmente sotto il nome di nitro. (Avete notate le bianche efflorescenze che si formano sui muri delle fogne, delle cantine?... Quello è salnitro). Il nitro è solubile nell’acqua e quindi può penetrare prontamente nelle radici delle piante: è utilissimo alla vegetazione, non solo perchè contiene la potassa e la soda che servono a costituire il legno del tronco e la parte zuccherina dei frutti, ma anche per l’azoto, il quale imprime alla vegetazione un notevole impulso. E provato dall’esperienza che le concimazioni con materie azotate favoriscono lo sviluppo erbaceo delle piante. 11. Calce. — Altro importante elemento minerale delle piante è la calce, che si trova nelle ceneri di tutte le piante, specialmente nelle ceneri del fusto. Le piante più esigenti — 207 - di calce sono gli alberi fruttiferi e varie leguminose, come il trifoglio e l’erba medica. Le nostre montagne sono ricche, per solito, di carbonato di calce: sotto l’a* zione degli agenti atmosferici, se ne staccano dei ciottoli, che, precipitando al piano e rotolati dalle acque, si frantumano in ghiaie e sabbie di color biancastro (e per ciò facili a distinguersi dalle ghiaie e dalle sabbie silicee). 11 carbonato di calce non è solubile nell'acqua pura, ma vi si discioglie se l’acqua è satura di carbonio: allora può essere facilmente succhiato dalle radici. 12. Fosfati. — I fosfati sono materie terrose che contengono il fosforo in diverse combinazioni: la più diffusa è il fosfato di calce , che somministra alle piante il fosforo e la calce, due sostanze che devono concorrere a formare la parte legnosa del vegetale ed anche il frutto: i grani dei cereali, per es., contengono una notevole quantità di acido fosforico. Le ossa degli animali sono costituite per la massima parte da fosfato di calce ; gli è perciò che le ossa bollite, (per liberarle dalle materie grasse) e macinate, vengono usate come concime. Alcune regioni sono ri. che di fosfati naturali, i quali, polverizzati, vengono pure usati per le concimazioni, specialmente dei grani, in sostituzione della polvere d’ossa che si ritiene meno efficace. 13. Argilla. — L 'argilla (dialetto: terra-creta ) è una terra che allo stato puro risulta di silice, allumina ed acqua: ma per solito è commista con magnesia, ossidi di ferro, sabbia ecc. Bagnata con acqua essa diventa morbida, sdrucciolevole, plastica. Deriva la sua origine dalla decomposizione del feldspati. Riscaldata ad alta temperatura, indurisce ma non fonde, per cui serve a fabbricare tegole, mattoni, forni fusorii ecc. Il ferro si riscontra pure in certe quantità nelle ceneri delle piante : la materia verde delle piante ripete il suo colore dalla presenza dei sali di ferro. Certi fosfati naturali (usati come concimi) contengono anche dell’ossido del ferro. 14. Analisi del terreno. — Si può dire che ogni coltivazione richiede la presenza nel terreno coltivabile di dati — 20S — elementi minerali. L'analisi del terreno (fatta con alcune operazioni chimiche) rivela la proporzione dei vari elementi che compongono un dato terreno e addita le correzioni od ammendamenti che occorrono per adattarlo alle coltivazioni che vi si vogliono fare, i concimi che bisogna spargervi. 15. Per riguardo alla loro composizione, i terreni si distinguono in silicei , calcarei, argillosi e vegetali. a) Son detti silicei (o sabbiosi) quei terreni che contengono dal 60 al 70 0 [q di silice. Hanno aspetto sabbioso e si distinguono per le seguenti qualità : si riscaldano troppo facilmente, assorbono poco l’umidità e la trattengono poco, e, per ciò, male si prestano alle coltivazioni delle quali si voglia abbondanza di materia erbacea. Assorbono e trattengono poco i materiali concimanti, onde sarà utile concimarli di frequente, ma poco per volta. Sono di pesante lavorazione. b) I terreni chiamansi calcarei quando contengono dal 50 al 60 0[Q di calcare (un terreno che ne contenga oltre il 60 0[Q riesce di un’attitudine troppo limitata per la coltivazione). Anche questi, come i silicei, assorbono poco l’umidità ; però si riscaldano meno e trattengono maggiormente i materiali concimanti. c) Sono argillosi quei terreni nei quali l’argilla entra nella proporzione del 60 e dell’80 Ojq. Questi terreni assorbono avidamente e trattengono sia l’umidità che le materie concimanti : si riscaldano e si raffreddano poco e lentamente. Sono i più adatti per ogni coltivazione, sopportano abbondanti concimazioni a lunghi intervalli senza alcun disperdimento, e più degli altri si migliorano sotto la semplice azione degli agenti atmosferici. d) Terreni vegetali sono quelli che contengono dal 12 al 20 0[Q di materie vegetali ; se ve ne fosse di più, si direbbero torbosi. I terreni vegetali hanno il difetto d’imbeversi di molt’acqua, per cui sono sempre freddi. Tratten- i - 209 — gono di più le materie concimanti in confronto dei terreni sabbiosi. Sono leggieri, disciolti e di facilissima lavorazione. 16. Miglioramento (lei terreno. — A furia di cavar vino dalla botte, questa si vuota; e così d’anno in anno le piante spogliano il terreno de’ principii nutritivi che contiene; per guisa che, dopo un certo tempo, esso ha quasi completamente perduta la sua feracità, è stanco, esaurito. Da ciò la necessità dei miglioramenti del terreno, per conservarlo produttivo. Terre feracissime dell’Italia, della Spagna, della Grecia, quando non furono più regolarmente coltivate, dopo alcuni secoli si trasformarono in lande sterili e malariche. Noi possiamo migliorare le condizioni del terreno vegetale nei seguenti modi: colla coltivazione, cogli ammendamenti, colle concimazioni, colle rotazioni agrarie e col sovescio. 17. Si migliora il terreno colla coltivazione in quanto che, rompendone la superfìcie e smuovendone le zolle colla zappa, colla vanga, coll’aratro ecc., se ne aumenta la porosità. Questa fa sì che l’aria e l’acqua vi possano più liberamente circolare; essa permette un più facile estendersi delle radici^ onde si moltiplicano i punti di contatto fra queste e i materiali terrosi, aumentando l’attività di nutrizione della pianta. 18. Gli aniinendainenti si fanno aggiungendo al terreno quei materiali di cui esso mancasse naturalmente. Le sostanze minerali assorbite dai vegetali variano a seconda delle diverse specie: onde si può dire che ogni specie di piante si nutre di certe sostanze ed in determinate proporzioni. I legumi ad esempio crescono assai bene nel gesso: volendo intraprenderne la coltivazione in un terreno che ne manchi, bisognerà dunque ammendarlo coll’aggiunta di gesso. Gli ammendamenti su vasta scala non devono essere intrapresi se non dopo aver fatto eseguire un’accurata analisi chimica del terreno da un tecnico competente. 19. Colla concimazione noi introduciamo nel terreno certe sostanze che, o venendo direttamente assorbite, oppure decomponendosi, servono alla nutrizione delle piante. Anastasi e Belletti — Scienze Naturali 14 210 — 20. Varie specie (li concimi. — I concimi si distinguono in minerali, come il gesso, il sai nitro, il fosfato di calce, le ceneri ecc.; ed in organici, ossia vegetali ed animali, come gli escrementi solidi e liquidi degli animali, le carni, le ossa, le corna, le unghie, le erbe fresche, le foglie secche, la paglia, le spazzature delle case, delle strade ecc. Bisogna notare che questi concimi organici si decompongono nel terreno vegetale e forniscono per la nutrizione soltanto le sostanze inorganiche che contengono, o che generano nel decomporsi. 21. Stallatico. — Il letame da stalla o stallatico è il concime usa,to in maggior quantità e per ogni sorta di coltivazione : realmente esso contiene un po’ di tutto quanto hanno bisogno le piante che si coltivano. Per il prato lo stallatico, in linea generale, è concime sufficiente; per i cereali invece esso difetta di calce e di acido fosforico, — queste sostanze essendo state prese nel foraggio quasi intieramente deH’animale, per convertirle in carne. Per ciò i cereali concimati col solo letame non danno tutto quel prodotto che potrebbero dare qualora tale concime fosse mescolato al guano, o alla polvere d’ossa, sostanze ricche di fosfati. 22. Escrementi. — Gli escrementi umani sono pure un buon concime: se si pensasse che i 500 chilogrammi che un uomo rende in un anno, tra feci ed orine, contengono quanto sarebbe necessario per produrre 2 ettolitri di grano, è certo che non le si lascierebbero disperdere tanto facilmente, con grave danno dell’agricoltura. I Chinesi mantengono fertili le loro terre, concimandole quasi esclusivamente coi loro escrementi. Per rendere meno ributtante l’uso degli escrementi umani e per utilizzarne tutti i componenti, si pensò disinfettarli con gesso e solfato di ferro, materiali di poco costo ed utili anch’essi alla vegetazione. Gli escrementi degli uccelli — animali che si nutrono di semi, parte più azotata della pianta — sono ancor più fertilizzanti degli escrementi umani. Sopra certe spiaggia — 211 del Perù e di alcune isole adiacenti, sono accumulati dei banchi di escrementi, deposti dagli uccelli marini. Tal materiale concimante dicesi guano. Un miscuglio di stallatico e guano è ottimo concime per frumento. 23. Ceneri. — Concimando il terreno colle ceneri dei vegetali, si restituiscono ad esso tutte le sostanze minerali che ne furono esportate — e ciò perchè il fuoco ha distrutto soltanto la parte organica. Le ceneri saranno quindi un ottimo concime per quei terreni che abbondano di materie organiche. Le piante fruttifere, e specialmente la vite e gli agrumi, il pomo di terra, il melgone, e in genere tutti quei vegetali che producono in abbondanza amido o materia zuccherina, avvantaggiano assai, se concimate colle ceneri. Notisi però che le ceneri delle stufe e delle fornaci sono assai meno alcaline di quelle dei camini ordinarii, e quindi meno fertilizzanti. 24. Cogli avvicendamenti agearii, o rotazione agraria, si migliora pure il terreno : con questo sistema si cambiano alternativamente i vegetali coltivati nei campi, di guisa che quelli coltivati in un anno pigliano dal suolo sostanze diverse da quelle necessarie per le piante dell’anno antecedente, e così via. Ecco due rotazioni usate e raccomandate per l’agro svizzero : Primo anno: pomi di terra e navoni concimati. Secondo anno: orzo e trifoglio. Terzo anno : trifoglio concimato con marna. Quarto anno: cereali d’autunno (spelta). Quinto anno: leguminose (fagiuoli, fave ecc.) e granoturco per foraggio. Sesto anno : cereali invernenghi (segale). Altra rotazione: Primo anno: pomi di terra con concimazioni. Secondo anno : orzo. Terzo anno : fave (con concimazione). Quario anno : frumento o spelta. Quinto anno : navoni (con concimazione). Sesto anno: frumento con trifoglio. Settimo anno: trifoglio. Ottavo anno: frumento o segale. Una buona rotazione suppone una sistematica divisione del podere in tante parti eguali quanti sono gli anni che compongono la rotazione. Ognuna di queste parti, in quel — 212 dato numero d’anni, deve passare per tutte le coltivazioni indicate nella rotazione; ma in pari tempo il complesso delle diverse parti del podere rappresenta in azione tutti i periodi della rotazione. Fatta questa divisione di parti, adottando la rotazione che conviene al suo fondo, il coltivatore troverà che ogni anno le spese di coltivazione, e cioè la quantità di bestiame e di mano d’opera, saranno sempre uguali; e che il reddito annuale varierà solo per effetto di circostanze che il coltivatore non può evitare, cioè per 1’ andamento delle stagioni, o per il variare dei prezzi sul mercato. 25. Il sovescio, altro mezzo di miglioramento del terreno, consiste nel coltivare certe piante erbacee: poi, raggiunto che esse abbiano un dato sviluppo, seppellirle nel terreno stesso onde abbiano a restituirgli, convenientemente elaborati, i principi che ne hanno assorbito. Perchè il sovescio torni conveniente, bisogna che la pianta da sovesciare si sviluppi presto e sia in essa abbondante la parte erbacea : che venga sovesciata nel massimo sviluppo erbaceo : che l’epoca del sovescio permetta una regolare e completa vegetazione della pianta che si deve coltivare subito dopo di esso. Così il lupino, l’avena, il ravizzone si potranno seminare al principio di settembre, per sovesciarli a profitto d’ una coltivazione estiva. Propagazione dei vegetali. 26. Le piante si possono propagare per semi o per gemme. 27. Riproduzione pei* semi. — Volendo moltiplicare le piante per mezzo di semi, converrà osservare le seguenti norme : i semi si dovranno prendere da piante robuste ; si sceglieranno i semi più voluminosi e di maggior peso; nelle spiche, pannocchie, grappoli ecc. si prenderanno i semi si- — 213 — tuati alla base, perchè, nascendo pei primi, ricevono una maggior copia d’ alimento, e riescono per ciò meglio costituiti. E necessario poi che i semi siano bene conservati, perchè non tutti si possono e si devono seminare subito dopo il raccolto : onde preservarli dalle alterazioni fisiche e chimiche, sarà d’uopo prima di tutto che siano convenientemente conservati ; poi bisogna tenerli in locali secchi, non troppo caldi e non molto arieggiati. 28. Riproduzione per gemme. — Le piante si possono riprodurre anche per mezzo di alcune porzioni di esse, capaci in date circostanze di trasformarsi in piante complete. Si dà il nome di propagini a quelle porzioni di piante che servono a tal maniera di riproduzione, e queste, benché variamente conformate, consistono sempre in gemme. La propagazione per gemme può avvenire naturalmente oppure artificialmente. 29. La riproduzione delle piante per propagini naturali ha luogo quando sul tronco, che è in parte sotterraneo, si formano degli ingrossamenti gemmiformi, detti talli, se hanno forma e struttura propria di gemme, eom’ è il caso per gli asparagi; bulbi , se risultano di un pezzo unico come nella cipolla ; bulbilli, se sono divisibili in parti distinte come nell’aglio ; e tuberi, se sono vere gemme attaccate alla porzione ingrossata del tronco sotterraneo, come nel pomo di terra. Tutte queste parti, in certe condizioni, riproducono una pianta nuova e completa. 30. La riproduzione per propagini artificiali si effettua nei seguenti modi : a) per talea, se da una pianta legnosa si stacca un ramo, od una porzione di tronco o di radice, che si infigge nel terreno per modo che le gemme sepolte producano radici, e quelle che stanno fuori si sviluppino in foglie e rami. Per il buon esito di tale operazione occorre che la talèa sia piantata quando la linfa è più copiosa; sia tagliata di — 214 fresco e porti sempre gemme. La. talèa dicesi magliuolo o ràsora, se vien presa dal tralcio di un anno cui si lascia attaccata una porzione del tralcio di due anni, per cui assomiglia ad un piccolo maglio o martello. Piantone è un ramo di due o tre anni, lungo due metri circa; si usa per moltiplicare i salici e i pioppi. L’epoca migliore per staccare le talée ed i magliuoli è 1’ autunno. b) per margotto , che è altra porzione di ramo che si taglia da una pianta, dopo avere promossa ed ottenuta la formazione di radici superiormente al luogo dell’escissione. Ciò si pratica ora piegando un ramo al suolo e seppellen- dovelo per un certo tratto; ora mediante legatura o taglio circolare nella corteccia di un ramo che si ricopre di terra vegetale convenientemente bagnata (ed allora dicesi per provino), od anche facendo emergere dal terreno le radici, affinchè si trasformino in fusti e rami. Quando il nuovo vegetale è formato con tutte le sue parti essenziali, lo si distacca dall’altro e si ha una nuova pianta affatto indipendente da, quella da cui proviene. Così si moltiplicano le viti, gli aranci ed i limoni. c) per innesto, che consiste nel trasporto di una porzione gemmifera di una pianta su di un’altra, per guisa che ne avvenga l’unione, e la prima si sviluppi a spese della seconda. Si dà poi il nome di innesto a quella parte che si trasporta e di soggetto alla pianta che la riceve. 31. Vari metodi d’innesto. — L’innesto si eseguisce in modi diversi, a seconda della qualità delle piante e delle consuetudini locali; ed ha per iscopo più la modificazione che la moltiplicazione delle piante. I metodi d’innesto più usitati sono i seguenti: Innesto ad occhio od a scudetto, quando si trasporta sul soggetto una porzione di corteccia con gemme ; a marza od a spacco, se si trasporta invece un ramo, oppure un pezzo di ramo gemmifero; e per approssimazione, quando 215 — si fanno combaciare due rami di piante vicine, spogliati di corteccia e stretti così che le superfìcie legnose combacianti si uniscano. Perchè l’innesto si unisca al soggetto occorre che le due piante siano di specie affini, che l’innesto [sia applicato appena staccato dalla pianta madre, combaci esattamente col soggetto e che in quest’ultimo siano abbondanti i liquidi . nutritivi. La fillossera. 32. Un nemico della vite. — La coltura della vite è largamente diffusa nelle parti meridionali del Cantone Ticino: ma da alcuni anni in qua essa è insidiata dalla fillossera ('), insetto veramente terribile, il quale vive sotto terra e succhia le radici della vite. (vista di sotto) (uova) Fillossera della vite. (vista di sopra) Fig. 127 Essa fu portata dall’America in Europa da alcuni francesi, i quali volevano provare le viti americane nei loro terreni; dopo alcuni anni si accorsero che nelle loro vigne molte viti nostrane andavano morendo e che, rimettendone altre al posto di quelle morte, non attecchivano e ben presto morivano anch’esse. Dopo molte ricerche si scoprì che la causa di tanto malanno era la fillossera. (1) La voce fillossera deriva dalle voci greche phullon , foglia; xcros, secco. - 21C — 33. La fillossera è un piccolissimo pidocchio di color' giallo-limone, il quale succhia le radici più tenere, ed è molto difficile da vedere senza una lente (fig. 127). Dove la radice viene punta dalla fillossera si forma come un tumore giallo, che diventa poi più scuro e sul finir dell’estate marcisce del tutto e fa cadere tutta la radice (fig. 128). Siccome ogni punto delle radici è attaccato dopo un certo tempo dalle fillossere che vengono nascendo, ne viene che, a capo di due o tre anni, la povera vite resta senza radice, e non potendo allora più nutrirsi col succhiare dal terreno il cibo, è condannata a morire di fame. 34. Fecondità dell’insetto. — La piccolissima fillossera (Philloxera vastatrix) si moltiplica con una rapidità incredibile; da un uovo solo in primavera nasce una sola fillossera, la quale dopo circa venti giorni ne depone altre cinquanta ; da ognuna di queste, dopo tre settimane, ne nascono altrettante. A farla corta, in pochi mesi, cioè durante la buona stagione, da una fillossera potrebbero nascere quindicimila milioni di altre fillossere. Facilmente si può capire come una quantità così enorme di fillossere possa attaccare in molti punti le radici; moltissimi insetti muoiono per lo più appena nati, ma ne restan sempre più del bisogno per infettare tutto il vigneto. Chi diffonde e seguita a diffondere la fillossera è l’uomo stesso: colla terra che resta attaccata ai piedi o agli strumenti di lavoro, con le piantine tolte da una vigna fìllos- serata che si mandano in altri paesi, si infettano delle viti sane e si continua così a sparpagliare il terribile pidocchio, con immenso danno dell’agricoltura. In Francia, per raccolti perduti, per viti morte e per la perdita di valore dei terreni, la fillossera ha recato dei danni enormi: più di 10 miliardi di franchi. Nella Svizzera ed in Italia si ebbero pure danni molto gravi. Figura 128 Fillossera alata. - 217 — 35. Lotta contro la fillossera. — Notiamo anzitutto che non esiste fino ad oggi alcun rimedio radicale per distruggere la fillossera nel terreno. La difficoltà di trovare tal rimedio proviene dal fatto che le fillossere vivono in terra, e non si sa come applicare un rimedio che uccida gli insetti senza danneggiare le piante. I Governi si sono interessati vivamente per combattere il flagello (anche nel Ticino esiste un servizio antifìllosserico, annesso al Dipartimento cantonale d’agricoltura), mirando a circoscrivere l’infezione e ad impedire ch’essa si propaghi. Dove il numero delle viti infette è piccolo, il Governo le fa tagliare ed abbruciare. Quando però le viti infette sono troppe, non si può fare una spesa eccessiva per distruggerle, e allora il Governo abbandona il territorio infetto alle cure dei proprietarii, aiutandoli però in vari modi perchè difendano meglio le loro vigne. Appena in un Comune è stata trovata la fillossera, il Governo proibisce che se ne portino fuori piantine fresche di qualunque sorta, per evitare che si vada a portare con quelle la fillossera nelle vigne sane. Coloro che non hanno la fillossera in casa devono prepararsi a riceverla, perchè pur troppo un dì o l’altro può arrivare, portata da qualche imprudente. È bene, per tal caso, sapere che alcune viti americane, compatriote della fillossera, sono molto resistenti, e cioè soffrono pochissimo o nulla per la puntura di quei pidocchi. Non si deve intendere con ciò che la fillossera non possa andare sulle radici delle viti americane, bensì che queste non sono gran che danneggiate dalla presenza dell’insetto. Fig. 129 — Radio: DI VITE FILLOSSE- RATA CON RIGONFIAMENTI. — 218 - S’insegna per conseguenza ad innestare sopra un ceppo americano resistente quello nostrale, e si hanno così delle viti con le radici americane e i tralci nostrani. Bisogna però prima vedere quale fra le viti americane resistenti si adatti al terreno, e se, dopo innestata, la vite si adatti ancora bene; inoltre bisogna trovare quale tra le viti nostrane si presta ad essere innestata sull’americana, perchè molte volte l’innesto non tiene. Le viti americane adatte per l’innesto e resistenti alla fillossera sono specialmente quelle chiamate Riparia , adatta ai terreni poveri di calce — Rupestris , adatta ai terreni un poco più bianchi e aridi — SoLonis , per i terreni piuttosto umidi — Berlandieri , per i terreni ricchi di calce, e alcuni incroci di queste varietà, detti anche ibridi. Queste viti non portano uva; vi sono altre qualità americane che dànno uva buona per fare vino, dette produttori diretti; ma esse sono poco resistenti alla fillossera: fra tutti, sono rinomati i vitigni Jacques percollina e Clinton per le pianure La vite Clinton si alleva a filari distanti circa otto metri o più fra loro, e si fa venire alta anche a pergola: essa non soffre la peronospora e può quindi fare a meno del solfato. La sua uva è brusca, sa un per di lampone, ma dà un vinetto passabile. Prima di procedere alla ricostituzione dei vigneti si cerchino i suggerimenti degli specialisti (esperti fillosserici,} professori d’agronomia ecc.) e si istituiscano delle esperienze su piccola scala. Foresticoltura. 36. Nel nostro Cantone, dove sono tante montagne, la coltura delle foreste è di una importanza capitale, — per ragioni climatiche, igieniche ed economiche. a) Ragioni climatiche. — Le foreste mantengono meglio equilibrata la temperatura di una regione, mentre il disboscamento favorisce i grandi sbalzi dal caldo al freddo e viceversa. Le valli chiuse da alte montagne sassose sono assai più calde d’estate ed assai più fredde d’inverno che le valli circondate da monti coperti da alti ed estesi boschi. Parimenti le pianure prive di alberi, come le nude steppe dell’Asia centrale, hanno estati caldissime ed inverni crudelmente freddi, mentre le pianure riccamente alberate presentano sempre temperature più miti. I venti impetuosi, caldi o freddi, vengono trattenuti, spezzati, deviati dalle foreste, se queste sono abbastanza folte ed estese. — 210 - Le foreste sulle montagne diminuiscono inoltre notevolmente la frequenza delle grandinate nelle valli e nelle pianure, e spezzano o deviano le valanghe. b ) Ragioni igieniche. — Tutte le foreste spiegano una influenza favorevole alla salute, perchè tutti gli alberi producono un po’ di ozono (ossigeno attivo), che disinfetta l’aria : specialmente preziosi, sotto questo riguardo, sono gli alberi resinosi, e sopratutto le diverse conifere (pini, abeti, larici ecc.), le cui emanazioni riescono di speciale vantaggio per gli infermi di petto. Gli alberi delle foreste resinose assorbono colle radici molta acqua dal terreno e così operano il drenaggio del terreno stesso, impedendo la putrefazione delle sostanze organiche e la produzione dei germi malarici, e trasformano il terreno malarico stesso coprendolo di un grosso strato resinoso disinfettante. c) Ragioni economiche. — Sulla vita economica di un paese, sulla sua produttività, le foreste montane hanno tanta influenza da potersi ben dire che esse decidono della ricchezza o povertà di un paese. Vi sono paesi (come la Svizzera) che alle foreste devono la loro abitabilità. Il primo e massimo beneficio delle foreste sulle montagne è il regolamento della distribuzione delle acque. L’acqua piovana che cade in abbondanza sopra una montagna nuda, sassosa, scorre precipitosamente per il declivo, ed arriva subito nei letti dei torrenti, i quali rapidamente si gonfiano e straripano, producendo alluvioni, asportando le terre coltivate poste sulle loro sponde, gli alberi, le stalle, il bestiame. La pioggia, anche violentissima, cadendo sulle foreste, viene primamente fermata per alcun tempo dai rami che densamente si intrecciano, da milioni e miliardi di foglie che per qualche istante trattengono due, tre, cinque goccie, — così che le acque cadenti arrivano senza forza sulla terra, smorzandosi poi completamente la loro violenza sul molle strato di musco che tappezza il suolo delle fo- — 220 — reste. Così la foresta diminuisce il pericolo delle inondazioni che tanti danni arrecarono alle valli ticinesi in tutti i tempi ed anche nel secolo testé decorso. Paesi che non hanno foreste sulle montagne difettano spesso del tutto di sorgenti: col diminuire o disseccarsi delle sorgenti, molti ruscelli e fiumi sono stati sostituiti da torrenti impetuosi, che rodono e portano via la terra delle loro sponde. Là dove invece sono grandi foreste abbondano le acque di sorgente, che vengono utilizzate come forza motrice, oppure per l’irrigazione dei terreni coltivati. Le foreste rassodano i terreni mobili, impediscono per così dire lo sfasciarsi delle montagne sotto l’azione degli agenti atmosferici e finalmente — se ben tenute — danno in abbondanza legname prezioso, che è la materia prima di molte industrie importanti, servendo direttamente a diversi lavori di costruzione (abete, larice, pino silvestre ecc.) e fornendo legname per combustibile. 37. Sussidii pei* opere forestali. — Una foresta è una grande ricchezza, e però giustamente la Confederazione ed il Cantone assegnano vistosi sussidii per il rimboschimento delle nostre montagne. Continuando col fervore spiegato a favore della fore- sticoltura del Ticino nell’ultimo quarto di secolo, verranno man mano riparati gli enormi danni cagionati al paese dal vandalico disboscamento compiutosi nella prima metà del secolo decimonono, e verrà giorno che tanti Patriziati, Comuni e privati si troveranno proprietari di boschi valutati a centinaia di mille franchi. E dire che, pochi anni fa, i forestali , i quali dovevano procedere alle piantagioni per ordine dei loro superiori, venivano accolti talora dalle ignare popolazioni come fossero nemici insidiosi, e furono minacciati anche nella vita !... Tali frutti porta l’ignoranza! E però ci sia permesso chiudere questo breve capitoletto sull’agricoltura, colle stesse parole con cui l’abbiamo incominciato, esortando cioè il contadino ad istruirsi. Memento per l’agricoltore. 38. Non sapremmo chiuder meglio questo capitolo, che riportando il seguente memento, dettato da un distinto agronomo italiano : 1. ° Adopera sempre sementi sceltissime, e procura a qualunque pianta nutrimento abbondante, terreno ben lavorato, aria e luce. 2. ° Ripara il letame dal sole e dalla pioggia, e non lasciar disperdere il sugo che ne scola. 3. ° Raccogli e utilizza tutte le foglie, le spazzature, gli spurghi, gli avanzi delle industrie e simili. 4. ° Aggiungi in qualunque terreno e per qualunque pianta concimazioni fosfatiche. 5. * Aumenta la profondità dei lavori, se vuoi raddoppiare il valore del podere. 6. ° Impianta alberi adatti al paese, sani e vigorosi, e non trascurare di potarli ogni anno. 7. ° Procura d’impedire alle malattie e alle erbaccie di svilu pparsi, e rispetta i boschi e gli uccelli, che ti preservano da molti danni. 8. ° Tieni sempre pulite tutte le bestie che allevi, e dà loro in ogni epoca il cibo necessario. 9. ° Non ti fidare soltanto della pratica, ma consulta spesso e volentieri chi ha studiato, e ascoltane i suggerimenti. IO. 1 ’ Unisciti coi vicini per fare le provviste e per utilizzare i prodotti della terra, perchè l’unione /a In forza. IGIENE L’igiene è l’arte di conservare la salute. Suo scopo è quello di insegnare all’uomo come possa conservarsi sano, per quanto glielo permettano la sua organizzazione e le circostanze a cui necessariamente trovasi esposto. Se si interessa della salute di tutti gli uomini riuniti in società, dicesi Igiene pubblica ; se invece si occupa della salute dell’individuo, ha nome di igiene privata. Le cause che possono modificare lo stato di salute dell’uomo sono assai varie, ed agiscono diversamente sui diversi temperamenti , intendendosi per temperamento quella particolare maniera di essere e di funzionare dell’organismo umano, dipendente dal tipo speciale di organizzazione delle varie parti che lo costituiscono, e dalla proporzione esistente fra di loro. Si distinguono generalmente tre temperamenti : il sanguigno, la cui nota caratteristica è la grande produttività del sangue e lo sviluppo dell’apparato circolatorio, donde il rosso vivo della cute, evidente alla faccia; il linfatico ,* proprio degli individui a pelle fina, delicata, tanto sottile da lasciai trasparire le vene sottoposte, indoppiato da abbondante strato di tessuto cellulare ricco di adipe, a capelli biondi, lisci, lucenti; il nervoso, il cui attributo caratteristico è il predominio funzionale e forse anatomico del sistema nervoso. Le cause che possono avere una influenza sulla salute dell’uomo, sono essenzialmente le seguenti: Vambiente in — 223 cui l’uomo vive; gli alimenti di cui si nutre; gli abiti coi quali si copre; l’esercizio che egli fa dei propri organi. L’aria atmosferica può influire sulla salute dell’uomo per la pressione, per la maggiore o minore sua purezza, per la quantità di vapore acqueo che contiene, e per la sua temperatura. E provato dall’esperienza che la pressione atmosferica maggiore dell’ordinaria aumenta l’attività della respirazione, della nutrizione e anche della locomozione ; ma è pure provato che l’aria dei paesi elevati, benché a minore pressione, è in generale più sana, essendo più pura. Però se la pressione atmosferica diminuisce di molto, l’uomo anziché risentirne un bene, ne soffre un male: il sangue gli esce dai pori della pelle, egli prova capogiri, come avviene a coloro che salgono su monti altissimi, o raggiungono considerevoli altezze con palloni aereostatici. Circa la purezza dell’aria devesi osservare che, se essa è troppo carica di anidride carbonica, riesce sempre assai pericolosa per chi deve respirarla; tale è quella dei locali in cui trovansi molte persone, o dove ardono molti fuochi. E d’uopo quindi che quest’aria venga frequentemente rinnovata, aprendo di quando in quando le finestre, perché possa entrare aria nuova, ricca d’ossigeno, e sia così cacciata quella corrotta e dannosa. Oltre all’anidride car-, bonica, altre sostanze possono corrompere l’aria, e tali sono le sostanze aeriformi che provengono o da certi opifici industriali, o dalla decomposizione delle sostanze organiche vegetali od animali. Egli è per questo che la legge prescrive che certi stabilimenti industriali, cioè le fabbriche di sapone e di candele, le concerie di pellami, le officine per la preparazione del gas illuminante, le filande, come pure i cimiteri, i macelli, i letamai si trovino sempre ad una determinata distanza dall’abitato, o per lo meno siano fatti in modo che non abbiano a danneggiare la pub- - 224 - blica salute colle loro fetenti esalazioni. Gli studi recenti, fatti da illustri scienziati, hanno poi dimostrato che l’aria può essere corrotta anche da corpuscoli che sono in essa sospesi, cioè da microrganismi o microbi, i quali, allorquando trovano le condizioni opportune, si sviluppano dando luogo a tutta la serie delle malattie infettive, dalla influenza al colera. Le diverse proporzioni di vapore acqueo possono rendere l’aria atmosferica più o meno idonea ai bisogni dell’uomo. L’esperienza ci dimostra non essere sano l’abitare una casa di recente costrutta, di cui i muri non siano ancora ben secchi. Dannosissima pure riesce l’umidità soverchia dell’aria a coloro che devono abitare presso luoghi paludosi, ove, alla troppo grande quantità di vapore acqueo s’aggiunge la presenza di miasmi provenienti dalla decomposizione delle sostanze organiche. Sono funestamente conosciute, per la malaria che vi regna, le maremme toscane e le paludi pontine in Italia. Anche la temperatura dell’aria ha intluenza non piccola pulla salute dell’uomo, non tanto però per gli estremi a cui può giungere, quanto per gli sbalzi che subisce. L’uomo può impunemente affrontare i climi più rigidi, come i polari, ove la temperatura scende spesso a — 50°, e quelli della zona torrida, senza sentirne danno, mentre soffre nei climi incostanti, in cui è frequente ed istantaneo l’avvicendarsi del caldo e del freddo. L’uomo può abituarsi ai diversi climi, ma il passaggio rapido da un clima ad un altro è sempre sorgente di qualche malanno. Così è nocivo l’esporsi a correnti d’aria fredda o fresca quando si è sudati, l’esporsi al caldo troppo intenso, quando si sia intirizziti dal freddo, il bere acqua fredda o bagnarsi in essa quando si sia eccessivamente riscaldati. È fatto acquisito dall’esperienza che la luce pure in- 225 — fluisce sulla salute : così, grande è la differenza tra lo sviluppo dell’ abitante dell’ aperta e soleggiata campagna e quello delle viuzze oscure ed anguste della città; tra la floridezza del pastore e del libero lavoratore dei campi, e la macilenza del condannato che la giustizia umana rinchiuse in una oscura cella dell’ergastolo. La casa in cui l’uomo vive dovrebbe essere collocata lungi dalle emanazioni nocive delle acque stagnanti, bene soleggiata, munita di ampie finestre che possano dar passaggio a grande copia d’aria e di luce. Dovrebbe avere locali in cui possa trovarsi aria in quantità sufficiente per bastare alla respirazione delle persone che vi dimorano. I polmoni dell’uomo adulto hanno una capacità di litri i i j 2 circa, sicché occorrono da 1100 a 380 m. c. d’aria ogni 24 ore perchè l’uomo possa avere una normale respirazione, cioè da 14 a 15 m. c. all’ora. Dovrebbe l’abitazione avere pozzi neri ed acquai costrutti per modo che non ne derivino esalazioni nocive; ma pur troppo è molto scarso il numero di coloro che possono avere case in tali condizioni : chè anzi la grande maggioranza, degli abitanti delle città specialmente, vive in case che in nessun modo soddisfano alle leggi che l’igiene prescrive. Possono questi rimediarvi in parte col rinnovare più frequentemente che sia possibile l’aria nelle loro abitazioni, e col tenerle perfettamente pulite. L’igiene delle abitazioni si occupa anche del modo di riscaldarle. È certo che il miglior mezzo di riscaldamento sono i camini, ma è pure constatato che questi consumano una grande quantità di combustibile, sicché ai camini sonosi oggi sostituite le stufe nelle loro svariatissime forme, le quali, mentre riscaldano bene e consumano minor combustibile, dànno però una ventilazione meno attiva. Altro modo di riscaldamento economico e salubre, oggi molto in uso, è quello dei caloriferi, che possono essere ad aria calda, Anastasi e Belletti — Scienze naturali. 15 — 226 — ad acqua calda o a vapore, consistenti in un apparecchio in cui si riscalda l’aria o l’acqua che mediante tubi si fa arrivare nei locali che devono essere riscaldati. I caloriferi a vapore differiscono da quelli ad acqua, per questo che si fa bollire l’acqua in una grande caldaia, e il vapore prodotto lo si fa circolare entro tubi nelle stanze da riscaldarsi. Dev’essere bandito ogni recipiente in cui si pone carbonella od altro combustibile acceso, poiché l’anidride carbonica che si svolge presto corrompe l’aria e può cagionare danni non lievi. Gli alimenti di cui l’uomo si nutre possono nuocergli o per la qualità o per la quantità loro. Questi traggonsi dal regno animale e dal regno vegetale, e sono comunemente divisi in : 1. ° Alimenti azotati o plastici, i quali danno all’organismo umano nuova materia e ne riparano le perdite che continuamente subisce nell’esercizio della vita: tali sono le carni, le uova, il latte e le farine di quei cereali che sono ricchi di glutine. 2. ° Alimenti combustibili o respiratori, destinati a dare i materiali necessari alla respirazione, e quindi alla produzione del calore animale. Vengono fra questi annoverate le sostanze grasse animali e vegetali, le zuccherine e le amidacee. 3. ° Alimenti nervosi, la cui azione si è quella di eccitare o deprimere il sistema nervoso: tali sono le bevande alcooliche in genere, il caffè e il thè. Tutte le carni, ma specialmente quelle di bue e di cavallo, essendo ricchissime di principi nutritivi, costituiscono, se sane, un ottimo alimento. Più spesso si mangiano bollite od arrostite : nel primo caso il brodo che se ne ottiene, che è una soluzione acquosa di una minima porzione dei principii nutritivi che la carne contiene, essendo poverissimo di albumina, insolubile nell’acqua, è di ben poco valore - 227 — nutriente; nel secondo caso invece tutti quei principii rimangono nella carne, ed essa riesce più nutriente. La quantità di carne consumata nell’alimentazione dell’uomo è enorme, ed estesissimo ne è il commercio fra l’America, dove abbonda il bestiame e scarseggia la popolazione, e l’Europa ove avviene l’opposto. Siccome però la carne assai facilmente si altera e si corrompe, la chimica trovò processi per la sua conservazione. Questi processi si fondano essenzialmente su quattro principii scientifici diversi, che sono: il freddo, la cottura, la eliminazione dell’acqua, l’uso degli antisettici. La carne conservata col freddo, e portata anche a grandi distanze in appositi recipienti, detti refrigeranti, esposta all’aria libera facilmente si corrompe, sicché dev’essere impiegata appena la si toglie dal refrigerante. Per la cottura e l’eliminazione dell’aria impiegasi il processo Appert, che consiste nel chiudere la carne in isca- tole di latta, lasciandovi però una piccola apertura, scacciarne l’aria col calore, chiudere a saldatura, poi cuocere la carne così chiusa nella scatola. Le parti scadenti della carne si fanno bollire, e il brodo ottenuto si versa nelle scatole per meglio scacciarne l’aria. Il prodotto così ottenuto chiamasi Scatole di carne, boltes Appert, e in tedesco Bilchsenfleisch. Si conserva per molti anni, se la chiusura è perfetta: il sapore è grato, sebbene la carne sia piuttosto filamentosa; ma, siccome non ha perduto nulla de’ suoi principii alimentari, è molto salubre e nutriente. Nell’America del Sud usasi tagliare la carne in grandi fette, cospargerla di farina di granoturco e seccarla al sole sopra bastoni. Si ottiene così , una massa flessibile, non pu- trefacibile, salubre, che è posta in commercio, col nome di carne secca o charque, e nell’America settentrionale è detta pemmikan. Le fette vengono poi rotolate con cura e compresse; e con questo metodo l’America del Sud manda - 228 — annualmente in Europa non meno di 20 milioni di kg. di prodotto. Tale industria viene specialmente esercitata a Rio Grande do Sul (Brasile). Invece di uccidere i microbi con la cottura, si possono avvelenare; ma per far ciò occorrerà scegliere una sostanza che, avvelenando i microbi, non avveleni la carne. La scelta degli antisettici è perciò molto limitata. Sin da tempo antico usasi a tal uopo il sale marino, e se ne vede l’applicazione nella salsamentaria, sebbene nella conservazione dei salumi concorrano anche il pepe e le altre droghe. Circa 50 anni fa nella Repubblica Argentina si uccidevano gli animali, se ne gettava la carne in mare, e si mandavano in Europa il grasso e la pelle. Il chimico Giusto Liebig di Darmstadt (1803-1873) inventò il metodo di utilizzare quella carne facendo restretto che porta il suo nome. Lo si prepara coi ritagli della carne di bue, di bisonte, di bufalo e di pecora; si fa un brodo, che poi con la concentrazione nel vuoto si riduce a consisterla sciropposa : 100 parti di carne danno 2 */ 2 di estratto. Vi sono parecchie fabbriche di estratto di carne nell’America del Sud e nell’Australia, ma la più importante è quella di Fray- Bentos nell’Uruguay. Se ne produce ora annualmente circa 750,000 kg., impiegando 30,000,000 circa di kg. di carne. Però, siccome non contiene che le sostanze della carne solubili nell’acqua calda, ed è privo di albumina e di materie grasse, ha minimo valore nutritivo, e devesi considerare non già come un alimento, ma come un semplice condimento. In Russia ed in Australia si preparano le tavolette da brodo, che si ottengono facendo evaporare brodo di carne. Da 20 kg. circa di carne si ha 1 kg. di estratto, contenente gelatina, il quale raffreddandosi prende la forma di una pasta secca ed elastica, di colore scuro, che, divisa in pezzi costituisce le tavolette da brodo. Talora vi si incorpora della farina di lenticchie, che cuoce insieme al brodo. 229 - Da Galveston, nel Texas, proviene un biscotto di carne, fatto con brodo ottenuto dalla bollitura di carne magra. In questo brodo si mette della farina di frumento, e poi si concentra fino a sciroppo. Per raffreddamento si ha una pasta soda, che, tagliata a pezzi e cotta in forni, costituisce il biscotto di carne. E salubre, si conserva a lungo, e si può mangiare asciutto o facendone zuppa. V’ha pure un pane di estratto di carne, prodotto analogo al precedente, che si prepara a Berlino coll’estratto di Liebig. È posto in commercio in tavolette di 125 gr., con scanalature che permettono di dividere ciascuna tavoletta in dieci porzioni. E salubre, sebbene non molto nutriente. Se ne fa zuppa ; non ammuffisce nè irrancidisce : è adottato dalla Società della Croce Rossa. Un estratto di carne di recente introdotto nel commercio è il Maggi, usato più per condimento che per altro. Assai nutrienti riescono anche le uova di alcuni uccelli dell’ordine dei gallinacei, come è pure eccellente sostanza alimentare il latte. Le farine di frumento e di segale sono, fra le sostanze' alimentari vegetali, le più ricche di glutine, e quindi le più nutrienti. Le altre sostanze farinacee, come il granoturco, il grano saraceno, l’orzo, il riso, le lenticchie, i piselli, i fagiuoli, i pomi di terra e le castagne, scarseggiando di glutine, hanno debole potere nutriente. Il seme di cacao contiene buona quantità di sostanze azotate, e, mescolato allo zucchero, come nel cioccolatte, dà un alimento grato e salubre. È fuor di dubbio che la migliore delle bevande è l’acqua, purché sia limpida, senza cattivo odore, cattivo sapore, fresca, ricca d’aria, priva di sostanze organiche disciolte o sospese, e scarsa di sostanze minerali. Il vino, usato con moderazione è utile, ma riesce dannoso quando se ne abusi. La birra eccita la funzione di nutrizione, ed — 230 - ha facoltà stimolante ed inebbriante, sebbene meno energica di quella del vino. Gli altri liquidi fermentati ed al- coolici dovrebbero piuttosto abbandonarsi, salvo il caso in cui si tratti di eccitare momentaneamente un organismo in istato di prostrazione. Sono eccitanti nervosi il caffè e il thè, per i principi che contengono (caffeina e theina), sicché queste bevande possono, fino ad un certo punto, sostituire i veri alimenti, non già perchè nutrano effettivamente, ma perchè rendono meno sensibile e meno vivo il bisogno deH’alimèntazione. Spesso avviene che le sostanze alimentari deperiscono o si guastano per fermentazione o per putrefazione, ed allora diventano non solo disgustose, ma anche nocive. È pure frequente il caso che ingordi speculatori adulterino o falsifichino completamente le sostanze alimentari, vuoi per biasimevole lucro, vuoi per mascherarne le naturali alterazioni. In questi casi solo la chimica può con sicurezza additare le subite alterazioni e falsificazioni ; ed a questo preciso scopo sono stati istituiti i laboratorii (f igiene, ove si analizzano le sostanze che devono servire per alimenti dell’uomo. Le vesti di cui l’uomo si copre allo scopo di impedire la dispersione del calore del corpo, o di aumentarla, possono influire non poco sullo stato di salute. E norma igienica da non trascurarsi l’impiegare abiti, i quali, oltre a mantenere il calore e favorirne la produzione, abbiano a lasciar libero lo svolgimento dei prodotti della traspirazione cutanea. Conservano bene il calore le sostanze poco conduttrici del calore stesso, e fra queste la prima è certo la lana. Le vesti di lino e di cotone, mentre agevolano la dispersione del calore, assorbono le sostanze fraspirate, e se ne imbevono, sicché conviene cambiarle di frequente. Del resto gli abiti devono sempre adattarsi alla differente sensibilità del- l’individuo, alle condizioni speciali in cui l’uomo si trova rispetto al clima, alla stagione ed alla professione da lui esercitata. I diversi lavori a cui l’uomo si dedica, hanno sul suo organismo influenza non lieve, sia per la natura del lavoro stesso, o sia per l’ambiente in cui vive. E indubitato che ogni occupazione pone di preferenza in esercizio certi organi determinati, consumandone od alterandone la materia, o indebolendone l’attività. — La troppa applicazione mentale è senza dubbio nociva al sistema encefalico, come nuoce per la vita troppo sedentaria, per la lunga dimora in camere chiuse, per il prolungato uso della vista, e per la posizione del tronco incurvato in avanti. Vanno per ciò gli studiosi frequentemente soggetti a dolori di capo, a congestioni viscerali e a malattie d’occhi. Vanno pure soggetti a pari disturbi della facoltà visiva coloro che, per le le loro speciali occupazioni, devono fissare continuamente oggetti piccoli, come i microscopisti, gli orologiai, gli incisori e simili. Sarà bene quindi per costoro l’alternare, possibilmente, il lavoro con intervalli di riposo, il cercar che la luce non cada direttamente sull’occhio, sia fissa, bianca e poco calorifica. Quelli che per la loro professione devono esporsi a forti rumori, potranno con vantaggio turarsi le orecchie con cotone cardato, allo scopo di impedire che le violente vibrazioni dell’aria abbiano a danneggiare l’organo uditivo. Attraverso alla nostra pelle si compie una importante funzione, la traspirazione cutanea , per la quale esce dal nostro corpo una certa quantità d’acqua con altre sostanze. Giova quindi tenere la pelle ben pulita, affinchè i suoi pori siano sempre aperti, e diano facile passaggio ai prodotti della traspirazione. A tale scopo tornano utilissimi i bagni, che devono essere frequenti, specialmente in estate. I bagni di mare sono i più utili, poiché le sostanze disciolte nel- — 232 — l’acqua marina esercitano un’azione medicamentosa sul nostro organismo. Per pulire bene la cute nulla è migliore dell’ acqua e del sapone, purché questo non sia troppo alcalino, che in tal caso avrebbe un’azione corrosiva. Non sono quindi certamente igienici tutti quei preparati indicati per conservare la freschezza della pelle, la bellezza della carnagione, per tingere barba e capelli, per prevenire o togliere la canizie, poiché tutti dal più al meno contengono sostanze nocive. Se vi sono professioni che esigano l’azione dell’intero apparato muscolare, ve n’ hanno di quelle che mettono per 10 più in azione una parte soltanto del corpo, sicché questa si sviluppa e si rinvigorisce a detrimento delle altre. È notorio che i fabbri-ferrai e gli scalpellini hanno braccia molto sviluppate in confronto delle gambe, e che il contrario avviene nei ballerini di professione. In questi casi non esiste più un equilibrio fra le diverse parti dell’organismo, il quale non offrirà più le giuste e dovute proporzioni. A togliere tali inconvenienti l’igiene suggerisce di passeggiare qualche tempo a colui che consuma la giornata al tavolo d’uno studio, al banco del commerciante o nella officina dell’ operaio; consiglia al minatore ed al lavorante dei grandi opifici di passare qualche ora all’aperta campagna. Però l’esercizio del corpo anche il più utile, potrà riuscire dannoso se non viene fatto secondo determinate norme. Tale esercizio deve essere moderato: poiché, se troppo debole, non giova, —• se eccessivo, stanca ed esaurisce le forze. Così non tutte le ore del giorno convengono all’ esercizio del corpo; e mentre giova nelle ore del mattino, è nocivo subito dopo il pasto. Non può però l’organismo umano mantenersi in continuo esercizio, sia pure questo moderato; esso ha bisogno d’intervalli di quiete, che trova nel riposo e nel sonno. Ma 11 riposo non deve degenerare nell’ozio assoluto, come non -- 233 — deve il sonno essere troppo a lungo protratto, giacché finirebbe coll’ infiacchire l’organismo ed intorpidire la mente. La durata media del sonno dovrebbe essere da sei a otto ore al giorno per l’uomo adulto, da dieci a dodici pei bambini, e da otto a dieci pei ragazzi. Non è igienico poi il dormire in istanze troppo anguste e mal ventilate, il dormire di giorno per vegliare di notte, dovendo essere la notte consacrata al sonno, e il giorno al lavoro. E poi in generale utile alla salute dell’uomo il levarsi di buon mattino, e cercare alla sera presto un meritato ristoro nel sonno. Del resto sarà sempre ottima cosa l’alternare in giusta misura il moto col riposo, l’esercizio col sonno, a seconda delle stagioni, del clima, dell’età, del temperamento, proporzionando l’uno all’altro a seconda anche delle condizioni speciali a ciascun individuo. La ginnastica, che gli antichi Greci tanto apprezzavano, altro non è che un ordinato sistema di| esercizi corporali aventi lo scopo di jdare all’organismo maggiore energia e sveltezza, e correggerne ad un tempo anche i vizi o le piccole deformità. Non è detto però che tutti gli esercizi ginnastici giovino egualmente a sviluppare e rinvigorire l’organismo; perciò sono da preferirsi quelli che mettono in movimento tutto l’apparato locomotore, mentre gli esercizi che ponendo in azione solo l’uno o l’altro arto, questo o quell’organo, possono giovare a norma dei casi, ma da soli non fanno altro che produrre soverchio sviluppo di una parte del corpo, a danno dell’altra. Sarà sempre utile che gli esercizi ginnastici siano fatti ogni giorno, di preferenza nelle ore precedenti i pasti, e non siano prolungati tanto da stancare eccessivamente. E cosa della massima importanza che ,l’uomo sappia apprestare senza indugio ogni possibile soccorso in quei casi in cui per errore o per altro sgraziato accidente siano state introdotte nell’ organismo sostanze velenose. Ed ecco le norme che l’igiene consiglia in simili casi. Prima cura - 234 — indispensabile sarà quella di far uscire dall’organismo la sostanza venefica ingerita, provocando il vomito,, sia col solleticare colle barbe di una penna 1’ ugola e la faringe, sia col far bere acqua calda, o col somministrare un emetico. Gli emetici o vomitivi più usati sono l’ipecacuana, il tartaro emetico, il solfato di zinco: ma nelle case si può preparare rapidamente un emetico facendo un infuso assai concentrato di fiori di camomilla. Ciò fatto, è sempre urgente la presenza del medico ; ma, in sua assenza, è utilissimo apprestare tutti quei soccorsi che possono, se non neutralizzare, rendere almeno più debole l’azione del veleno ingerito. Se questo veleno è noto, si dà, potendo, il contravveleno appropriato.; in caso contrario, non esistendo sgraziatamente un contravveleno universale, si somministra qualche sostanza che possa essere utile, come la magnesia usta, il latte, la decozione di semi di lino. Ottenuto il vomito, si avrà cura di conservare ed osservare le sostanze emesse per poter conoscere la natura del veleno. Negli avvelenamenti dovuti ad acidi energici (acido solforico, nitrico, cloridrico, fenico), l’antidoto indicato è la magnesia caustica, l’acqua di calce, oppure acqua contenente creta sospesa o sapone. — Per preparati mercuriali, e specialmente per il sublimato corrosivo, oggi tanto impiegato come disinfettante, giova l’acqua fredda nella quale sia stemperata farina di frumento, oppure 1’ albume dell’ uovo, nella proporzione di cinque albumi per un litro d’ acqua. Gli stessi antidoti, ai quali si può aggiungere il latte, sono utili anche per gli avvelenamenti prodotti da sali di rame (verderame). I sali di piombo si combattono con limonate solforiche, cioè acqua contenente acido solforico nella proporzione di dieci goccio di acido per ogni bicchiere d’acqua, e con solfato di magnesia (sale inglese) in ragione di 100 grammi per ogni litro d’ acqua. Il nitrato d’ argento (pietra infer- — 235 — naie) è neutralizzato dal sale comune, che si somministra nella quantità di due cucchiai di sale in un litro d’acqua, di cui si fa bere un bicchiere ogni cinque minuti. E utile anche in questo caso l’albume dell’uovo. Per l’arsenico giovano il decotto di china, l’acqua di calce diluita con acqua albuminosa, il latte e le bevande mucillagginose. L’avvelenamento prodotto con acqua di lauro-ceraso o con essenza di mandorle amare, si curerà facendo bere un bicchiere d’acqua contenente dièci goccie d’ammoniaca, o con un forte infuso di caffè, non dimenticando di far nello stesso tempo forti fregagioni con acqua fredda lungo la spina dorsale. Avviene sovente che anche sostanze solamente inspirate, quali l’acido carbonico, l’ossido di carbonio, il gas illuminante, producano avvelenamento ; ed in simili casi sarà necessario trasportare tosto l’individuo all’aria aperta e fresca, fargli respirare ammoniaca, bere succo di limone, procedere alla respirazione artificiale, e fargli frizioni irritanti. E anche frequente il caso di avvelenamento con funghi; ed allora si avrà cura di apprestare subito un vomitivo, e, ottenuto l’effetto, una emulsione d’olio di ricino, ed anche qualche po’ di tannino (2 0 [q) in caffè nero. L’ubbriachezza si combatte coll’ acqua tiepida, con qualche infuso caldo di thè, di coca, d’arancio o di limone, ma assai meglio con acqua contenente ammoniaca, nella proporzione da quattro a dieci goccie per ogni bicchiere di acqua. Il petrolio ingerito può essere di grave danno, ed a combatterlo giovano le emulsioni oleose. Anche gli animali possono riuscire a noi fatali quando col loro morso inoculino nel nostro sangue una sostanza velenosa. Così le morsicature di cani idrofobi dovranno essere tosto cauterizzate con ferro rovente, o colla pietra infernale, o con acido solforico ; lavate con ammoniaca con- - 236 - centrata, o con una soluzione di permanganato di potassa. Internamente si potrà somministrare deirammoniaca (15 a 25 goccio in acqua), vini generosi, e possibilmente sarà utile sottoporsi alla cura antirabbica col sistema della vaccinazione Pasteur. Con quasi eguale trattamento si cureranno le morsicature di vipere o d’altri rettili velenosi ; e se mancasse l’ammoniaca, per uso interno si potranno dare liquori alcoolici, rhum, cognac, acquavite, destinati ad eccitare l’individuo. Questi soccorsi, lo si ritenga bene, se possono essere utili al momento, non devono però considerarsi sufficienti, occorrendo in ogni caso il pronto intervento del medico. V’hanno casi molteplici in cui possiamo da noi medesimi, senza per altro invadere il campo del medico, curarci di quelle piccole infermità che ci affliggono, guardandoci bene però dal credere di poter rinunciare affatto all’opera del sanitario, e di dar sentenze o consulti in medicina e chirurgia. Non ricorreremo quindi ad uno specialista per curare un leggero raffreddore, poiché scomparirà ben presto se noi lo aiuteremo con qualche calda bevanda sudorifera (per es. infuso di fiori di tiglio) ; e, potendo, col mantenere ed anzi favorire la produzione del calore del nostro corpo. Spesso il raffreddore è accompagnato da una leggera irritazione della mucosa che tappezza le vie aeree, sicché diventa maggiore la sua secrezione, e quindi tosse ed espettorati mucosi. Sarà utile allora qualche calmante unito ad un leggiero espettorante, e con qualche vantaggio potranno usarsi le diverse pastiglie che si preparano allo scopo, quali quelle del Dower e quelle di ipecacuana. Ma se tali leggieri medicamenti non avessero a produrre alcun effetto sul nostro male, che resiste alla loro azione, sicché minaccia di degenerare in bronchite, ricorreremo tosto al medico, il quale provvederà secondo il bisogno. * È pur frequente, specialmente in tempi umidi, che si — 237 manifesti una leggiera irritazione alle tonsille, sicché si fa penosa la deglutizione; ed allora potranno giovare le pastiglie al clorato di potassa e i gargarismi con acqua tiepida e sale di cucina. Oggi si fanno con molto vantaggio gargarismi preparati nel modo seguente : Cloruro di sodio (sale di cucina) grammi lo. Bicarbonato sodico „ 15. Àcido salicilico „ 15. Si mescoli, e di tale miscela si sciolga un piccolo cucchiaio da caffè in un bicchiere d’acqua tiepida, alla quale si aggiunga un piccolo cucchiaio di glicerina purissima. Oltremodo frequenti sono gli imbarazzi gastrici e le indigestioni, provenienti o dalla troppo grande quantità di cibo ingerito, o dalla sua poca digeribilità. In questi casi un buon purgante può rimettere le cose a posto, e, in ordine di energia crescente, si potrà scegliere fra la grata limonata Rogò al citrato di magnesia, l’olio di ricino, il sale inglese, e l’acqua lassativa di Vienna o viennese. E pure qualche volta utile la semplice acqua di Sedlitz, che oggi ognuno può preparare in casa colla polvere di Sedlitz che si vende dai farmacisti. Chi si espone all’aria umida, od ha la disgrazia di abitare in case non troppo asciutte, può guadagnarsi qualche dolore reumatico, che potrà curare col coprire la parte ammalata con uno spesso tessuto di lana, in modo da favorire lo sviluppo del calore, con frizioni di alcool canforato, e col- l’usare internamente del salicilato di soda, che potrà procurarsi dal farmacista, il quale saprà anche suggerirgli in quale quantità possa essere preso. Le contusioni hanno non poco utile dai bagni di acqua vegeto-minerale, bagni che potranno praticarsi inzuppando in quest’acqua dei pannilini e ponendoli così sulla parte contusa, rammentandosi però che, essendo l’acqua vegeto- — 238 — minerale formata con un sale di piombo (acetato di piombo), essa è velenosa. I paterecci incipienti, cioè quando appena minaccia la suppurazione, potranno curarsi con bagni di sublimato corrosivo, energico disinfettante, ma potente veleno. Per far ciò si potrà acquistare alla farmacia il medicamento, che è posto in vendita sotto forma di pastiglie discoidi di colore rosso : se ne farà sciogliere una nell’acqua, si inzupperà di quella soluzione un pannolino, e lo si avvolgerà intorno al dito ammalato. Ma se, ciò malgrado, la suppurazione non s’arresta, si ricorrerà al medico, al quale spetta la cura. Le ferite di poca entità possono essere tosto curate con una abbondante lavatura con acqua fresca e pura, poi trattate con un disinfettante (sublimato corrosivo), per impedire una possibile suppurazione, indi fasciate con cura per arrestare l’emorragia. Se però essa non avesse a cessare, nel dubbio della rottura di qualche importante ramo arterioso, si ricorra pure al medico, del quale si richiederà l’opera anche nel caso in cui nella ferita siasi introdotto un corpo estraneo, e non sia stato possibile a noi di farlo uscire. Le leggiere congiuntiviti (infiammazioni della membra- nella che tappezza internamente le palpebre) risentono miglioramento quando vengano curate con abbondanti lavature di acqua borica, cioè acqua purissima in cui sia stato sciolto dell’acido borico nella proporzione del 3 0 [q (grammi 3 di acido in grammi 100 di acqua). Se tali abluzioni non bastano, si potrà ricorrere a qualche collirio, per es., di solfato di zinco o di solfato di rame, con qualche goccia di laudano e di acqua di rose; ma si evitino tutti quei medicamenti empirici suggeriti dal popolino, rammentandosi sempre che l’occhio è organo delicatissimo, e che non a torto si dice “ niente fa bene per gli occhi Ma più specialmente dovremo rivolgere la nostra atten- 239 - zione a far sì che le malattie di genere infettivo e contagioso non abbiano a propagarsi a quanti, per ragioni di famiglia, sono obbligati a convivere con chi ne è affetto. Una delle malattie che più mena strage è oggi la tubercolosi sotto tutte la sue svariate forme, ed in particolar modo la tubercolosi polmonare od etisia. La gravità di questa malattia è nota anche ai profani, e la sua ostinazione l’ha fatta chiamare per antonomasia la malattia che non perdona. Gli studi dell’illustre bacteriologo Koch hanno potuto dimostrare che il “ mal sottile „ è prodotto da un piccolissimo organismo ( microbo ) che dalla sua forma di piccolo bastoncino fu detto bacillo , il quale penetra nell’organismo, e trovandolo o indifeso o poco resistente, a poco a poco lo distrugge. Il bacillo tubercolare o di Koch è così piccolo che se ne possono caricare delle migliaia sulla punta di un ago, e pure è stato studiato nelle sue abitudini, nella sua essenza e nel suo modo di combattere contro gli organi che suol invadere. Gli scienziati possono ornai vantarsi di conoscerlo perfettamente, e forse non sono neppure lontani dal conoscere il modo di rivolgere contro di lui le stesse sue armi. Ma in che modo il malato di tubercolosi è pericoloso a’ suoi simili? E questa una nozione che, sebbene affatto elementare e di una verità assolutamente indiscutibile, si direbbe ignorata dada grande maggioranza della popolazione, e certamente negletta nel modo il più deplorevole. Come presso'l’entrata di alcune case di Pompei sotto ad una figura di cane trovavasi scritto “ cave canem „ (guardati dal cane), diremo a proposito della tubercolosi “ cave sputum „ (guardati dallo sputo), poiché lo sputo è il vero ed unico mezzo di diffusione della malattia. Non è nostro compito l’esporre in questi brevi cenni di igiene quali siano le cause disponenti e preparanti all’invasione del bacillo, o meglio del suo attecchimento; se vi sia o no la predisposizione ereditaria o la predisposizione — 240 — acquisita, cose queste sulle quali i medici specialisti non hanno ancora detta l’ultima parola : ma diremo solo poche cose sui veicoli del bacillo, cioè come possa esso essere portato nel nostro organismo. — Naturalmente l’unico veicolo è l’aria respirata: ma come viene l’aria ad inquinarsi di bacilli? Per mezzo degli sputi, o meglio per mezzo della polverizzazione degli sputi, sia allo stato umido, sia allo stato di secchezza. Quando gli sputi, specialmente es- sicati, si disgregano in particelle piccolissime, e passano a far parte della polvere atmosferica, trasportano dovunque i bacilli tubercolari, i quali entrano per le vie respiratorie nel nostro organismo; e siccome la polvere atmosferica va a depositarsi sui mobili, sugli oggetti di cucina, e sugli alimenti, così essa può recare l’infezione anche nelle vie digerenti. E dimostrato poi che la secrezione orale del tisico può contenere grande quantità di bacilli, che vi si arrestarono durante l’espettorazione, e quindi può così spiegarsi la possibilità di contagio mediante il bacio, o l’uso inconsiderato di posate o di alimenti che hanno già servito ad un tisico. L’igiene quindi ci insegna di avere ogni precauzione in questi sgraziatissimi casi: di impedire al malato di sputare sul suolo, ma di raccogliere gli sputi in apposito vaso (sputacchiera), che dovrà essere pulito con cura e disinfettato costantemente con sublimato corrosivo ; e di non usare per individui sani nè posate, nè stoviglie, nè cibi che hanno servito ad un tubercoloso. Oggi la medicina e la filantropia si danno la mano e concordi aprono asili ove possono i tubercolosi trovare quelle cure e quei conforti che sono necessari alla loro triste esistenza. ! 7"£Ì s'MÌSir :■? x^Tv^ì :r;T- V5 i ' -X'^Xv?' l'^y^ vr.-„ y : ; x\- j>£v -'•'& •-'Ol'l W*. ' V--; > : x -:- ->*; y SV.Vy * ss ^0