hi, *, J' " -4 ■*v< >o<' '"CS ,♦ . I .J lL £?£%>* r.f*“‘ , *" v * >m W*4W ■^,5- Nn:?^ì 4' .:•«* * -'V! 4 V, ■KS-^ ■Ass* mém ^iBr^^il ÌW:A f C S,';Ì>* ::a«S3B&*4. j?c^r £ v v ; 4 i Geschenk von Herrn Professor Joh. Wild. FONDAMENTI DI GEODESIA FONDAMENTI GEODESIA ENRICO PUCCI Professore nella R." Università di Roma VOLUME PRIMO CON 52 l-IGURE INTERCALATE NEL TESTO. NAPOLI MILANO ULRICO HOEPLI PISA PROPRIETÀ LETTERARIA. Milano, 1882. — Tip. Bcrnardoni di C. Rcbeschiui e C. AVVERTIMENTO Il secondo volume, che consta di circa 450 pagine, è in corso di'stampa e sarà pubblicato entro quest’anno. Le materie trattate nell’ opera intiera sono distribuite come segue : VOLUME PRIMO. Introduzione. Capitolo I. » IL » III. » IV. ,» V. » VI. » VII. Coordinate curvilinee. — Curvatura delle superficie. Nozioni preliminari. — Coordinate geografiche. Sezioni normali. — Gradi di meridiano. Linee geodetiche. — Coordinate geodetiche. — Curvatura geodetica. Basi geodetiche. — Teoria degli istrumenti per le misure lineari. Triangolazione. —• Teoria delle misure azimutali. — Influenza delle attrazioni locali. Altimetria trigonometrica. — Teoria delle misure zenitali. — Teoria della refrazione terrestre. — Altimetria barometrica e termobarometrica. — Origini delle quote. Combinazione delle osservazioni. 1■" Parte: Fondamenti del calcolo delle probabilità. — Teoria degli errori di osservazione. — Osservazioni dirette. 2." Parìe: Determinazioni indirette. VOLUME SECONDO. Capitolo VII. Combinazione delle osservazioni. (Continuazione.') Parte: Compensazione in generale. — Compensazione delle reti trigonometriche ed altimetriche. 4. a Parte: Equivalenza. — Ellisse degli errori. — Criterio per l’esclusione delle osservazioni. — Della forma delle reti e degli sviluppi di base. VI Avvertimento. Capitolo Vili. Trigonometria sferoidica. — Posizioni geografiche e problemi relativi. —■ Compensazione dei gruppi di reti. » IX. Teoria della rappresentazione di una superficie sopra un’altra. — Deformazioni. » X. Rappresentazione conforme dell’ellissoide sulla sfera c conseguente soluzione dei principali problemi di Geodesia. » XI. Ricerca delle costanti terrestri. » XII. Del Geoide. — Delle attrazioni locali. — Influenza delle attrazioni locali nella determinazione delle costanti terrestri. — Determinazione delle onde geodetiche. Appendice. Teoria delle carte geografiche. — Rappresentazioni autaliche. — Rappresentazioni autogonali. — Rappresentazioni prospettiche. — Rappresentazioni polimorfe. INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL PRIMO VOLUME. Prefazione . Pag. i Introduzione. Delle Coordinate Curvilinee e iella Curvatura delle superficie. Coordinate curvilinee. — Corrispondenze colle coordinate cartesiane Coordinate curvilinee su di una superficie. — Elemento lineare di una superficie. — Elementi delle linee coordinate. Angolo fra le linee coordinate di una superficie. — Condizione di ortogonalità. — Espressione dell’angolo che una linea qualunque della superficie fa con una delle linee coordinate. — Condizione di ortogonalità fra due linee della superficie. — Applicazioni Teorema sulle variazioni di una funzione lungo due linee ortogonali Espressione dell’elemento di area. Angoli che una normale ad una superficie fa cogli assi coordinati Cartesiani. — Espressione del raggio di curvatura di una linea tracciata sopra una superficie.. . Coordinate curvilinee isoterme. — Teoremi relativi. Della curvatura integrale e della misura della curvatura in una superficie . Espressioni della misura della curvatura in coordinate Cartesiane. Relazione fra la misura della curvatura e i raggi di curvatura delle sezioni normali principali. Espressioni della misura della curvatura in coordinate curvilinee Pag. i » 5 » 8 » » >7 » 18 » 20 » 25 » 27 » 29 Capitolo I. — Nozioni preliminari. Della superficie terrestre. — Delle verticali. — Del Geoide . . . Pag. 34 Poli terrestri. — Schiacciamento terrestre. — Equatore terrestre. — Zenit. — Nadir. — Latitudine astronomica. — Meridiani astronomici. — Longitudine astronomica. — Azimut astronomico . » 36 li Vili Indice delle materie contenute nel primo volume. Ellissoide terrestre. — Costanti terrestri, superficie matematica e superficie fisica terrestre. — Punti corrispondenti. — Attrazioni locali Pag. 40 Latitudine geodetica. — Meridiani geodetici. — Longitudine geodetica. — Corrispondenza fra le coordinate geografiche e le coordinate Cartesiane dell’Ellissoide terrestre.» 4 2 Elemento lineare dell’Ellissoide in coordinate geografiche. — Espressione del raggio di curvatura dell’Ellissi meridiana. — Gran normale. — Misura della curvatura.» 45 Capitolo IL — Sezioni normali. Delle sezioni normali. — Teorema di Meusnier. — Sezioni normali principali. — Teoremi relativi.. Pag. 49 Proprietà della media geometrica dei raggi di curvatura delle sezioni normali principali.» 53 Trasformazione dell’equazione dell’Ellissoide. — Espressioni dei raggi di curvatura delle sezioni normali principali di un punto dell’Ellissoide in funzione della latitudine geodetica.» 54 Equazione di una sezione normale dell’Ellissoide riferita ad una sua tangente ed alla relativa normale.» 57 Deviazione dell’arco di sezione normale dall’arco che gli corrisponde sul relativo cerchio osculatore. — Differenza fra un arco' di sezione normale ed il corrispondente arco di cerchio osculatore . » 58 Sviluppo in serie, secondo Bessel, del binomio (1— eP- k' ! sen 2 y)”'. — Applicazioni.» 63 Lunghezza di un arco di meridiano compreso fra due latitudini date (Formula di Bessel).» 67 Quadrante ellittico. — Grado medio. — Grado di meridiano sotto una latitudine data. — Grado equatoriale. — Legge di aumento dei gradi dall’Equatore al Polo.» 68 Lunghezza di un arco di meridiano compreso fra due latitudini date. (Formula di Andrae).» 70 Capitolo III. — Linee Geodetiche. Delle geodetiche di una superficie qualunque. — Loro equazione in coordinate Cartesiane. Pag. 72 Proprietà caratteristica delle linee geodetiche.» 76 Dell’Azimut geodetico. — Teorema di Clairaut.» 80 Serie di Weingarten.» 83 Coordinate geodetiche. — Raggi geodetici. — Circonferenze geodetiche . » 83 Equazioni delle geodetiche in coordinate curvilinee. — Forme date da Gauss a tali equazioni.» 87 Integrazione della equazione delle geodetiche in un sistema speciale di coordinate isoterme. — Generalizzazione del teorema di Clairaut e sua dimostrazione rigorosa.» 91 Indice delle materie contenute nel primo volume. IX Ortogonalità delle coordinate geodetiche. — Forma dell’elemento lineare nel caso in cui uno dei sistemi di linee coordinate sia geodetico . Pag. 94 Equazioni delle geodetiche in coordinate geodetiche. —• Applicazioni » 96 Differenza fra un Azimut geodetico e l’Azimut astronomico corrispondente. — Applicazione all’Ellissoide terrestre.» 98 Differenza fra un arco di geodetica e 1’ arco di sezione normale corrispondente . » 102 Del triangolo geodetico. — Curvatura integrale del triangolo geodetico. — Teorema di Gauss.» 104 Riduzione di un triangolo geodetico osservato al triangolo sferico di eguali lati sulla sfera cosidetta osculatrice.» 107 Riduzione di un triangolo sferoidico al triangolo piano di eguali lati » 109 Della curvatura geodetica delle linee di una superficie. — Sua espressione analitica. —■ Teoremi relativi.» 116 Capitolo IV. — Delle Basi Geodetiche. Della misura diretta delle geodetiche. — Basi. — Elementi orizzontali. — Raggio del cerchio corrispondente ad una base geodetica misurata. Pag. 122 Riduzione di una base al livello del mare.» 126 Riduzione per la temperatura. — Termometri a mercurio. — Teoria dei termometri metallici. » 128 Della campionatura e della comparazione delle spranghe geodetiche. — Prototipi. — Comparatori.» 131 Apparati a compensazione.» 138 Riduzione di una base all’orizzonte. — Montatura delle livelle sulle spranghe. — Determinazione delle relative costanti. — Compensazione per mezzo della livellazione colle spranghe.» 140 Misura degli intervalli. — Sistemi a contatti. — Cunei e loro campionatura. — Leve di sensibilità. — Linguette. — Sistema ottico » 144 Punti a terra. — Distanze terminali. — Sistema di proiezione col teodolite. — Istrumento di appiombo.» 149 Tracciamento ed allineamento di una base.» 153 Curva d’ allineamento sopra una superficie qualunque. — Sua equazione. — Differenza fra l’arco di curva d’allineamento e l’arco corrispondente di geodetica. * 154 Sulla lunghezza più conveniente da dare ad una base, e sulla reiterazione della sua misura. » 159 Capitolo V. — Della triangolazione. Misura indiretta degli archi di geodetica. — Triangolazione , . . Pag. 161 Riduzione degli angoli da un piano in un altro. » 162 Triangolo delle corde. — Risoluzione dei triangoli sferici di piccoli lati col metodo di Delambre.» 166 X Indice delle materie contenute nel primo volume. Risoluzione dei triangoli sferici di piccoli lati col metodo di Legen- dre. — Formule di Hansen. Pag. 168 Risoluzione dei triangoli sferoidici tenendo conto della diversità di curvatura dei loro vertici.» 172 Reti e catene di triangoli. — Triangolazioni di .vari ordini. — Calcolo delle geodetiche che congiungono i punti principali di una rete o catena trigonometrica. — Calcolo della lunghezza dell’arco di meridiano che traversa una catena di triangoli geodetici . . » 175 Degli errori di osservazione e della forma da dare ai triangoli . . » 180 Misura degli angoli. — Universali reiteratoti. — Linee e piani principali di un universale. — Della ripetizione e degli istrumenti ripetitori .» 184 Degli errori di aggiustamento. ■— Espressione analitica della loro influenza sulla misura degli angoli. — Costante di livella. — Costante di collimazione. —■ Osservazioni coniugate.» 192 Eccentricità dei cerchi. — Sua eliminazione. — Determinazione del suo valore e della sua direzione.» 197 Eccentricità del cannocchiale. — Sua determinazione. — Sua eliminazione .» 200 Degli errori di graduazione dei cerchi. — Ricerche analitiche relative. — Sistema di eliminazione.» 203 Classificazione degli errori nella misura degli angoli.» 207 Riduzione degli angoli al centro di stazione.» ivi Influenza dell’attrazione locale nella misura degli angoli azimutali. — Attrazione locale in Azimut — Teorema di Laplace ... « 211 Riduzione della latitudine astronomica da una superficie di livello ad un’altra. — Riduzione degli angoli azimutali (osservati) ad una data superficie di livello.» 213 Capitolo VI. — Altimetria. Altezza assoluta dei punti trigonometrici. — Traiettoria luminosa. — Distanze zenitali vere ed apparenti. — Livellazione trigonometrica Pag. 223 Espressione analitica generale della differenza di livello fra due punti in funzione della loro distanza geodetica e di una distanza zenitale » 224 Ipotesi di Bouguer sulla costituzione dell’atmosfera. — Coefficiente di refrazione. — Applicazione al calcolo delle differenze di livello » 229 Ipotesi di Bessel. — Considerazioni relative. — Applicazione al calcolo delle differenze di livello. — Variazione del coefficiente di refrazione.» 233 Delle zenitali reciproche. — Formula per il calcolo delle differenze di livello con zenitali reciproche e contemporanee.» 236 Determinazione del coefficiente di refrazione, sia nell’ipotesi di Bouguer, sia in quella di Bessel.» 239 Determinazione dell’altezza assoluta di un punto per mezzo della distanza zenitale dell’orizzonte marino in un Azimut dato. — Variazione della distanza zenitale dell’ orizzonte marino coll’Azimut, considerazioni relative.» 242 Indice delle materie contenute nel primo volume. XI Influenza dell’ Ellissoidicità terrestre nelle differenze di livello trigonometriche . . Pag. 246 Della misura delle distanze zenitali. — Influenza degli errori di aggiustamento dell’istrumento. — Formule relative.» 248 Differenza fra una distanza zenitale geodetica e la corrispondente distanza zenitale ellissoidica.» 252 Della flessione del cannocchiale e dei cerchii. — Determinazione della costante di flessione del cannocchiale.» 253 Riduzione delle distanze zenitali al centro di stazione.» 259 Della refrazione terrestre. — Equazione della traiettoria luminosa nell’ipotesi di Bouguer. — Espressione differenziale del raggio di curvatura della traiettoria luminosa in generale. — Applicazione all’ipotesi di Bouguer e all’ipotesi di Bessel. — Conclusioni relative .-.» 260 Determinazione del raggio di curvatura della traiettoria luminosa in un punto di osservazione.» 264 Equazione della traiettoria luminosa riferita ad una sua tangente ed alla corrispondente normale. — Calcolo delle refrazioni terrestri . » 267 Cenno sulla refrazione laterale.» 273 Della livellazione barometrica. — Equazione differenziale che serve di fondamento al calcolo delle differenze di livello col barometro » 275 Integrazione coll’ipotesi di Laplace.» 277 Integrazione coll’ipotesi di Bouguer.» 283 Integrazione coll’ipotesi di Bessel.» 286 Formula di Babinet.» 288 Livellazione termobarometrica.» 290 Origini delle altezze. — Linee di riferimento. — Marea. — Considerazioni relative. — Mareografi. — Determinazione dello zero ma- reografico. — Costanti relative. — Influenze esterne. — Riduzione relativa delle curve mareografiche.» 291 Della differenza fra il livello medio dei mari e il Geoide. ■— Formule relative.» 300 Capitolo VII. — Teoria della combinazione delle osservazioni. i. a Parte: Osservazioni dirette. Degli eirori di osservazione. — Eri ori costanti. — Errori casuali . Pag. 305 Degli errori costanti.» ìo 6 Degli errori casuali in generale. — Valore vero e valore più probabile di una quantità reiteratamente misurata.» 3°8 Della probabilità matematica. — Categorie di fenomeni. — Casi elementari. — Probabilità semplici e composte. — Teoremi relativi » 309 Della reiterazione delle prove. — Combinazioni. — Probabilità relative. — Teorema di Bernoulli .. . <> 312 Probabilità delle cause. — Teorema di Bayes.» 322 Classificazione degli errori casuali. — Curva delle probabilità e suoi caratteri generali.» 3 2 S XII Indice delle materie contenute nel primo volume. Valore più probabile di una costante fisica reiteratamente misurata. — Delle medie. — Loro differenze in funzione dell’errore medio . Pag. 330 Ricerca della forma più probabile della funzione di probabilità. — Determinazione delle relative costanti. — Misura di precisione . » 335 Dell’errore medio e della media degli errori. •—■ Relazioni fra queste quantità ausiliarie e la misura di precisione.» 341 Degli errori temibili relativi.» 344 Principio dei minimi quadrati.» 345 Calcolo della probabilità di un dato errore temibile relativo. — Dell’errore probabile. — Sue relazioni coll’errore medio, la media degli errori e la misura di precisione. — Tavole di Gauss ... » 346 Teorema sul valore più probabile di una funzione di quantità costanti direttamente e reiteratamente misurate. » 353 Teorema sull’errore medio e sullo scostamento medio di una funzione delle osservazioni. — Errore medio della media aritmetica . » 354 Ricerca dell'errore medio e della media degli errori che convengono a un sistema di osservazioni attuali. » 359 Ricerca della fiducia da accordarsi ai valori dell’errore medio, della misura di precisione, della media degli errori e dell’ errore probabile calcolati per un sistema di osservazioni attuali.» 364 Del peso delle osservazioni. — Combinazione delle osservazioni tenendo conto dei pesi. — Errore medio conveniente all’unità di peso e a valore più probabile di una quantità misurata .... » 366 2" Parte: Determinazioni indirette. Delle relazioni osservate. —• Residui. — Riduzione all’unità di peso Pag. 372 Equazioni normali. — Equazioni ridotte ..» 377 Peso ed errore medio dei valori più probabili delle incognite. — Equazioni del peso.» 381 Errore medio corrispondente all’unità di peso.» 388 Peso ed errore medio di una funzione dei valori più probabili delle incognite. » 392 Determinazione diretta dei pesi dei valori più probabili delle incognite » 396 Considerazioni sull’applicazione dei minimi quadrati alle ticerche fisiche.» 401 PREFAZIONE JN on di rado avviene che le ipotesi generali, cui si ricorre per spiegare una categoria di fenomeni esperimentali, acquistino nel primo esame un’indiscutibile apparenza di realtà; tuttavia, a misura che aumentano la precisione e il numero delle osservazioni, vengono ad esser poste in evidenza classi di anomalie che contraddicono a quelle ipotesi senza infirmarle, od indicano come esse devono, secóndo ogni probabilità, venire modificate : la primitiva semplicità di discussione scomparendo insieme colla sperata unità di concetto, siamo allora ridotti a ricercare ed a classificare coll’analisi la più delicata le cause molteplici alle quali dobbiamo ascrivere le contraddizioni notate, e questa battaglia fra l’ignoto e il supposto diventa feconda delle più inattese e brillanti scoperte. La storia dell’Astronomia è ricca di siffatti esempi e può indicare la strada per la quale possiamo sperare di accostarci all’ultima meta della Filosofia Naturale, certo senza raggiungerla; e, poiché le cause che generano una classe di fenomeni, sono generali e quindi comuni a molte altre classi fra le quali non possono esser definite a priori le intime relazioni, cosi avviene che nella discussione di una di tali classi siamo spesso condotti ad un tratto in un nuovo campo di idee, e ci riesce di colpire un nesso imprevisto che può servire di guida a nuove importanti ricerche. Prima di questo secolo le misure geodetiche erano guidate e discusse con dei concetti estremamente semplici e generali, ma col perfezionarsi degli istrumenti, coll’aumentare delle osservazioni e, specialmente, colla discussione degli estesi lavori geodetici eseguiti sia per iscopo puramente scientifico, sia per soddisfare ai cresciuti bisogni della navigazione, del commercio e dell’arte mi- XIV Prefazione. litare, è venuto man mano crescendo l’interesse di una analisi e di una sintesi rigorosa da sostituire ai metodi del tutto primitivi di calcolo e di discussione allora in uso; così alla fine dello scorso secolo e nella prima metà di questo, nel momento del maraviglioso rigoglio delle scienze di applicazione, con tanto successo intrecciato alle più eleganti ricerche teoretiche, Legendre, Laplace, Lagrange, Gauss e Bessel si dettero a riempire la sentita lacuna e coi loro lavori costituirono, può dirsi, la nuova scienza che, sotto il nome di Geodesia, non saprebbe più esser considerata soltanto come un ramo di Geografia Matematica o come il fondamento della Topografia, dacché ha ormai numerosi rapporti colle altre parti della Filosofia Naturale, e le teorie che ad essa si connettono sono di per sé stesse di grandissima importanza. Non tenendo conto , dei rapporti ora ricordati, lo scopo della Geodesia propriamente detta si riduce in ultima analisi allo studio ■della forma e delle proprietà geometriche di una certa superficie ipotetica, o di una sua zona, secondo cui in virtù delle forze esterne ed interne si disporrebbe una massa liquida che coprisse tutto il nostro pianeta, astrazione fatta dalle cause momentanee o periodiche di disequilibrio. L’assoluta ignoranza in cui siamo sulla costituzione fisica e chimica dell’interno della Terra e sulla distribuzione delle densità nelle varie sue parti, rende impossibile di ricondurre siffatto studio alla soluzione di un problema di Meccanica Superiore o di Fisica Matematica; così i resultati delle ricerche teoretiche non possono darci che un concetto generale della forma della superficie da studiare, aprendo il campo ad indagini esperimentali ulteriori; del resto se anche la costituzione degli strati interni del pianeta ci fosse nota, la discontinuità delle densità nella crosta terrestre, nel trattare la questione in tutta la sua generalità, condurrebbe a difficoltà analitiche insormontabili. La Geodesia non può quindi fondarsi che sulla combinazione di misure fatte sulla superficie terrestre, e queste misure possono distinguersi in tre grandi classi che è qui utile di indicare sommariamente. La prima comprende le misure indirette delle lunghezze di certe linee tracciate con una legge determinata sulla superficie da studiare (linee geodetiche ) ; alla seconda (di cui si occupa specialmente l’Astronomia Sferica) appartengono le determinazioni delle direzioni delle normali alla superficie riferita a tre assi fissi rispetto a questa (latitudini e longitudini), e dell’orientamento astronomico delle linee sopra indicate (azimut) ; ed è da notare che .queste due classi di misure sono sufficienti alla completa soluzione t : Prefazione. xv del problema generale della Geodesia. Finalmente alla terza classe rammentata, che può servire di confronto fino ad un certo punto ai resultati ottenuti per mezzo delle altre, si ascrivono le osservazioni della intensità delle resultanti di tutte le forze che agiscono nei singoli punti della superficie (accelerazione della Gravita). Un semplice esame basta a mostrare che quest’ultima categoria di misure non è di per sè sufficiente a determinare la figura della superficie considerata: inoltre, dacché la presenza di masse anormali od avventizie di materia in prossimità degli istrumenti di misura altera notevolmente l’intensità della forza attraente, i resultati ottenuti con tali misure meritano assai minor fiducia di quelli ottenuti con le osservazioni astronomico-geodetiche più sopra accennate, delle quali certe combinazioni sono pressoché indipendenti da una simile influenza che di sua natura è affatto locale. Se si supponesse che la natura e la figura della superficie del cui studio si occupa la Geodesia, fossero completamente sconosciute, per determinarne la forma sarebbe, a tutto rigore, necessario un numero infinito di osservazioni di ciascuna delle prime due classi di misure sopra indicate, poiché, quantunque la continuità della superficie non possa venire revocata in dubbio, la discontinuità nella distribuzione delle densità ci deve avvertire che la figura cercata è ondulata e presenta dei rigonfiamenti ed avvallamenti successivi più o meno notevoli, nella distribuzione dei quali non possiamo supporre legge definibile qualsiasi. L’osservazione degli altri pianeti, dei quali l’analogia colla terra è indiscutibile, le dirette deduzioni analitiche delle quali abbiamo più sopra fatto menzione, e, finalmente, la discussione anche grossolana delle misure astronomico-geodetiche conosciute e di tutti i dati di osservazione che possediamo, giungono per altro in proposito a semplificare la soluzione del problema indicandoci una via di approssimazione nella quale possiamo spingerci oltre tanto quanto si vuole : infatti quelle ondulazioni, più sopra notate come una conseguenza delle irregolarità di densità nella massa terrestre, possono essere classificate e circoscritte le une 1 in zone ristrette, le altre in ampie porzioni della superficie cui appartengono: una simile classificazione conduce subito a trattare la questione principale della Geodesia nel modo così proficuo con cui si tratta in Astronomia Matematica la determinazione delle orbite planetarie e delle ineguaglianze e perturbazioni che, nello stato attuale della scienza, non sarebbero suscettibili di espressione analitica diretta e rigorosamente generale. Si presenta XVI Prefazione. allora ovvio il concetto che ci possiamo fare della superficie che studiamo, poiché i rigonfiamenti ed avvallamenti successivi limitati a zone parziali non differiscono in nulla dalle momentanee ondulazioni della superficie di un mare tranquillo considerate in un istante infinitesimo. Coteste ondulazioni non ci impediscono di considerare la superficie marina come sensibilmente piana o sferica a seconda della sua estensione: la marea, in questo.genere di confronto grossolano, ci darebbe l’idea di uno dei rigonfiamenti più estesi sopra menzionati ; chè, se vogliamo spingere piu oltre l’analogia, possiamo fermare l’attenzione sugli increspamenti che produce il vento sulla superficie delle acque e che riproducono assai bene in piccola scala le scabrosità e discontinuità della superficie fisica della terra. Ora come la nostra mente riesce a fare astrazione da tali increspamenti ed ondulazioni delle acque del mare, immaginando senza sforzo veruno la disposizione di questo ridotto in perfetto equilibrio, e come ci vien fatto istintivamente di ascrivere a tali gibbosità quel carattere di accidentalità e di irregolarità che le distingue, cosi in Geodesia si presenta naturale l’idea di fare prima astrazione dalle ondulazioni fisse della superficie di livello considerata, determinando anzitutto per essa una figura semplice e regolare, per poi riferire a questa le ondulazioni stesse considerandole come irregolarità locali, che possono essere messe in piena evidenza, circoscritte e determinate, dal confronto dei valori ottenuti per certe quantità fisiche sulla superficie terrestre e i valori che matematicamente dovrebbero avere queste quantità se i punti di osservazione appartenessero alla superficie approssimativa determinata. In una gran parte di applicazioni come nelle questioni attinenti alla Geografia Matematica ed alla Geometria Pratica, il tener conto di simili irregolarità sarebbe intieramente superfluo, ed è reso d’altronde impossibile dalla natura stessa dei resultati richiesti ; in altri casi il loro studio diventa invece fondamentale come in certe quistioni geologiche nelle quali solo per tal modo è possibile avere una qualche nozione sulla costituzione degli strati profondi ed inaccessibili della crosta terrestre e sui movimenti secolari di questa. Il numero dei rapporti che possiamo constatare fra l’interno e l’esterno del nostro Globo è estremamente esiguo e ciò nonostante i Geologi hanno saputo trarne immenso vantaggio : 1’ accrescerlo di una sola unità non è fare un piccolo passo nel campo della Filosofia Naturale, e qui si tratta di una classe di fenomeni che può, come nella ricerca delle linee di massima e minima resistenza o di vulcanicità terrestre, servire di appoggio, se non di fondamento, ad una completa teoria. Prefazione. XVII Ma non è soltanto la determinazione della figura generale della terra, delle sue irregolarità ( attrazioni locali ) e della posizione relativa dei suoi punti ( distanze, orientamenti, latitudini, longitudini, altitudini, ecc.), che si chiede alla Geodesia: la sintesi grafica di queste ultime quantità è necessaria pel geografo, pel navigatore, ecc. e diviene un nuovo obiettivo da raggiungere colla costruzione di carte geografiche ed idrografiche. Una tale questione è antichissima e son noti gli ingegnosi sistemi di rappresentazione che in proposito le scuole di Grecia e di Alessandria ci hanno tramandato ( Anaxi - mandro, Talete, Ipparco, Tolomeo ); ma nei nostri tempi, considerata sotto il suo aspetto piu generale, essa ha dato origine ad un metodo tutto nuovo di trattare lo studio analitico di una superficie qualunque, metodo che è suscettibile ancora di ulteriore sviluppo. Infatti la sintesi sopra indicata non può esser fatta che considerando un’ immagine matematica della • superficie terrestre -su di un’ altra superficie convenientemente scelta, immagine più o meno deformata o simile nelle sue parti infinitesime alle figure che essa rappresenta ; le relazioni fra gli elementi della figura rappresentata e quelli delle rappresentazioni hanno ben presto acquistato una grande importanza nel campo dei metodi della matematica astratta ed hanno aperto una strada inattesa ad elegantissime ricerche estremamente generali, perocché il concetto stesso di rappresentazione può essere esteso alle funzioni di un numero qualunque di variabili e le relazioni suddette ci porgono modo di risalire dalle proprietà della rappresentazione convenientemente scelta a quella della funzione rappresentata. La Geodesia si vale ampiamente di questo mezzo analitico di ricerca; la teoria della curvatura sia delle linee, sia delle superficie, quella delle lenti e degli specchi, il comune sistema di rappresentare con linee e superficie i fenomeni naturali, ecc. non ne sono che applicazioni. A misura che i lavori geodetici crescevano di importanza e di numero, si modificavano i mezzi di osservazione, e si deve alle grandi operazioni geodetiche, alle quali hanno cooperato tanti sommi astronomi ed analisti, se oggidì la costruzione degli istrumenti trasportabili ha raggiunto un grado tanto notevole di perfezione da competere spesso coi più precisi istrumenti fissi da osservatorio. Ma per giungere a questo resultato era necessario che si sviluppasse in pari tempo una delle teorie più eleganti e più feconde fra quelle che servono di fondamento alle scienze applicate e che era egualmente richiesta e per la sintesi delle molte osservazioni geodetiche accu- XVIII Prefazione. ululate e per quella delle osservazioni astronomiche. Essa è la teoria «della combinazione delle osservazioni nel qual campo le prime ricerche sono dovute a Lagrange (1770) e Laplace (Mècaniqne Celeste), ma che ebbe da Legendre e da Gauss pressoché il suo completo sviluppo: in seguito essa ben presto è divenuta come la base di tutte le scienze di osservazione, sia nella ricerca esperimentale di leggi ignote, sia nella determinazione della fiducia che dobbiamo ascrivere ai resultati ottenuti, sia finalmente per indicare sino ad un certo punto i sistemi di misura da adottarsi. Fu allora che gli istrumenti di modeste dimensioni acquistarono la loro attuale importanza, tanto più facilmente in quanto che la sostituzione dei microscopi ai noni armonizzava completamente col concetto di indefinita suddivisione delle lunghezze che solo può servir di base ad un metodo di investigazione analitica sugli errori di osservazione. Le singole osservazioni di limitata precisione poterono quindi concorrere con fondamento scientifico all’ esattezza di un unico resultato, introducendo così una grande innovazione nei modi di condurre gli esperimenti di ogni genere o di sintetizzarli, e dal campo astronomico e geodetico il principio dei minimi quadrati si estese a ogni genere di sintesi dei fenomeni naturali. La teorica di Legendre e di Gauss trovò Invero molti oppositori, lo che non può fare maraviglia se si pensa alla sua speciale natura: ma la concordanza dei resultati teoretici -colla pratica ha oggimai tolto ogni discussione possibile in proposito, almeno per la maggior parte di categorie di fenomeni, e tutti gli osservatori che hanno avuto occasione di applicarla in vasta ■scala, conoscono la sicurezza delle sue conclusioni. Come nei due campi ora rammentati così in altri i sommi -analisti che hanno formata o sviluppata la moderna Geodesia, si sono elevati dalla considerazione speciale del nostro pianeta a ricerche analitiche, delle quali l’importanza è pari alla generalità. Ma dobbiamo affrettarci a dire che lo scopo di questo libro non può esser per certo l’esposizione di tutte le teoriche attinenti alla "Geodesia nel loro più ampio sviluppo ; ma mi è parso che potesse meritare interesse la coordinazione delle principali, mantenendo quella generalità di concetto e quel rigore di deduzione che, mentre me formano l’eleganza, pongono in chiaro l’ulteriore possibile sviluppo delle loro applicazioni, e riempiendo quelle lacune che naturalmente si presentano nel connettere varie monografie senza togliere loro il proprio carattere originale. D’altronde alcuni argomenti che non saprebbero essere omessi, sono stati fin qui negletti Prefazione. XIX o trattati in modo affatto elementare mentre il loro pieno sviluppo può meritare l’attenzione dei cultori della scienza. Finalmente la pratica nei lavori geodetici mi aveva condotto a diverse considerazioni ed a diverse ricerche originali in varie parti disparate della materia,, considerazioni e ricerche che avrebbero perduto gran parte del loro- interesse se fossero state pubblicate in note separate, e che tuttavia mi è sembrato che meritassero di esser fatte palesi. Alle precedenti considerazioni generali aggiungerò brevi parole sull’ordine e sul sistema che ho creduto migliore nella compilazione del libro. Non debbo tacere che in esso ho avuto anche di mira l’utilità che ne avrebbero ritratto gli studenti universitari nel seguire le mie lezioni di Geodesia, e per ciò mi sono fermato su certe cognizioni elementari che potrebbero sembrare spostate o superflue. Tuttavia ho cercato anche in questo d’ essere più parco che potevo, trattando solo gli argomenti che per una modesta cultura matematica ho creduto indispensabili alla piena intelligenza delle teoriche esposte. Cosi pure nello svolgimento di queste ho tralasciato tutte quelle ricerche che non trovano immediata applicazione e che non mi sono sembrate suscettibili di ulteriore sviluppo. In quanto all’indirizzo generale dell’opera so bene che non è il solo che si poteva seguire : sono noti i tentativi fatti da alcuni matematici per lasciare in disparte la teorica delle linee geodetiche, perchè le quantità fisiche ad esse relative, e che debbono poi essere introdotte in calcolo, non possono venir direttamente misurate. Schivando in tal modo un’ apparente complicazione si cade però in altre complicazioni assai più gravi quando si giunge alla sintesi delle quantità misurate, mentre si toglie al complesso dei metodi quell’unità di. concetto che ne forma una dote. Farà indubitatamente maraviglia di non trovare qui trattata la determinazione dello schiacciamento terrestre per mezzo delle misure col pendolo : in realtà avevo in animo di dedicare a tale argomento due degli ultimi capitoli; credo quindi opportuno di esporre in poche parole il motivo della lacuna. Premetto anzitutto che, a mio credere, in un trattato completo di alta Geodesia non dovrebbe mancare l’esposizione dei metodi co’ quali si determinano le posizioni astronomiche dei punti terrestri e si orientano le linee che si immaginano tracciate sul Geoide e si suppongono geodeticamente misurate. Una tale espo- XX Prefazione. sizione appartiene tuttavia più specialmente al campo dell’Astronomia Sferica, e richiede un corredo di cognizioni ed uno sviluppo abbastanza esteso per formare un volume a sè. Dopo le eccellenti pubblicazioni dello Chauvenet e del Brunnow il trattare di nuovo simil genere di quistioni potrebbe a prima giunta sembrare una fatica senza compenso; però le molte modificazioni che è conveniente di apportare alle teorie generali dell’Astronomia Sferica per adattarle allo spirito dei metodi geodetici possono in realtà meritare l’attenzione degli studiosi, tanto più che oggidì gli istrumenti trasportabili, che hanno un carattere interamente geodetico, sono giunti a un alto grado di perfezione e, dal punto di vista della Geodesia, è molto importante il moltiplicare le determinazioni di Latitudine e di Azimut intorno ai centri di attrazione anormali. Contuttociò, pensando che sotto il titolo di questo libro potevano esser benissimo riunite le teoriche che presuppongono astronomicamente determinate le direzioni delle normali al Geoide e le direzioni delle sue geodetiche e se ne valgono conte di quantità ipoteticamente note, per non ritardare di troppo la pubblicazione dell’opera presente decisi di rimettere ad altro prossimo tempo quella di un terzo volume che sotto il nome di Astronomia Geodetica sarà come il complemento di questi due e del quale la compilazione è già assai inoltrata. Si presentava allora di per sè l’idea di includere in questo nuovo libro la teoria delle ricerche col pendolo alla quale è necessario di dare un indirizzo tutto speciale e che non ha nulla di comune colla materia qui esposta. In tale idea mi sono fermato tanto più volentieri in quanto che la completa teoria suddetta presenta una certa complicazione e lunghezza di svolgimento che avrebbe di troppo accresciuta la mole di questi due volumi, mentre il ritardare la pubblicazione mi permette di valermi dei risultati di certi studi ed esperienze in corso. D’altronde le considerazioni che sulle misure dell’ intensità della gravità abbiamo già accennate nel principio di questa prefazione, pongono in chiaro le difficoltà pratiche che s’incontrano nella sintesi dei valori ottenuti: non disconosco la importanza delle idee dell’ illustre prof. Bruhns ( Die Figur der Erde ) in proposito ed ammetto anzi con esso e con altri molti che questo genere di osservazioni di cui oggidì diversi Astronomi e Geodeti si occupano con tanto amore, avrà un posto importante nella scienza, spero tuttavia che la lacuna momentaneamente lasciata non debba costituire un difetto dell’opera attuale. Prefazione. XXI Nella disposizione della materia ho creduto opportuno di seguire l’ordine naturale secondo cui si dovrebbero succedere le operazioni geodetiche sia di calcolo, sia di osservazione, premettendo nei primi capitoli le nozioni indispensabili che servono di fondamento al rimanente del libro, e chiudendo colla sintesi delle operazioni compiute. Sono stato assai in forse se dovevo o no parlare della costruzione delle carte geografiche, giacché mi sembra che tale argomento più che alla Geodesia propriamente detta, appartenga alla Geografia matematica, mentre la teorica della costruzione delle carte è naturalmente inclusa in quella della rappresentazione di una superficie sopra un’altra sviluppata nel Capitolo IX, e d’altra parte la natura dell’opera non mi consentiva di entrare in particolarità, che del resto dopo le eccellenti pubblicazioni del Tissot, del Germani e del Fiorini, sarebbero state assolutamente superflue; per comodo degli studenti ho relegato dunque nell’appendice quanto sotto il punto di vista teorico mi è sembrato più interessante sull’argomento in questione, rimandando ai trattatisti speciali per tutto ciò che si riferisce ai metodi di costruzione pratica, alle molte applicazioni di minore importanza ed alla parte storica. Nella teorica della rappresentazione di una superficie sopra un’ altra, nonostante l’attrattiva dell’ argomento, mi sono limitato ad esporre ciò che era strettamente necessario per l’intelligenza delle sue applicazioni geografiche e geodetiche, riserbandomi di pubblicare a parte alcune ricerche di ordine più generale. Qui ho seguito in gran parte le note memorie dell’illustre prof. Dini, come quelle che più specialmente erano consentanee coll’indirizzo generale del libro. Nella prima parte della teorica della combinazione delle osservazioni mi sono fermato sui principi del Calcolo delle Probabilità assai più che non si suole nei comuni trattati di tale materia,, e ciò per non lasciare lacune nell’ordine logico di deduzione e per rendere rigorosa questa per quanto era compatibile colla natura della materia, ponendo in evidenza il concetto di casualità e di indefinita suddivisione delle lunghezze che serve di fondamento al metodo dei minimi quadrati. A vero dire, tutto ciò che ho esposto nelle prime tre parti relative a questo argomento appartiene tanto alla Geodesia quanto a tutte le altre scienze di osservazione; tuttavia, conformandomi in questo all’uso comune, ho creduto che la forma che ho data al Capitolo VII, non disconvenisse al carattere del libro. wmm api . vém&: ‘ : .-<, 4.fe’ INTRODUZIONE. DELLE COORDINATE CURVILINEE E DELLA CURVATURA DELLE SUPERFICIE. 1. Data un’equazione TO'* V, z, «)= o fra tre variabili x, y, % ed un parametro a, quando si considerano le variabili come coordinate cartesiane di un punto dello spazio riferito a tre piani fìssi che si tagliano ortogonalmente, l’equazione rappresenta una superficie : se al parametro a si danno poi successivamente tutti i valori possibili compresi fra certi limiti, si ottiene un infinito numero di superficie che godono di molte proprietà geometriche comuni e che perciò diremo appartenenti ad una stessa famiglia caratterizzata completamente dalla equazione data, ove si consideri in questa il parametro a conte indeterminato. Risolvendo quazione rispetto ad a, si ottiene poi una relazione a fa (a, y, f). ove la forma della funzione che costituisce il secondo membro caratterizza la famiglia di superficie sopra indicate. Consideriamo tre famiglie distinte di superficie, e sieno t, u, v i loro parametri indeterminati, in modo che si abbia: t =f ( a , y, l), /« (a, 0» fa (A) _y, c) ogni singolo valore di un parametro individua completamente una superficie nello spazio : e in generale il sistema di tre valori qua- P .i, Geodesia. 2 Introduzione. lunque t', n', v' dei tre parametri indeterminati, considerato come coesistente, viene a determinare uno o più punti, in cui le tre superficie corrispondenti ai valori speciali t', u', v' di t, u, v, si incontrano. Se dunque le tre famiglie di superficie sono tali che per ciascun punto dello spazio ne passi una di ciascuna famiglia, è chiaro che a ciascun punto dello spazio corrisponderanno certi valori determinati dei parametri t, u, v e reciprocamente, in modo che questi potranno esser considerati come le coordinate di quello. Nel caso che a certi valori di t, u, v corrispondano vari punti, si dovranno fare delle convenzioni speciali, in modo da poter considerare uno di essi separatamente : la condizione necessaria suindicata che, cioè, per ciascun punto dello spazio passi almeno una superficie di ciascuna famiglia, è evidentemente soddisfatta se ad ogni valore reale di x, y, z corrisponde almeno un valore reale di t, u, v : se ne corrispondessero parecchi, bisognerebbe introdurre nuove considerazioni per ovviare ad ogni ambiguità nella determinazione dei punti corrispondenti. Del resto tale condizione indispensabile quando si vuole ritenere tutta la generalità, resta limitata a certe zone dello spazio nella maggior parte delle questioni in cui si applica questo genere di coordinate generalissime, di cui le comuni coordinate cartesiane e polari non sono che casi speciali. Le forinole (i) danno la corrispondenza fra le coordinate qualunque t, u, v e le coordinate cartesiane x, y, z e servono per passare da quelle a queste; viceversa le forinole adatte a passare dalle coordinate cartesiane alle coordinate qualunque t, u, v avranno la forma x=f*Q,u,i 0 • }' =/, 0 , 11 > v ) (2) \ =/» Qy u > v ) ) e le (2) possono dedursi dalle (1)0 reciprocamente, quando si riesce a risolvere, rispetto alle incognite che vi sono contenute, le funzioni che costituiscono i secondi membri. 2 . Una superficie qualunque in coordinate cartesiane è rappresentata dalla equazione >y> ?) = ° ove si suole considerare q come funzione di x, y. Eliminando fra questa equazione e le (2) o le (1) le variabili x, y, z si ottiene la nuova equazione ? 0 , v) = o Introduzione. 3 che appartiene alla superfìcie stessa e la rappresenta nel nuovo sistema di coordinate. Analogamente si può passare dall’equazione di una superficie, riferita al sistema di coordinate t, u, v, all’equazione che la rappresenta in coordinate cartesiane eliminando /, u, v fra l’equazione data e le (1), o le (2). È superfluo notare che per una superficie uno dei parametri diviene funzione degli altri due : lo che ci mostra come invece di considerare nella F ( x > dì 0 = 0 la z come funzione di x, y, si possono ritenere tutte e tre queste coordinate come funzioni simultanee di altre due variabili indipendenti qualunque, legate ad x, y, z da due relazioni arbitrarie. Cosi pure siccome una lìnea nello spazio vien di solito rappresentata dal sistema delle due equazioni : P(.*> dì 0 = 0 / 0> dì l) = o in cui z, )' sono funzioni della variabile indipendente x: eliminandovi x, y, z per mezzo della (1) o della (2), si ottengono due nuove relazioni : <)> (t, 11, v) = o \ ? Q, ", v) = o che rappresentano la curva stessa. In questo caso due dei parametri /, u, v debbono considerarsi come funzione del 3. 0 o tutti i tre simultaneamente come funzioni di una 4.“ variabile. 3 . L’elemento di distanza fra due punti nello spazio è dato da ds t — dx 1 -\- dy 2 - ~{-dz 2 e dalle (2) ricaviamo : d t +1^- d a -f ot dii 4 Introduzione. Ponendo : B = E = G= ^ ^ „ _ d x dx. ,dy_ dy_ . d_z d_z_ d t d u ‘ d t d u ' dt du . 8 x d x dy dy . dz dz dt 8 v dt d v dt dv (3) j,_ d x d x dy dy du dv' 8u 8 v d_l d_z j 8n dv I si avrà pertanto ds 2 = Bdf -{-2 Cdtdu-\-Ed it 2 -{- 2 D d t dv Gdv 2 2 F d il dv . (4) Le espressioni delle quantità B, E, G, C, D, F in funzione , „ , . . dt dt dt 8 u . . delle derivate inverse tt— , tt- , ~—, 77 —, ■ . • ecc. e che converreb- 8 x dy 8 z 8 x bero al caso in cui le corrispondenze fra le coordinate curvilinee e cartesiane fossero date sotto là forma ( 1 ), sono assai complicate: 3 x sarebbe del resto agevole il ricavarle eliminando le derivate -r—, 0 81 t— , , 7 T- , ecc. fra le equazioni (ri) e le note relazioni du dv dt 4 _ dx dt 8x du 8x dv 1 d t d x ' d u 8 x dv d x dx dt dx du dx dv ° dtdy'dudy'dvdy. dx dt d x du dx dv '+sT a - : + 5T7 dt 8 -v dy dt du dz dv dz _. dy du dy dv dt dy du dy dv dy dy_ dt_ d t d x dy du du 8x A-^ u — + u -2- dy dv 8 v dx \ Introduzione. 5 dy dt dy du dy dv dt dz du dz dv dz dz iti i d_z_ du_ , dz dv_ dt d z dn dz irv dz dz dt dz du 8 z dv dtdx du dx dv d x che si ottengono derivando le corrispondenze (2) successivamente rispetto ad x, y, z- 4 . Il sistema generale di coordinate che ora ci occupa è specialmente adatto allo studio di una superficie qualunque data, giacché vengono per tal modo poste in evidenza molte delle sue proprietà che non risulterebbero altrimenti se non dietro complicate considerazioni. Infatti, essendo le tre famiglie di superficie coordinate completamente arbitrarie, salvo la condizione fondamentale che per ciascuno dei punti da studiare passi almeno una superficie di ciascuna famiglia, potremo scegliere in questo caso per una di tali famiglie la famiglia cui appartiene la superficie da studiare, nel qual caso per tutti i punti di essa uno dei tre parametri sarà costante e dato per esempio dalla equazione y, z), che non è che l’equazione della superficie stessa. Se quindi non si hanno da considerare le relazioni che passano fra i punti della superficie e i punti esterni, le corrispondenze fra le coordinate cartesiane e le coordinate generali t, 11, v saranno ridotte alle due relazioni : " =fu 0', y, z) v =f, O, y, z) e le equazioni (2) diverranno: ('h v ) y =/» Ofi v) f* ('fi v) ( 5 ) essendo u, v indipendenti, a meno che non si consideri una certa linea speciale della superficie in questione. 6 Introduzione. Ciò posto, supponiamo di mantenere nelle (5) costante il parametro 11 e di far variare con legge continua la v : i valori di x, y, z corrispondenti apparterranno ad una linea della superficie e precisamente alla intersezione della superficie t = cost colla superficie della famiglia u che corrisponde al valore particolare di 11 considerato. Quindi, dando ad u successivamente tutti i valori compresi dentro certi limiti, si ottengono sulla superficie certe linee a a, a i a a 2 a 2 ,... ecc., che in generale non si intersecano e che appartengono ad una certa famiglia speciale, individuate ciascuna da un certo valore speciale della coordinata 11. Analogamente, mantenendo v costante e tacendo variare continuamente //, si ottiene la famiglia delle curve b b, b l b l , b 2 b 2 ... ecc. Se quindi si fanno variare contemporaneamente u e v si viene a coprire la superficie di un reticolato formato da due famiglie di curve che si intersecano tra loro, e di cui ciascuna è individuata da un valore speciale di u, o di v, ed una coppia di valori /q, v t di questi parametri individua a sua volta un punto della superficie, che resta determinato geometricamente dalla intersezione delle due curve appartenenti ciascuna ad una delle due famiglie sopra dette, e che si possono considerare come linee coordinate della superficie in questione. Questo significato geometrico dei parametri variabili u, v, rispetto alle linee ciré caratterizzano su di una superficie qualunque, ha condotto a dare loro il nome di coordinate curvilinee dei punti della superficie, e per analogia è stato esteso questo nome ài sistema di coordinate t, it, v, che in generale determinano un punto nello spazio e che corrispondono alle tre linee secondo cui si incontrano tre superficie coordinate relative al punto considerato. Per i punti di una linea qualunque della superficie *=/«(*> 0 fra i parametri 11, v deve esistere una legge che caratterizza la linea stessa, la quale viene rappresentata dall’equazione F(a, v) = 0. E chiaro poi che per ciascuna superficie esiste un numero infinito di sistemi di linee coordinate. Infatti, due famiglie di curve tali che per ciascun punto della superficie, due almeno di esse appartenenti a ciascuna famiglia si incontrino, possono essere assunte come coordinate curvilinee. Due delle corrispondenze (5) possono in altri termini essere scelte arbitrariamente, essendo sufficiente che la terza sia ricavata sostituendo i valori corrispondenti delle coordinate car- Introduzione. 7 tesiane nella equazione della superfìcie; però rimane sempre la condizione che questa terza corrispondenza dia per la coordinata cartesiana relativa un valore reale. Potrebbero anche invece essere scelte .arbitrariamente le funzioni « =A 0 , y, 0 v=f,(x, y, z), le quali insieme alla equazione della superficie darebbero le corri- 1 pondenze fra le coordinate cartesiane e le coordinate curvilinee. Osserveremo che quando si avesse il sistema di coordinate curvilinee h, v, se si pone «•' = («) v' = (u) e si vogliono considerare v come un altro sistema di coordinate curvilinee, le formule esprimenti certi enti e le loro proprietà geometriche cambiano, ma in realtà le linee coordinate sulla superficie rimangono le stesse, poiché ad u = c ost corrisponde il valore «' = cost e quindi le linee della superficie per cui u è costante, sono le stesse che le linee per cui è costante u' e cosi per v e v'. ». Dalle corrispondenze (5) che si riferiscono ad una superficie data, si ottiene : , dx , ,dx a x = 7^— d 11 + tt- d v oh òv i dy j , dy , d}' — o d u òn dv dz = i^d 11 -f dv, dii 0 v e l’elemento di una linea qualunque della superficie, se si pone (come al n.° 3) : E = (du) + {du) + (dÌ) F= dx dx du dv d_y dy ,8\ d_\ du dv du dv diviene : ds = \jEdu 2 2 Fdu dv -|- G dv 2 . (0 ( 7 ) Allorché si suppone in questa espressione generale d u = 0 , il corrispondente elemento lineare, che rappresenteremo con ds„, appar- Introduzione. tiene alla famiglia delle linee coordinate u = cost e si ha : ds„ = dvj G. (8) Analogamente si trova per l’elemento delle linee coordinate v = cost ds„ = dn\j E. (9) <». I coseni degli angoli che una linea della famiglia n = cost fa cogli assi, sono in generale dati da dx dy dz d s„ ’ ds„’ ds„ ove dx, dy, dz sono gli aumenti di x, y, e z lungo la linea considerata, ossia presi considerando u — cost ; quindi, per la (8), i coseni sopra indicati saranno espressi da: 1 dx 1 dv __r_ dji \] G dv ’ \JG dv ’ y'G dv ' Analogamente per i coseni degli angoli che una linea v = cost fa cogli assi si ottiene: 1 dx 1 dy _i_ d'z fÉ da’ JE dii’ \[E d u ’ Ne risulta che in un punto della superficie le linee coordinate che lo caratterizzano si tagliano sotto un angolo to che resta determinato dalla formula: COS (’■> = o, per le (6), da: Se ne deduce : 1 /d_x dx_xdj_dy_.cz \JTzG\du dv cu di’ du di’)’ cos co F fEG ' sen V 1 G — F 1 ' tang co : EG I \j E G — F 1 \ F (io) (”) nelle quali il segno da prescegliersi dipende dalla convenzione che si fa nel contare gli angoli e nel determinarne l’orìgine. Allorché per tutti i punti della superficie si ha F = o si ottiene cos w = 0, sen co = 1, tang co = oc e quindi co = -- ; perciò le 9 Introduzione. lince coordinate si tagliano ovunque ad angolo retto: reciprocamente per condizione di ortogonalità si ha evidentemente F= o, ossia: dn dv d u dv cu dv (12) Se ne deduce che per ciascuna superficie esiste un numero infinito di sistemi di linee coordinate ortogonali, poiché questa ultima equazione a derivate parziali integrata condurrebbe a un’equazione fra .y, r, 4, u, v che potrebbe essere assunta come una delle corrispondenze fra le coordinate cartesiane e le curvilinee e queste sarebbero in conseguenza ortogonali : ed oltre alle funzioni arbitrarie che conterrebbe l’integrale generale trovato, rimarrebbe un’altra corrispondenza da scegliersi arbitrariamente (vedi n.° 4).* * E bene notare che quando nell’elemento lineare nello spazio (4) si ha C — D = F — o, le tre linee coordinate di un punto qualunque si tagliano ortogonalmente. Infatti per F = o le due linee coordinate sulla superficie t = cost sono ortogonali, e per esser D — C — o sono pure ortogonali le due linee sulla v — cost e sulla u — cost. Le tre equazioni a differenze parziali F— o, D — o, C — o darebbero in questo caso, se potessero essere integrate, le corrispondenze fra le coordinate curvilinee ortogonali e le cartesiane. Se si osserva che gli elementi delle linee coordinate nello spazio, che si ottengono dando contemporaneamente valore singolare a due dei tre parametii coordinati, sono dati rispettivamente da VBdt, V E d 11, V G d v sarà facile concludere che queste espressioni rappresentano rispettivamente le distanze fra due superficie consecutive di ciascuna famiglia. Consideriamo due superficie infinitamente prossime della famiglia /..-cost: risulta dalla precedente considerazione che le projezioni della loro distanza (contata sulla normale alla superficie / = cost) nel punto t,u,v sugli assi cartesiani saranno espresse da: dt d * d X = VBdl dt a v d y = V B d t (li-MIIHUr dt poiché i moltiplicatori di V B dt in queste espressioni sono appunto i coseni de- IO Introduzione. Rappresentiamo ancora con 0 l’angolo che una linea qualunque r fa in un certo punto (ti, v) con una delle relative linee coordinate per esempio colla v = cost. Osservando che ^ a s a s a s sono i coseni degli angoli che l’elemento d s fa cogli assi, e tenendo conto delle espressioni già trovate per i coseni degli angoli che fa cogli assi la linea v = cost, avremo : ds ,\jE \d e sostituendo a dx, dy, d% i loro valori in u, v: e ricordando le forinole (6) si troverà : Per l’angolo che la r fa colla u = cost si avrebbe analogamente Gdv + Fdu cos (oi — 0) = V E di (i5) Sieno ora A B C una linea r della superficie, A un punto di coordinate u, v in tale linea, B il punto corrispondente all’aumento ds nell’arco r che si considera; se AEF, AGH sono le linee coordinate u, v corrispondenti al punto A, e le E B I, C B A le linee 11 d it, v-dv corrispondenti a B, l’angolo w compreso fra le prime due differisce dall’angolo compresa fra le seconde di una quantità infinitamente piccola d co almeno quando si escluda il caso speciale di una singolarità della superficie in A, in cui debbono applicarsi certe considerazioni che qui sarebbe superfluo di ricordare. Analogamente si dica dell’angolo 9 che la s fa in A-, colla linea v, e che differisce della differenziale d 9 dall’ angolo che la stessa linea fa in B colla linea v -fi- d v. Ne risulta che il quadrilatero curvilineo EB G A i cui lati sono infinitamente piccoli può esser considerato come un parallelogrammo rettilineo la cui diagonale sia ds, e colle notazioni dei numeri precedenti, questo parallelogrammo ci darà subito : sen 9 = se sen co . djj, ds ’ sen — 9) = sen co —. ' ds ' forinole che per le (8), (9), (11) divengono: sen 9 Si E G — fi dv ,-w d v - = sen t-j. v G . d s ’ sen (oj — 9) : IE fE~G~F* d a ds ’ \JG d-is du , — sen co V E - , ds d s (16) e per la ( 13 ) combinata colla prima di queste V/£G —fi -2 tang 9 : E d ,- + F d V (1 6 bis ) 12 Introduzione. sen 9 = \J G -, l d s cos 0 = \J E j - fl J (Ì7) Queste stesse formule (16) e (17) potevano anche ricavarsi, più rigorosamente, dalla (13) e (14). Da tali relazioni si ottengono immediatamente le condizioni necessarie e sufficienti perchè due linee tracciate su di una superfìcie per un dato punto zq, i\ sieno tangenti od ortogonali; sieno infatti u— v (v) v = © 2 (y) le equazioni delle due linee e la condizione di tangenza sarà: per il valore v 2 considerato: la condizione di perpendicolarità si ottiene invece dalla (i6“‘) ed è: E 2 ?\ iQ + E 2 + EF(y\ + ©'J + EG = o, poiché in questo caso si dovrebbe avere 1 -f- tang tang = 0 essendo 9 ,, 0 2 i valori che assume 0 per le due linee in questione e nel punto zq,‘t , I . Se le coordinate sono ortogonali, tale condizione diviene poi ^ = o. E 7 . Per applicare le formule dei numeri precedenti prendiamo ad esempio di coordinate curvilinee le usuali coordinate polari. In questo sistema un punto è determinato dalla sua distanza ( raggio vettore), da un centro fisso ( polo ), dall’inclinazione (colatitudinè) del raggio vettore su di una retta fissa ( asse polare) che passa per il polo e dall’ angolo ( longitudine ) che il piano determinato dall’ asse polare e dal raggio vettore fa con un piano fisso che contiene l’asse polare. Ora un dato raggio vettore t corrisponde a tutti i punti di una sfera la cui equazione in coordinate cartesiane coll’origine al polo è: t — \j x 2 -f-y 2 -fi 4" 13 Introduzione. e facendo variare t si ottengono tutte le sfere possibili che hanno il detto centro: analogamente a una colatitudine unica u corrispondono tutti i punti di un cono retto che ha per asse l’asse polare, e che è rappresentato dall’equazione u = are cos \j X 2 + f + : col variare di u il cono prende tutte le aperture possibili, e passa successivamente per tutti i punti dello spazio. Finalmente la longitudine v corrisponde a tutti i punti di un piano, la cui equazione è data da ■ y v = are tane- se l’asse delle ,v è contenuto nel piano fisso delle coordinate polari; e variando v, il piano ruota intorno all’asse delle z come cerniera. Si hanno dunque tre famiglie di superficie (la sfera, il cono ed il piano) tali che per ciascun punto dello spazio ne passa una di ciascuna famiglia e i tre parametri t, u, v determinano qualunque punto dello spazio considerato come intersezione di un piano, un cono ed una sfera. Le forinole precedenti ci permettono poi di passare dalle relazioni in coordinate cartesiane fra i punti e le linee dello spazio a quelle in coordinate curvilinee, quando si risolvano rispetto ad x, z, )’■ Senza arrestarci ad altre considerazioni in proposito, supponiamo invece che sia dato da studiare geometricamente un ellissoide di rivoluzione rappresentato dall’ equazione : in questo caso, come fu detto, è utile di sceglier, per una delle tre famiglie di superficie coordinate, la famiglia cui appartiene l’ellissoide stesso; per linee coordinate », v, su di questo si sogliono scegliere poi i paralleli e i meridiani che sono le sezioni fatte sull’ellissoide dei piani perpendicolari all’asse di rotazione o contenenti quest’asse. Nel momento sceglieremo per u il raggio di un parallelo, notando solo che senza cambiar le linee coordinate si potrebbe pure scegliere per », sia la colatitudine (geocentrica o geodetica), sia una funzione qualunque di questa, e riterremo per v la longitudine (vedi coordinate polari). In conseguenza è facile vedere che la corrispondenza fra le coordinate cartesiane ed i parametri varia- I Introduzione. bili sarà stata data dalle: x = u cos v y = u sen v Se ne deduce £ = a — e 11 a — il e la seconda di queste ci mostra che i meridiani e i paralleli sul- l’ellissoide si tagliano ad angolo retto, proprietà interessante in geodesia, e che può generalizzarsi a tutte le superficie di rivoluzione, poiché la corrispondenza fra le coordinate cartesiane e le coordinate «, v ora considerate è data per tutte queste superficie dalle X — Il cos V v = u sen v essendo f (ji~) una funzione che contiene la sola u e ne risulta che si ha in ogni caso F = o. L’elemento lineare sull’ellissoide di rivoluzione è dato da: d li 2 - f- u 2 d v e ponendo ds = u\jdU 2 -\-dv 2 -, e ci è noto che prendendo per coordinata U anziché // le linee coordinate della superficie' non cambiano. Quest’ ultima forma dell’elemento lineare è molto notevole, e ci può indicare che i paralleli e i meridiani di una ellissoide, oltre all’essere ortogonali fra loro, hanno certe proprietà che ci dovranno occupare fra breve. L’angolo di una linea qualunque tracciata sull’ellissoide coi meridiani (u = cost) è dato, per la 3.* delle (17), da: fi « V 1 rang 6 = Va \j a 2 — u 2 d v ,2 — e 2 ir du- i5 Introduzione. Se è nota la funzione di u, v che dà l’angolo 0 lungo la linea considerata, l’equazione precedente dà subito l’equazione differenziale della linea stessa. Così per la loxodromia, che è la curva d’una superfìcie di rivoluzione che taglia i meridiani sotto un angolo costante, si ha: ove la costante C si può determinare colle condizioni che la curva passi per un certo punto della superficie. Per 1 ’ arco loxodromico, osservando che deve aversi j..i . tang h 2 ) LI L 2 2 2 essendo 0 costante, si trova sostituendo nell’espressione sopra ottenuta per d s : cos 0 ds = d u e, ricordando che per la (9) il secondo membro, che può porsi sotto la forma du^E, non è che l’elemento della linea v, ossia del meridiano, d ^ s ” cos H da cui integrando e contando s a partire dal punto per cui r„ = o: s, cos 0 ’ notevole proprietà della loxodromia sull’ellissoide e che può facilmente estendersi a tutte le superficie di rivoluzione. 8. Questi esempi possono bastare a porre in evidenza la semplicità e l’importanza delle coordinate curvilinee applicate allo studio delle superficie in generale; dobbiamo ora dare altre formule e dimostrare certi teoremi di cui dovremo valerci in Geodesia. Sia h una funzione di u, v ; allorché dal punto u v, della superficie si passa al punto 11 -j - d 11, v d v qualunque infinitamente vicino si ha in h l’aumento 16 Introduzione. o se si ritengono //, v legati da una certa relazione che rappresenta una linea sulla superficie e si suppone che d u, d v sieno tolti da essa, considerando u, v come funzioni di una terza variabile qualunque, per esempio, dell’ arco s della linea in questione il valore d,h — (db d n \du ds dv\ d s) ds corrispondente, ci darà l’aumento di h lungo la linea 5 che si considera. È bene notare che i valori di dh db „ , k— restano gli stessi qua- Ó II òv ° ^ lunque sia la linea s, e dipendono solo dal punto //, v che si sceglie sopra la superficie. Ora dalle (i 6) abbiamo : dii sen (co— 9) ds \j E sen co d v sen 0 ds \l G sen co ’ e quindi sarà: , j I db sen (co — 9) db sen 0 \ , ds b — I -h o-1 d s \ ou y t sen co dv \JG sen co J dalla quale, facendo successivamente 0 = o, 9 = co, si ottengono i valori degli aumenti dh u , dh„ che h assume nella direzione delle linee coordinate. Avremo per 0 = co : e per 9 = o : ' e quindi : d h d s dh i db d s„ y G dv ’ db i db ds v y E du’ i sen o) (dh .db — sen (co — 9) 4- -j— sen 9 ( et s p et s u (18) forinola notevole che ci dà in funzione dell’angolo 9 la variazione di b lungo la linea r. Se le coordinate sono ortogonali si ha poi db_ d s db ds„ cos 9 + d b ds„ sen 9 . 09 ) Così la variazione di b nella direzione di s resta dalle (18) o (19) perfettamente determinata conoscendo le variazioni nelle direzioni delle linee coordinate. Introduzione. Dalla forinola (18) risulta subito il teorema seguente: La somma dei quadrati delle variazioni di una funzione h lungo due linee ortogonali è costante per uno stesso punto, qualunque sieno queste linee. Infatti lungo la linea s t che fa l’angolo 90° —f- 0 colla linea v, si ha per la (19): dh dh .Ah —j — =- t~ sen i) -f cos 0 , ds i d s v d s„ e quindi, per la (19) stessa: (èr) + (^rj = (t£) + (7^) = ( 20 ) che dimostra il teorema enunciato. 9 . Sia ancora d a l’elemento di superficie; dietro quanto abbiamo detto al n.° 6, possiamo considerarlo come dato dall’area di un parallelogrammo, di cui due lati adiacenti sono ds„, ds, ed co è l’angolo compreso fra essi, quindi si potrà porre: da = sen co d s„ d s v e per le (8) e (9): da — dudv\jEG — F 2 ; (21) se poi le coordinate sono ortogonali si avrà: d c = \/ E G . d 11. d v. Ad esempio, nel sistema di coordinate del numero 7 si ha per l’ellissoide di rivoluzione : 2 2 2 . a — e u da— u \ —5 - t - d li d v a —n vju a — u ■dii -f c; e per una sfera : a = v a u J V a 2 — u da cui per la superficie della sfera ?du + c: “ = 21 ” = + 4 =■>‘[\j . - ‘f\ - '■ 4 ~ a~ Pucci, Geodesia. Introduzione. IO. È noto che, in coordinate cartesiane, gli angoli che la normale in un punto (,r,y, y) di una superfìcie fa cogli assi sono dati dalle formule: ove p, q rappresentano le derivate parziali di y rispetto ad x e ad y ; le due soluzioni, dipendenti dal doppio segno del radicale, corrispondono ai due sensi secondo cui può considerarsi condotta la normale. Se si distinguono le due faccie della superficie, si potrà attribuire altresi a ciascuna di esse la direzione della normale che le compete; in questo caso il criterio per distinguere una faccia dal- l’altra si trae dal segno della funzione W, essendo W =o l’equazione della superfìcie; infatti la superficie separa le regioni dello spazio per cui W è positivo da quelle per cui W e negativo. Per avere y., v in coordinate curvilinee, osserveremo che i valori di dx, dy, d^, tolti dall’equazione della superficie, appartenendo a un elemento lineare di questa, debbono soddisfare alla relazione : cos a d x -fi cos y. dy - f- cos vd~ = o, poiché tale elemento deve essere perpendicolare alla normale, mentre d* d y d 1 ^ -r ~, -f-, ~r- sono i coseni degli angoli che esso forma cogli assi. ds ds ds do Sostituendo a d x, dy, d y i loro valori in funzione di u, v, si ricava : cos oc -f- cos fi -f cos fi -f cos y I d v cos oc -j- che deve sussistere qualunque sia la direzione d s, o in altri termini formule (15)] qualunque sia -r —. In conseguenza dovrà aversi separatamente cos a -j- cos fi -f- 0 u cu cu U u v v V u che, unite alla condizione: cos 2 oc cos 2 fi 4 - cos 2 y = cos fi • 4- cos oc 4 - 1, 19 Introduzione. determinano gli angoli cercati. Ponendo per semplicità: d x ^ d_x ^ ' dy ^ dy ^ d z d K d u ’ d v l ’ d u ’ d v 1 ’ d n ’ $ v 1 ’ le due prime delle precedenti equazioni ci danno successivamente. (a c [ — a l c) cos a -f- (/> +'n, = L, xx .. +^ 3 „ + rr„ a a + +r G = M, a a , + *P, + c i , ^ p 4 -<7 7 ’ = N, s *. + J .P. + c .r. = ^„ + 1V + 7 . ,. 2 = #„ a a 11 + + 7 , ^ — /■ il 11 “ L u ■ + ^„ + c ' 'A, n t 7. » + + G , r.. = K si trova senza difficoltà : f i (i)‘ =vi-,“Y+ 4 QA , , ld «V dv . T (d ii + 't i (rfij37 + 2Ì 'U , ..(d uY d 1 u . ,, d 2 u d u dv , ,, d 2 u(dv\ + 2 "U < ) 77 + 4 M -7777 33 + 2 M - 7?(t7J d uY d 2 v , . y d 2 vdudv , , T d 2 v(dv\ 2 77 + 4 “.777777 + 2 N -7? 77 + E fd‘nY , V , -WvV (l7j + 2f 7777 + G Ì37j ' ( 2 3 ) ( 2 4> Questa forinola come quelle che ne dipendono è assai complicata nella sua generalità; in certi casi speciali prende però una forma molto più semplice, e può poi essere molto utile nello studio di certe proprietà di una superficie. 12. Abbiamo già veduto che su ciascuna superficie esiste un infinito numero di sistemi di coordinate curvilinee ortogonali; fra 21 Introduzione. questi meritano speciale attenzione quelli in cui l’elemento lineare può esser posto sotto la forma : d s = \J T(Udn 2 +Vdv 2 ) ( 25 ) essendo 1 funzione di 11, v, U funzione della sola 11 e V funzione della sola v : le linee coordinate diconsi allora ortogonali isoterme per una proprietà che si connette colla teoria del calore. Del resto, senza cambiare le linee coordinate, si possono in questo caso scegliere come coordinate dei parametri che semplifichino ancora l’espressione dell’elemento lineare ds, ponendo: . a = | U d u , ~V d v ove le a, fi si ottengono da semplici quadrature: per ds si trova allora ds = 1 (V a 2 -}- d [ih ( 26 ) Su ciascuna superficie esiste sempre un numero infinito di sistemi dì linee ortogonali ed isoterme e dato uno di essi si possono ottenere immediatamente tutti gli altri. Per dimostrare questo teorema importantissimo osserveremo che l’espressione generale dell’elemento lineare della superficie può esser posto sotto la forma: d s 2 = d v 2 e il trinoipio Ira parentesi può decomporsi in due fattori di primo d ii grado rispetto a , che si ottengono subito risolvendo l’equazione d 11 -fi G = 0 rispetto a stesso. Le due radici dii F ± ^ F 2 — EG d v E sono essenzialmente immaginarie, perchè d s deve esser reale, mentre le (6) mostrano che E, G sono in ogni caso delle quantità positive; quindi dalla formola: \]EG~^T* sen m = -—r=-, ^ EG che dà l’angolo fra le linee coordinate (angolo essenzialmente reale) 22 Introduzione. si vede che EG — F 2 è una quantità positiva. Da ciò consegue che ds 2 può prendere la forma: \l E G — F 2 \jEG — E dv + - È dove i è il simbolo dell’immaginario, e i due fattori che danno ds 2 sono: d u \j E — d v (— E — i\j E G — F 2 ) d ii \jE — d v (— E + i fE G — F 2 )j£. Queste due espressioni differenziali sono complesse conjugate; quindi se y. -f i v è il fattore che rende la prima una differenziale esatta, y. — i v rende differenziale esatta la seconda, e s’intende che y, v rappresentano qui funzioni reali di //, v. Inoltre i due integrali debbono pure esser complessi conjugati, e, se a, fi rappresentano ledile funzioni di //, v che ne formano la parte reale e l’immaginaria, si avrà: ') j d u \j E E -f- i\jEG — F d(y. + i ( fì d y. -j- i d$ F — i\j EG — F : = ci 1 (x — — ict \i c moltiplicando membro membro: (p. 2 -|- v 2 ) d s 2 = d x 2 -f- d $ 2 o, se si pone 1 l(dy 2 -rd li 2 ); e questa ci mostra che i parametri a, ^ possono considerarsi come i paramenti di due famiglie di linee isoterme della superficie. Se si osserva che infiniti fattori conjugati sono atti a rendere differen/.iali esatti i due fattori di cui si compone d s 2 , si vede subito che sulla superficie esiste un numero infinito di sistemi di linee isoterme; resta a vedere come, dato uno di essi, si possono trovare tutti gli altri. Se moltiplichiamo la prima delle equazioni (u) per F(a-j-/j3) eia Introduzione. seconda per F(% — i p), essendo F una funzione arbitraria, si avrà da una semplice quadratura : F(a + / p) d (a ± i p) = 'i (a ± 2 [ii) = a' ± 2 ji' essendo p' certe funzioni di 2/, u, che scelte per parametri coordinati corrisponderanno evidentemente a delle linee ortogonali isoterme sulla superficie : d’altronde è chiaro che, F essendo una funzione arbitraria, la lo sarà pure, ed in conseguenza la relazione a'+ + 2,8) (27) ci dà un numero infinito desolazioni del problema che consideriamo. Dimostreremo adunque che la (27) comprende tutte le soluzioni possibili. Per ciò osserviamo che un doppio sistema di linee della superficie, dipendenti dai parametri aq, fi,, ha per equazioni: *.=/*,(*» P) P. =./>,(*> P)> ove fa l , sono simboli di funzioni necessariamente reali ed a, p sono coordinate isoterme date. Le condizioni a cui devono soddisfare oq, p, per corrispondere a linee isoterme della superficie, si ottengono subito notando che si dovrà in questo caso avere : = + d p, 2 ); e per essere: ap. d aq = dovrà aversi: d *t.d7 + d -'-db + ap 2/P,: aa aa , ap,ap, d a fi! P -j- d a espressione identica alla : ds 3 = \ (d a 2 -(- d p 2 ) qualunque sia la direzione di ds, cioè qualunque sia . Ne risulta che dovrà essere separatamente : d *1 ± Pii = o a a a p a « a p 2 4 Introduzione. Dalla i.“ si ricava: > P d a ' f) [i 0 a ’ essendo ’’ .. 1 ;i ,.„i..ne ....e ~ ■ a h Dalla seconda delle equazioni di condizione avremo perciò, sosti- i loro valori (i:M$ tuendo a , ài che ci mostra che sq e fq non possono essere funzioni reali di a, [ì a meno che non' si abbia n = + i, e perciò: Queste due relazioni si possono porre sotto un’unica forma: complessa, cioè: e moltiplicando e dividendo per i il secondo membro: d (X + i ft,) d fi ■L 0 ( g . + i ft,) I d a i che è la condizione necessaria e sufficiente perchè il complesso sq -f ; ,6, sia funzione di « -j- i (i. Integrando questa equazione a derivati parziali, avremo: essendo y una funzione arbitraria : si giunge dunque in questo modo alla (27) e resta dimostrato che questa è generale, comprendendo tutti i sistemi di coordinate isoterme della superficie considerata. Nel piano si ottengono dunque subito tutti i sistemi di linee coordinate isoterme ed ortogonali, poiché fra queste vi ha il sistema delle coordinate cartesiane. Basterà porre V 0 + iy), -v -|- iy od anche Per passare, ad esempio, alle coordinate polari basta fare: Introduzione. poiché si ha allora : cos (4 -h i e 1 sen fi -v 4 -1 v e 1 sen [i da cui : 2 che ci mostra che aq è il parametro variabile di una famiglia di cerchi concentrici; dividendo poi l’un per l’altro i valori di x, v, si ha: v che ci mostra che fi, è il parametro variabile di una famiglia di rette passanti per il centro comune alle circonferenze suddette : per l’elemento lineare del piano si trova poi la nota formula: 0K 2 -M^ 2 ) dr 4~ r 2 do) Dando a 'I altri valori, si avrebbero altri sistemi isotermi del piano. Per le superficie di rivoluzione abbiamo già detto che i meridiani e i paralleli formano un sistema di linee ortogonali isoterme; infatti chiamando 11 il raggio del parallelo, v la longitudine c ds l’elemento di meridiano è facile vedere che si Ira: ds 2 = d r > 2 - 1- a 2 dv ove 11 è una funzione di c. Ponendo : si ottiene dunque: ds 2 = it 2 (d' + ?"’ \jl+f+q z ove il radicale rappresenta un valore assoluto, e ciò quando si considerano, come di solito, le figure tracciate sulla faccia esterna della superficie. Ora è noto che si ha : d'. —d x dy \J i + p l -f- q per avere Zdi siano i punti ^ A, B, C, D (vedi fig. i) le proiezioni, sul piano X Y, dei punti che sulla sfera corrispondono ai vertici dell’elemento d c della superficie, e le coordinate di tali punti A, B, C/D saranno rispettivamente : A(X, Y,Z ), c{x + \Yly. D [ x +-à ix + d x dy ~~Z~ v ,dY , ì + Q — dy dy dX dy py, )■ y + dY , . dY,\ dx dx+ 'dj dy y la projezione Zdi di di sul piano .v.y sarà rappresentata dal parallelogrammo ABDC, la cui area si ottiene da quella del rettali- 28 Introduzione. golo AMDN, sottraendovi le aree dei due piccoli rettangoli e dei 4 triangoli che si vedono chiaramente in figura. Poiché tutti gli elementi lineari di questa ci sono noti, è facile ricavarne : Zd 1 = d xd y cX c Y c x r y c Y c X dx dy e quindi chiamando con J; la misura della curvatura nel punto x, y, z, si avrà : , d i c X d Y c X f Y , . k=,-=^ n —v, • (28) d-, ex oy oy ex A questa equazione daremo un’altra forma, adottando le solite notazioni di r, s , t, per le derivate parziali di secondo ordine di z- Si ha X=—pZ Y = — q Z Z 2 (i +/+ g y = — Z’ (p S -fi q t) e sostituendo questi valori nelle derivate parziali di X, Y si trova : yL = -rZ+Z'(p' F + qps) = -sZ+Z>(p* s+pqt) ^=sZ+Z'(qpr + q’s) jy = ~~ 1 Z -fi Z’ (qp s -fi q 2 /) . Perciò la misura della curvatura (28) diviene: k = Z*(rt-s*)[x-Z'(p* + q')]: 0 finalmente: Z 2 (rt — s 2 ) 1 ~\~p 2 + q rt — r ( j +/>'+ 'o f o> jpotremo stabilire il seguente teorema: La misura della curvatura in din punto di una superficie, è data da una frazione il cui numeratore è il’ unità e il denominatore è il prodotto dei raggi di curvatura principali. 16 . Per trasformare la (29) in coordinate curvilinee osserve- irerno primieramente che, dovendosi avere in generale: cos y. d x -f cos $ dy + cos y dz = o jper la condizione di perpendicolarità della normale sul piano tan- sgente, per le forinole (22) si potrà porre : A d z + B d y -f- C dz = 0 da cui vediamo subito che si ha : A P ~~ C B q ~~~C «ove p, q saranno funzioni dei due parametri u, v: perciò sarà: ^ 3J . .8C „dA \, ( n dA .dC\, C dp = \A .- C- n -~ \d u — C — A ^-- Adv r ' du óu) \ dv dv) C 1 dq = \B dv dv CZZIdu — lC"" — B~)dv. dC ~dB\ , ,'dB n dC du ~ 8 u I “ “ d v dv È facile ottenere da queste i valori di r, s, t in funzione di u, v : infatti dalle relazioni: ■si ottiene: dx = a d u -\- a t dv, dy — b dii -\-b 1 di , b dx — a. d y d u = -^— ! —— dv = ady—bdx ~ r ~C ; In1rodn~ione. e quindi i precedenti differenziali dp, dq prendono la forma: r*A h a ( b ^ d C . d A d A b A d C\ tdp = dx ' —b r Ab — -f- \ L r ii 'dii èv Ccv) . , ( a Ad C dA dA , a A d C\ -Mv- n n + rt , a-«- a — q \ C dii dìi dv C dv) ri , (b,B d C dB , , dB bA d C\ C dq = dx\ ‘ - -■ + /;„- 1 C d n d ti ov t dv I + é,{~\ a L B d C dB__ dA aAdC C dìi a ' d a a d v C dv )' Ma le differenziali complete di p e q in funzione di x, y sono date anche dalle espressioni : dp = rdx-\-s dy, dq = s dx -ì dy, e queste debbono essere uguali alle precedenti, qualunque sieno d x, dy: si avrà dunque: _ 1\ A d C . d A . d A bA c C C da 1 dn dv Ccv „ 2 _ l\B d C . dB . dB b A d C C du 1 cu dv C dv _ a t A d C d A d A a A d C C d ii a1 d ii ^ dv ' C dv r2l a B d C dB dA , aAdC L du ou cv L dv Si ha d’altronde dA f u = c ^ + b r~7 b i — c ^ 1 d p A v =c l $ l + by l — b rfi — cpi: dB 'du = Vi' + f —n. dB_ d v d d C u = a P. + b t a — b a, — a t fi ? p = a K + b, a, — b — a, fi, ■ = a A\ J r cv -n Introduzione quindi avremo : O r = b 2 (.A se + C y) — 2 /; (a v4 + Cy.) + b 2 (A a n + Cy n ) -f b t (a A fq — a, ,4 Js — c, C [i 4- C c £!,) 4- ^ 0, -4 (i, — a A {i n — C c (i u + C c l fi,) o, se si osserva che: — ct t A — f,C= l\ B a A -f- Cc = b B, sostituendo si otterrà: Oi^b^Ax + Bp + C y) — 2 bb i (A a + -B P, -f C y,) + b 2 (A, u + B[i u +C ri X e analogamente : C ! j = — a, l\ (A y. + B fi + C y) + 0 1 \ + 4 b ) i A a , + B P, + C y.) ■ -ab(Ax u + Bp u + C yj . Ot = a 2 (^« + 5 p + Cy) — 2 flfl 1 (^a 1 + 5JS 1 + Cy,) + 5 P n +Cy n ). Poniamo ancora: , 4 a 4 - 5 fS + Cy = 7 } '■ ' da+B^ + Cy^IJ, j, (30) Ay n + B 2 — 2aba i b i DD 2 -{-2a i ab 2 DD 2 = (DD i -D [ *)(a l b-ab,y = (DD-D;)C\ Introducendo poi questo valore nella ( 29 ) ed osservando che 1 +P 2 + q 2 — i + -^t + B 2 A 2 + B 2 + C 2 C 2 ~ C 2 avremo per la misura della curvatura: L DD,~D 2 k — (A 2 + B 2 + C 2 ) (3i) 3 2 Introduzione. 17 . Ricordando ora che si ha [forinole (30) e (23)] ] , ) = Az + Bfì + C' l ' M — a % + /; fi -fi c y N=a i y. + b l 'p + c l y, moltiplicando la prima per bc i — cb i la seconda per /;, C — c t B la terza per cB — bC e sommando per eliminare [3, y, si trova: x [A ( c i b — c bj -fi B (a t c — a r ) -fi C ( a b t — b aj] = = D(bc—c /;,) + M(b i C — Cl B) + N(cB — bC) o, tenendo conto delle (22) : x (A 2 -fi B 2 + C 2 ) = AD + M(b i C -c i B)-\-N(cB — b C). Sostituendo nei termini che contengono M, N, a B e C i loro valori in a,b,c,a i ,b 1 ,c l e sommando e sottraendo la quantità Na 2 a i — Ma a 2 si ottiene A li) = x (. A 2 + B 2 -fi C 2 ) -fi a (NF — M G) -fi a, (MF — NE) ove F, G, E hanno il consueto significato. È facile provare che A 2 -\-B 2 -\- C 2 = EG — F 2 ; ripetendo il ragionamento per BD e CD potremmo dunque avere: AD =y(EG — F 2 ) -fi a (N F— M G) -fi a t (M F— NF) BD=$ (E G — F 2 ) + b(NF—MG) + b, ( MF— NE) J. (32) CD = 'i(JEG — F 2 ) + c(NF— MG) + c [ (MF — NE) ■ Analogamente dalle equazioni Ax I + B^+Cy l = D l ay -f l\ [3 i 4- » 1 e 2 sen 2 ©)' Gli elementi dell’arco di meridiano e di parallelo si ricavano subito dalla (6), supponendovi successivamente

) r - = : — 2 r 0 sen 0 , d to' J ’ du do' ' t d 0 d 2 G d . d r do —,— ? sen 0) = - — 2 — 5 sen 0 - -2-r 5 - r sen 0 — 2 rpcos t ó u do' do' ‘ a 0 6 r p sen 2 0 cos z > — 2 p sen 0 — ■— 2 r 0 cos 0 i — e sen o i - la misura dell; r curvatura ci sarà data d a : cos o t Introducendo la gran normale N invece del raggio del parallelo r, si trova a causa della (io): formula notevolissima, da cui ricordando il teorema sulla misura della curvatura dimostrato al n.° 15 della Introduzione, non sarebbe difficile dedurre che p ed N sono, come vedremo, i raggi di curvatura principali del punto M (9, w) dell’ellissoide. CAPITOLO II. SEZIONI NORMALI. 1. Dicesi che un piano è normale in un punto di una superficie quando contiene la normale della superficie in quel punto: un piano normale incontra la superficie secondo una curva alla quale vien dato il nome di sezione normale. Nella teoria delle sezioni normali, che imprendiamo a svolgere, e nelle successive si fa uso continuamente di alcune formule e teoremi di analisi che riepiloghiamo qui brevemente. Sia p il raggio di curvatura al punto M (x, y, y) di una linea qualunque nello spazio; si dimostra che: i P ove d s rappresenta la differenziale dell’arco della curva, scelto come variabile indipendente. Se ~K, p, v sono gli angoli che la normale principale alla curva nel punto considerato fa cogli assi, si ha poi: cos 2 1 -f- cos 2 p -f- cos 2 v 2. Consideriamo una curva qualunque descritta sulla superficie %=f(x,y') e sia 0 l’angolo che la normale principale nel punto x, y, y di questa curva forma colla normale della superficie; chiamando «, (3, y gli angoli che quest’ultima retta forma cogli Pucci, Geodesìa, 4 50 Capitolo secondo. assi, per un principio ben noto di geometria analitica, si avrà: cos Q = cos a cos \ -f- cos (ì cos p. -|- cos y cos v, ove 1 , p-, v ritengono il significato loro attribuito nel numero precedente: ricordando poi le espressioni di cosa, cosp, cosy in funzione di p, q (derivate parziali di ^ rispetto ad x ed y, dedotte dall’equazione della superficie) e tenendo conto delle (2), l’equazione precedente può trasformarsi in: _ cos G V 1 4 - p 2 -fi- q 2 P _ Wi d^l d 2 y ' ds 2 ds 2 P ds 2 q L’equazione della superficie sotto forma esplicita, se si pone r = -f-JL, s = d ^ , t = 4-4-, come si suole, ci dà, derivata due òx dxdy oy volte successivamente rispetto ad t: 11 ds 2 ds ds ^ [ds ) +P 9 d 2 y ds 1 ’ ed, introducendo questo valore nella precedente espressione di p, si ottiene : P = r cos G \j 1 ~\~p 2 -f- q 2 dxdy Jdy V ds ds U-fj Rappresentiamo con s ed n i due angoli che la tangente alla curva nel punto x, y, y fa cogli assi delle x e delle y : è noto che . , d x dy . si ha -7— = coss, costì e quindi: ds ds cos6\/i +p z + q Z) ^ r cos 2 s 2 s cos £ cos n -j- / cos 2 r, ’ v ' che è l’espressione del raggio di curvatura di una curva qualunque della superficie, in funzione dell’angolo che la sua normale principale forma colla normale alla superficie e della direzione del suo elemento lineare. Se la curva è data dalla sezione della superficie con un piano, G rappresenta l’angolo formato da questo piano colla normale alla superficie nel punto x, y, y, e se si ha 6 = 0 la curva è una sezione Sezioni normali. 5 1 normale; in questo caso la (3) diviene: R _ + r cos 2 s -f- 2 s cos s cos r\ -\-t cos 2 n ' Considerando due sezioni piane, l’una normale, l’altra obbliqua, che abbiano una tangente comune nel punto x, y, z, per tali due curve, in questo punto e, vi , p, q avranno gli stessi valori, e poiché per la prima il raggio di curvatura sarà dato dalla (4) e per la seconda dalla (3), avremo : p = i?cosG, (5) formula dovuta a Meusnier e che ci dimostra il seguente teorema: Il raggio di curvatura in un punto di una sezione obliqua è uguale alla proje^ione del raggio di curvatura della sezione normale, ad essa tangente in quel punto, sul piano della sezione obbliqua medesima. 3 . Se si sceglie come asse delle z la normale alla superficie nel punto x, y, z, e questo punto per origine, si ha evidentemente in esso p = q = o, poiché allora il piano xy si confonde col piano tangente e quindi si deve avere dz = o qualunque sieno gli aumenti dx, dy. Inoltre in questo caso e ed vi sono complementari: in conseguenza l’espressione (4) diviene : R = 1 r cos 2 s —|— 2 s cos s sen e -f -t sen 2 s ’ (0 dove c è l’angolo formato dal piano della sezione normale col piano delle z x - Col variare di £ varia R e si può cercare a qual valore di e corrisponde il massimo o il minimo del raggio di curvatura. Osserviamo che quando R è massimo o minimo il denominatore della (6) è minimo o massimo, quindi il richiesto valore di £ ci sarà dato dalla: — 2 r cos s sen s — 2 r (cos 2 e — sen 2 e) -j- 2 t cos e sen £ = o, d’onde si ricava senza difficoltà: tang 2 e = , ( 7 ) che dà per £ due valori che differiscono fra loro di 90° e corrispondono l’uno al massimo, l’altro al minimo raggio di curvatura nell’infinito numero di sezioni normali nel punto considerato della superficie. Potremo dunque stabilire il seguente teorema: Fra tutte 5 2 Capitolo secondo. le sezioni normali in un punto della superficie, quella che ha il massimo raggio di curvatura taglia ortogonalmente la sezione normale per cui il raggio di curvatura è- minimo. Tali due sezioni normali diconsi principali. Supponiamo che il piano delle %x coincida col piano di una delle sezioni normali principali, per esempio con quella che ha il minimo raggio di curvatura, e rappresentiamo con r t , s t , t l i valori di r, s, t in questo sistema di assi coordinati; si avrà in generale: r l cos 2 £-1-2 5, cos e sen e -j- t l sen 2 e ’ e quando in questa espressione si fa e = o il raggio di curvatura R c che si ottiene è il minimo valore che può prendere R: mentre si ricava il valore massimo R n facendo e = 90°. Così ricaveremo dalla formula precedente: R, I ( 8 ) e poiché per e = o deve esser soddisfatta la condizione (7), si vede che, in questo caso, si ha : Ora il denominatore t i — r t non può diventare infinito (eccetto il caso di una singolarità nel punto x, y, % che si considera); dovrà dunque essere in generale: s, = 0 . (9) Se reciprocamente questa condizione è soddisfatta, i piani delle g_x e delle \y si confondono evidentemente coi piani normali principali. Del resto si deve considerare a parte il caso in cui poiché allora la condizione (7) conduce a una indeterminazione: infatti il punto in cui t i = r I corrisponde a un ombelico della superficie, e la curvatura essendo costante in tutte le direzioni non vi ha più luogo a ricerca di massimo o di minimo. I valori (8) introdotti nella espressione di R sopra scritta ci danno poi: 1 cos 2 e t sen 2 £ R ^ ~ (io) formula importantissima che compendia il ben noto teorema di Eulero sulla curvatura delle sezioni normali di una superficie. Sieno ancora R„, R?. i raggi di curvatura di due sezioni normali che si tagliano ad angolo retto, a, |3 essendo gli angoli che Sezioni normali. 53 i piani di tali sezioni formano col piano delle ^ x , in modo che si abbia [3 = a -f- 90°. Applicando la forinola (io) ricaveremo: 1 cos 2 a t sen 2 a 1 sen 2 a , cos 2 a r^~~rT + ~r 7 ’ X = _ RT + ~XT’ da cui, sommando, si trova : 1 , 1 _ 1 R , ^ X = X =f( x >y> 0» 00 relazione che dimostra una proprietà importante dei raggi di curvatura di due sezioni normali ortogonali intorno a un punto. Si può dimostrare altresì che la media geometrica \l R,R „ dei raggi di curvatura principali in un punto di una superficie corrisponde alla media aritmetica dell’infinito numero di raggi di curvatura di tutte le sezioni normali che passano per questo punto. Infatti tutti questi raggi di curvatura si ottengono se, considerando s variabile nella espressione (io), si danno a tale angolo tutti i valori compresi fra o e 2 Così la loro somma sarà data da : J 0 od anche, notando che R prende lo stesso valore per due valori di s differenti di 180 0 , da: 2 ['Rdz. Per ottenere la media di tutti i raggi di curvatura va divisa la loro somma per il numero degli angoli elementari d s che com- p2 71 * dz — 2iz\ cosi indicando con M la me- pongono 2 7t, ossia per dia suindicata avremo I I M= — t R dz — 1 d z cos e sen 3 R, R.. Se ne ricava facilmente: M = \I*X R~ dz R { ' sen 2 e I -|~ -g ' COt 2 £ 54 Capitolo secondo. Da questa, escludendo gli estremi corrispondenti a e = o, e = w, per cui si ha R = R t si trova : Le soluzioni che nella sostituzione dei limiti danno un multiplo n 7T di tc corrispondono evidentemente al caso in cui ciascuno dei singoli raggi di curvatura R fosse stato introdotto n volte in linea di conto nella formazione della media M : nel nostro caso si dovrà scegliere l’unica soluzione: [ arc cot ^ y / ^" 1 cotg £ ] 0 e quindi M = \jR l R] come si voleva dimostrare. Questa proprietà della media geometrica dei raggi di curvatura principali in un punto della superficie, insieme ad altre proprietà che saranno esposte in seguito, mostrano la intimità, per così dire, della superficie, in prossimità del punto considerato, colla sfera descritta per questo punto col centro sulla normale, e con un raggio eguale a \] R z R u . Alcuni autori hanno dato a tale sfera il nome di sfera osculatrice, quantunque, a vero dire, il senso che in tal modo si annette a questa espressione differisca essenzialmente da quello che le è proprio. 4. Sia M (x 0 , y o , ^ o ) un punto qualunque dell’ellissoide terrestre +* 2 +y e sia

e l’equazione dell’ellissoide riferito ai nuovi assi sarà: e 2 ) cos

y 2 + + R% = o * La rotazione degli assi si suppone fatta da sinistra a destra, e ciò per mantenere il metodo che si adotta in Geodesia e in Astronomia nel contare gli angoli. Le formule di Geometria analitica suppongono la rotazione fatta da destra a sinistra, quindi differiscono nei segni da quelle che qui applichiamo. 56 Capitolo secondo. 2 M x -\~ Q\ d i _ 2 P v 2 N i + Q x -f- K ’ dy 2N^-pQx-j-R S ( 2Nt + Qx + K)Q d d j-(2Mx + Qi)2N \^ 3 x dy (2 N%-\- Qx -)- RY d~x 2 = (2 N^ + Qx + Ry ^ {2N K + Qx+R)2P- A PyN d ^ dy 2 ~ (2 Ni + Qx + R ) 2 e quindi: 2 M . 2 P Pii °J ?ii °> r u R > Li °> hi ■ g • Sostituendo a Al, P, R i loro valori, troviamo: si ricava: dj d x Pi (1 — e 2 sen 2

tang

— sen 2 p) J ■— ove 8 w — r\(D — 2 ArJ sen 4 - C r o cos pj g ^ = 2 r [ A cos 2 ij/ -f- B sen 2 p -f- C sen p cospj -j- 4 - (D — 2 A rj cos p — C r o sen , 8 w dalle quali, ricordando che ^4 — — e ponendo : ^ a p ow dr M= A cos 2 ifi -f- B sen 2 p -f- C sen p cos p N=(D — 2 A r n ) cos p — Cr o sen p , ricaviamo : dM , dN d r dr _ dp dp dp~ ,, , N T 2 M -f- - d 2 N) ( dM 8 N\( 8 M dNi 1 —!-lr— + -r-T- 1 12 ~ ;—1—^--, N ( N\(dr dM 8 2 M d 2 Ni ( dM 8 N\ \ 2M+ r Jjjij. 8P + dp 2 T+ 8f ) \ r dp + Jp) 2 M + N dp dp r 6o Capitolo secondo. D’altronde si ottiene: 2 (5 — A) sen cos -|- C (cos 2 ^ — sen 2 'I) dN d d 2 M aw àf : a ! M a ! N = — (Z) — 2 ^4 r n ) sen <[ — C r a cos = 2 (5 — ^ 4 ) (cos 2 <[ — sen 2 <[) — 4 C sen cos — (D — 2 A r Q ) cos -j- C r 0 sen <[/ — 8(5 — A) cos Ì2 M ^r)\wh+W ' + W Po-yi^r-D) dP d ^ r= 2 M- N\(d 2 r 8M drd 2 M M 0 3 N ' RJidV 0 > +2 d^ + di? r + ( dM , 8N\( \ r H + -m 8 2 M , i d 2 N i drdN r + (!£).-- 5CB> e 4"+ 9e_ 2 ( 2 « + ^l-8M NV ri’ i d N r 2 d<\> d ^ i 8 N d r r z 8$ dif D 2 N(drY r 3 \dòj Nd 2 r r 2 d <\i 2 Q a = 8 ^ 8 Q\ 2 DC Hìo “ f o ’ e sostituendo nella relazione : _ ^_._N dr 2 8$ r 8 ip r 2 d <\> ( d 3 r df n BP_ 8_Q u d <|» 0^ 4 avremo finalmente : Nel caso del cerchio osculatore si ha per altro: (d 2 r\ v ( 2 BR\ U-Hì'-tt )- 0 . 62 e quindi : da cui si deduce: Capitolo secondo. iBR D valore che introdotto nella precedente espressione di dà: Id’r\ 3 CR 2 Wl - D ed infine restituendo a C, D il loro significato, dopo facili riduzioni : (

S 200 000 II n=; 1 o m ,265 » s = 500 000 r— £ = 5 m ,2o6 » s = # 1,000 000 II 1 4i m ,6 5 . Sezioni normali. 63 9 . Da ciò si potrebbe immediatamente concludere che fra gli archi s e <7 la differenza è, in Geodesia, sempre trascurabile, poiché non si presenta mai il caso di dover considerare degli archi s maggiori di 500000, sulla cui lunghezza l’errore di i m è molto inferiore agli errori di misura, mentre la differenza fra r e <7 è di ordine superiore alla differenza fra r ed K. Ma si giunge subito, del resto, all’espressione di s — n ponendo: e 2 sen

2i ? + - (l+£ 7)“ 2 ''?)“ = = 1 +OTCY) -2 '?H—--- c yi _4 ‘?+ — 21 -—- -àr,~ 6, f + ... 1.2 1.2.3 e se si rappresenta in generale con m„ il coefficiente binomiale del termine (« -f- i) mo di ciascuno sviluppo, e si fa il prodotto algebricamente delle due serie soprascritte, si otterrà facilmente: U=(i — e 2 k 2 sen 2 9)“ = I m 2 m 2 c 2 m 2 c 4 -}- m 2 c 6 -h . . . \ l -j- (m o m i c -f- m i m z e 5 -f- m 2 r 5 -f- .. .) (ri 21 ?’ -|- t]- 21 ?} j p 2m l + (m o m 1 c 2 -\- m 1 m ì c 4 4 - m 2 m^ e 6 -}-...) (vi 4 '? 7 ) _4 ’?j V ! (m o m ì c ì m^^c 1 rr 6 , f} \ La (w-f- i) ma linea del fattore di p 2m sarebbe: (■ m a m n c n -(- m, wr n+ , c n + 2 m 2 m n j t 2 c n+ *.. .) (r, 2 ”*f -(- rr 2in ?) donde la legge di formazione è facile a rilevarsi. Pucci, Geodesia. S 66 Capitolo secondo. L’espressione precedente di U può prendere quindi anche la forma : U = p 2 ,n {m o 2 -\-m 2 r 2 -f m 2 c 4 -|- m 2 c 6 n OD + p 2m 21 (jn a m„ c" + m, w„ + I c* + 2 -i- 7 k 2 j»„ + 1 c’’ + ' t + . . .)(ri 2 '"? + r, -2 "'?). « =. I Si ha per altro: r) 2 ”'? -f- T) -2 "'? = 2 cos 2 « tp, e se si pone: m o + m i c * + m z c ' + m , 2 + • • • — A 0 m 0 m n c n + m, m n +, c n + 2 -f- m % tn„ + , c n +*... = A„ avremo in fine: n= 00 (i — e 2 k 2 sen 2 = -: - ^ 2 ~ ~ d 9 , poiché dtp è l’angolo formato da due normali successive sotto la latitudine formula importante che ci dà la lunghezza di un arco di meridiano compreso fra due latitudini date. È bene notare che la convergenza della serie (28) è indipendente dalla lunghezza di s. 13 . Dalla (28) ricaviamo subito la lunghezza di un quadrante dell’ellisse meridiana, ponendovi

• ' • ra PP resentano i valori che le derivate successive di s rispetto a

ed r 2 è una quantità essenzialmente di segno contrario ad s J} essendo contata in senso opposto a questa: l’arco s compreso fra le latitudini

dy dy dzj\ 'dxY IdyY fdA 2 . dt ' dt dt ' dt dtj jì)+\ u) +{r t I + ~JfjWTMTm r " + e ‘ yxdt) '(dt) J essendo A una certa funzione di t, che è inutile pel nostro scopo di particolareggiare. Ne dedurremo: C‘ì s = e d t ( da dj^^dfi. ÌIa.^1 (dt ~ - ■ 4 - dt dt dt^dt Ch dii ds 17 Adi, u u od anche assumendo per il parametro t, che è rimasto arbitrario, l’arco s : Ora si ha : ±LÌl + a*y d l , W dy dydA dsVds ds ds)-\ds ds + ~d~s dl + TIdl) d 2 x ds 2 + a , 2 +P-y-> +T; d 2 y ' ds 2 d\ ds 2 ’ d’onde è facile ottenere per il valore di s t — s: Ma agli estremi dell’ arco s, ossia per s — o e per s = s, si ha « = (j = y = o, perciò sarà : La natura della nuova curva s, dipende dalla forma delle fun- Linee geodetiche. 75 zioni sa, s{3, sy: se s è una geodetica si deve avere s<^s t qualunque sia tale natura, perciò qualunque sia il segno della costante e e qualunque siano a, [3, y : e, poiché s può scegliersi cosi piccolo da far dipendere il segno del secondo membro della precedente espressione dal segno del i.° termine, questo deve esser nullo indipendentemente da s, e qualunque sieno a, (3, y, per lo che evidentemente si richiede che sia nulla la quantità sotto il segno integrale. Per una geodetica dovrà dunque aversi : x d 2 y ~ ^ a '- 2 ' A '* d 2 : d's 2 ; ds 2 o e questa equazione deve coesistere colla ( 3 ) indipendentemente dai valori che assumono in ciascun caso particolare a, fi, y. Perciò sarà: d 2 x d 2 y d\ ds 2 _ds 2 _ ds 2 dU_~ dU ~ oU dx dy d% (4) che sono le equazioni cui debbono soddisfare x, y, ^ per appartenere ad una geodetica. 2. Assai più semplicemente si giunge allo stesso risultato per mezzo del calcolo delle variazioni. Infatti poniamo: o o E noto che la condizione necessaria affinchè r sia il minimo arco tra quelli che possono descriversi fra i punti corrispondenti ad s = o, j = j è data da •/ S Vds = 0 e quindi, facendo dx dy d\ Ts ’ ^ 1 = ’ds’ A = Sx—pSs, A^Sy—pJs, A 2 = 8 ^— pjs, si deve avere: +E-ÌS+ -M- 7 6 Capitolo ter^o. Osservando che: dZ == d_V = d_F = dx dy dz e che, per essere -V— i, si ha: d x d ldV\ d ds d 2 x d ldV\ _ d 2 y d ldV\ _ d 2 z ds\dp) = dl V = ~d~s 2 ’ ' dlWj ~ 17’ ds ~ ~d? 2 ricaveremo : d 2 x d x 17 ds s d 2 y ». d 2 y dy , TT^y+jf.yps d s -&»<+&sH ove le variazioni S x, Sy, $z debbono soddisfare alla equazione differenziale * dU . * dU, k d.U oZ-x -b « v -q -b o z r.— x ó x 'dy d z la quale esprime che i due punti (x, y, z), (x-J-Sx, y + fty, Z + appartengono alla superfìcie. Poiché le variazioni § x § y, § z> $ s sono del rimanente affatto arbitrarie, il confronto delle due ultime equazioni ci conduce a porre : d 2 y ^ ds 2 dy ds ^ d 2 z ds 2 d 2 X d 2 y d 2 z ~d7 2 ds 2 ds 2 diJ_~ dU~ dU d x dy dz delle quali la prima è un’ identità che si ricava dalla relazione ( 77 ) + [li) + ( 77 ) le seconde sono le equazioni che volevamo trovare. 3. Sieno a, b due punti infinitamente vicini di una curva descritta sulla superficie : l’arco a b può ritenersi confuso coll’ arco del cerchio osculatore alla curva in ab, e perciò anche confuso coll’ elemento corrispondente della sezione fatta alla superficie dal piano osculatore relativo. Ma fra tutte le sezioni passanti per a, b, Linee geodetiche. 11 per il teorema di Meusnier, quella che ha il massimo raggio di curvatura è la sezione normale ; e fra tutti gli archi di cerchio compresi fra due punti il più corto è quello che corrisponde al massimo raggio, dunque la geodetica fra i punti a e h si confonde colla sezione normale, ossia il suo piano osculatore contiene la normale alla superficie, e viceversa, se questa condizione è soddisfatta per tutti i punti di una curva, essa è geodetica almeno nelle sue parti infinitesime. Consideriamo descritta una linea rappresentata dalle ( 4 ) su di una superficie chiusa e scegliamo due punti sufficientemente distanti di tale linea; è palese che in realtà l’arco della detta curva che li congiunge non è il più corto che possa tracciarsi fra i punti prescelti. Per esempio, sulla sfera la geodetica fra due punti è, come vedremo, l’arco più corto di cerchio massimo che li unisce: tuttavia le coordinate di tutti i punti del cerchio massimo soddisfanno alle ( 4 ), e vi ha un altro arco sul cerchio stesso che congiunge i due punti considerati. Ciò deve indicarci il significato della restrizione che abbiamo introdotta nel definire le geodetiche di una superficie. Siano «, (3, y gli angoli formati dalla normale alla superficie nel punto M(x, y, g) cogli assi coordinati, si ha: dU_ d x COS tx. COsP — dU oy IldUV . ! dU \ 2 . [dUV V (al) + (97) + 1 w co s y — dU_ di mmhm donde si vede che le ( 4 ) possono porsi anche sotto la forma: Cnc r/ rnK Pi ms v Cnc r/ rn.c d 2 x d 2 y 77 ~J7 d s 2 d s 2 d s 2 essendo R una funzione di x, y e ^ che si determina ricordando 78 Capitolo ter%o. che cos 2 « -(- cos 2 (ì + cos 2 y = 1 ; e perciò: Dunque R è il raggio di curvatura nel punto x, v, 4 della curva .f. Abbiamo poi: cos \ = R —r—, a. s ed i secondi membri di queste relazioni sono, come è noto, i coseni degli angoli formati rispettivamente cogli assi dalla normale principale della curva che le (4) rappresentano. Concluderemo da ciò che questa normale principale si confonde colla normale alla superficie in tutti i punti della curva, e quindi per quanto sopra abbiamo detto la curva è essenzialmente geodetica almeno nelle sue parti infinitesime : cosi resta dimostrato che le equazioni (4) danno la condizione necessaria e sufficiente cui debbono soddisfare le coordinate di una linea geodetica. Alcuni autori definiscono la geodetica dietro la sua proprietà caratteristica di avere il suo piano osculatore contenente la normale alla superficie in ciascuno dei propri punti: e traggono da tale proprietà le equazioni (4) ; per mezzo delle considerazioni precedenti ne concludono che l’arco della curva che queste (4) rappresentano è il minimo, almeno per valori limitati di sè stesso. Il processo di deduzione è semplicissimo. Infatti è facile constatare che se in un punto qualunque di una superficie il piano osculatore a una curva tracciata su di essa contiene la normale alla superficie, questa normale si confonde necessariamente colla normale principale della curva, giacché è perpendicolare respettivamente a ciascuna delle tangenti condotte a qualsiasi curva tracciata sulla superficie e passante per il punto che si considera. Ne conseguono le relazioni: SU dx Linee geodetiche. 79 SJJ dy SU dz che equivalgono alle altre: SU SU SU Sx _ Sy_ _ Sz d 2 x d 1 y d 2 z dT Ts 2 d~s 2 Se l’equazione della superficie è data sotto la forma esplicita z.=f(x>y)> è utile porre le (4) sotto un’ altra forma, introducendo le derivate parziali p e q: si ottiene allora per le equazioni della geodetica: ( 5 ) e la terza equazione che si ricaverebbe oltre queste dalle (4) non è che una conseguenza di queste due. Fra l’aumento ds della variabile indipendente e gli aumenti dx, dy, d z delle coordinate esiste la relazione (£)‘+(&H&)' e poiché x, y, g soddisfanno all’equazione della superficie (x,y) parrebbe che si avessero quattro equazioni fra le quattro incognite x, y, z, s che resterebbero così perfettamente determinate. Ma è facile vedere che una qualunque delle (5) è una conseguenza della coesistenza delle altre coll’equazione della superficie. Infatti da questa si trae 8o Capitolo ter%o. e si ha inoltre: ds 2 d% ,d 2 y dy d 2 x dx d s ' d s 2 d s d s 2 d s Combinando queste due relazioni si trova: (' ds 2 + d 2 x\d x I d 2 % dl 2 )d^ + \ q dT + d 2 y ds 2 dv d s o a cui si giunge ugualmente sommando le (5) moltiplicate rispetti - d x dy vamente per-y—, . ds d s 4 . Sull’ ellissoide terrestre (come su qualunque superficie di rivoluzione) una geodetica incontra i meridiani sotto un angolo, che, in generale, è variabile e che si chiama Azimut geodetico od Azimut della geodetica. L’Azimut geodetico si conta come l’astronomico dal nord verso l’est: tuttavia in questo caso si hanno due rami diversi di curva da considerare, che riferiti a un dato meridiano corrispondono a due angoli che differiscono di 180°. Se la curva è considerata' come illimitata, si conviene di dare il nome di Azimut geodetico a quello di tali angoli che corrisponde al ramo di curva diretto verso l’est, dimodoché questo Azimut non supera mai i 18o° : ma se si considerano due punti qualunque A, B di una geodetica, l’Azimut geodetico di uno, per esempio di B , rispetto all’altro, può prendere tutti i valori da o° a 3 6o°, ed è allora 1’ angolo (contato dal nord verso l’est) che il ramo di geodetica contato da A in B forma col meridiano di A.- Sulle superficie di rivoluzione fra l’Azimut geodetico in un punto e il raggio del parallelo di questo punto esiste una relazione importantissima, di cui vedremo una dimostrazione rigorosa quanto elegante, applicando le coordinate curvilinee alla teoria delle geodetiche. Ma dovendo tale proprietà servirci per dedurre ora alcune formule interessanti, ci proporremo di ricavarla qui per altra via, servendoci delle equazioni (4). All’equazione di una superficie di rivoluzione qualunque si può dare la forma: da cui x 2 +/—/(0 = U = o dU SU Sostituendo nelle (4) si vede che per le equazioni delle geodetiche Linee geodetiche. 81 su di una superfìcie di rivoluzione, potremo prendere le L’integrale di questa seconda è come può constatarsi colla differenziazione; si avrà dunque per una geodetica di una superfìcie di rivoluzione: .v dy — y dx — cds. Sia ora M(x, y, g) un punto qualunque di una geodetica, M iY= ds (fìg. 6) l’elemento del suo arco ; conducendo i meridiani P M, P N X tir Y F!g. 6. e il parallelo M R si ottiene un triangolo infinitesimo rettangolo- in R, in cui l’angolo NMR è il complemento dell’Azimut della geodetica in M, Azimut che rappresenteremo con se. Ponendo in figura le coordinate x, y, g, del punto M, le coordinate x-dx, y -|- dy, g-\-d^ del punto N e il raggio CR del parallelo MR, si ottiene il triangolo CMO, di cui considereremo la projezione ortogonale O m q sul piano x y. In questo piano le coordinate del punto m sono x,y e quelle del punto q sono x-f -dx, y-j-dy: è facile constatare che chiamando con A l’area del triangolo Omq, eguale Pucci, Geodesia. 6 82 Capitolo tergo. all’ area C M O, si ha : 2 \—xdy — ydx. Perciò l’equazione precedente delle geodetiche sulle superficie di rivoluzione ci dà: 2 A = cds. Ma l’area A del triangolo CMC differisce da quella del settore circolare CMR per l’area del triangolo OMR (che ha per lati RM=ds sena, QR — dr), ossia per un infinitesimo di secondo ordine, che può esser trascurato rispetto a A, che è un infinitesimo di i.° ordine. Perciò potremo anche porre: 2 A = R Mx M C ~ r d' s sen a epressione che, paragonata colla precedente di 2 A, dimostra che si ha : rsenx — c. (6) Dunque per tutti i punti di una geodetica di una superficie di rivoluzione il prodotto del raggio del parallelo per il seno dell’Aginiut geodetico è costante. Questo teorema, conosciuto sotto il nome di teorema di Clairaut, perchè dovuto a questo illustre geometra, è dei più fecondi nella teoria delle superficie di rivoluzione. Notiamo che la relazione (6) caratterizza una proprietà necessaria pei punti della geodetica, ma non sufficiente; infatti un parallelo non è una geodetica, se non eccezionalmente quando il suo raggio è un massimo od un minimo: pure la (6) è soddisfatta per tutti i suoi punti. Si può per altro dimostrare che un parallelo deve esser considerato come una soluzione particolare dell’ integrale generale della equazione delle geodetiche di una superficie di rivoluzione. A un dato valore di c corrisponde infatti un infinito numero di geodetiche che non sono individuate se non è dato un loro punto od un’altra condizione cui debbono soddisfare: per ciascuna di esse esiste un punto per cui a è massimo : e se c è compreso fra il massimo e minimo valore che può assumere r, il massimo di a è un retto e l’equazione (6) ci mostra che allora r = c. In quel punto ciascuna di quelle geodetiche è dunque tangente al parallelo di raggio c, parallelo che diviene l’inviluppo della famiglia di geodetiche caratterizzata dal valore assunto per una tale costante. Quando esistono due paralleli di raggio c, ciascuna delle geodetiche considerate corre fra questi senza mai sorpassarli, divenendo successivamente tangente a vari loro punti alternativamente. Linee geodetiche. 83 Per i valori di c maggiori del massimo valore che può assumere r, geometricamente.parlando, non vi hanno geodetiche, lo che ci viene indicato anche dalla (6) che dà per sen se un valore che in ogni caso maggiore è dell’unità. 5 . Le equazioni (4) 0 (5) delle geodetiche non si sanno integrare in termini finiti; si possono però ottenere le coordinate a-, y, g, dei punti di una geodetica espresse in serie, in funzione del suo arco j e della direzione di uno dei suoi elementi. Scegliendo infatti 5 come variabile indipendente le coordinate x, y, g, lungo quest’ arco, sono funzioni di 5, ed, applicando lo sviluppo in serie di Maclaurin, si avrà: dono x, y, ~, ,.. . per 5 = o, ossia nel punto che si con- ecc., rappresentano i valori che pren ove *„» Vo> L sidera come origine dell’arco s. Supponiamo che l’origine delle coordinate sia in questo punto, l’asse delle essendo diretto secondo la normale alla superficie, e il piano yx confuso col piano tangente; inoltre scegliamo per piano delle %x il piano della sezione normale principale che ha il raggio di curvatura i?, minimo. Avremo allora: e, pel teorema di Eulero e, pel teorema di Eulero: Sia a o l’angolo che il primo elemento della geodetica fa coll’asse delle A' (angolo che sulla superficie terrestre si confonde coll’Azimut della geodetica nell’origine delle coordinate) e sarà altresì: cos a sen a 8 4 Capitolo terzo. Dalla equazione della superfìcie s i ottiene poi: ( d x' • 2 5 d 7 d x , dy d7 =p d7 + q 77 'dx\ (dy\ (d}’Y ■ . a ‘ x j+'K) +p J7^ q I7 ds 2 ' \d s J ^ ” J \d s ) \d s dalle quali ricaviamo : (a Le serie che abbiamo scritte per x, y, ^ divengono per tali considerazioni : cos a , sen a. R. R, R* ' X — S cos a o -f y = s sen a o -f I . 2 \d S 2 1 + ' / (d 2 _ I .2 \ds ^QU... fa \ (?) 1 = 2 . Queste equazioni stanno qualunque sia la natura della linea s; se questa è geodetica si dovrà inoltre avere, come ci è noto : d 2 x J 2 K. d s 2 P ds 2 d 1 y d 2 ^ ds 2 ~ q ds 2 rispetto ad s: d '’ x d 2 4 d x dy d s’ ds 2 d s d s 2 d s d ì y p l_ _, Il d x d s’ d s 2 d s ds 1 d s d s } Introducendo i valori sopra indicati per ’ (jp") r 0 , t oì s 0 ne dedurremo: rnr 0 ’ (&)„=°- ( jf ); d 2 x cos a d h\ sen oc \ds’) 0 R lt R* 85 Linee geodetiche. e le (7) diverranno x = s cos oc o y = s sen a o y 2 V 2 Ra s ’. cos oc 6.R t R y 3 sen a o '6 2 ?/?. * (8) Queste formule generalissime, che convengono alle geodetiche di qualunque superficie, sono dovute a Weingarten. Per protrarre gli sviluppi è necessario di particolareggiare la superficie che si considera, deducendo dalla sua equazione il valore e per mezzo delle equazioni delle geodetiche i valori di O d* y\ -7~t 1)1° che non presenta difficoltà, se non nella materialità ds io del calcolo. Per l’ellissoide di rivoluzione si trova in questo modo: x = s cos oc y 3 cos a 0 , y 4 . e 2 sen 9 cos 9 (9 cos 2 a n , sen 2 oQ , cos a o ( cos 2 TJT\R; a o sen 2 «„ , 1 — e 2 cos 2 9 \) l 1 ' R, , 5 ( cos „ o 12 cos a, + T2Ò\r^r7 r y 3 sen oc y 4 e 2 sen 9 cos o ■>’ “ s sen a - ^ «X + s “ “• cos * 0-e)R„R ?)ì UJ! + sen oc 12 sen a i2o(R n 2 R. 2 1 J 2 „ lì. y 2 y 3 e 2 sen 9 cos 9 cos a 0 ( cos 2 oc “kT"' sen a 1 — e cos 0 -0* Xì+- + ^ 2i? a 2(y—e 2 )R„.R u ;en X 1 3 , y 4 (cos 2 a o ) sen 2 a o f 3(1— e 2 cos 2 9)) Del resto non si hanno in geodesia quasi mai da considerare delle lunghezze y di geodetiche per cui i termini non particolareggiati nelle (8) non sieno interamente trascurabili. (j. Se nelle formule (8) si considera y come variabile, i valori di x, y, divengono le coordinate correnti dei punti della geodetica y che parte dall’origine delle coordinate ed è caratterizzata 86 Capitolo topo. dall’angolo v. o (sulle superficie di rivoluzione dall’Azimut) che il suo primo elemento fa colla sezione normale di curvatura massima. Poiché a è rimasto indeterminato, a ciascun valore che gli si altri- buisce corrisponde una geodetica speciale, e così le formule (8) possono rappresentare tutte le geodetiche che partono dall’origine sotto tutte le possibili direzioni. Dato un altro punto della superficie é chiaro che si può determinare un valore di r ed uno di v. che gli corrispondano; e ciò si farebbe considerando due qualunque delle (8), la terza essendo una conseguenza di esse e dell’ equazione della superficie: poiché se, per esempio, dalle due .prime delle (8) si ricavassero r ed a. in funzione di x, y e si sostituissero nella terza, questa diverrebbe una equazione fra x, y, z c he deve naturalmente identificarsi coll’equazione della superficie considerata. Reciprocamente a un dato valore di s, a corrisponde sempre un punto della superficie. Considerando s, * come parametri variabili di due famiglie di curve tracciate sulla superficie che si considera, essi ci danno dunque un sistema di coordinate curvilinee, e la loro corrispondenza colle coordinate cartesiane ci é data dalle (8). La famiglia di linee a = cost é una famiglia di geodetiche che partono dal punto M sotto tutte le direzioni ; ad s = cost corrispondono poi delle curve chiuse intorno al punto M alle quali (per analogia a ciò che succede quando la superficie considerata ò un piano, su cui le geodetiche sono rette, e quindi per s == cost si ottengono delle circonferenze) si dà il nome di circonferenze geodetiche. Ad ogni circonferenza geodetica corrisponde un valore speciale di s che é detto il suo raggio geodetico. Chiameremo coordinate geodetiche queste coordinate curvilinee che, come si vede, sono interamente analoghe alle usuali coordinate polari del piano: il punto M(x a , y a , %f) da cui divergono i raggi geodetici sarà il polo geodetico, e l’asse polare sarà il raggio geodetico tangente alla sezione normale in M di minimo raggio di curvatura (sull’ellissoide, l’ellissi meridiana). I paralleli e i meridiani dell’ ellissoide non sono che un caso particolare del sistema delle coordinate geodetiche, e corrispondono al caso in cui per polo geodetico si sceglie uno dei poli dell’ellissoide stesso. Per mezzo dell’introduzione delle coordinate geodetiche nello studio di una superficie si dimostrano facilmente molte proprietà importanti della superficie, delle quali dovremo fare ben presto larga applicazione. Prima dobbiamo però trovare l’equazione di una geodetica in coordinate geodetiche, ma per non togliere generalità alle Linee geodetiche. 87 nostre ricerche, poiché le coordinate geodetiche non sono a loro volta che un caso particolare delle coordinate curvilinee qualunque 11, v che abbiamo studiate nell’ Introduzione, riprenderemo l’elemento lineare di una superficie sotto la forma : F 1 Z +G dv\ E e cercheremo la relazione che deve sussistere fra u, v perchè la curva a sia una geodetica. 7. Analogamente a quanto abbiamo fatto al n.° 1 di questo capitolo, consideriamo un arco di curva <7, vicinissimo all’arco di curva 0, che abbia con questo gli stessi estremi: scegliendo v come variabile indipendente, sieno v l ,v 2 i suoi valori corrispondenti a questi estremi. Ad uno stesso valore v per cui corrisponde il valore u sull’arco cr, sull’arco c i corrisponderà il valore 11^ = 11-\~ sto, essendo £ una costante, co una funzione di v; dalla forma e natura della funzione co dipenderà la forma e la natura della curva o qualunque sia la natura dell’arco n i} o in altri termini, qualunque siano s, co; per ciò si richiede che sia nulla la quantità messa sotto il primo segno integrale; per l’equazione delle geodetiche in coordinate curvilinee porremo dunque : 8 E !d uY , 8 F d u 8 G da d f du -pdv\ 8 u \d vj 8 u dv 1 8 11 2 dv dv\ da da) cui si suol dare la forma: 8E 2 8F 8 G , , du -f- 2 -— dil dv -4- _ dv 8 u 8 u 1 8 n — 2 d , l'd u , „dv ‘ l Ì E r, + F in ( 9 ) 89 Lìnee geodetiche. Per mezzo del calcolo delle variazioni l’equazione (9) si ottiene V = \J Eu * fi- 2 Fu [ fi- G e si subito come scotte. Poniamo u. d v avrà per l’arco di una linea qualunque della superficie considerata : Eu* fi- 2 Fqfi- G essendo xq, v 2 come precedentemente i valori di v che corrispondono agli estremi della linea a. La condizione necessaria, perchè l’integrale soprascritto sia minimo è, in questo caso, data da: e poiché E, F, G sono funzioni di u e non di q, avremo : JE dF , dG dV u ' du + u ‘du ^dil JE , dF,dG U 5-f u a — fi—~— 1 du l du du d a d 11 2 \j E u * fi- 2 F », fi- G E-\- F _ dV _ u t E+F d u i E u * fi- 2 F», fi- G d v quindi la condizione perchè a sia arco di geodetica è data da: du r- , t- \ da d dv dv da d d v (SE dudF dG 1’ d u 2 dv du' du Id u\ ¥~v) = 0 dv dv I da d v come si è trovato sopra. Abbiamo considerato fin qui la v come variabile indipendente ; è facile però ottenere le equazioni delle geodetiche quando per variabile indipendente si sceglie il suo arco (d u „ , „d v \d7 E + F d 7 di ' d Osservando, al solito, che du F dv da^ r d iU-.-E+Fy- 1( = U c I I ildu v . r?dv E + t dò) + lÙ - d [d, E+F d a d H ‘ i K"r G + F 3 i ')h i ”te G + ^) + ^(K G '^ ricaveremo, ragionando come nel numero precedente: , i ero i8E 2 8F 2 1 1 J 2 d -j [ ò n Su ‘ , f SO (8E, 2 , 8F, , . -f I y~r~ lo da -y 2 „ du dv-\- J 2 d 0 (8 V 8v In questo caso le variazioni co ed o sono completamente arbitrarie, quindi per le condizioni cui debbono soddisfare u, v affinchè r - 1 sia una geodetica, si deduce: 8 E 8F 8G z /J» Jni ^— du - f- 2 du dv 4- ^— dv =2 d a d\E -, h E-.— 1 ou du 1 8 u \ da 1 d .) 8E 8F 8G q— d u + 2 r—d u dv 4- -7T— d v 8v dv 8v , , in dv dii 2 d . d | G -f P da da che sono due equazioni di cui una è conseguenza dell’altra. 8. L’equazione (9) delle geodetiche si riduce ad un’altra forma importante introducendo l’angolo 6 che la linea n fa colle linee coordinate v = cost. Abbiamo visto nell’ introduzione che si ha : sen 0 = \l E G — F 2 \!'E cos 0 = fE Linee geodetiche. 9 1 quindi la (9) diviene: - — d 11 4 - 2 -=— da dv 4 - dv — 2 de dN h cos 0 ) = ?» 'du du I __ d — dj E g — 2 \/ ~E do dh sen 0 ^ \/£ J e sostituendo a sen 0, cos 0 i loro valori soprascritti : (io) d u d F , , d G 2 . du A- 2 7:— da dv -f- — dv = d t d u + 0 u 0 u F 4 - ->■ d V . d E — 2 d 6 d V . \l E G — E 2 E SE d E Ma d E = „ - da + „ dv ed, in conseguenza, alla equazione 0 u 0 v precedente può darsi la forma: 2 d 0 \l EG — E 1 = 4 - 1 ^ d » + ^ “ dv I 4 - Y b\óu dv 1 SE d v dE di dF , «/* , 8G du — 2 „— du — „—■ d v ó u 0 u (") che ci dà la variazione di 0 lungo la geodetica o. Questa equazione, molto importante nella teoria che ci occupa, è dovuta a Gauss. Se le coordinate u,v sono ortogonali le equazioni (9), (io), (11) si riducono poi alle seguenti: d_E d u du 2 dG d u dv 2 2 d o d\E dE . 2 , dG 2 — du 5— d v d u ò u 2de^F7G = !-^d«- ¥ dv .d u d - d E cos 0 \/£ dG d 11 d v. ■ 2 \j E d o d 0 sen 0 1 (12) 9 . Tutte queste equazioni differenziali delle geodetiche di una superfìcie qualunque non si sanno integrare in una maniera generale, se non in un caso, abbastanza esteso del resto, e che è quando le coordinate u, v sono ortogonali isoterme, cioè quando l’elemento lineare assume la forma do 2 = \(Udu 2 + Vdv 2 ) 1 = *(«) + !3 (v) ed inoltre si ha : 92 Capitolo teipo. essendo « ( u ) una funzione qualunque della sola tt, e (3 (v) una funzione della sola v. In questo caso si ha infatti E = \U, G = \V e la terza delle ( 12 ) diviene: 2 d ©1 ■ mentre si ha: U iv u n d v v_ n \ U 8u dii — 1 / -irr 7— dv du , „ rr d 11 cos 0 = \] E = \J 1 U , da da sen6 = VG~==V^ 'da da In conseguenza si ricava successivamente : U , dv — = roto - u- V & d u V du — tancr H u 0 dv O *\ Q 2db .1 = cotg 0 . 7 ,— dv — tang 0 °-r— du dv ó u 2 sen 0 cos 0 0 . >. = cos 2 0 ^ dv — sen 2 0 u . dv du A causa dell’espressione che ha 1 per ipotesi, si ha per altro di dx di d$ ,, , . ... . . , . Wu = dTi ’ Wv = d~v ’ 6 * ultima delle equazioni precedenti può prendere perciò la forma : 2 x . sen 0 cos 0 . ti 0 -j- 2 (3. sen 0 cos 0 ti 0 = d {3 cos 2 0 — ti a sen 2 0 che diviene subito integrabile se si scrive come segue: 2 x sen 0 cos 0 . d 0 -f- d x . sen 2 0 = d [3 cos 2 0 — 2 [3 sen 0 cos 0 . d 0. Infatti il primo membro è la differenziale completa di « sen 2 0, e il secondo di [3 cos 2 0 ; eseguendo l’integrazione avremo : a sen 2 0 — (3 cos 2 0 = C. ( 13 ) Linee geodetiche. 93 Da questa ricaviamo : sen 9 — cos 9 i / C + 'fi i / C 4- ji | V a + {J V À / a — C i/o. — C \ (h) Per avere in termini finiti l’equazione delle geodetiche in questo sistema di coordinate, osserveremo che dalla relazione : si trova: dv\j V sen 9 d u d v tang 0 du\j U cos 9 equazione che per le ( 14 ) diviene: d v V V dti ^U V C-fi fi V a —C nella quale le variabili sono separate. Quindi per mezzo delle quadrature, avremo : d v \j y _ P du\jU + ^ fi -(- L J \J y — c C' ( 15 ) e le costanti C e C' dovranno esser determinate da due condizioni cui la geodetica deve soddisfare, per esempio, dalle coordinate note di uno dei suoi punti e dalla direzione che essa ha in questo. L’arco c della geodetica si ottiene per mezzo di semplici quadrature ricordando che si ha, in coordinate ortogonali qualunque, ^ \jGdv \j Edu sen 0 cos 9 ed in questo caso: d 0 sen 9 = a' v\j 1 F d 0 cos 9 = d u U. Moltiplicando la prima per sen 9 e la seconda per cos 9 e sommando si ricava: ao = sen 9 . dv .\Jl F ± cos 9 \j 1 0. d u e, per le ( 14 ) : do = \J V(C fi) dv ± \J U {a — C) du 94 Capìtolo ter^o. da cui integrando colle quadrature : q — f y 1 c(c + p) d v + f y u(x — c ) d u -j- c " (16) ove la costante C" resta determinata, quando è dato l’estremo del- l’arco n opposto a quello per cui c = o, integrando fra i limiti relativi. 10. Applichiamo ora le formule generali ottenute nei numeri precedenti al caso delle coordinate geodetiche, col fare v — s, it = a, e cominciamo dal dimostrare che queste coordinate sono ortogonali. Sieno perciò M (fig. 7) il polo di un sistemi! di coordinate geodetiche MA, MA, e A, A due punti infinitamente vicini di una circonferenza geodetica talché C A sarà per ipotesi MA = MA : supponiamo che uno degli angoli in A od in A' differisca da un retto di una quantità finita. Per la legge di continuità, giacché A ed Fig 7. A.' sono infinitamente prossimi, l’angolo che formano in M i due raggi geodetici MA, MA sarà infinitamente piccolo, inoltre, se l’angolo in A è minore di 90° di una certa quantità finita, l’angolo in A' sarà maggiore di un retto della stessa quantità che rappresenteremo con 5. Se si considera su M A un punto C tale che si abbia : AC = A A' sen 8 il triangolo curvilineo A C A' che ne cònsegue, e che è sempre possibile, avrà tre lati infinitamente piccoli, poiché 8 per ipotesi é finito: quindi A C sarà dello stesso ordine di A A', e il detto triangolo potrà essere considerato come rettilineo e sarà rettangolo in A' come si riconosce dall’ ipotesi fatta. In conseguenza avremo : A' C = A C sen A = A C cos 8 ed anche MC+CA' = MC + ACcosS = = MC AC — A C A C cosà — M A — A C(i — cos 8) 'e poiché MA = MA' questa eguaglianza diventa: MC C A' = MA' — AC(i — cos 8). Linee geodetiche. 95 Il valore di AC( i—cos S) è essenzialmente positivo: dall’ipotesi da cui siamo partiti si concluderebbe dunque che la spezzata M C -+- C A sarebbe più corta della geodetica M A' che ha gli stessi estremi, lo che è assurdo, dunque l’angolo in A non può differire da un retto di una quantità finita, ed in conseguenza le circonferenze geodetiche e i raggi geodetici si incontrano ovunque ad angolo retto, e le coordinate geodetiche sono ortogonali. Tale dimostrazione geometrica di questa importante proprietà delle coordinate geodetiche c dovuta a Gauss. L’elemento lineare espresso in funzione di 5 ed a avrà, in conseguenza, la forma : d n = \! L d s~-\- G d x 2 . Ma è facile vedere che il valore di E è l’unità: poiché si ha in questo caso : ove le derivate parziali di x, y, g rispetto ad s sono prese considerando x costante e coincidono dunque colle derivate totali lungo le linee y. == cost., ossia lungo le lince geodetiche coordinate. Ne risulta che —-y, , -^-j- rappresentano i coseni che la linea 5 fa cogli assi coordinati, perciò la somma dei loro quadrati è eguale ad imo. Chiamando con vi la funzione di a, s che rappresenta G nelle nostre coordinate, ponendo cioè: (IrH&Miìy, l’elemento lineare in coordinate geodetiche ci sarà dato da: d c = ^ d s 2 -\- m d x 2 ( 18) forma notevolissima a cui dovremo spesso ricorrere in seguito. Del resto questa forma dell’elemento lineare caratterizza completamente un sistema di coordinate curvilinee molto più generale introdotto da Gauss nello studio analitico delle superficie e del quale le coordinate geodetiche non sono che una applicazione. Consideriamo infatti una linea qualunque della superficie e supponiamo che dai punti di questa parta perpendicolarmente ai suoi vari elementi un infinito numero di geodetiche che prenderemo per linee u della superficie assumendo come parametro variabile lungo, di esse il 96 Capitolo ter^o. ■loro arco u. Contando l’arco u dalla linea della superficie che abbiamo considerato, scegliamo poi per linee v le linee che si ottengono congiungendo gli estremi degli archi u = cost : è chiaro che nell’elemento lineare della superficie d a 2 = E d u 1 2 F d n d v Gdv 2 . d y d X. rappresentano m questo caso d u ’ d u avremo E = i i coseni degli angoli che l’elemento d u delle linee v = cost fa colle direzioni degli asssi: in conseguenza l’equazione' generale (n) delle geodetiche diviene: 2 d a da tang G = V /«. ( 20 ) come può dedursi subito dalle formule (17) dell’ Introduzione. Se per mezzo della 3. 1 delle (20) si elimina dx dalla 2. a delle (19) troviamo ancora: ja a i ? , 3?» senG , d G cos G . V vi 4- „ — : — ,ds = o ds 2\j m che può mettersi altresì sotto la forma: m ds sen 9 -j- dG V m cos G = o (21) ds e ci dà una relazione di cui dovremo valerci fra breve. 12 . Esaminiamo il caso speciale in cui sull’ellissoide terrestre si sceglie come polo delle coordinate geodetiche uno dei poli geografici : allora 1’ elemento lineare è dato da : d . Prendiamo ora a considerare il prodotto sen h\J m che prenderà successivamente valori determinati, ma differenti, passando da un punto all’altro della geodetica c = B C appartenente al triangolo geodetico ABC considerato più sopra; sarà, in altri termini, una certa funzione di r ed a, essendo s, a legate dalle equazioni della geodetica v. Scegliamo r come variabile indipendente; avremo in generale, ritenendo le notazioni del numero precedente: sen 9 \/ m = /(r), e sostituendo ad r il suo valore identico s, -j- s — s t , e sviluppando col teorema di Taylor, si otterrà: Ciziow' - \ds 2 fi (sen 9 \j ni )| , (s — sfi 1 fi z (sen 9 \J m )) ds ì,” 1- 2 ( TT? t sen 0 m =f(s t ) + fi — sfi + = sen 9 i \j m r f- (s—sfi + ■■■ ove abbiamo rappresentato con m, il valore che assume m per s = s e gli indici alle parentesi significano che, nelle derivate totali che le parentesi racchiudono, si deve sostituire ad s il valore particolare s . Ora in generale 0 ed m contengono a, quindi si avrà: d (sen 0 \j ni) d s r d 0 m cos ff -,— a s d \l m d s sen 9 d\l m di d « ds sen 9 relazione che per la terza delle (29) si riduce a: d (sen 9 \l m) 8 \l m d x . —-—a——- = -4 — sen 9 . ds ò ?. d s Riprendiamo il valore (29) di m da cui si ha 7 <■? \J ni = r y 1 3«, -f-r’ ... — s — + ri... io8 Capitolo terzo. ed osserviamo che oc non entra in questa relazione che nei* termini $ 4 di ordine superiore al terzo, in quelli che hanno cioè la forma —, essendo R un raggio di curvatura. Nella maggior parte dei casi che si presentano in Geodesia l’approssimazione che si ottiene per \j m dai termini indicati nella formula soprascritta è più che sufficiente, in modo che si può porre ? \j m — = o, e in conseguenza d (sen 0 \l vi) d s d 2 (sen 0 \j ni) I? = o ecc. Il precedente sviluppo di sen 0 ci dà. allora \j m sen 0 = \j m l sen O i , od anche, sostituendo ad m, m l i loro valori in s, : ( 5 “ TSJ-) sm 0 “ (' ■ ~ TrTr) "■ ' Se ora su di una sfera di raggio R — \jR l R n consideriamo un triangolo sferico di cui due lati sieno 5, s L e gli angoli rispettivamente opposti A x , 0, dalla nota relazione 5 s, . sen -5 sen 0 = sen sen A, K K s* sviluppando in serie i seni dei lati e trascurando i termini in ^ e quelli di ordine superiore, ossia ritenendo l’approssimazione stessa che abbiamo tenuto nella formula precedente, si ricava: ( 5 - ih ;,+-)■ 9 “ ( s -” A ~ e questa confrontata colla relazione ottenuta pel triangolo sferoidico dimostra che l’angolo A t è uguale a od al suo supplemento a 180 0 : è facile vedere che questa seconda conclusione deve essere prescelta. La dimostrazione potendo ripetersi collo scegliere a loro volta successivamente gli altri due vertici del triangolo sferoidico Linee geodetiche. 109 come poli di sistemi di coordinate geodetiche, si può formulare il seguente teorema fondamentale: Coll 1 approssimazione del 9.° ordine inclusive, si pub risolvere un triangolo sferoidico come sferico su di una sfera di raggio R = ^ R t R n media geometrica dei raggi di curvatura delle sezioni normali principali del centro di figura del triangolo sferoidico suddetto. In generale non si presentano in Geodesia triangoli geodetici che non possano, dietro il teorema precedente, essere risoluti colle formule di trigonometria, le quali in realtà, nelle applicazioni geodetiche, si riducono a forme affatto speciali. Tuttavia, trattandosi di ricerche che sono fondamentali per ciò , che abbiamo da esporre in uno dei prossimi capitoli, dobbiamo esaminare più minutamente la differenza che vi ha fra gli angoli di un triangolo geodetico e quello di un triangolo sferico o piano che abbia gli stessi lati del triangolo geodetico stesso. La questione è stata elegantemente trattata in tutta la sua generalità da Gauss ( Ricerche sulle superficie curve), e quindi più ampiamente sviluppata da Hansen ( Ricerche geodetiche). L’unica ipotesi accettata da tali scienziati è che le geodetiche che formano i lati del triangolo geodetico considerato sieno quantità piccole di i.° ordine rispetto a un raggio di curvatura qualunque nella zona della superficie su cui il triangolo è compreso. In seguito Christojfel ha trattato il problema stesso indipendentemente da questa ipotesi. In Geodesia è sufficiente considerare il caso di un triangolo sferoidico, basta cioè supporre che la superficie cui il triangolo geodetico appartiene sia un ellissoide di rivoluzione, perchè, come abbiamo detto fino dal primo Capitolo, è ad un tale ellissoide che si riconducono tutte le misure fatte in realtà sul terreno. Per non entrare in lunghi e complicati sviluppi che sarebbero superflui al nostro scopo, noi ci limiteremo alla discussione di questo ultimo caso. 17. Prendiamo per ciò a considerare il triangolo curvilineo formato tra i punti A, B, C di un ellissoide dalle due sezioni normali in A che vanno ai punti B, C delle quali rappresenteremo rispettivamente con c e b le lunghezze, e dalla sezione normale in C che va al punto B, di cui l’arco BC chiameremo con a ; siano sq, a 2 , ?> ) 5 'C gli angoli che in C, ed A Rappresentiamo per ultimo con le corde suddette fanno rispettivamente colle tangenti alle sezioni normali a,b, c\ è facile vedere che il triangolo sferico formato dalle direzioni delle corde b I} c i e dalla normale all’ellissoide nel punto A ha per lati 90°— 'C b , 90°— "C c , A I e l’angolo compreso fra i primi due di questi è A, in modo che dedurremo, introducendo nella formula fondamentale di trigonometria sferica tra le suddette quantità, in luogo di cos A t , il suo valore dato dalla prima delle relazioni sopra scritte : Nel Capitolo II abbiamo dimostrato che un arco di sezione normale, anche per le massime lunghezze che si hanno da considerare in Geodesia, può ritenersi confuso coll’arco di cerchio osculatore corrispondente; sieno R a , R b , R e i raggi di curvatura degli archi a, b, c corrispondenti ai punti C, A e si ricaverà senza difficoltà da tale considerazione: 2 R b sen 2 R c sen 2 R„ sen L’equazione precedente in conseguenza di queste relazioni diverrà. cos A = 2b c\i Ili Linee geodetiche. od anche, dopo facili sviluppi: . . cosA n ! V , c 2 cosJ-co s 4,= - T -U- r - + p 2 ì ìc(r,; + r. b c r:j 4 « Ponendo ora A = A o -f- c si ha : ? 2 cos A o — cos A = Z sen A o -f- ? - cos A o -f-... quindi avremo + • a i ( ld à ; sen A =- j— -75-r -f- 24 bc\R b R c -Ir)- cos A n ( b 2 , c 2 \ . ir ' r j + 4M (3 2 ) ■ COS ^4 -j- • • • ; 6 \R b ■ i\ c ì 4 js. b it c 2 / dalla quale si vede che c è una quantità di secondo ordine rispetto al rapporto fra un lato e il proprio raggio di curvatura, quindi ^-cos A sarebbe dello stesso ordine dei primi termini successivi a quelli scritti nella formula precedente, e dovrebbe essere ritenuto solo quando anche di questi si tenesse conto. Sia 9 la latitudine del punto A e A 9 la differenza di latitudine fra A e C: per la seconda delle formule (13) del Capitolo II porremo: a(i— e 2 ) Ra = R» = R c {1 — c 2 -f e 2 cos 2 (9 4A0) cos 2 « J \J 1 — e 2 sen 2 (9 A 9) _ (1 — e 2 -|- e 2 cos 2 0 cos 2 a,) \J 1 — e 2 sen 2 9 g(i— e 2 ) (1 — e 2 e 2 cos 2 9 cos 2 «,) \J 1 — e 2 sen 2 9 Dalla prima di queste si deduce sviluppando ~ rispetto a A 9 colla serie di Taylor: 1 ■ e cos 0 cos x ' \J 1 — e 2 sen 2 9 - a (1 — e 2 ) e 2 A 9 /( 1 — e 2 4- e 2 cos 2 9 cos 2 aq) sen 9 cos 9 C 1 O \ 2^1 — e 2 sen 2 9 2 e 2 A o cos 0 sen o cos 2 a i/ 1 — e 2 sen 2 o , , - ! - ! ->-ih- L + A 9 ... a (1 — e ) 112 Capitolo tergo. e vedremo nel Capitolo Vili (Posizioni geografiche ) che si ha prossimamente Ì.COSK . 1 1 \ essendo N la gran normale alla latitudine o del punto A. Per l’approssimazione che si ottiene dai termini scritti nella (32), nel sostituire ad il valore sopra ricavato è sufficiente tenere il primo termine dello sviluppo; in conseguenza per i tre raggi di curvatura che entrano nella (32), potremo porre: ì = ( : + 7^7 cos2 ? cos2 *) = Ì T ^ + fi2 cos2 9 cos2 * +• • •) j b = Ìi[ l + 7ZT? cos2 ? cos2 K *) = F ^ + g2 cos2 9 cos2 • • •) i- = 1 (r + -L— t cos 2 ? cos 2 a 3 j = -l (1 + e 2 cos 2

--— , 3 4 II ( 33 ) Si ha per altro : + C 4 _ fl 4 ^ 4- b 2 -P Q (b 2 + r 2 — a 2 ) — 2 fr 2 c 2 = ~ 24 bc a 2 + b 2 + c 2 . bc --cos A n - 12 0 12 24 bc quindi la prima parentesi del secondo membro nella (33) si riduce a : a 2 —b 2 — c 2 . . bc ■ C0S AH-—=— hr hrC0S 2 A n , bc bc 2 . —;- 2 4- -r = -r sen A„. b A- c—a Linee geodetiche, Per ridurre la seconda parentesi consideriamo uno qualunque, dei lati del triangolo curvilineo ABC, per esempio, il lato b, e da uno dei suoi estremi conduciamo la sezione normale perpendicolare al meridiano dell’ altro estremo : si verrà ad intercettare cosi su questo meridiano un certo arco p 2 , che diremo essere la projezione meridiana del lato b : se il triangolo curvilineo, in tal maniera formato, fosse sferico, ci darebbe (supponendo per fissar le idee che l’azimut « 2 fosse minore di 90 0 ): b tang j cos a 2 P, tnno- - - b R ossia: b cos a 2 -j- Analogamente per le projezioni meridiane dei lati a, c si avrebbe : a cos sq -]- c cos a 2 -j- ed è evidente che, tenendo conto dei segni che provengono in P 2 , p dagli azimut relativi, la projezione meridiana di un lato è eguale alla differenza delle projezioni meridiane degli altri due. Si vede da ciò facilmente che, dentro i limiti dell’approssimazione tenuta nella (33), si può porre: (« cos oq) 2 = (/> cos a 2 — c cos a,) 2 , e sviluppando il quadrato e moltiplicando membro a membro colla relazione a 2 = b 1J r c 2 — 2 b c cos A 0 ne dedurremo: b * cos 2 a 2 -f-c 4 cos 2 x } —a + cos 2 aq = 2 bc( (p 2 -j- c 2 ) cosa 2 cos a,-j- cos A o ( b 2 cos 2 a 2 -j- c 2 cos 2 a.) j ; (35) b 2 c 2 {cos 2 a 2 + cos 2 a + 4 cos a 2 cos oq cos AJ cosa 2 cos^ Q )+ \ e 2 cos 2 cp / /Pcosk 2 (i besen 2 A n -j- c 2 cos a ; (cos -f /;c(cos 2 a 2 -|- cos 2 a cos a, cos A') 5 OS In conseguenza delle (34) e (35) la (33) diventa: bcsen 2 A , e 2 cos 2 0 / //cosa. (cosa.— cosa cos2 d __2 J— _L i 2 v ? 2 Capitolo tei\o. 114 Osserviamo adesso che si ha: a 3 =« 2 +^ e, poiché gli azimut entrano solo nella quantità fra parentesi del 2° membro, quantità il cui valore è in ogni caso piccolissimo, e la differenza fra A ed A o in Geodesia è sempre piccola, è chiaro che potremo introdurre invece del valore vero v. 2 -\-A di « il valore prossimo v = /‘ v ,-fi.v — 3 ' 3 a'\ 3 Y"' = I", 4+ - V 4 _ -a'" m 4 4 X“ = /‘ v 4+ -V- H, 4 ciascuna delle quali può anche provenire dalla media di diverse osservazioni, fatte in circostanze prossimamente eguali, e può quindi meritare più o meno fiducia, giacche le quantità osservate debbonsi supporre affette da errori di osservazione. Per tal modo si ottiene un numero di equazioni più che sufficiente per determinare le incognite X', X", X "’... ecc., x,, x 2 , x J , x , m l} m 2 , m,, m + . A tali equazioni si deve aggiungere l’equazione di condizione: -v+-v+- v 5 +-V=° (7) che deve essere rigorosamente soddisfatta dai valori ottenuti per x t , x 2 , x,, x 4 dalle (6). Il metodo di risolvere queste equazioni sarà esposto nel Capitolo VII. * Devesi però notare che in un raffreddamento repentino, come succede se una spranga fortemente riscaldata si porta sul comparatore posto in un ambiente relativamente freddo, le contrazioni del metallo presentano delle discontinuità e dei salti notevoli. 136 Capìtolo quarto. Rimane a determinare la costante L. Per questo si compara una delle spranghe col prototipo di misura per mezzo dello stesso comparatore, e con metodo analogo al precedente. Però il prototipo a testate di solito non è, come le spranghe, terminato da tagli o superficie sferiche, ma da faccie piane, di cui si deve considerare il centro; inoltre, in generale esso è un sottomultiplo della lunghezza della spranga con cui si paragona; sono quindi necessarie delle disposizioni transitorie di cui non parleremo qui che brevissimamente, giacché i sistemi impiegati ora sono molti e molto diversi tra loro. Se si dispone di diversi prototipi a testate, ne vengono posti quanti conviene in successione, coi centri delle testate sulla linea delle punte (o tagli) del comparatore e si interpongono fra essi delle sfere di cristallo o di metallo di cui il diametro è stato preventivamente ed esattamente misurato (sterometro od altri sistemi). Altrimenti, sul comparatore, al posto che occuperebbe la sfera fra due prototipi vien fissato un cilindro assai corto terminato con superficie sferiche, e del quale in antecedenza si determina la massima lunghezza (parte dell’asse compreso fra le callotte sieriche) : 1’ unico prototipo vien quindi ad appoggiare con una testata successivamente sulle due callotte sferiche, l’altra venendo successivamente in presenza di ciascuna delle punte (o tagli) del comparatore. Tuttavia fra queste e le testate è necessario ora introdurre da ciascuna parte un altro cilindro terminato da una parte con una callotta sferica e dall’ altra con un taglio sia verticale sia orizzontale a seconda della forma dell’ estremo del comparatore, e che ci dà il punto di riferimento rispetto a questo estremo. Se lo stesso cilindro si interpone ancora fra la spranga e le estremità del comparatore al momento della comparazione, la lunghezza C del comparatore può considerarsi eguale alla distanza dei suoi estremi, diminuita della lunghezza dei cilindri terminali interposti. Sia I come nel caso precedente la somma degli intervalli lasciati fra la spranga e gli estremi del comparatore e misurati direttamente; si avrà: C = I + L —f- v — avi dove a è l’indicazione osservata del termometro metallico della spranga al momento della misura. Sostituendo ora il prototipo di misura, che, per fissar le idee, supporremo eguale prossimamente alla metà della spranga, e rappresentando con k la lunghezza del cilindro fissato al centro del comparatore (o del diametro della sfera Q7 Delle basì geodetiche. o * interposta fra i prototipi), analogamente l’osservazione ci darà: C=I t + P l +P t +k ove i valori di P i e P, indicano le lunghezze attuali del prototipo (o dei prototipi), ridotte cioè per la temperatura. Questa non può esser data, naturalmente, che da termometri a mercurio tenuti in intimo contatto col metallo del prototipo. In questa ricerca è dunque necessario che l’ambiente sia mantenuto a temperatura costante, ed è necessario altresì usare le più grandi precauzioni perchè il calore irraggiante dell’osservatore o dal sistema di illuminazione non influenzi il prototipo che si compara: questo è tenuto di solito in una cassa piena di liquido atermano, dallà quale non sporgono che le sue testate ; i termometri sono letti più volte durante l’operazione, e debbono rimanere stazionari lungo tempo prima e dopo di questa. In tal caso le due relazioni precedenti ci danno: L = /,— /+ P, -f 1\ + h . — x — a w (8) ove le quantità che compariscono nel secondo membro sono note dall’osservazione o da precedenti determinazioni. Naturalmente si ripete la misura di L molte volte; si vedrà nel Capitolo VII come da tale reiterazione possa trarsi un criterio della fiducia che si deve accordare al risultato ottenuto, e si possa anzi determinare il numero delle reiterazioni necessarie affinchè questa fiducia sia tanto grande quanto si vuole. Termineremo queste poche nozioni generali sulla comparazione delle spranghe geodetiche coll’accennare che, in questi ultimi tempi, si è introdotto l’uso dei microscopi micrometrici anche nei comparatori del genere ora descritto. Alle punte terminali del comparatore sono sostituiti in questo caso dei cilindretti orizzontali scorrevoli dentro scanalature, e terminati da punte o tagli normali ai loro assi. Al disopra dei cilindretti è fissata una graduazione che serve alla lettura fiuta per mezzo dei microscopi. Gli assi ottici di questi sono disposti verticali, ed è, allora, la distanza orizzontale compresa fra tali assi ottici che rappresenta la lunghezza fissa del comparatore, alla quale vengono comparate successivamente le due lunghezze, fra cui si cerca la differenza (spranga e prototipo). La forma delle estremità dei cilindretti è tale da poter portare un punto fisso di essi (per esempio, il centro di una callotta sferica) a contatto colle estremità delle lunghezze suddette : e la differenza di posizione Capitolo quarto , 138 dei cilindretti, portati a contatto successivamente con queste, letta sulle graduazioni per mezzo dei microscopi, permette di determinare fisicamente le quantità da introdursi nei calcoli indicati nei numeri precedenti. Le indicazioni dei termometri metallici vengono pure lette per mezzo dei microscopi micrometrici, e consistono nella distanza fra due punti o tratti, l’uno segnato in una, l’altro nell’ altra delle sbarre che sostituiscono il termometro. Per maggiori indicazioni su questo argomento affatto speciale è necessario scendere allo studio delle particolarità dei diversi apparati e comparatori in uso, che si trovano descritti nei molti lavori originali classici.* N. Un terzo sistema di tener conto della temperatura in ciascuna posizione di spranga è il sistema della compensazione delie spranghe, come già precedentemente è stato indicato. Le spranghe degli apparati compensati, conosciuti sotto il nome di apparati di Colby, sono sostanzialmente costituite da due sbarre aa t , bb l di metallo diverso, simili in tutto alle sbarre di un termometro metallico, senonchè le loro estremità che si corrispondono sono, da ciascuna parte, riunite da due vincoli robusti a he, a i b i c i come si vede nella fìg. 13. Hg. 1 La connessione fra le sbarre è fatta in a, a i , b, b i per mezzo di perni cilindrici accuratamente lavorati, intorno ai quali le spranghe potrebbero ruotare se i loro punti di mezzo ni, m non fossero invariabilmente connessi per mezzo di un terzo vincolo dello stesso metallo degli altri due, saldato fra le spranghe. Per fissare le idee, ed intendere come l’apparecchio funziona, supponiamo che la sbarra aa i * Bessel et Baeyer, Graduiessuug in Ostpreussm. — Struve, Are de Mèri- dien de 2j° 20 elitre le Danube et la mer Glaciale. St. Petersbourg, 1860 . — Jba- xez, Base centrale de la triangulation Géodesique d’Espagne. Expèriences faites uvee f appanni A mesurer les bases. Paris, 1860 . — Amdrae, Danske Gradmaaling, etc. Delle basi geodetiche. 139 sia di zinco e la b b di ferro, e riteniamo le notazioni adottate già pel caso dei termometri metallici : inoltre sia ab = a i b l = <), essendo <) una lunghezza variabile colla temperatura, in relazione colla natura del metallo dei vincoli : consideriamo infine, sui prolunga- menti delle linee ab, a,£q, due punti c, c' in modo che si abbia a c — a, c = A 4- 5. Il rapporto —t = /v sarà allora costante ri- i -p ò spetto alla temperatura. Alla temperatura t le linee abc, rq/qr, a\ranno due determinate direzioni, in modo che, prolungate, si incontreranno in 0, punto che, per costruzione, supponiamo più prossimo alla sbarra di ferro che non a quella di zinco. Se poniamo cc l — L, avremo dai triangoli simili b b, O , c c i O, a a 0 : h-L t A,_ V- Lt ’ dalla quale, ricordando i valori di /,, 3;, in funzione di l o , ~ o e dei relativi coefficienti di dilatazione a, ,3, si ricava : u 1—k. 1 —k ■4-t. L* — k xJ 1 — k. Se dunque si determinano i punti c, c ì per modo che il rapporto k soddisfaccia alla relazione (9) la distanza L = cc t rimarrà costante qualunque sia la temperatura t y quindi diverrà superflua l’osservazione della temperatura durante la misura della base. Per quanto semplice ed utile possa q prima giunta sembrare la compensazione di un apparato fatta con questi criteri, in pratica la ricerca dei punti c,c t , che possono dirsi punti neutri, presenta delle gravissimi difficoltà, tanto più che i coefficienti a, fi che entrano nella (9) non sono di solito conosciuti che con una certa approssimazione, mentre la quantità A che fissa sui vincoli i punti c, iq deve essere determinata! con molta precisione. In generale, si richiedono dunque delle esperienze molto delicate per ottenere questi punti con successive approssimazioni. D’altronde devesi porre ben mente che la compensazione suppone che le temperature interne delle due sbarre sieno costantemente eguali, e quindi presenta gli stessi inconvenienti dei termometri metallici. Ad ogni modo, per difendere le spranghe compensate dai repentini cambiamenti di tem- * 140 Capìtolo quarto. peritura, si richiedono quelle stesse precauzioni che abbiamo già accennate più sopra pél caso dei termometri metallici. 9 . Nelle formule dedotte nei primi numeri di questo Capitolo si è supposto che le spranghe (elementi orizzontali di una base) fossero stabilite perfettamente orizzontali in ciascuna loro successiva posizione: ma in pratica ciò richiederebbe un lavoro estremamente lungo e penoso; d’altronde ad impedire l’influenza della variazione di temperatura nei risultati finali si richiede,- coni’ è facile di comprendere, che la misura di ciascun tratto della base progredisca colla massima celerità : inoltre la configurazione della traccia obbliga il più delle volte a seguire delle pendenze notevoli, .mentre si richiede che le due estremità di due spranghe che si succedono sieno precisamente alla stessa altezza sul suolo. Diventa adunque necessario di lasciare le spranghe più o meno leggermente inclinate sull’orizzonte, calcolando poi separatamente l’influenza di questa inclinazione, che vien misurata per mezzo di una delicata livella annessa alla spranga. Di solito per tale livella si adotta la disposizione delineata nella fig. 14. Il tubo della livella L è fissato sul braccio metallico orizzontale A B, che, sotto l’azione della vite micrometrica V, può rotare intorno a un asse orizzontale A, invariabilmente collegato colla spranga, e perpendicolare alla direzione di questa. L’estremità inferiore della vite V è formata a guisa di punta arrotondata, e poggia su di un un piccolo piano di acciajo levigato orizzontale R, pure zinco collegato invariabilmente colla spranga. Il braccio AB porta un indice C che scorre lungo la graduazione m m, quando si gira la vite V: le frazioni di una divisione della graduazione sono lette per mezzo del tamburo V della vite, posto in corrispondenza all’ indice I. Il modo di determinare con questo sistema l’inclinazione della spranga è molto semplice: sia infatti 5 la lettura che si fa sull’indice C (e sul tamburo) quando, la bolla della livella segnando %ero Delle basi geodetiche. I 4 I sulla graduazione del tubo, le estremità della spranga sono su di ura linea orizzontale; sia inoltre x l’angolo che la linea che unisce i letti estremi fa coll’orizzonte in una posizione qualunque inclinata della spranga, ed infine sia s la nuova lettura dell’indice C, dcpo che, per mezzo della vite V, si è ricondotta la livella a ge.ro ; avremo allora, rappresentando con q il valore in arco di una divisione della graduazione m m : y. = q(s — S). (io) Resta a determinare la lettura S corrispondente alla posizione orizzontale della spranga. Per ottenerla supponiamo puntati sugli esiremi di una spranga, posta in una posizione qualunque, due cannocchiali collimatori M, N, quando l’inclinazione osservata della spranga è : *. = ?(*. — 5 )- Evidentemente intervenendo la posizione degli estremi nel piano verticale della spranga, in modo che ora l’estremo, prima collimato da M, venga ad esser collimato da N, i collimatori essendo tenuti immobili nella primitiva loro posizione, la nuova inclinazione ci sarà data da : = o giacché, tenendo conto della direzione della spranga, l’angolo x i non ha variato che pei segno : quindi otterremo S = s -^-L 2 00 L’esperimento, ripetuto un gran numero di volte per eliminare gli errori accidentali, ci dà S con tutta precisione. E necessario determinare questo valore più volte durante una misura di base, giacché, a causa del consumo della punta della vite V nel suo attrito col piano R, il valore di S non é perfettamente costante. In quanto al valore della costante q, esso si determina pure esperimentalmente nel seguente modo. Siano a , b gli estremi della spranga in una certa posizione, collimati con due teodoliti, dei quali gli assi di collimazione sian sensibilmente perpendicolari alla a b, ed uno sia a distanza nota (misurata) dall’estremo che collima. Nel piano verticale cui appartiene la ab facciasi adesso ruotare questa linea dando alla spranga una nuova inclinazione, in modo però che la posizione di uno degli estremi, per esempio a, rimanga la stessa; l’altro estremo sarà ora in b L . Per mezzo dell’angolo zenitale sot- I 4 2 Capitolo quarto. teso da bb t , rispetto al centro del teodolite che lo collimava e misurato sul cerchio zenitale di questo, e della distanza nota sopraddetta, si può calcolare con tutta precisione lo spostamento lineare J> 1’, — A, che può supporsi appartenente a una retta verticale. Se / t la lunghezza della spranga e a l’angolo di cui questa ha ruotato intorno al punto a, si avrà: A cr. o, con sufficiente approssimazione : ' / ’ D’altronde, se s 2 , s t sono le letture della graduazione della livella, fatte nelle due posizioni della spranga, si ha inoltre : . . K = (X — O? c quindi : 5 "n^) (I2) formula che ci permette di calcolare q in arco, come si conviene alla formula (io). Naturalmente il valore che si assume per q è la media di quelli dedotti da un gran numero di esperienze. 10. Gli elementi orizzontali elementari A b, dai quali abbiamo .supposto costituita una misura di base (n.° 2 ), non sono che le proiezioni ortogonali sul piano dell’orizzonte delle varie lunghezze 1 delle spranghe nelle loro successive posizioni, dacché evidentemente si possono, senza errore sensibile, supporre parallele le due verticali condotte per i due estremi di una spranga : si avrà dunque per una spranga inclinata dell’angolo a. sul piano dell’orizzonte: A b = l cos % 1 — A i = / ( 1 — cos a) = 2 / sen 2 . Sia per le considerazioni esposte già nei primi numeri, sia per le particolarità di costruzione di un apparato di base, i limiti fra cui può oscillare l’inclinazione delle spranghe sono in ogni caso molto ristretti, e quindi a è sempre un angolo molto piccolo: potremo quindi porre sen 2 *=-^-, e ricordando la (io): /— \b ifo-sy i = v A i = v/_.lv/( J _5y (n) Delie basi geodetiche. 143 ove nella lunghezza / s’intende compreso, oltre la lunghezza della spranga, anche il piccolo intervallo che si lascia fra essa e la successiva. La ( 13 ) ci dà pertanto la somma degli elementi orizzontali cercati ; la correzione negativa che si deve fare alla quantità 2 / per ottener questa somma, vien detta riduzione della base all’ orizzonte. È molto importante di studiare l’influenza degli errori commessi nel determinare esperimentalmente le costanti q ed 5, sul risultato finale della base. Siano A q, A S questi errori in modo che il vero valore della riduzione della base all’orizzonte sia rappresentato da ( q - 1 - A J 1— _' Fig. i 9 . mezzo di un nonio C fisso alla spranga, e s’intende per lunghezza normale della spranga quella compresa fra gli estremi MB quando il nonio segna %ero. L’estremo B della linguetta è un taglio orizzontale ad arco di cerchio col centro in M, e si porta a contatto colla spranga successiva D, leggendo allora l’indicazione del nonio che dà direttamente l’intervallo cercato. Un analogo sistema si adotta pel termometro metallico se l’apparato ne è fornito. 12. Il sistema dei contatti, adottato fin qui quasi esclusiva- mente, presenta un grave inconveniente, giacché obbliga l’osservatore a toccare più o meno le spranghe, quando sono nella loro posizione di misura. Oggidì sembra molto preferibile il sistema ottico. Già da lungo tempo il Porro costruì apparati in cui i contatti erano interamente aboliti. In seguito gli Spagnuoli condussero a compimento il progetto del Porro, completando il suo disegno: i risultati della base di Madrilejos, misurata col nuovo apparato a microscopi, e le lunghe esperienze fatte con questo, formano l’oggetto di due grossi volumi a cui rimanderemo il lettore per più ampie notizie. * Infine la commissione internazionale per la misura * Experiences faites avec V appareiì à mestirer les bases. Paris, 1860. r 149 Delle basi geodetiche. dei gradi in Europa ha ora ordinato la costruzione di un nuovo apparato completo con molte modificazioni importanti: noi dobbiamo limitarci ad esporre per sommi capi il principio su cui si fonda. Consideriamo un seguito di microscopi micrometrici sorretti da treppiedi a viti calanti, e con una disposizione atta a poterne stabilire verticali gli assi (come è un collimatore a mercurio, od un sistema di due delicate livelle orizzontali), e supponiamo questi assi verticali condotti ad essere nel piano normale della base col sistema -comune di allineamento delle spranghe (vedasi in seguito per l’allineamento di una base) : supponiamo inoltre che la distanza orizzontale fra due microscopi successivi sia pressoché eguale all 5 unica spranga di misura formata di due sbarre di diverso metallo, sostenute in modo da evitar le flessioni, ma completamente indipendenti -e libere di dilatarsi : le estremità della spranga debbono essere finamente graduate alla faccia superiore, e i valori delle divisioni e della distanza fra gli gerì delle graduazioni determinate in precedenza, la campionatura essendo fatta nel modo già descritto per il caso di verghe a tratti. Sieno i, 2, 3, ecc., le posizioni degli assi •ottici dei microscopi micrometrici; evidentemente la distanza orizzontale fra gli assi 1, 2 può esser determinata portando sotto -questi microscopi la spranga di misura e collimando con essi le divisioni della spranga che capitano nel campo. La differenza delle letture fatte sulle due sbarre di diverso metallo di cui la spranga si compone serviranno a dare l’indicazione del termometro metallico. Se il terreno è inclinato, basterà, per seguire l’andamento di esso, disporre i microscopi ad un’ altezza costante sul terreno : la spranga ■essendo portata sempre alla identica distanza (punto di netta visione) dai loro obbiettivi, e l’inclinazione della spranga essendo determinata nel modo già precedentemente descritto. Cosi, successivamente portando la spranga sotto ciascuna coppia di microscopi, è facile intendere come si determinano i valori dei successivi elementi orizzontali della base. 13. La misura di una base geodetica richiede dei lunghi preparativi e delle grandi precauzioni che qui non è il caso di descrivere : la stabilità richiesta in ciascuna posizione delle spranghe, e la piccola pendenza che i sostegni consentono di dar loro obbligano a tracciare come una strada ben battuta, di pendenza uniforme e piccola, lungo la traccia della base: gli estremi sono fissati in mezzo a salde opere in muratura, che si affondano nel terreno, e, per lo più, sono indicati da piastre metalliche dorate : al disopra di 1)0 Capitolo quarto. queste s’innalza un piccolo cono, la cui punta individua un estremo : i tratti in cui è utile suddividere la base, in modo che ciascuno rappresenti la misura di una giornata, sono caratterizzati pure da piastre metalliche murate nel terreno e precisamente dall’incrocio di due linee tracciate su di queste. Ogni tratto forma una piccola base speciale, e può servire di verifica agli altri se viene con essi collegato da una triangolazione. Giacché questi punti terminali sono al livello del terreno, mentre le spranghe sono mantenute alte sopra di esso, dobbiamo vedere come il primo estremo della prima spranga nella misura possa porsi esattamente sulla verticale del punto di partenza, e come l’ultimo estremo dell’ultima spranga possa proiettarsi verticalmente sul suolo, per modo da poterne misurare la sua distanza orizzontale dal punto fisso terminale della misura. D’altronde questa proiezione può esser vantaggiosa anche nel caso che, durante una giornata di lavoro, per qualche causa imprevista, debba interrompersi la misura, essendo sufficiente in questo caso di stabilire nel terreno (cementandolo con gesso a rapida presa e difendendolo dalle intemperie e dal sole) un masso di pietra al disotto dell’ ultimo estremo dell’ultima spranga posta nell’allineamento, e quindi, scolato del piombo liquido sulla superficie superiore della pietra, projettare su di esso, quando è solidificato, il detto estremo. Anticamente si faceva uso di un delicato piombino, verificato accuratamente con un teodolite e sospeso a una fine menugia di cui il raggio veniva determinato in precedenza, ma oggidì questo metodo è abbandonato come troppo grossolano. Si può con vantaggio fare uso del teodolite messo a una distanza accuratamente determinata, su di una linea condotta per l’estremo della spranga da projettare o per il punto terminale della base o del suo tratto, perpendicolarmente alla direzione della traccia. In tal caso misurando col teodolite l’angolo azimutale sotteso fra l’estremo della spranga e il punto a terra (estremità segnata del lavoro, sia su di una delle piastrine terminali, sia sul piombo colato di cui sopra abbiamo fatto menzione) si può inferire, risolvendo un triangolo rettangolo, la distanza orizzontale cercata fra i detti punti collimati: se si vuole semplicemente projettare l’estremo della spranga sul terreno, o viceversa porre tale estremo sulla verticale di un punto a terra, la misura dell’ angolo e della distanza del teodolite diventa inutile, essendo sufficiente che i due punti corrispondenti si trovino sullo stesso piano di collimazione del teodolite, quando questo è immo-, bile in azimut. Delle basi geodetiche. I5 1 In Italia, dietro proposta del cav. Maggia, per la projezione di un punto a terra si è adottato uno speciale istrumento cui è stato dato il nome di istrumento di appiombo: l’annessa figura lo rappresenta : esso consiste essenzialmente in un cannocchiale A B fig. 20, che può collimare a brevi distanze (da o m ,30 a i m ,50 circa) e che si dispone col suo asse ottico verticale, per mezzo di un collimatore a mercurio, agendo sulle viti calanti di un solido treppiede in ferro T. Nell’interno del cannocchiale vi ha una lente analattica S che può scorrere dentro il tubo parallelamente a sè stessa, e il movimento vien fatto per mezzo della cremagliera (.scaletta ) O: in tal A Fig. 20. modo possono venir condotti a perfetta visione tutti i punti dell’asse di collimazione compresi dentro certi limiti senza cangiar la distanza fra l’obbiettivo e 1 ’ oculare, e senza alterare sensibilmente la direzione di quest’asse. Ai fili fissi del cannocchiale è molto conveniente aggiungere un filo mobile nella cassetta micrometrica M: naturalmente dovendo l’asse dell’istrumento esser disposto verticale con un collimatore a mercurio, i fili debbono essere illuminati dal- l’alto in basso con uno qualunque dei mezzi ben noti. Col filo mobile si ottiene subito la posizione dell’asse verticale dell’istrumento bisecando la distanza fra un filo fisso e la sua immagine riflessa dal collimatore. Al sistema ottico è poi connessa rigidamente 152 Capitolo quarto. la riga R che ha una sezione triangolare, e porta una graduazione che si legge per mezzo del nonio N connesso col treppiede. Una livella di precisione L t riposa sulla faccia superiore orizzontale della riga, e questa può scivolare nei V dei sostegni K, K su cui riposa, i piccoli movimenti venendo dati per mezzo di una vite micrometrica V 1 . Allorché si produce lo scorrimento, l’asse ottico del cannocchiale si muove in connessione col sistema nel piano dell’antica sua posizione e dell’asse della riga; il contrappeso C scorrevole lungo l’asta H, che è un prolungamento della riga, può esser fissato colla vite V, in modo da rendere l’equilibrio primitivo al sistema rispetto ai V di sostegno, e la livella L t indica la posizione che deve esser data al contrappeso stesso. La livella L n , posta perpendicolarmente alla prima, serve ad indicare la posizione relativa dell’asse di collimazione nel piano perpendicolare a quello de! suo movimento suindicato. Tutta la parte superiore dell’istrumento può essere trasportata lateralmente rispetto alla riga per mezzo di una vite V 2 che fa scorrere il piano di appoggio PP in una scanalatura orizzontale. Inoltre tutto il sistema della riga e del cannocchiale è mobile in azimut intorno all’asse della colonna del treppiede T, per mezzo della manovella V . Il modo di adoperare l’istrumento di appiombo è molto semplice. Supponendo che si voglia proiettare un punto a terra, si dispone P istrumento colla riga nella direzione della traccia, ed, agendo sulle viti che regolano i vari movimenti, si dispone il cannocchiale in modo da poter collimare il punto da proiettare : indi si rende l’asse di collimazione verticale col collimatore a mercurio. Ristabilita poi la collimazione sul punto suddetto, per mezzo della vite O si conduce il terreno a perfetta visione, e il punto collimato di questo è la projezione cercata: il micrometro filare può dare direttamente la distanza fra la projezione fatta e un punto vicino segnato in precedenza lungo la traccia della base, quando si misuri contemporaneamente la distanza fra il reticolo dei fili del cannocchiale e ' questo punto. Per mezzo della riga R si può poi ottenere la distanza orizzontale (nella direzione della base) fra il punto a terra e un punto che ne disti di una certa quantità dipendente dalla lunghezza della riga: e ciò porta un grande vantaggio, giacché permette di stabilire prima solidamente gli estremi del lavoro di" ciascuna giornata in opere murarie fatte nel terreno. Basta infatti far scorrere la riga Delle basi geodetiche. 15 S fino a collimare l’estremo o punto considerato dopo aver puntato col cannocchiale il punto da projettare, ristabilendo per mezzo del contrappeso C l’equilibrio del sistema, in modo che la livella L, dia la primitiva lettura, e leggendo le indicazioni del nonio N nelle due posizioni del cannocchiale. La determinazione della distanza si fa comodamente colla precisione di o ram ,02. La projezione del punto a terra presenta una singolare importanza nella misura di una base, giacche deve essere ripetuta sia al termine di ogni giornata di misura, sia ogni volta che questa viene momentaneamente sospesa. Molti altri sistemi sono stati ideati per poter fare questa projezione con tutta sicurezza: i due che abbiamo citati sembrano però essere i migliori. 14 , Ci rimane a dare un breve cenno sul sistema di fissare la traccia di una base, e di disporre lungo di questa le spranghe, o, come si dice, di allinearle. Un tale allineamento richiede delle grandi cure, giacché qualunque errore in esso influisce sempre nel medesimo senso sulla somma degli elementi orizzontali di cui la base si suppone composta, tende cioè a farla apparire più lunga, mentre, per ciascuna spranga, è dello stesso ordine della riduzione della spranga all’ origgonte, e non vi ha qui, per certo, possibilità di applicare alla spranga un apparecchio indicatore della deviazione azimutale, sensibile quanto è una livella di precisione per le inclinazioni. Il tracciamento della linea da misurare sul terreno dovrebbe esser fatto, come è stato indicato, da uno degli estremi per mezzo di un cannocchiale di grande portata, descrivente un piano verticale (teodolite, universale, eccd) e disposto in modo che questo piano contenga l’altro estremo. Quantunque sia possibile di stabilire l’istru- mento a una notevole altezza sul suolo, col centro sulla verticale dell’estremo, i noti fenomeni di oscillazione e rifrazione irregolare che si producono presso il suolo a causa del calore irraggiato da questo e che perturbano una traiettoria luminosa radente (vedasi il Capitolo VI), l’incertezza di collimazione per punti notevolmente •distanti, ecc., rendono necessario di ricorrere. ad altro sistema. Un metodo molto conveniente è di fissare anzitutto il punto di mezzo della base, facendo stazione in un punto prossimo, e misurando accuratamente (di notte, se l’oscillazione è forte anche al mattino e alla sera e le visuali traversano delle ombre projettate) l’angolo azimutale fra gli estremi con un teodolite di precisione, od un istru- mento universale, e calcolando quindi la distanza del punto di stazione dalla linea cercata colla risoluzione di un triangolo geodetico i)'4 Capitolo quarto. (Vedi Capitolo V). Stabilito in tal guisa il punto di mezzo, si può ripetere la suddivisione in quarti e successivamente in ottavi, ecc., fino a che due punti successivivi non siano sufficientemente prossimi da potere, con tutta precisione, contrassegnare con picchetti e punte su di essi la traccia della base. Quei punti principali di stazione servono intanto durante la misura a stabilire dei teodoliti, che collimano successivamente il punto precedente e la testata più prossima della spranga che si deve allineare, e che si dispone convenientemente in modo che una linea ben definita e segnata sulla testata stessa venga a trovarsi nel piano verticale di collimazione del teodolite. L’altra estremità della spranga viene regolata sulla posizione dell’ estremità della spranga precedente. Lo stesso metodo di allineamento si adotta per i microscopi quando si tratta, di un apparato a tratti. Un altro sistema di allineare le spranghe o i microscopi si ha munendo le une o gli altri di un cannocchiale allineatore che ruota, come quello del teodolite, in un piano verticale, potendo esser aggiustato per mezzo di viti calanti e di livella in posizione conveniente. Pel caso delle spranghe esso è fissato sull’ estremità della spranga la più lontana dall’estremo della base (o punto intermedio della traccia) verso cui procede la misura, ed è disposto in modo che il suo piano di collimazione contiene l’altra estremità della spranga che è quella da allineare: si dispone allora la spranga in modo che il cannocchiale collimi il punto della traccia o l’estremo della base suddetta. Pel caso dei microscopi il cannocchiale collimatore di ciascuno serve ad allineare, con metodo analogo ai già detti, il microscopio successivo. In questo sistema il cannocchiale collimatore dovendo puntare successivamente dei punti a distanze diverse, è necessario che sia provveduto di lente analattica , in modo che l’asse ottico resti sensibilmente invariabile quando si cangia la distanza del punto di chiara visione. Questo cenno sul sistema di allineamento delle spranghe e di tracciamento della base ci mostra che tali sistemi si fondano sul-' l’ipotesi che le verticali di tutti i punti della traccia sieno contenute sensibilmente nello stesso piano : quantunque le considerazioni esposte nei Capitoli II e III giustifichino in parte una tale supposizione, è importante di indagare più prossimamente l’ordine dell’ errore che in realtà ne consegue nella base misurata. 15. Siano A, B due punti-di una superficie, fig. 21, fra i quali possono condursi le due sezioni A KB, AHB normali rispettiva- Delle basi geodetiche. l 55 mente in A,B e consideriamo un punto C intermedio fra A, B e tale che uno dei suoi piani normali contenga a un tempo i due punti A, B; il luogo geometrico dei punti C così definiti è una curva A LB, che diviene tangente a ciascuna delle due sezioni normali H Fig. 21. sopra indicate, rispettivamente nei punti A, B. Questa curva prende il nome di curva d’allineamento. Ci proporremo qui di trovare l’ordine della differenza fra l’arco o = ALB e l’arco di geodetica s = A M B che ha gli stessi estremi di <7, e che può esser considerato come una base. Le equazioni della normale in un punto qualunque x, y, ^ di una superficie sono : X—x+p(Z—ì) = o Y —y J rq{Z—g) = o ove X, Y, Z rappresentano le coordinate correnti di questa retta, p,q le derivate parziali di % rispetto ad x, y tolte dall’equazione della superficie. Un piano normale in x, y, è quindi rappresentato dall’ equazione : x — * + P (Z— 0 + [ Y—y + q (Z— 0 ] = o (14) ove 1 è un coefficiente angolare dipendente dalla direzione del piano ; assoggettando questo alla condizione di passare per il punto A (x 0 , y o , ^ o ) si otterrà per il corrispondente valore di À : > = __ ? e se nell’equazione (15) si considerano le x, y, ^ come coordinate 156 Capitolo quarto. correnti di una curva della superficie, questa curva sarà di allineamento. Sia ora a l’arco di questa curva, arco che sceglieremo come variabile indipendente, per modo che le coordinate x, y, £ saranno funzioni di esso : inoltre scegliamo gli assi, rimasti arbitrari, in modo che, l’origine essendo in A (x o ,y a , % 0 ) e l’asse delle % diretto secondo la normale alla superficie, gli assi delle x e delle y siano compresi nei piani principali di curvatura (sezioni normali principali in A). La (15) diverrà: x J — *yi+ 9K x —P\y l +PKJ — 9\ l x = 0 ( l6 ) e si avrà in generale, sviluppando col teorema di Maclaurin le funzioni di J i + ecc. ecc. ove l’indice delle derivate rinchiuse fra le parentesi indica che queste devono esser prese per il valore speciale o = 0. Fra le derivate successive di x, y, 5; rispetto a a esistono le condizioni seguenti : d x lo ( r 7) e, per essere la curva considerata, descritta sulla superficie: d ^ d n d x , dy d 2 7 (d , dx dy T7 = r \7^) +2s r. 7R di' ^ ove r, s, t sono al solito le seconde derivate parziali di 5; rispetto ad x, y, tolte dall’ equazione della superficie. Delle basi geodetiche. 157 l Derivando la equazione della curva di allineamento rispetto a a, ricordando che nel punto A(x 0 , y 0 ., % 0 ) per la scelta fatta degli assi si ha contemporaneamente p 0 = q o = s 0 = o, e rappresentando con a l’angolo che la tangente alla curva in A fa coll’ asse della x (azimut) si ricava: (M cos a tane a che mostra, come ci era noto, che l’angolo a è l’azimut della sezione normale in A che va in B, e che in A questa sezione normale è -tangente alla curva di allineamento 3 v ^ uu Derivando poi due volte rispetto a n l’equazione (16) e ricordando che per r 0 = » K == JjT ( ove -^1 » R 2 rappresentano al solito i raggi di curvatura principali nel punto A ), si trova: (d*y\ (d 1 x\ 2 \i cos a sen a mentre la seconda delle (17) dà: cos a (w) + sen “ = 0. Dalle due relazioni precedenti, risolute rispetto a si ricava : / d 2 x\ 2 ^ cos a sen 2 a ( R 2 — R ,) \d -AJ o R 2 (y t sen a + x i cos a ) e quindi, se ora supponiamo che c sia l’arco di curva A L B, il valore di x i ci sarà dato da : x = c, cosa — ^ cos a sen 2 a (R t — RJ 1 R.R^y^ena-fx^cosa) cD (d 1 x\ 1 - 2 3 c 3 /o -fece. (19) Per determinare in (unzione di quantità geometricamente rappresentabili sarebbe necessario caratterizzare l’equazione della superficie. Ma per il caso nostro non è necessaria una tale caratterizzazione. 158 Capitolo quarto. Sia infatti s l’arco di geodetica che ha gli stessi estremi di a ed a l’azimut di questa geodetica in A (angolo fra la linea e la sezione normale il cui raggio di curvatura è ) ; ci è noto (Capitolo III, serie di Weingarten) che: x, = s cos oc r’ cos a 6 R t R * ' '• s 2 sen 2 a (R z — R^ 12 R a R , ir + ••• ed, in conseguenza di queste, l’equazione (19), sostituendovi nel i.° termine del 2° membro ad a il suo valore in funzione di oc ed s, ci darà dopo facili trasformazioni: , sen 2 a (R L — Rj R t R 2 ()\ sen a -f x t cos a ) 6 R t R„. 1.2.1. cos a \ s 2 sen a sen 2 a (f?,— R z ~) , 12 R t R. cos a ~ l_ (20) ecc. rsi come Ora se la superficie che si considera fosse una sfera, gli archi e ed s si confonderebbero evidentemente insieme e coll’ arco di cerchio massimo condotto fra i loro estremi, ne risulta che quando la superficie è poco differente da una sfera (come pel caso del Geoide) la differenza fra le derivate j è da considerarsi di un ordine inferiore a queste medesime quantità: e poiché si ha l(R x\ 1 = — R R Capitolo III, serie di Weingarten), coll’approssimazione del 3. 0 ordine inclusivo, potremo dare alla precedente espressione di c — r la forma : _ o 2 ^ sen 2 a(R i —RJ ^ / tang a sen 2 a(R i — RP) R I R 2 (y I sena cosa) 12 RR, R a + ecc. Ma sappiamo che sul Geoide la differenza fra un arco limitato di sezione normale, e l’arco corrispondente di geodetica è affatto trascurabile, e che inoltre l’arco di sezione normale ha sensibilmente la stessa lunghezza dell’arco di cerchio osculatore ad uno dei suoi estremi: è facile quindi vedere che ponendo: r — x t cos a =-y\ sen a i Delle basi geodetiche. 1 59 il valore di dato sensibilmente da: ^ == r tang s giacché —p- è l’angolo che la corda dell’ arco r di sezione normale 2 A rt in A fa colla tangente in A a questa curva: sviluppando in serie la tangente, sostituendo nella (20), e ritenendo i soli termini di terzo ordine, avremo : _ rDsserda(R—R 2 ) c, 5 2 tang a sen 2 a (R — R 2 ) ( , " -2 RRX -" ~i2 RX'R* -+ ecc '( 2 i) La differenza fra q ed 1 è dunque almeno dell’ ordine di ^ ^ , quantità affatto trascurabile per i valori che prende s nelle basi geodetiche ; si può in conseguenza senza errore sensibile far la misura della base lungo la curva di allineamento, anziché lungo la geodetica s ■ o il corrispondente arco di sezione normale. E facile vedere che questa conclusione giustifica pienamente il modo di tracciamento e di allineamento della base quale l’abbiamo descritto nel numero precedente. 16 . Termineremo questo Capitolo col dir poche parole sulla lunghezza più conveniente da dare a una base da misurarsi, almeno in relazione col numero delle volte che s’intende di misurarla. Vedremo nel Capitolo VII che se 111 é V errore probabile di una misura b fatta una volta sola, 1 ’ errore probabile della media di n os- servazioni' fatte per b è dato da . Sia ora, in generale: \Jn B- b = KÀ~ b 2 + £;+ •■•K e supponiamo di misurare direttamente una volta le diverse parti, b l2 b 2 ... di B coll’errore probabile m in ciascuna; nel Capitolo VII si dimostrerà pure che l’errore probabile M di B é dato in questo caso da: M=m\] 11. Ne consegue che l’errore probabile dell’unità di lunghezza nel primo e nel secondo caso in cui si misura solo una lunghezza b è -~z b'Jn m V n ~~B~' m b . V n e quindi a una base B misurata una sola volta si i6o Capitolo quarto. deve dare la stessa importanza e fiducia come a una base più corta b = — proveniente dalla media di n misure che se ne siano fatte. Però si è fatto astrazione dallo sviluppo che la base successivamente deve prendere, del quale sarà parlato a suo luogo. Qui dobbiamo contentarci di dire che, tenendo conto dello scopo a cui serve una misura di base, è conveniente di dare ad essa la massima lunghezza compatibile colla natura del terreno, e più conveniente ancora di scinderla in diverse basi misurate in diversi luoghi un piccolo numero di volte. Si deve tener presente che è, in ogni caso, necessario di misurare una base o i diversi suoi tratti almeno due volte e in senso diverso, sia per porre in evidenza certi errori sistematici, quali sono quelli di cui abbiamo parlato al n.° 9, sia per esser sicuri che nessun errore anormale e grossolano è capitato durante la misura, sia infine per avere il modo di calcolarne la fiducia matematica. In conseguenza oggidì si preferisce di misurare molte basi di lunghezza relativamente piccola (per solito da 3 a 4 chilometri) distribuite equabilmente nella regione in cui si estendono i lavori geodetici, misurandole solo due volte in due sensi opposti. CAPITOLO V. DELLA TRIANGOLAZIONE. 1 . I procedimenti descritti nel Capitolo IV per la misura diretta di un arco di geodetica sono applicabili soltanto in località eccezionali e quando 1’ arco ò assai corto ; ma nello studio sia della forma generale o parziale del Geoide, sia delle posizioni relative dei punti che su di questo corrispondono a determinati luoghi terrestri, col crescere del numero e delle lunghezze delle geodetiche da misurare e delle difficoltà inerenti alla conformazione della superficie terrestre diviene sempre più necessario di ricorrere ad un altro sistema più semplice di misura, che fu proposto per la prima volta da Snellìus nel 1615, e divenne in seguito il fondarnento di tutti i grandi lavori geodetici. Questo sistema è la triangolazione. Data sul Geoide la lunghezza di una geodetica A B (base), i cui estremi corrispondono a due punti della superficie terrestre visibili l’uno dall’altro, se si considera un terzo punto C del Geoide, corrispondente ad un altro punto terrestre visibile dai primi, e si suppone C collegato con A, B per mezzo di due geodetiche C A, C B, si ha un triangolo geodetico, e il punto C del Geoide resta perfettamente determinato, astrazione fatta dall’orientamento, quando di questo triangolo siano dati due elementi qualunque oltre la base: per esempio due dei suoi angoli. Vedremo in seguito come questi angoli sferoidici fra geodetiche del Geoide possono esser misurati; noteremo solo per ora che, per questa misura essendo necessario che i punti terrestri corrispondenti ai tre vertici del triangolo siano visibili l’uno dall’altro, le distanze mutue fra essi, ossia i lati del triangolo, non possono assumere che valori limitati e tali che in Pccci, Geodesia. IÙ2 Capitolo quinto. ogni caso i criteri esposti nel Capitolo III sulla riduzione dei triangoli sferoidici ai triangoli sferici che hanno gli stessi elementi lineari divengono qui applicabili. La piccolezza dei lati, che costituisce il carattere principale di un triangolo sferico corrispondente a un triangolo sferoidico dato, rende assai laboriosa la sua risoluzione per mezzo delle comuni formule di trigonometria sferica, almeno quando si richiede molta ■ esattezza nei risultati : d’ altronde, nei calcoli geodetici, i lati si suppongono espressi in lunghezza, ed è conveniente di adottare, nella risoluzione, delle formule che non richiedano continui passaggi fra archi ed angoli. Snellius calcolò i suoi triangoli geodetici come piani, ma i lati ne erano estremamente corti : quando, in seguito, l’introduzione dei cannocchiali nelle misure goniometriche e l’aumentata precisione degli istrumenti permisero di formare dei triangoli geodetici molto più grandi, i Geometri indicarono altri metodi di calcolo semplici quanto precisi. I principali sono quelli di Delambre e di Legendre, almeno per i problemi di alta Geodesia : oggidì è soltanto l’ultimo di questi che viene adottato, ma tuttavia esporremo brevemente anche il primo, giacché conduce ad alcune formule che hanno altre notevoli applicazioni. 2 . Suppongasi osservato un angolo B A C — a (fig. 22) fra le visuali che da un punto terrestre A vanno a due altri punti B, C, e che si voglia ridurre quest’angolo all’angolo diedro a, formato nel primo punto dai piani verticali in esso, condotti per i punti osservati. Tale riduzione è conosciuta sotto il nome di riduzione di un angolo all’ orizzonte. Sia Z lo Zenit del punto A e quindi A Z la sua verticale ; i piani verticali ZAB, ZAC taglieranno il piano dell’ orizzonte (vero) di A secondo le rette AM, A N, per modo che l’angolo MAN misurerà l’angolo diedro cercato, corrispondente all’angolo obliquo BAC. A vero dire le visuali BA, A C non sono che le tangenti in A alle traiettorie luminose che vanno dai punti osservati all’ osservatore, per modo che i Fig. 22 . Della triangolazione. 163 punti B, C segnati in figura sono le posizioni apparenti dei punti osservati anziché le vere: ma le trajettorie suddette essendo sensibilmente piane (vedasi la teoria della refrazione nel Capitolo seguente) e contenute rispettivamente nei piani normali PAB, P A C, le vere posizioni dei punti osservati appartengono a questi piani, e l’angolo M A N è in realtà l’angolo azimutale in A fra B, C, lo che giustifica pienamente quanto siamo per esporre. Steno 7j i = B A M, h 2 = C A N le altezze angolari apparenti (complementi delle distanze zenitali ) dei punti B, C sull’orizzonte di A, altezze che supporremo date dall’osservazione (Vedasi il Capitolo seguente per la loro misura) ; se col centro in A si descrive una sfera coll’ unità per raggio, le direzioni A Z, AB, A C determinano su di essa il triangolo sferico PB l C l , in cui quattro degli elementi sono dati da : B,C = x, P,PC = a, PB =90-!,', PC= 9 o°-h z e fra essi vi ha la relazione: cos a — sen h, sen h. cos «. - ■ cos h, cos h X 2 da cui, ponendo s = —Ì—lÌ —l a s i ricava, come è noto : (0 sen cq _ sen (r — h 2 ) sen (s — h ,) cos h, cos h . cos (r — h '— A 2 ) cos s cos h. cos h. (2) e da queste formule si potrebbe calcolare oq in funzione dei dati di osservazione. Per altro in Geodesia h 0 h 2 sono sempre angoli molto piccoli, e la differenza fra oq ed « non è, in generale, che di pochi secondi; è quindi conveniente avere una formula che dia tale differenza direttamente. Sviluppando in serie le funzioni trigonometriche di h z , h 2 ed arrestando l’approssimazione alle quantità di secondo ordine in- clusivamente, la (1) diviene: cos a — h. h. cos oq 164 Capitolo quinto. da cui si deduce senza difficoltà, sempre colla stessa approssimazione : cos a. (cos x — h l /;,) I 1 K + K — cos x — h l h 2 -\- cos X + K Ponendo x = x -j- x, e notando che x è una quantità dell’ ordine di h 2 , h 2 , potremo prendere : cos x — cos x — x sen x , che, paragonata colla precedente espressione di cosa,, ci dà: x = 2 & A—(V-*-V) cosg 2 sen x da cui, se si ricorda che: 2 x 2 x cos x — cos -sen — 2 2 2 a j x 1 = cos —P sen — 2 2 a x sen x. = 2 sen — cos — 2 2 si deduce : x = , K (cos-1 + sen-1) - (Ir + V) ‘ f ) od anche: x x 4 sen — cos — 1 ^ •-> (*,+ «ng — /h) 2 cot g j X = - ( 3 ) In questa relazione si suppongono v, /;,, h 2 espressi in arco, mentre la misura dà /;,, h 2 in angolo, e si vuole x espresso in secondi. Chiamando hp, h 2 ", x' il numero dei secondi contenuti rispettivamente in tali quantità, si avrà /;,= h"sen 1", h 2 —h 2 sen 1", x" = —-—- e quindi : sen r ' 1 sen 1 (/;,"+ hpj tang ^ — h 2 ") 2 cotg jJ ( 4 ) Della triangolazione. 165 3 . La formula (4) serve altresì a passare dall’angolo azimutale (orizzontale) cq all’ altro angolo a che gli corrisponde in un piano qualunque caratterizzato dalle due altezze angolari h l , h 2 che sono date dalle intersezioni di questo piano coi piani verticali in A, condotti per i punti osservati. Infatti per la correzione da farsi all’ angolo dato cq per ridurlo ad a avremo : y'' sen 1" 4 jW'+Wtani h 2 ’y c ot e, poiché x, y sono quantità molto piccole, è chiaro che nel secondo membro si potrà porre in luogo di oq —x il molto prossimo suo valore oq senza alterare sensibilmente il valore di y". Si giunge del resto con maggior rigore alla stessa conclusione sviluppando il secondo membro in una serie ordinata secondo le potenze ascendenti di x, ed osservando che il secondo termine della serie è dell’ordine delle quantità delle quali non è stato tenuto conto nella (4), e quindi si deve porre : y" = \iK- K ") 2 cotg - (/;,"+ h;y tang Jj (5) In generale le formule (4), (5) risolvono poi il problema di ridurre un angolo osservato in piano BAC a quello che gli corrisponde in un altro piano dato MAN, qualunque questo sia la corrispondenza intesa nel senso che questi angoli sono rispettivamente dati in ciascuno dei due piani dalle relative intersezioni di questi coi piani verticali ZAB, ZAC; infatti è sufficiente, per tale riduzione, di ridurre prima l’angolo dato all’orizzonte, e quindi questo all’ angolo obliquo cercato. Se i punti osservati (0 almeno uno di essi) sono depressi rispetto all’orizzonte, anziché innalzati, le relative altezze angolari si cangiano in depressioni e i valori di h corrispondenti sono negativi, come si vede subito notando che la distanza zenitale ( diviene in questo caso (90° -)- h ). Se si vogliono delle formule in cui non si abbia bisogno di porre mente ai segni di questa quantità basta introdurre nelle precedenti espressioni le distanze zenitali ( in luogo delle altezze angolari h. Si ottiene per tal modo: sen 1 (180 0 — ‘C - X,y tang J — ('( — Ky cotg^ 4 SG11 l" ( v ot „ _ v v N , (/. / \ —j— {('— o cot g7-( i8 ° o -c-y tan g‘ijj .( 6 ) 166 Capitolo quinto. Del resto la considerazione dei segni delle altezze è superflua quando ambedue i punti osservati si trovano dalla stessa parte rispetto al piano dell’orizzonte. 4 . Premesse queste formule, che del resto sono di un uso generale quando si adottano nelle misure goniometriche certe classi speciali di istrumenti (sestante, cerchio ripetitore di Borda, cerchio a riflessione di Amici, ecc.),* torniamo alla risoluzione di un triangolo geodetico, e supponiamo condotte le corde fra i suoi vertici ; il triangolo piano che ne risulta prende il nome di triangolo delle corde: i suoi elementi hanno delle relazioni molto facili a esser determinate cogli elementi corrispondenti del triangolo geodetico, e per mezzo di esse si può ricondurre la risoluzione di questo alla risoluzione del primo. Infatti sia R = ^ p N il raggio della sfera su cui il triangolo geodetico si può supporre tracciato (Capitolo III), A,B, C i suoi angoli sferoidici,lati respettivamente opposti, espressi K K K in arco; e rappresentiamo con A t , B,, C t , a,, b l , c l ,i corrispondenti elementi del triangolo delle corde. È facile vedere che si ha: a a j?- =2sen ^ìc da cui, osservando che è per ipotesi assai piccolo e sviluppando quindi in serie il seno, si deduce : a — a, — - a’ a ’ 24 R 2 1920 . i? + e della serie che costituisce il secondo membro è in pratica sufficiente di ritenere il solo primo termine. Generalizzando avremo le tre relazioni seguenti: a — a. b — b.= 24 p N V 24 p A r ( 7 ) • c. = 24 p N dove p, N sono i raggi principali di curvatura nel centro del trian- . * Devesi notare che anche in alta Geodesia, quantunque gli angoli di una triangolazione siano oggidì misurati sempre con teodoliti od istrumenti universali che danno direttamente gli angoli azimutali, l’uso del sestante o di cerchi a riflessione è pressoché generale, per certe operazioni speciali. Della triangolazione. 167 golo geodetico* e che servono a passare dalle lunghezze a, b, c dei lati geodetici alle lunghezze delle corde corrispondenti. Cogli stessi criteri esposti nella riduzione degli angoli all’orizzonte (n. 1 2 e 3) si vede che le relazioni, reciproche delle (7), che debbono adottarsi per passare dalle corde ai lati geodetici sono :: 24 p N _A L 24 p N ( 8 ) ‘ 24 p N 1 L’angolo sferoidico in A è formato dalle due tangenti AT 1} AT z in A agli archi AB, A C (fig. 23), e queste tangenti appartengono al piano dell’ orizzonte di A : gli angoli CAT 2 ,BAT l non sono dunque che le depressioni angolari dei punti C, B sul- l’orizzonte di A, e, se si osserva che gli archi A C, AB sono da considerarsi, per ipotesi, come archi di cerchio massimo della sfera di raggio R=\JpN, e quindi le depressioni suddette sono date da c b —7;, —è facile vedere che la differenza cercata fra gii angoli 2R’ 2Ì?’ & 6 corrispondenti A, A' si ottiene applicando le formule di riduzione degli angoli da un piano in un altro, già dedotte nel numero precedente, colla sola avvertenza che in questo caso le depressioni sono espresse in arco, mentre si cerca la correzione x espressa in secondi. Potremo dunque stabilire le corrispondenze: (b — c \ 2 A) ~zR A- B — B. C- I 1 \i b + C 4 sen 1'' ( 'l aie, 1 f fc -p a 4 sen 1" fi 2 R 1 1 [fa -Y b 4 sen 1'' 1 (l 2 R ) r-(Vjf) co[ g 7 B tang — - & 2 2 R B] cotg - & 2 (9) C tang-- 2 R ’Y Cl -) cotg r! * Il significato di centro del triangolo è ben noto e fu già indicato nel Capitolo III. 168 Capitolo quinto. o, a seconda dei criteri generali più volte già citati, le altre : i ( jb + c\ 2 A, (b—-cY A,)'- A —A, C — C ,= 1 4 sen i ' ( \ 2 R i ( le + fl A, (b—-cX TTÌ cotg f V A ( j tang l \ 4 sen i i {(a -f- b B 2 * ! “ ,g 2 4 sen i" ì\ 2 R C, /fl — b tann— — cot gy|? O) C. „ . cotg~ 2 R j & 2 corrispondenze che servono, a seconda dei casi, a passare dagli angoli del triangolo sferico a quelli del triangolo delle corde o viceversa. Se ora si suppongono dati tre elementi di un triangolo geodetico fra i quali sia almeno un lato, i valori prossimi degli altri elementi si ottengono subito risolvendo il triangolo come piano (questa risoluzione provvisoria, che si fa calcolando con quattro o cinque cifre logaritmiche, è, in generale, necessaria anche per altre ragioni, come si vedrà in seguito), e tali valori introdotti nelle (7) o (9) permettono di ottenere, con più che sufficiente approssimazione, i valori degli elementi necessari alla risoluzione del triangolo delle corde. Risoluto questo colle solite formule di trigonometria rettilinea, le (8) o (io) ridurranno gli elementi calcolati a quelli cercati del triangolo sferoidico. 5 . Il metodo di Legendre consiste nel ricondurre invece la risoluzione del triangolo sferoidico a quella del triangolo piano che ha gli stessi lati ; in questo caso basta trovare le corrispondenze fra gli angoli dei due triangoli, corrispondenze che, nel caso dei comuni lati geodetici, sono estremamente semplici. Sia A * l’angolo che nel triangolo piano di lati a, b, c corrisponde all’angolo sferico A, e poniamo A*= A-^-tiiA: avremo : cos A = a he COS n- COS -2- COS -= K K K b c S£n R Sen R cos (A -f- A A) b 2 + c 2 — a 2 2 bc («) cos (v 4 -f- à A) — cos A — \ A. sen A A A 2 2 cos A . l e in quest’ ultima relazione, a causa della piccolezza di A A, potremo Della triangolazione. 169 limitarci, in ogni triangolo geodetico osservato , ai termini scritti sopra. Introducendo poi in essa i valori di cos A, cos {A A A) dati dalle prime due, avremo: A A . sen A -f A A 2 . cos A cos R b c a 1 C0S R C0S R + ~ ■b 2 —c 2 2 b c ■ sen 75 sen 75 R R (fO b c sen ■= sen -= K R Rappresentiamo quest’ultima frazione con N D '■ sviluppiamo in serie nel numeratore le linee trigonometriche, limitando l’approssimazione alle seste potenze degli archi : si otterrà dopo facili riduzioni : r a 4 a 2 b 2 a 2 c 2 D b 2 c 2 24 i? + 12 R* i2Ìs H ~‘ _ 24 .K 4 12 R^ " 4_ j c 4 a 6 a 2 V a 2 b 2 c 2 a 2 à I + 2 4 I? 4 720 R 6 " 4 240R 6 72 R ù 240 R 6 | b 6 b 2 à c 6 . c 2 D 1 360 R 6 360 R 6 360 R 6 ^ 360 R 6 " ’/ Ora la prima delle (a) ci dà : 2 b 2 c * 2 / i \ 2^1 2 b ^ c sen 75 sen 75 ( 1 — sen A) = cos 75 -4- cos 75 cos 75 • RR u u k ove p è il perimetro del triangolo sferico, si può calcolare A, quando non sia sufficiente il suo valore approssimato dedotto dalla formula: b c sen A , . A= 2 R 2 sen 1" ' I4 ' 11 valore di sen A tolto dalla (12) e sostituito nella (11), ci dà poi: bea A sen -77 sen -= cos —- sen — R R 2 R 2 , c b 6 sen —77 sen —^ 2R 2 R 11 a 17 b 2 17 c 120 7 ? 2_r 120 R 2 ^~ 120 R 1 A A = I?2 Capitolo quinto. ■e questa, sviluppando in serie le linee trigonometriche e limitando l’approssimazione alle seconde potenze degli archi, si riduce facilmente alla forma: a 2 , b 2 , c 2 3 I/ 30 R 2 _r 60 R 2 ' 60 R 2 Per analogia si hanno le espressioni di A 5 , 4 C ; potremo dunque porre in generale: _ a l„ + JL + jL 3 \ 30 R 2 ■ 60 R 2 ^ 60 R- R R*_ A ( T , « b | C 3l + 6o R 1 ioR 2 ^6oR a 2 b 2 il I , 6 3Ì I " r 6oi? 1 T 60 R* 30 R : (i 5 ) Del resto queste formule non sono che una conseguenza della (39) del Capitolo III n.° 18, dalle quali si traggono supponendo le tre misure delle curvature /q, k 2 , h eguali e che l’ellissoide cui si riferiscono coincida colla sfera di raggio ^ p N, la quale ne è un caso particolare. In quasi tutti i casi in cui conviene applicare le (15), i termini in a 2 , b 2 , c 2 , sono trascurabili e si può porre.: \A = AB = \C = ^. _ ( 16 ) 3 L’eccesso sferico A si calcola in questo caso per mezzo della (14): la proprietà indicata dalla (16) per i triangoli sferici di piccoli lati è comunemente conosciuta sotto il nome di teorema di Legendre. Dati tre elementi di un triangolo sferico, i valori prossimi degli altri elementi si deducono (come nel caso del triangolo delle ■corde) risolvendolo come un triangolo piano, quindi la (14) e la ■(i6) danno il modo di risalire agli elementi angolari del triangolo piano di eguali lati, e dalla risoluzione di questo si deducono gli ■elementi cercati del triangolo geodetico. 6. Nei vari casi in cui il teorema di Legendre non è applicabile a causa della eccezionale grandezza del triangolo geodetico che si considera, le formule (15) non danno neppur esse tutta l’esattezza che si richiede, e bisogna tener conto della diversa curvatura •dell’ ellissoide nei vertici del triangolo. Abbiamo svolto questo problema alla fine del Capitolo III (n.° 18) ed abbiamo visto come, Della triangolazione. 17 ? fra gli angoli di un triangolo sferoidico e quelli del triangolo piano % che ha gli stessi lati, vi hanno le relazioni: A, —A = -K *• O -, I ;> B = (17) C.-C=-K 3 3 / o, quando si richiede un’ approssimazione anche maggiore : A, - A 0 = — (2 + K z + K. + 7 J 3 l±J . Z 12 tO Q-c o =-|^ + ^ + 2 ^ ^ 2 + 7ri 2 + 7V 3 ‘ 30 « + 7 -t, 2 + 7 V 2 4- 30 a + (18) P°~V 1 O») dove A è l’area del triangolo piano espressa in secondi, K z , K 2 , K sono le misure delle curvature dell’ ellissoide rispettivamente nei vertici A, B, C del triangolo, s t , s 2 , s i lati di questo rispettivamente opposti agli angoli sferoidici A*, 5 ** C*, a è il semiasse maggiore dell’ellissoide, A o , B o , C a gli angoli cercati del triangolo piano. Ricorderemo che la misura della curvatura si ottiene dalla espressione generale (Vedasi l 'Introduzione n.° 15.) 1 1 — e 2 sen 2

' triangolo darà la lunghezza cercata della geodetica A K, ed inoltre la sua direzione sia rispetto al lato AB, sia rispetto al lato KE\ e se di questi si suppongono conosciuti (astronomicamente determinati) gli azimut, anche gli azimut della geodetica nei punti A, K rimar- dalla (a) si trae senza difficoltà : sen x — sen v_cos r/i — sen ^ senx-f-senjy cos $ + sen ip cotg (45 0 + D e quindi: x — y cotg ( 45 ° + D 0 > = tang (180 0 — s) cotg (45° + J-) = — tang 5 cotg (45 0 4 -+) che insieme alla (a) determina completamente i due angoli x, y e quindi permette- di calcolare i due triangoli A B D, D BC col solito metodo. Se ora A,B, C sono tre vertici di i.°, 2. 0 , 0 3. 0 ordine di una rete e si formano- i triangoli sferici AD B,B D C che li riuniscono fra loro e col punto qualunque D ; misurando in D gli angoli a, j 3 , la risoluzione provvisoria del quadrilatero ABCD colle formule precedenti darà i valori approssimati di tutti gli elementi di esso, e, Pucci, Geodesia. 178 Capitolo quinto. ranno determinati. Analogamente si farebbe per determinare qualunque altra delle geodetiche condotte fra due qualunque dei vertici della rete: è necessario però di notare che questo procedimento, conducendo a dei triangoli di mano in mano più grandi, non può essere esteso oltre certi limiti, a meno che non si vogliano adottare per il calcolo formule invero molto complicate, ma adatte alla risoluzione dei triangoli sferoidici di grandezza qualunque. Tuttavia quando le geodetiche da determinarsi sono tali che le formule già date precedentemente per la risoluzione dei triangoli geodetici non sono più adatte, conviene seguire altra via, come mostreremo parlando delle posizioni geografiche. Molte volte, anziché la geodetica che congiunge due vertici della rete, si cerca la lunghezza dell’ arco di meridiano compreso fra i paralleli estremi fra cui si dilunga una catena di triangoli. A vero dire questa lunghezza si può determinare con tutta precisione e semplicità in vari modi, di cui dovremo specialmente parlare in seguito (Capitolo Vili); tuttavia anche la risoluzione di semplici triangoli sferoidici può condurre al risultato richiesto, e, dacché questo metodo fu seguito in alcuni lavori classici, crediamo doverne qui far un breve cenno. Sia dunque AB CD EFGHIK (fig. 26) la catena di triangoli di cui tutti gli elementi sono noti, KM il parallelo condotto per K e supponiamo data la latitudine di un punto della rete e l’azimut di uno dei suoi lati (da cui, come si vedrà, si potrebbero dedurre quelli di tutti gli altri), per esempio, l’azimut di AB. col teorema di Legendre, si potrà ricondurre la figura sferica a quella rettilinea di eguali lati: una seconda risoluzione esatta, dopo calcolati gli eccessi sferici dei triangoli A B D, D B C, determinerà quindi completamente il punto D rispetto ai vertici principali A, B , D. Conviene osservare che se i quattro punti sono sulla stessa circonferenza le formule precedenti prendono la forma dell’ indeterminazione, ed infatti il problema è indeterminato. Quando poi il punto D è prossimo alla circonferenza determinata dai punti A, B, C quantunque analiticamente la sua determinazione sia possibile, diviene in pratica illusoria, giacché un piccolo errore commesso nella misura degli angoli oc, |3 conduce a un grande errore nel calcolo della distanze del punto D dagli altri punti considerati, come si può subito vedere esprimendo in funzione dì d a, d fi le differenziali dei lati A D, D B, D C. Fig. 26 . Della triangolazione. 179 Il lato C B incontra l’arco di meridiano A M in b, formando i due triangoli ABb, b A C in ciascuno dei quali sono noti tre elementi, cioè un lato (AB, A C) e gli angoli che lo comprendono, giacché gli angoli b AB, b A C si deducono subito dagli azimut dei lati AB, A C. La risoluzione di tali triangoli darà dunque la lunghezza delle geodetiche Ab, B b, b C e le loro direzioni : analogamente i triangoli b C c, c Dd, d E e daranno successivamente le porzioni dell’arco di meridiano cercato comprese rispettivamente fra i lati dei triangoli geodetici che traversa. Allorché la catena data si allontana dall’arco cercato A M, come per esempio in eFHK della fig. 26, il procedimento precedente deve essere modificato. Congiungiamo con una geodetica E H i due vertici E, H; la lunghezza di questa geodetica e la sua direzione nei punti E, H resta la determinata dal triangolo E HF, e, quindi, resta anche determinata porzione di meridiano compresa fra i lati EF, EH di questo triangolo. Dal punto H conduciamo ora la geodetica H 0 che tagli normalmente in O il meridiano AM; il triangolo h H O potrà essere risoluto, giacché se ne conoscono gli angoli in O e in h, e il lato h H. Congiungiamo ancora geodeticamente i punti O, K; il triangolo O H K ci darà la lunghezza del lato 0 K e il suo azimut in 0 . Infine conducendo da K la geodetica K N normale al meridiano in N si otterrà dal triangolo O K N la lunghezza di O N. Così si saranno ottenute le varie parti Ab, b c, ce, eh, h O, O N di cui si compone l’arco di meridiano O N. Rimane a determinare la lunghezza del piccolo arco N M, o la latitudine del punto N da quella del punto K, nel primo caso per avere l’arco di meridiano compreso fra i paralleli di A, K, nel secondo caso fra i paralleli di A, N di latitudine nota (osservata astronomicamente). A queste ultime ricerche serve la lunghezza calcolata di K N che ha 90° o 270° per azimut in N, e le formule che si adoperano sono le seguenti: _ s 2 tang

. (24) 11 0 sen C, Analogamente per un altro punto osservato N s si avrà + K cotg e l’angolo azimutale fra i due punti N, N t sarà dato da: a — or. — I — (4-c sen 1 sen Z. 1 cotg '( bc otg'C (25) 196 Capitolo quinto. Questa formula ci dimostra che quando i due punti osservati'sono molto prossimi all’orizzonte, come succede sempre nelle misure azimutali di alta Geodesia, gli errori di aggiustamento ( correzioni ) del- l’istrumento non producono negli angoli osservati che un errore di secondo ordine rispetto a b, c. Se poi i punti osservati sono ugualmente distanti dallo zenit, la misura fatta è indipendente dalla parallasse del cannocchiale. Un punto N può essere osservato in due posizioni del cannocchiale essenzialmente distinte, in cui le letture fatte allo stesso microscopio differiscono pressoché di 180 0 ; la seconda posizione si ottiene rispetto alla prima facendo ruotare le braccia di una mezza circonferenza intorno all’asse verticale, e il cannocchiale intorno al- l’asse orizzontale del doppio circa della distanza zenitale, passando per lo zenit. È facile vedere che in questa nuova posizione del cannocchiale la costante c cambia di segno, rimanendo la stessa in valore assoluto. Se dunque in questa nuova posizione dell’ istrumento- si misura nuovamente l’angolo a, — a si troverà + /; s “tgC-£ 2 cotg-C. Inoltre, se si ha avuto cura di non correggere l’istrumento durante le due misure, si avrà evidentemente b^ = — b t , b 2 = — b, giacché nella rotazione azimutale delle braccia il punto K descrive un piccolo cerchio di cui il polo è P, e l’estremità dell’asse orizzontale che determina K nella nuova posizione, non è più quella di prima la quale è ora a sinistra dell’ osservatore. Quindi la media delle due misure, che diconsi conjugate , ci darà per l’angolo — or. cercato : che è affatto indipendente dagli errori di aggiustamento. Questo risultato ci deve dimostrare che è molto importante che le due misure conjugate sieno fatte successivamente e nelle stesse circostante di posizione e di aggiustamento dell’ istrumento. La formula (24) ci dà poi la maniera di dedurre il valore della costante c che in alcune osservazioni astronomiche (determinazione del tempo coi passaggi, latitudine col metodo di Bessel, ecc.), ha una importanza speciale. * Se si fanno due osservazioni conili- * Il valore di c può del resto esser determinato astronomicamente con tutta precisione senza ricorrere a nessuna osservazione geodetica. Della triangolazione. 197 gate su di un punto qualunque si avrà infatti: « = 90 0 — / + l 0 -f —+ b cotg '(■ ' 0 senC (26) ■e se il punto osservato è molto prossimo all’orizzonte: 2 Questa espressione di c serve del resto, in Geodesia, per ridurre tale costante convenientemente piccola, per mezzo delle apposite viti del telarino dei fili. 14 . Nella precedente discussione abbiamo ammesso tacitamente che l’asse verticale dell’ istrumento contenesse il centro della graduazione, e fosse contenuto nel piano in cui giaciono gli assi di collimazione dei microscopi che servono alla lettura del cerchio graduato. Infatti, se queste condizioni non sono verificate, la differenza delle letture fatte sulla graduazione con un microscopio non dà più l’angolo di cui ha ruotato il piano dei microscopi (e per conseguenza il piano delle braccia dell’istrumento). Sia ora A A t il piano dei microscopi; esso, durante la rotazione delle braccia dell’istrumento, ruota intorno a un asse il quale incontrerà in P il cerchio graduato, il cui centro è in C (fig. 32). La quantità P C è la cosi detta eccentricità del cerchio graduato: evidentemente quando il piano dei microscopi A A J contiene il diametro O C P R del cerchio, la lettura che si fa coi microscopi sul cerchio è la stessa che quella che si farebbe • se l’eccentricità fosse nulla. Poniamo su questo diametro l’origine degli angoli azimutali e sia l o la lettura fatta in questa posizione dal microscopio A. Allorché il piano dei microscopi ha preso la posizione A A l , il microscopio A, che prima era in R, leggerà /,, ed è chiaro che si avrà: ACR=l l —/ 0 , mentre il piano dei microscopi (e per conseguenza quello delle brac- Fig. 32. * = 90°— /,+1 — ^7 — b cotg da cui si ricava: c — - -sen Z. — b cos Z 2 198 Capitolo quinto. eia dell’ istrumento) ha ruotato dell’ angolo APR = oc. Se r è il raggio del cerchio, dal triangolo A C P si ottiene senza difficoltà, osservando che a — —IJ = CAP: sen [a-(/-/,)] e sen a r sen 1" Se l’eccentricità e è molto piccola rispetto al raggio r, potremo prendere : a = / — 1+ e sen a r sen 1 r 71 , , e sen % , N ; ^ 7 — ; o+ 206 26 5 —— ( 2 7) e questa relazione ci mostra subito che l’influenza dell’ eccentricità è grandissima, ed è quindi indispensabile di trovar modo di eliminarla dai risultati. Ora se consideriamo il secondo microscopio A l opposto al i.°, e sono 1 \, l ' 0 le letture di questo respettivamente corrispondenti a , è facile vedere che si ha : a = l \— V — e sen a co r sen 1 ' che, combinata colla (27), dà: 2 ^0+ l'o 2 (29) indipendente dall’ eccentricità della graduazione. L’angolo di cui hanno ruotato le braccia dell’istrumento per passare da una posizione del piano A A l ad un’ altra sarà : se — et I *',+ K + K che non implica la conoscenza della lettura -2——2 fatta dai microscopi all’origine prescelta per gli angoli azimutali. Quanto più piccoli sono i cerchi graduati tanto più grande è l’influenza dell’ eccentricità, e la formula (27) ci deve mostrare che sdi istrumenti goniometrici che non hanno che un solo nonio o microscopio non meritano che una ben piccola fiducia, anche se debbono servire a misure di poca precisione, giacché si deve ammettere che il valore di e nelle diverse classi di istrumenti sia probabilmente in proporzione della precisione che questi istrumenti permettono di ottenere. « Della triangolazione. 199 Naturalmente si possono adottare diverse coppie di microscopi opposti, e la media delle letture di ciascuna coppia è indipendente dall’eccentricità. Si può però dimostrare che neppure nella inedia di tre microscopi disposti a 120° l’uno dall’altro quest’eccentricità ha influenza. Infatti, applicando la formula (27), avremo in questo caso per tre letture fatte coi tre diversi microscopi in una data posizione del cannocchiale : e quindi : 120 ° + £ -I-- [sen oc -J- sen (x 4- 120) 4- sen (x 4- 240 0 )]. r sen 1 L v . Ma sen (oc -f-1 20 ) + sen ( x + 2 4°) = 2 sen ( x + 1 8°°) cos 6o° = — sen a e perciò: come si voleva dimostrare. Rare volte è necessario determinare il valore dell’ eccentricità e la posizione del diametro del cerchio che taglia in P l’asse di rotazione; ad ogni modo esporremo il metodo più semplice con cui si può procedere in tale determinazione. Torniamo al caso di una coppia di microscopi opposti: in generale i loro assi non sono che prossimamente contenuti nel piano ruotante A A l , (se lo fossero esattamente le due letture l o , l o ' che farebbero alle due estremità del diametro O C P R differirebbero esattamente di 18o°) ed hanno la posizione relativa APA n indicata schematicamente nella fig. 32. Poniamo dunque l o '—/ 0 = |3, // — l^ — n e dalle (27) e (28) dedurremo : 2 e sen oc r sen 1" ’ 200 Capitolo quinto. dove n ci è dato dalle letture dei due microscopi in una posizione qualunque AA n , (3, ed « sono incogniti. Facendo ruotare di 90° le braccia dell’istrumento e leggendo di nuovo le indicazioni dei microscopi si troverà: „ , 2 e sen (a 4- 90°) B, = H- 1 • 1 r sen 1 Una nuova rotazione di 90° darà: w 2 = [3 + 2 e sen (« + 180 0 ) rsen 1" Si vede quindi che dall’ osservazione si possono trarre i valori n, n x , n 2 , 11, che corrispondono alle quattro equazioni seguenti: 72 = [3 2 e sen « r sen 1 " », = P + 2 e cos oc r sen 1 '' 2 e sen a r sen 1" 11 = P- 2 e cos a r sen r' dalle quali si trae successivamente: 4 e sen a 72-77. = 7- sen 1 4 e cos a 7' sen 1 ' 77 — 77 2 77 - 72. 7' sen 1" V(«,—»,)* + (« —«J 2 p = 4 ' ' • 3 77 + 72 2 77 -F 72 ; , ( 30 ) e queste relazioni determinano le quantità cercate e, fi, a. 15. Negli istrumenti a cannocchiale eccentrico si deve considerare altresì l’errore causato dall’eccentricità del cannocchiale. Delia triangolazione. 201 Siano M, N, fig. 33, le proiezioni ortogonali di due punti, osservati azimutalmente, sul piano del cerchio graduato che si può supporre, per quanto abbiamo già detto nel n.° 13, perpendicolare all’asse verticale dell’istrumento : rappresentiamo con E l’ eccentricità del cannocchiale, ossia la distanza fra l’asse ottico e l’asse verticale suddetto, dimodoché quando il cannocchiale ruota in azimut, e il suo asse ottico sia orizzontale, questo nella rotazione rimanga tangente a un cerchio di raggio E rappresentato in figura da DAD 1 A l , inviluppo delle posizioni prese successivamente da coli K testa retta. Quando il cannocchiale è a sinistra dell’osservatore rispetto ai punti osservati e al centro del cerchio, per collimare successivamente i due punti rappresentati da M, N esso avrà ruotato in azimut dell’ angolo M K N — oq = D O A. Il significato delle lettere della fig. 33 è così chiaro che ci sembra inutile il dichiararla. Ma l’angolo che si deve misurare è l’angolo MON = a compreso fra le rette che congiungono il centro O del cerchio coi punti M, N suindicati. Ora, ponendo DMO — G, O N A = Q r , è facile vedere dalla figura che si ha: «fi + 6 = * + e, se si rappresentano con A, A l le distanze orizzontali dei punti osservati dal centro del cerchio, distanze che in figura sono eguali ad O M, 0 N e debbono supporsi approssimativamente note, si dedurrà ancora senza difficoltà, osservando che G, G ; sono in generale angoli molto piccoli: E , E G = «e quindi: A sen 1 G = A, sen 1 seni". \A A J ( 3 1 ) Questa formula permette, conoscendo E, A, A t , di ricondurre gli angoli misurati con un istrumento eccentrico a quelli che si sarebbero misurati con un istrumento centrale. Se si suppone una 202 Capitolo quinto. delle distanze infinita si ha la correzione che si deve fare a una direzione azimutale osservata con cannocchiale eccentrico per ridurla al centro dell’ istrumento (caso che si presenta, per esempio, nell’ osservazione degli azimut astronomici): tale correzione è data da x — A sen i " O 2 ) Ripetendo l’osservazione dell’angolo fra i punti M, N col cannocchiale a destra (diretto) e rappresentandy con « 2 la misura fatta, avremo poi: sen i da cui, sottraendo la (31), si ricava: x x + x r 1 2 2 che ci mostra che la media delle due osservazioni conjugate di un angolo dà quest’ angolo ridotto in centro, indipendentemente dal- l’eccentricità del cannocchiale. Anche negli istrumenti centrali non è certo che l’asse ottico incontri l’asse di rotazione e quindi il sistema delle osservazioni coniugate, quando non fosse già imposto dalle considerazioni fatte nel n.° 13, diventerebbe necessario, almeno nelle osservazioni di grande precisione, per eliminare ogni possibile eccentricità del cannocchiale. La formula (32) ci indica poi subito un metodo molto semplice per trovare l’eccentricità E, che difficilmente si può determinare con precisione per mezzo di misure dirette. Infatti, se si osserva un punto assai prossimo nelle due posizioni conjugate del cannocchiale ed a 2 , x L sono le letture respettivamente fatte (medie dei diversi microscopi che eliminano l’eccentricità del cerchio)*, avremo: 2 E A sen 1' a, = A sen 1 ' (* 2 — *.) • La quantità E sarà, con questo metodo, tanto più precisamente determinata quanto più è piccola la distanza A, perocché x 2 —x t di- * La lettura a 2 s’intende qui ridotta poco diversa da sottraendo 180° se i gradi sono letti sempre con un solo microscopio, o coll'indice separato di cui molti istrumenti sono forniti. Della triangolazione. 20 j venendo allora una quantità assai grande, diviene trascurabile, rispetto ad essa, l’errore commesso nel misurarla. Per piccolissime distanze la formula precedente non conviene, giacché non è legittimo l’arrestarsi al i,° termine dello sviluppo in serie di sen 0, come si è fatto per dedurre la (32). Però si ha rigorosamente: E x — x =2 are sen — 2 1 A e quindi : y. • E = A sen — ( 33 > che è la formula che si deve adottare quando il valore di E è richiesto con grande precisione. 16 . Il sistema di lettura fatto con parecchi microscopi serve non solamente ad eliminare dai resultati l’influenza dell’eccentricità del cerchio, ma altresì a compensare in parte l’errore di graduazione. Qualunque sia questo errore in una singola lettura, è noto infatti che esso può essere rappresentato da una serie trigonometrica della forma: x = a 0 -\- a L cos A -j- a 2 cos 2 A -)- . . . -j- b r sen A -j- b 2 sen 2 A essendo A un angolo letto sul cerchio a partire da un’origine arbitraria. Se dunque M rappresenta la media delle letture fatte con n microscopi equidistanti evidentemente l’errore di graduazione del cerchio che rimane in questa media è: X = n -f- cos lA -f- cos A -f- cos ( A +^) +c ° s2 ( A + 2 ir ) + -••] COS 2 A -|- COS 2 -f- seti A -f- sen A -f- sen I A -(- 11 [ \ n J \ 11 ì sen 2 A sen 2 204 Capitolo quinto. può dove A rappresenta la lettura 1; lunque. Alla formula precedente - f 2jzk\ . a■ i= 2~ I ( . , 2‘xk ; r+— )+t ,i„“ s2 (- 4 + n k=n—i X= a o ~\—- Si cos n u=o -)■ 2 77 \ I n * fi Jc = n — I ' -17 .2 cos 3 '"+4V- , è (a , 2 7:/A , [a , 2 7:/e\ +4 à se "^+—)+t ,h ™Y+—) Sviluppando i seni e i coseni delle somme di archi colla nota formula, si trova: „ . acosA i= ’Sr t 2 -k asenA l -2r l 2 ~k . X = a + —- \ cos- '■ - y sen-h ° n i~, » n k = o n k a, sen 2 A 1 A ~k , - 2 - y sen --h Al 7 1 , a, cos 2 A i -2r I 4" + —- y cos— « - n Il k = o a 3 cos ìA^ --— > ... ecc. n k = 0 + + “ n bsenA l ~ «r 1 2 7:/: i> cosi 2 7 -k , —- y cos-4- —- y sen-4- b ,... ec< ■ Il i.r'o 11 £ = 0 11 ossia. : „ I #==?° ( . ^"r 1 2 t:/c A = — y flACOS^A C0S P - 11’ p = O \ k = O 11 j p = co f h = n — ] 2) bAseapA 2 11 p= 1 \ £ = o £ — 00 2 “ 1 \^ — sen /> ^4 2 sen p —— ) -(- , £ = o ^ 2 rAz , cosp -1- « 4 = 00 2 t: 7e\ + cos.pJ 21 sen ^—--|> / £ = o H (34) ove /> può prendere tutti i valori intieri positivi. Però è noto che, per p, li, n intieri, si ha in generale: *="- 1 2-Jz >. sen p -= 0 , *=”-■ 2-1’ >. COS^>-= 0 11 ' k^o " « a meno che p non sia un multiplo di n, nel qual caso speciale, la Della triangolazione. prima delle due espressioni precedenti essendo ancora verificata, la seconda diviene invece : Di qui risulta che dalla (34) spariscono tutti i termini che contengono a p , b p ove p non è un multiplo di n : gli altri poi si riducono a una delle due forme a p cos p A, b t sen pA, e perciò il valore di X diviene : X = a„ cos n A -j- a ln cos 2 n A -j- a 3 „ cos 3 n A -)- ... \ (• ( 35 ) -j- b„ sen nA-\-b 2H sen 2 n A -)- b 3 „ sen 3 n A -j- ... Da questa formula è messa in evidenza la rapidità con cui si eliminano gli errori di graduazione dal risultato, quando cresce nella lettura il numero n dei microscopi equidistanti : così con due microscopi si ha: X 2 = a 2 cos 2 A fi- cos 4 A fi- a 6 cos 6 A -j- a s cos 8 A-\~ ... -f- b 2 sen 2 A -f- b sen 4 A -f- a 6 sen 6 A + a & cos 8 A -f- ... * Questo teorema, importantissimo nelle applicazioni delle serie trigono- metriche, si dimostra come segue. Poniamo: 2 p !T 1- 2 pTT ' « cos —- 1 - V — 1 sen —-— =e = n n si avrà per il noto teorema di Moivre: 2 i kp T k 7 2 pn ! - 7 2 p 7t cos k — - -h v — 1 sen k— £ — = n n n («) = T e perciò, se si danno a h tutti i valori intieri da k — o a k = n — 1 e si somma : 2 cos (JS) » — i T » — 1 = r°+ r>+ r 2 +... r = _ ■ ■ ■ D’altronde dalla relazione («) si trae, facendo k = n: T« = cos 2 piz -\-\j — 1 sen 2 pn e quindi per p intiero T« è eguale all’ unità. Ne consegue che il valore del primo membro della (jS) è nullo, e quindi in generale si ha: t-= - - k — O 2 sen k k = 0 2 bTt ——= 0 n 20 6 Capitolo quinto. mentre coll’ aggiunta di un’ altra coppia di microscopi questo errore si riduce a X 4 = a 4 cos 4 A -j- a s cos 8 A- f-... -f- b sen 4 A -(- cos 8 -^ + • • • Ad ogni modo in ogni singola osservazione di un angolo, anche fatta adoperando nella lettura del cerchio un gran numero di microscopi, rimane sempre un certo errore dovuto alla imperfezione della graduazione. Però è sempre possibile ottenere un risultato affatto scevro da questo errore se si reitira la misura dell’ angolo su diverse parti del cerchio convenientemente scelte (e perciò i cerchi, come fu detto, possono ruotare intorno all’ asse dell’ istrumento al qual sono perpendicolari). Infatti è evidente che se l’errore di graduazione del cerchio è, per esempio, positivo in una certa parte di esso, in un’altra parte deve essere necessariamente negativo; cosi se si deve misurare un angolo di 6o° gradi con un cerchio letto per mezzo di due microscopi è sufficiente reitirare la misura sulle parti del cerchio comprese fra o° e 6o°, 6o° e i2o°, 120 0 e i8o° a meno che T sia pure eguale all’ unità, cioè che si abbia : nel qual caso la (/3) si riduce alla forma indeterminata ^. Per questa ultima condizione è sufficiente e necessario che p sia multiplo di n, perchè allora cos^-^—= 4- i, sen 2 =o; per trovare poi il vero vati n lore del primo membro della (/S) in questa ipotesi basta osservare che nella somma degli n termini: p 0 p 1 p 2 pn - I •cui esso equivale, il primo termine è evidentemente l’unità, e tutti gli altri ancora, giacché la ragione T della progressione geometrica, formata da tali termini, è l’unità: ne consegue che se p è multiplo di n si ha: 2 cos k = o }! lll + s l~ 11 1 k = o essisi k = n — i 2 k = o k = n , 2p77 sen k —-— — o, n come si voleva dimostrare. Della triangolazione. 207 perchè la media delle tre osservazioni non sia più affetta da verun errore di graduazione. Oggidì i cerchi di precisione sono cosi bene graduati che, in realtà, è sufficiente reiterare la misura spostando il cerchio successivamente di una certa quantità, per esempio, di 20° in 20°, senza por mente alla grandezza dell’ angolo che si misura. 17 . A mettere in evidenza la difficoltà di misurare esattamente un angolo, noteremo che l’arco di 1", su di un cerchio di grandi dimensioni, è rappresentato da una frazione così piccola di millimetro, che difficilmente può esser veduta anche sotto microscopi di grande ingrandimento (60 o 70 diametri). È noto che il millesimo di millimetro è fisicamente considerato come l’ultima frazione lineare che si possa sicuramente apprezzare, e prende appunto per questo il nome di micron, quantunque in realtà oggidì con mezzi ottici speciali e con grandi precauzioni si possa garantire anche la sua decima parte: ad ogni modo questi mezzi ottici sono affatto inapplicabili in istrumenti trasportabili come sono essenzialmente i cerchi geodetici, mentre su di un cerchio di o m ,50 di diametro (uno dei più grandi che siano adottati in Geodesia) l’arco di 1'' è dato da o mm ,oo 1212. L’errore complessivo di una misura angolare ( direzione ) si può in generale considerare composto di diverse parti che hanno valori medi speciali e differenti: si sogliono distinguere le seguenti: 1.° La parte dovuta all’ errore di aggiustamento dell’ istru- mento (aggiustamento degli assi, dell’ ingrandimento dei microscopi, della linea di mira, della visione perfetta, ecc.) ; 2° la parte per l’errore di graduazione ; 3. 0 la parte per l’errore di lettura (apprezzamento della frazione di una divisione del cerchio per mezzo del microscopio) ; 4. 0 la parte dovuta all ’ errore di puntamento ; 5. 0 la parte per gli errori istrumentali (eccentricità degli assi, conicità dell’asse orizzontale, instabilità della parte mobile dell’i- strumento, flessione dei cerchi, ecc.). I valori medi di queste parti possono essere respettivamente determinati, con esperienze apposite su cui non possiamo fermarci; si vedrà nel Capitolo VII la relazione che vi ha fra questi valori medi e il valore medio dell’errore complessivo di un’osservazione. 18 . Per misurare degli angoli geodetici in un punto terrestre è necessario disporre anzitutto l’istrumento per modo che il suo asse verticale coincida colla verticale del punto di stazione o vertice da cui partono le direzioni che determinano gli angoli da osservare. 208 Capitolo quinto. I vertici di una triangolazione, essendo scelti in generale fra i punti più alti (vertici di campanili, cupole, torri, tee., e in montagna, sommità di monti, su cui si innalzano appositi segnali in muratura) è spesso impossibile di disporre esattamente l’istrumento nel punto in cui le osservazioni dovrebbero esser fatte (centro di stagione). Inoltre per impedire gli errori di fase dei segnali, e per la difficoltà di vederli distintamente, le osservazioni di precisione si fanno collimando certi riflettori di luce ('elcoscopi *) che per lo più debbono * Con un piccolo specchio piano si proietta facilmente in una direzione determinata un fascio di luce solare, che rende visibile lo specchio riflettore sotto forma di stella a grandissime distanze. Per dirigere il fascio riflesso nella direzione conveniente lo specchio, che ha al suo centro un piccolo foro (v. figura annessa), è montato al disopra di un cannocchiale, e può rotare, sotto l’azione di a fek! Elioscopio a cannocchiale. apposite viti, sia intorno a un asse verticale, sia intorno a un asse orizzontale, potendo così essere facilmente disposto in modo da riflettere dove si vuole la luce che riceve sia direttamente dal sole, sia da un altro specchio riflettente. Al disopra dell’obiettivo del cannocchiale vi ha una mira (composta da due fili in croce), e la linea che passa pel foro dello specchio e la mira viene stabilita parallela alla linea di mira del cannocchiale, puntando con questo un oggetto ben distinto visibile ad occhio nudo, e quindi traguardando F oggetto pel foro dello specchio e disponendo la mira, colle sue viti di richiamo, in modo che i fili si trovino nella linea di traguardo. Se allora si punta il cannocchiale sul punto su cui si vuol dirigere la luce, e si dispone lo specchio in modo che il fascio riflesso illumini la mira, ed al centro di questa corrisponda l’ombra dovuta al foro dello specchio, il fascio riflesso andrà al punto collimato dal cannocchiale. Gli elcoscopi possono essere sostituiti con vantaggio da lampade a riverbero sia a luce elettrica, sia. ad olio : allora le osservazioni geodetiche sono fatte di notte. Il riflettore di cui la lampada è munita viene, anche in questo caso, orientato convenientemente per mezzo di un cannocchiale ausiliario e di un apparecchio simile all’elicoscopio. Gli eliometri, in cui lo specchio ruota con un movimento di orologeria in modo che un raggio solare riflesso abbia una direzione costante, sono oramai abbandonati. 209 Della triangolazione. essere illuminati dal sole; ma non sempre è possibile disporre esattamente questi riflettori sui punti che debbono essere osservati. Si presenta quindi il problema di ridurre all’angolo cercato un angolo osservato da un punto fuori del centro di stazione, ma prossimo a questo, fra i punti prossimi ai punti da osservare. I punti osservati si suppongono qui appartenenti alla superficie di livello che passa per il punto di osservazione : in seguito vedremo come a questo caso possa ridursi il caso generale. Le formule che si dedurrebbero tenendo conto dell’ ellissoidicità della superficie di livello sono assai complicate e non hanno importanza che nel campo puramente teoretico, giacché in pratica i punti B, C osservati dal punto A, non possono distare da questo che quanto lo permette la condizione di visibilità : un triangolo geodetico ABC osservato può esser considerato dunque come sferico sulla solita sfera cosidetta osculatrice di raggio R=\jpN. D’altronde vedremo che col crescere della distanza diminuisce l’influenza dei piccoli spostamenti supposti in A,B,C, e quindi diviene evanescente la differenza fra la correzione ellissoidica e la correzione sferica dell’angolo, differenza che è dei- fi ordine del • quadrato dell’ eccentricità. Consideriamo dunque su di una superficie di livello i punti A, B (fìg. 34) e supponiamo osservata la direzione A' B da un punto A' prossimo ad A, riferita ad una direzione fissa arbitraria, per la quale sceglieremo la direzione A' A-, inoltre per determinare la posizione del punto A' rispetto ad A è necessario che venga misurata la distanza A A' = r, e l’angolo BA’A = H (1 direzione al centro, osservata dal punto di stazione ): sia r la distanza geodetica BA; i punti A,A',B appartenendo alla sfera di raggio R=\j p N, costituiscono un triangolo sferico B A A', di cui i lati A A', A B saranno respetrivamente eguali a -=7—-— r ,, -=7—-—- . Poniamo 0 R sen i i? sen i' BAD=$ i -, la differenza 0,—0 sarà la correzione c da farsi alla direzione O osservata da A! su B, per ridurla a quella che si cerca, e che si sarebbe osservata da A. Ora dal triangolo sferico suddetto, osservando che si ha, B A A’ ~ 180 0 — 0,= 180 0 — 0 -f c, Pucci, Geodesia. 14 210 Capitolo quinto. si trae: T S sen -5 cotg-Q = cotg 0 sen (0 — c) — cos (0 K K ■ c cos R od anche, dacché è un angolo estremamente piccolo : R tang ^ = cotg 0 (sen 0 cos c — cos 6 sen c) — cos 0 cos c —sen 0 sen c sen c sen 0 Questa formula ci mostra che c è dell’ ordine di , perciò si potrà prendere : r sen 9 c = ■ R sen 1" tang ^ r sen 0 R sen 1" tang R Sia ora a l’angolo misurato in A' fra i punti B, C, ed 5 t la distanza geodetica del punto C da A ; se chiamiamo l’angolo che si sarebbe misurato in A fra i detti due punti e si applica la formula sopra scritta, convenientemente modificata, alle direzioni CA, CA, avremo ancora : r sen (d 4- «) + a i — 9 + R sen 1" tang p b R da cui, sottraendo la precedente, si trae: r . / sen 0 sen (9 x' = a. R sen 1 ' tang R tot-) CT _! * R (36) che è la correzione x", in secondi, cercata, da farsi all’angolo misurato fuori centro per ridurlo a quello in centro di stazione. s s In generale ~ sono angoli assai piccoli e si può sostituire l’arco alla tangente; la (36) si suole perciò porre sotto la forma: r f sen 0 sen (0 + a) sen 1 ' \ s s. (37) 211 Della triangolazione. Analogamente sia B' il punto osservato invece di B, e siasi misurata la distanza r — B B' e la direzione al centro B B' A — 6. Il triangolo sferico AB' B ci darà: s r sen -= sen — sen9 sen y ove y è la correzione da farsi alla direzione osservata su B' per ridurla a quella che si sarebbe ottenuta su B. Se ne trae : r sen 0 ( 38 ) R sen i''. sen 4 o, se sufficientemente r sen 0 ( 39 ) s . sen 1 "’ 19 . Gli angoli azimutali osservati per mezzo degli istrumenti goniometrici sono angoli diedri fra i piani verticali in un punto di una superficie di livello (esterna, in generale, al Geoide) che passano per i punti osservati : ma le reti trigonometriche che si considerano in Geodesia appartengono all’ellissoide ausiliario terrestre e si suppongono tracciate fra i punti che su questo corrispondono geodeticamente ai punti terrestri, fra i quali, in realtà, si misurano gli angoli. Quindi è necessario ricercare la differenza fra questi angoli misurati e quelli geodeticamente corrispondenti in una rete ellissoi- dica, ponendo mente che il Geoide differisce dall’ellissoide, e che i punti osservati e il punto di osservazione non appartengono ad una stessa superficie di livello. L’influenza della deviazione fra l’ellissoide terrestre e il Geoide nella misura degli angoli è dovuta in sostanza alla non coincidenza delle due normali respettivamente condotte pei due punti che si corrispondono sulle due superficie, mentre se queste normali coincidessero la distanza fra le superficie non influirebbe sulle misure sia azimutali, sia zenitali, giacché i piani normali in un punto dell’ una sarebbero normali anche nel punto corrispondente dell’altra. È noto che all’ angolo delle due normali suddette si dà il nome di attrazione locale (Capitolo I) : noi chiameremo inoltre zenit vero di un osservatore o di un istrumento il punto della cosidetta sfera celeste in cui 212 Capitolo quinto. questa è incontrata dalla verticale del punto di osservazione e genti ellissoidico invece il punto di incontro della detta sfera colla normale all’ ellissoide ipotetico di livello passante per il centro del— ristrumento. Ciò posto sia Z lo zenit vero (fig. 35), Z' lo zenit ellissoidico di un osservatore; il valore 0 dell’attrazione locale sarà rappresentato dall’arco di cerchio massimo ZZ'. L’ origine degli angoli azimutali essendo arbitraria, noi li supporremo contati dal cerchio massimo O Z' Z che appartiene a un piano verticale tanto al Geoide come all’ellissoide; lungo questo cerchio, per conseguenza, l’alterazione azimutale dovuta all’ attrazione locale è nulla. Sia poi B il punto in cui la visuale che va dall’ osservatore al punto osservato (direzione dell’ultimo elemento della traiettoria luminosa) incontra la sfera celeste, per modo che l’angolo azimutale misurato sarà 0 ZB= a, mentre l’angolo ellissoidico corrispondente è OZ' B = a,. Infine sia '( la distanza zenitale apparente B Z del punto osservato suddetto; il triangolo sierico BZZ' ci darà: sén 6 cotg ^ = cotg (180 0 — a,) sen x -fi cos a cos 0 da cui, a causa della piccolezza di 9 si ottiene: 0 cota '( cotg a • sen x Se si pone a i =a-fi/c e si osserva che k è una quantità dell’ordine di 0, e quindi si può porre: k si trae: — x — k = sen x ■ 9 cotg '( sen x, ( 40 ) formula molto importante che ci mostra che in generale a,—a, ossia l’influenza dell’attrazione locale, è dell’ordine dell’attrazione locale stessa. Ma per i punti geodetici il valore di '( è molto prossimo a 90°; poniamo '( = 90° — h ed h sarà l’ altera angolare del punto osservato sull’ orizzonte del punto di osservazione e potremo prendere : — y—k — Q.h. sen x. sen 1" (41)- Della triangolazione. 213 relazione che fa vedere come l’influenza delle attrazioni locali nella misura degli angoli geodetici è assai piccola; tuttavia non sempre può esser trascurata. Prendiamo, per esempio, 0 = 30 7 , b = 5. 0 , x — 90° ed avremo : k = 2", 61. Cotesta influenza diviene poi più che sensibile nell’orientamento di una rete, giacché tale orientamento dipende dalla ricerca dello zero assoluto degli azimut, ossia del piano verticale che contiene ii polo celeste. Sia P questo polo e

2 ), (/;,) respettivamente, si avrà: 0/ = oc',— oc' mentre l’angolo geodetico cercato co è dato da: conservando, in generale, ad oc il significato attribuitogli nei numeri precedenti. Per avere la differenza co — co' basterà dunque introdurre le correzioni determinate più sopra; sia x la correzione dovuta all’altezza h l e per la (52) avremo: h 1 e 1 sen 2 f sen oc. sen cc 3 2 asen 1 ( 60 - Sia analogamente y la correzione dovuta alle altezze h 2 , h e la (6o)- ci darà: e cos o (/; ; sen 2 oc,' — h 2 sen 2 cc 2 ') , (62) 2«sen1" ove abbiamo posto la latitudine media prossima cp,„ invece delle due latitudini

h = 3 000 "’, <*, = 45°, = o, ct 2 — o si ha: y — 6''. i6'. L’errore probabile dell’osservazione essendo in generale maggiore della correzione ( 63 ) concluderemo che gli angoli misurati fra punti terrestri, astrazione fatta dall 3 influenza dell 3 attrazione locale, possono considerarsi come uguali agli angoli corrispondenti sull’ ellissoide. CAPITOLO VI. ALTI METRI A. 1. Sia P (vedi in seguito fig. 39 ) un punto qualunque in prossimità del Geoide: la latitudine e la longitudine relativa determinano su questa superficie, che qui supporremo conosciuta, il punto M che corrisponde geodeticamente a P; affinchè il punto P resti perfettamente determinato è necessario ricorrere ad una terza specie di parametri coordinati, ed è naturale di scegliere per ciò Vaitela del punto considerato al di sopra del Geoide, contata sulla normale PM condotta per P. Consideriamo un secondo punto O e sia 0 M' la relativa normale, in modo che M' sarà il punto del Geoide corrispondente ad (9; un raggio luminoso che da 0 va al punto P incontra degli strati d’aria di diversa densità e si rifrange successivamente formando una curva 0p P, cui suole darsi il nome di Traiettoria luminosa. E noto che essa è sensibilmente piana ed ha la sua concavità rivolta verso la superficie del Geoide MM': un osservatore situato in P vede il punto 0 nella direzione P T della tangente in P di questa curva: l’angolo Z a P T formato in P fra la verticale Z a P e la tangente suddetta P T prende il nome di distanza genitale apparente del punto 0 rispetto al punto P: tale angolo può essere direttamente misurato sia per mezzo di un Universale, sia con altri istrumenti che qui è inutile rammentare. L’angolo Z PO formato fra la corda PO e la verticale PZ sarebbe la di- o o stanza zzatale vera di O; non vi ha mezzo di misurare questa quantità direttamente, e, giacché nel seguito di questo capitolo non ci occorrerà che per eccezione di doverla considerare, quando si parlerà di distanza z en ltale di un punto intenderemo parlare sempre della sua distanza zenitale apparente. Capitolo sesto. 224 Se fosse conosciuta la legge con cui varia la densità del mezzo negli strati che la traiettoria luminosa traversa, tale curva, essendo piana, potrebbe essere analiticamente rappresentata da una relazione fra due variabili e dei parametri costanti convenientemente scelti fra le quantità che possono essere misurate fisicamente: allora la misura di questi e il valore di una delle variabili determinerebbero il valore dell’altra corrispondente ad un punto determinato della curva. Dicesi livellazione trigonometrica la determinazione successiva delle altezze assolute sul livello del mare (Geoide) dei vertici di una rete trigonometrica, per mezzo della misura delle distanze zenitali dei vari punti 1’ uno rispetto all’altro, e delle relative loro distanze geodetiche, che si suppongono in antecedenza calcolate. Una tale determinazione non è che un caso speciale della ricerca della variabile di cui sopra abbiamo tenuto parola, ed è evidentemente sempre possibile; ci occuperemo adesso della sua teoria. 2 . Anzitutto conviene notare che per una zona limitata della superficie terrestre si può sempre, senza errore sensibile, considerare il Geoide come confuso con un ellissoide di rivoluzione i cui assi sieno stati convenientemente scelti. Nei capitoli precedenti abbiamo poi rigorosamente dimostrato che l’arco di geodetica MM' che congiunge due punti di una triangolazione osservata non differisce sensibilmente dall’arco di cerchio osculatore in un punto qualunque della sezione normale corrispondente. Ritornando ora alla fig. 39 siano M, M' i punti che sul Geoide corrispondono geodeticamente agli estremi P, O dell’ arco considerato di traiettoria luminosa, MM' l’arco di cerchio osculatore sopra indicato, C il suo centro; il piano di questo cerchio è sensibilmente confuso con quello della traiettoria luminosa Pp 0 . Sia p un punto qualunque di questa, r la lunghezza del raggio vettore pC, j l’arco variabile M n di M M', corrispondente al punto p e contato a partire dall’origine M nella direzione MM': la curva Pp O può essere analiticamente rappresentata da una relazione fra r ed s, e, se si pone PC—r n , e si descrive col centro in C l’arco di cerchio Pn' R, rappresentando con h la differenza di altezza pn' fra i punti P e p, per modo che si abbia r — r o = h, è facile concludere che, in generale, h è una funzione continua di s, che-sviluppata in serie colla formula di Maclaurin, ci dà: Allimetria. ove il termine indipendente da s manca, giacché per t = o si ha h =o, e rappresentano i valori delle derivate successive di h rispetto ad s per s — o. C Indichiamo con u l’angolo che il raggio vettore qualunque p C fa col raggio vettore P C che può considerarsi come l’asse polare di un comune sistema di coordinate polari r, u del piano P C O. Se o è il raggio del cerchio M M' (raggio di curvatura nel punto M della sezione normale corrispondente alla geodetica M M'), è facile vedere che si ha d s = p ii ii Pccci, Geodesia. 226 Capitolo sesto. e quindi : dh dh dn i db d s dii d s p dii d 2 h i d 1 b dii i d 2 h d s 2 p dii 2 ds p 1 d ii 1 d^Jp _ i óTh d s’ p 5 d id .e, introducendo questi valori nella precedente espressione di /;: Ciò posto sia ora Z, l’angolo ZpO che la tangente p O al punto p della traiettoria luminosa fa col prolungamento p Z del raggio vettore Cp : un tale angolo non differisce in realtà sensibilmente dalla distanza zenitale che in p si misurerebbe sul punto O giacché la direzione del raggio vettore p C si confonde sensibilmente colla verticale del punto p. Consideriamo ancora il punto o della traiettoria luminosa infinitamente prossimo a p, e corrispondente ai valori u-j-du delle variabili s, u sopra considerate ; conducendo il raggio vettore o C e col centro in C descrivendo l’arco di cerchio p q si forma il triangolo elementare p o q rettangolo in q, e che può essere considerato come rettilineo : il lato p q sottendendo l’angolo d u al polo C delle coordinate polari sopra dette, e appartenendo a un cerchio di raggio r ha per valore rdu, l’angolo opq è dato da 90°'—infine il lato oq non è, evidentemente, che l’aumento d h che riceve h quando dal punto p si passa al punto infinitamente prossimo 0 sulla traiettoria luminosa: se ne trae senza difficoltà : dh —— — r cot d u d 11 2 seffi 'C d n ' dii od anche, osservando che, per essere r — r 0 -f- h, si ha -j——-y— d 11 d 11 dr db d h y ~- = r cotg C dii fe • + r cotg' Altimetria. 227 ove rimane ad esprimere ^ in funzione di r e Per questo è ora necessario di caratterizzare la forma della traiettoria luminosa; in altri termini, bisogna conoscere la legge della sua costituzione. Sia y. l’indice di refrazione dello strato infinitamente sottile d’aria a cui appartiene il punto qualunque p della curva suddetta; è noto che si ha: * r y. sen '( = cost. (1) La natura della traiettoria luminosa dipende poi dalla legge secondo cui varia y, nella successione degli strati rifrangenti dell’aria (altezza), legge che può analiticamente essere espressa da una relazione fra y. ed r. Lasciando indeterminata pel momento questa relazione porremo: ry = F(r) (2) ove F rappresenta una funzione della sola r; così la (1) diverrà: F (r) sen ( = cost. ■ Questa, posta sotto forma logaritmica e derivata rispetto alla nostra variabile indipendente n, darà poi : F' (r) d r _ F (r) d 11 v di COtg C . -J- 11 * Questa forinola fondamentale che lega gli angoli d’incidenza a quelli di refrazione. Consideriamo infatti un punto p della superficie M N di separazione di due strati d’aria successivi, e siano fz l’indice di refrazione dello strato superiore, fz— dfz quello dell’ inferiore, i l’angolo d’incidenza, / l’angolo di refrazione di un raggio incidente in p; la legge dei seni ci dà: fi sen i — (p — dp) sen/. Se C è il cenno di curvatura -della linea MN, supposta circolare, q il punto in cui il raggio refratto incontra di nuovo un altro strato d’aria di densità diversa, e conduciamo i raggi vettori pC=r, q C—r — dr, il triangolo elementare p.qC che rima risulta subito dalla nota legge dei seni : cosi formato ci dà: sen p q C 228 Capitolo sesto. dr da cui, sostituendo a ^ il suo ^ valore più sopra dedotto, si trae: F> (p) r di d u F(r) In conseguenza la seconda delle (a) prende la forma: d 2 h F'(r) d n 2 F (r) sen 2 '( dalla quale, derivando, si ha: ry + r 2 eotg 2 1 d ] h U r 1 F' (/•) FF" d u 1 [ F (r) F Q {0 + ,3 ( F ' (0 F (r ) / J sen 2 "( COtg C , , y. , . -j- r cotg’ l (3)- Osservando che per s — o si ha r = r a , lo sviluppo precedentemente ottenuto per h diviene: h = r s COt» : ’l + r s cote + • F' (O i F(rJ sen 2 ccc c. ( 4 ) ove con abbiamo rappresentato il valore che prende al punto P (s — o), ossia la distanza zenitale del punto 0 di cui si cerca la differenza di livello rispetto al punto P. Questa distanza zenitale deve considerarsi come conosciuta per mezzo dell’osservazione, quindi la (4) dà la differenza di livello cercata in funzione della distanza geodetica nota r. Se invece di quest’ultima quantità introduciamo l’arco c del cerchio di raggio r 0 concentrico all’arco s la (4) prende la forma molto più semplice e conveniente : h — n cotg ‘C, cot§2 ^ 2 P(r o ) sen 2 ^ + ..., ecc. (5) La differenza fra r > ed r è, in generale, tanto più piccola quanto più la regione, cui l’altimetria si riferisce, è poco elevata sul livello Ma per la legge di continuità l’angolo pqC non è che il supplemento di 2 — di, per modo che quest’ ultima relazione diviene r sen/= (r — dr) sen (2 — d 2), e da questa, combinata colla legge dei seni, si trae: p r sen i — (u — ip) (r — d r) sen (2 — dt) che dimostra la proprietà analiticamente espressa dalla formula (1) del testo. Altimetria. 229 del mare, ed è facile constatare che, anche in regioni molto elevate, la sua influenza nel calcolo di h è trascurabile: perciò in pratica se ne fa completamente astrazione, e si fa uso della (5) introducendo in luogo di r. il valore dato del lato trigonometrico s. Del resto, quando si presentasse il caso di calcolare h con tutto il rigore per mezzo di una tale espressione, si passerebbe dal valore di 5 a quello di e per mezzo della formula data nel Capitolo IV per la riduzione di una base al livello del mare, formula che conviene evidentemente anche qui. 3 . Per applicare le formule cui siamo giunti ilei numero precedente è necessario di caratterizzare la funzione F (r). Ora, nello stato attuale della scienza, questa funzione ci è ignota, poiché ignoriamo la legge secondo cui diminuisce il calore atmosferico col crescere dell’ altezza, e da una tale legge dipende quella di variazione dell’indice di refrazione y. e della densità S dell’aria nella successione degli strati di cui l’atmosfera si suppone composta. È dunque necessario ricorrere in proposito a qualche ipotesi che presenti un sufficiente accordo coi relativi fenomeni a noi conosciuti, e parecchie ne furono proposte dagli astronomi che vi fondarono sopra le tavole di refrazione astronomica. Fra queste merita nel caso nostro una speciale attenzione l’ipotesi di Bouguer, che pose: ( 6 ) ove r ed r o rappresentano respettivamente i- raggi vettori corrispondenti agli strati d’aria, supposti sferici, nei quali gli indici assoluti di refrazione sono y. e y. o ed m è un coefficiente costante che quel- l’illustre scienziato determinò esperimentalmente, in modo da verificare un gran numero di refrazioni astronomiche osservate sotto distanze zenitali diverse. Per vedere qual sia la legge di diminuzione del calore atmosferico che corrisponde a tale supposizione ricordiamo la nota relazione y . 2 = 1 -|- c S che lega l’indice assoluto •di refrazione alla densità; ponendo r = r a A r h si dedurrà dalla (6): 1 + rS Il valore della costante c è molto piccolo: secondo Biot si ha: c~ o . 000 588 768 : Capitolo sesto. se si trascurano le potenze $ ce di — superiori alla prima la precedente relazione, dopo facili sviluppi, ci darà, con una approssimazione più che bastevole nel caso nostro : Ciò posto osserviamo che, rappresentando in generale con p la pressione (forza elastica) sostenuta dallo strato atmosferico di densità S e di temperatura t e con g la forza di gravità corrispondente all’altezza h di questo strato, si ha: Sdh dp — e, per la legge di decrescimento della gravità coll’altezza: (per maggiore chiarezza vedasi in seguito la teoria della livellazione barometrica ). D’altra parte l’ipotesi (6) che, per ciò che abbiamogli detto, può ridursi alla forma: i [i + c(S — &„)] * = h 1 +T r, O ci dà: da cui, sostituendo nella precedente espressione di dp, si trae: dp — 2 Integrando ed osservando che la costante d’integrazione è nulla, perchè p e X si annullano insieme, troveremo: C m c 4 e quindi: * ^ • (by Alt ii net ria. Ma è noto che, chiamando a il coefficiente di dilatazione dell’aria, si ha (vedasi in seguito la teoria della livellazione barometrica ) p __ ^ ( i -ha t) _ Po ^o( I + 5C 0’ i ed, a causa della piccolezza di a, eguale prossimamente a tremo nel caso nostro prendere : , po- 273 t 1 + a 0 —-O] (7) Combinando questa relazione colla ( ’b ) avremo: 1 y.(t — t o ) e, sostituendo nella (a), si trarrà infine: ri S m c a ( 8 ) Questa relazione dimostra che secondo l’ipotesi di Bouguer il calore atmosferico dovrebbe diminuire in progressione aritmetica col crescere dell’altezza. È impossibile di verificare esperimentalmente se questa conseguenza è esatta in realtà; però, sostituendo ad m, c, a i loro valori esperimentali dalla (1) si deduce che se si ascende di j8 m ,6 nell’atmosfera il calore dovrebbe diminuire di i° centigrado, mentre nella famosa ascensione aereostatica di Gay Lussac (Parigi, 1804) tale diminuzione fu di 40°.25 per un’altezza di 6980 metri, ossia di i.° per 173 metri, almeno ammettendo la legge di proporzionalità sopra indicata. * Altre considerazioni si aggiungono a mostrare l’inesattezza dell’ipotesi di Bouguer; tuttavia essa concorda assai bene coi valori osservati delle refrazioni astronomiche per tutte le distanze zenitali comprese fra o° e 75 0 : d’altronde una legge approssimativa che non rappresenta tutti i fenomeni coi quali ha relazione può tuttavia essere vantaggiosamente assunta come vera quando non si considera che una categoria speciale di questi, 0 si restringono i limiti entro cui la legge viene applicata : cosi si accetta comunemente come esatta la * Chauvexet, Spherical and Practical Astronomy. Voi. 1. Réfraction. Capitolo sosto. 2 52 legge di proporzionalità fra la dilatazione e la temperatura nei metalli per ( le temperature comprese dentro o° e ioo°, mentre essa non è che approssimativa: lasciando d’altronde indeterminato l’esponente m che comparisce nella (6) questa può rappresentare un infinito numero di maniere di decremento della temperatura atmosferica, e, se per ciascuna zona d’aria sufficientemente ristretta si dà ad m il valore indicato da apposite osservazioni, l’influenza dell’inesattezza dell’ipotesi verrà ad essere affatto trascurabile. Per caratterizzare la funzione F (r) ci varremo dunque della I 1 I 1U i (6), ponendo — = n,-c='y. 0 r 0 , ed, in conseguenza: — 11 Ricordando la (2) si trae: I — 11 F(r) = c r F‘ (r) = c (1 — 11) r perciò, la (5) diviene : c 2 -f- ecc. Cj 5 cotg ‘C + cotg' 2 r. 2 r o o Per solito l’approssimazione viene limitata ai termini che abbiamo scritti nella (9). Il termine successivo sarebbe il seguente : ed è affatto trascurabile in ogni caso rispetto alla precisione compatibile con questo sistema di livellazione. Per maggior comodità di calcolo si può dare poi alla (9) una forma più semplice osservando che se si sviluppa in serie rispetto a fi t il secondo membro della relazione 6 = c cotg (C — fi" c) -f — cotg 2 (‘C — (i'' c) (ove esprime il numero dei secondi di arco contenuti nella costante fi) si deduce: cotg^-f- cotg' ., ecc. 00 Alt ime! ria ossia, fino al terzo ordine, si ritrova identicamente il secondo membro della (9) se si pone:^ 1 — n 2 G ’ P" 1 —11 2 r a sen 1 " (12) In Geodesia il valore della distanza zenitale '( è poi in ogni ^2 caso molto prossimo a 90°, quindi il termine —- cotg 2 'C diviene 2 G affatto trascurabile: Bessel, dirigendo il celebre e classico lavoro geodetico prussiano ( Gradmessung in Ostpreussen) , adottò quindi pel calcolo delle differenze di livello la formula semplicissima : h — a cotg ('( —• u) determinando (3 esperimentalmente col metodo che vedremo in seguito, ed oggidì è di tale formula che in generale si suol fare uso. Il coefficiente n (da cui £i dipende) è conosciuto sotto il nome di coefficiente di refraffione. 4 . Se nella relazione (7) si sostituisce il valore di t — t o tratto dalla (8) si ricava PK = r 2h Po & r o 8 0 m c che, combinata colla (6), ci dà: a ih ’oK mc O3) Questa relazione può essere considerata come la base dell’ipotesi di Bouguer, e si è visto che in questa ipotesi, considerando le traiettorie luminose che si riferiscono agli astri e quindi traversano tutta l’atmosfera, si trova una legge di decremento troppo rapido del calore atmosferico, lo che indica che questo decremento non si può supporre proporzionale all’altezza (come l’ipotesi ammette) se non per altezze molto limitate. Poggiandosi su tale considerazione Bessel fondò le sue tavole di refrazione astronomica su di Una nuova ipotesi molto più conveniente, senza dubbio, alla rappresentazione della legge ignota sopra indicata: la concordanza delle refrazioni astronomiche calcolate per tal modo con quelle osservate anche sotto distanze zenitali molto grandi permette di accordare una grande fiducia sulla supposizione proposta da quel grande astronomo. Con una leggiera variazione Capitolo sesto. 234 all’ ipotesi di Bessel, variazione che non ha veruna influenza sulle conclusioni che siamo per trarre, noi porremo ora a base della ricerca della funzione F(r) la relazione ipotetica: (H) ritenendo le precedenti notazioni, e rappresentando con (3 un coefficiente costante da determinarsi esperimentalmente e con e, come di consueto, la base dei logaritmi Neperiani. È facile vedere che per piccole altezze la relazione (14) non differisce dalla (13) ove in questa si consideri m indeterminato: quindi per brevi tratti di una traiettoria luminosa, o per quelle traiettorie che corrono fra punti quasi ugualmente elevati sul livello del mare le due ipotesi sopra, indicate non differiscono fra loro. La relazione [x 2 — 1 = c () ' combinata colla (14) ci dà: d’onde : e (Si r o — I 05 ) Introducendo questo valore di ;x nella (2) si ottiene : F (r) = r 1 -f c S e 1 O /J e, m conseguenza, avremo: F>(r) = ( , * ** '•0) r c $ [3 '\i+cb o e ) - ■V I+^o 1 h y Q Per r—r Q , osservando che allora si ha h — o, si deduce: F(:rJ = r o \] i-pcS o V (r \ - 2 ( r + g( U — 2\Jl+cS 0 Alt metrici. 235, da cui : F- (Q J_ ( _ c 8- ) F(.Ó r a l 2(1 -fc 8 j' Quindi la serie generale (5) diviene: h = n cot '(, H-cot 2 ’( -)- jy 1 2 r Q 2 r o sen ;,L c 8.. 8 2 0 + Ponendo se ne trarrà: P = c 8 8 2 (1 -t- c«„) —1~ ecc. (16) (i?> h = c cotg £ -|-cot 2 '( -j-5y Q — p) ■ ■ ■ (l8> b 1 1 2r 1 2r sen c <"» O ~I Si vede dalla (17) che p è una certa funzione della densità 8 a dello strato d’aria cui appartiene il punto di osservazione corrispondente ad r — r, 8 = 8 0 e questa densità è a sua volta una funzione dell’altezza assoluta H di tal punto sul livello del mare, o megli»' una funzione della pressione b e della temperatura t nel punto di osservazione suddetto. Sia A la densità dell’aria a 76o mm e a o° C.; in Fisica si dimostra che : a _ b_ 1 A 760 I -f- E t ove s è il coefficiente di dilatazione dell’aria e b si suppone espresso in millimetri di barometro; ne consegue: c S = c A Poniamo : ed avremo 760 (1 + s O ' c A 0.000588768 60 760 c ò\ a K 0 i+s*o’ P 2 .{y.b 0 + 1 + it 0 ) 8 ai od anche, per essere a, s delle quantità molto piccole, Capitolo sesto. >36 d’onde si vede che il cosidetto coefficiente di refratone p diminuisce in questa ipotesi col diminuire della pressione b e quindi col crescere dell’altezza, mentre nell’ ipotesi di Bouguer resterebbe costante. La discussione dei numeri precedenti pone in chiaro come il valore del coefficiente di refrazione dipenda in parte dalle condizioni atmosferiche e varii col variare di queste. Qualunque sia pertanto il valore che si adotta per n o per p esso deve esser considerato come affetto da un certo errore A n, di cui l’influenza A h su di una differenza di livello h determinata per mezzo della (9) •o della (18) è : Ah = A 11 1 r sen' r ■ Nelle livellazioni trigonometriche di qualche importanza questo errore viene eliminato dai resultati introducendo nel calcolo di ciascuna differenza di livello le due distante genitali reciproche (vedi numero successivo). Nei lavori di minore entità, in cui si fa uso di una sola distanza zenitale, l’eliminazione sopraddetta si ottiene per mezzo della livellatone irraggiante } determinando cioè la differenza di livello per ciascuna coppia di punti colla misura delle loro distanze zenitali fatta da un terzo punto che disti pressoché egualmente da essi. Per questo punto, che serve di centro di irraggiamento rispetto ai punti di dettaglio che lo circondano, si scieglie uno dei punti principali di una rete trigonometrica; la precedente espressione di Ah, osservando che le distanze zenitali che si hanno da considerare in Geodesia sono sempre assai prossime a 90°, e quindi il valore di sen ( è prossimo all’ unità, ci fa vedere che la differenza fra le differenze di livello h t , determinate fra il centro di stazione e due dei punti di dettaglio egualmente distanti da esso è indipendente da ogni errore nel coefficiente di refrazione, almeno quando le osservazioni sui due punti sono state fatte pressoché nello stesso tempo. 5 . Attualmente nel calcolo delle differenze di iivello non si fa uso che della formula (9) o della (18). Tuttavia non possiamo a meno di parlare di un’ altra formula molto semplice che può essere vantaggiosamente adottata, ma che presenta l’inconveniente di non mettere in evidenza nelle distanze zenitali gli errori di osservazione provenienti da refrazioni eccezionali, mentre questi risultano subito dalle formule sopra ricavate, quando, invece di una sola distanza .zenitale in un estremo dell’arco r >, si misura anche la sita reciproca. Aìtimetria. 2 3 7 Allorché in ciascuno dei due punti fra cui si cerca la differenza di livello si è misurata la distanza zenitale dell’altro le due distanze zenitali sono dette reciproche o conjugate ; sono dette inoltre contemporanee se le osservazioni nei due punti sono state fatte di concerto nello stesso istante. Sieno due distanze zenitali reciproche;, applicando la (18) avremo: ,Y I °" 7 i AL. C 1 P) h = c j cote; L -\ -cot G 1 1 2 r 6 2 ‘C,+ 2 >\ sen ^ 7 h: + ■— cotg" ‘^2 r b + o 2 (l—p) 2 r.sen 1 Ora la discordanza dei due resultati ottenuti per h da queste formule sarà dovuta in parte agli errori di osservazione delle ì^, ‘( 2 e in parte poi all’errore della ipotesi ammessa sulla costituzione dell’atmosfera, o alle anomalie della traiettoria luminosa. Per dedurre l’altra formula di cui abbiamo parlato poco sopra consideriamo due punti A, B terrestri (fig. 40), e sia A B' la traccia del piano normale in A alla superficie di livello cui questo punto appartiene e passante per B; supporremo, come precedentemente, che le due normali ad AB condotte per i punti A, B si confondano colle due verticali che passano per questi punti in modo che BB' rappresenterà la differenza di livello h fra i punti A, B. È noto che dentro estesi limiti di distanza l’arco AB' può considerarsi come un arco di cerchio; ad ogni modo sappiamo trovare (Capitolo II) lo scostamento della curva AB’ dall’arco di cerchio osculatore in A r corrispondente all’arco a = AB'. In questo caso tale scostamento è evidentemente eguale all’errore che si fa calcolando la differenza di 2}S Capitolo sesto. livello h coll’ ipotesi precedentemente ammessa della coincidenza delle due suddette curve. Siano ancora A m B la traiettoria luminosa fra A, B e rappresentiamo con '( l5 ‘C 2 le due distanze zenitali reciproche misurate fra tali punti: conducendo le tangenti TA,UB in A, B alla traiettoria luminosa avremo: BB' = h, TBU — UAT — Z l . Gli angoli TAB, UBA corrispondono alle deviazioni delle visuali fra A, B dalla corda A B dovute alla presenza dell’atmosfera ; rappresentandoli con AÌ^, a'( 2 e ponendo r = AO, AOB = u è facile dal triangolo ABO ricavare : (i8o°— ‘C — A ‘O + (i8o°—'C 2 — a‘C 2 ) + « = i8o°, \ A 1'+ A ( 2 = l8o°+ u — ‘C( 2 r + /? _ sen (‘(,4- A ’Q r sen (( 2 -t- A ( 2 ) •e quindi, combinando le due ultime: h ^ sen CC,+ A £, ) — sen (~C 2 + A ‘Q = , 2 r + h sen ('(,+ A '(,) + sen (‘C 2 + A ‘Q re — c + a r - il,) . \ -2_*i 2_ ’jy ^ 2 ( 20 ) / = tang Ma facendo o = AB' si ha — = —; e quindi, sviluppando tang — in serie : 2 r c 'C — H A ( -— A 'C U _ ], = (2 r + h) — tang :J - ’ - 2 ^ 1 -- + — d’onde si ricava: — h = c- tang •C-‘C 2 +a‘C-a: i+ —tang + • ■ «e finalmente : h — c tang ^-‘c.+a'c-ai:, 2 r tang 2 1 - 2 - Y _ Y : 4- a c — ac “ I 1 * 2 * 1 ( 21 ) La traiettoria luminosa AmB è in ogni caso assai poco curvata, e -quindi la lunghezza dell’arco AmB è assai piccola rispetto al re- Altimetria. lativo l'aggio medio di curvatura : si suole in conseguenza ammettere che tale arco si confonda col cerchio osculatore al suo punto di mezzo, nel qual caso si ha a£ i = a£ 2 e la (21) diviene: + —tan (22) h — a tang che è appunto l’altra formula che volevamo stabilire pel calcolo delle differenze di livello. 6. Dobbiamo ora vedere come si determinano per mezzo dell’osservazione i valori che respettivamente convengono ad n o p a seconda dell’ipotesi che si adotta sulla costituzione dell’atmosfera. Perciò, riprendendo la serie generale (5), introduciamo per un momento l’ipotesi che l’atmosfera sia in tutti i punti egualmente densa, nel qual caso la traiettoria luminosa sarebbe una retta, e la distanza zenitale osservata sarebbe mantenendo a A ‘C [ il significato che gli abbiamo attribuito nel numero precedente. Si avrebbe allora y. = cost; quindi la (2) darebbe F(f) = cr, F' (r) =c e la serie- generale (5) diverrebbe: Sviluppando in funzione delle potenze ascendenti di A ed osservando che, per essere quest’angolo' piccolissimo, si possono trascurare le sue potenze maggiori alla prima ed anche i termini che contengono —AC, troveremo: 0 2 r A ^ . n . sen 1" cot 2 2 r sen 2 (^ h = a cot C Comparando questo resultato successivamente colla (9) e colla (18) dedurremo respettivamente : 2 r 0 sen 1" ’ 2 r a sen 1" ' Analogamente per la distanza zenitale reciproca di ‘C t si troverebbe: 2 r sen I 2 r sen 1 Se si adotta l’ipotesi di Bouguer sulla costituzione dell’atmosfera, 240 Capitolo sesto. e si ricorda la seconda delle (20), ponendo r = —“ e notando che si può senza errore sensibile sostituire r nelle precedenti espressioni invece di r n e r 1 si otterrà : 18o° -f- u r sen 1 ' od anche, per essere u = r ( 2 3 > r . sen 1". Se dunque si misurano le zenitali reciproche ( 1 ,, *C 2 si può per loro 'mezzo determinare n. In pratica, quando si vuole determinare il coefficiente di refrazione, si misurano queste zenitali con tutta accuratezza e contemporaneamente: però il coefficiente 11 che ne risulta è conveniente allo stato d’aria del momento di osservazione. In generale è stato constatato che n varia molto rapidamente coll’ora del giorno, ma ha un valore assai costante nelle ore meridiane delle varie stagioni ; ed è questa la ragione per cui si scelgono sempre tali ore per osservazioni zenitali di punti terrestri. E poi da evitarsi ogni osservazione con tempi foschi, con vento forte od in giornate semicoperte. La (23) dimostra che per determinare il coefficiente di retrazione la migliore condizione di distanza fra i punti osservati è quando essa è molto grande, poiché in tal caso gli errori di osservazione commessi nel misurare gli angoli '( 2 sono meno sensibili. In ogni modo questi errori hanno sempre una grande influenza nella ricerca che ci occupa, ed è necessario di determinare n da un gran numero di coppie di distanze zenitali reciproche e contemporanee, come meglio si intenderà nello sviluppo della teoria degli errori. 7 . Adottando l’ipotesi di Bessel abbiamo invece per la seconda delle (20), sostituendo, come precedentemente, invece di r t ed r 0 il loro valore medio r: p h -s-g ; (24) r sen 1". Abbiamo visto [formula (19)] che p può mettersi sotto la forma kb(i — £ f), ove k è una costante, b la pressione barometrica e t Altimetria. 241 la temperatura nel punto di osservazione. Perciò, ricordando che si ha u = — , potremo porre : 1 P-P' + s O + (1 -f E /,)] = - 180 0 r sen 1" = N ( 2 à) ed N sarà una quantità data dall’osservazione. Quindi dalla (25) si può dedurre il valore k se ai punti di osservazione è stata misurata altresì la pressione e la temperatura. Avuto k da un gran numero di coppie di distanze zenitali, si può calcolare una tavola di valori di p a doppia entrata (temperatura e pressione) per mezzo della p=kb(\ — zi), e di questa tavola far poi uso nei calcoli delle differenze di livello. In generale non si osservano nè la pressione, nè la temperatura, pure sarebbe utile di ritenere approssimativamente l’ipotesi di Bessel nel calcolo delle altitudini trigonometriche. In questo caso si può porre : P = n„ J r m a H ove n 0 , m o sono delle costanti ed II è l’altezza assoluta del punto di osservazione. Per avere n a ed m a consideriamo due distanze zenitali reciproche £/, ’( 2 ' fra due punti posti prossimamente alla stessa altezza H m . Avremo allora per la (25), notando che in questo caso p e p t possono ritenersi eguali al valore p m di p corrispondente all’ altezza media H m : ■ ni AL = S/-f 180 0 r sen 1 Per un’altra coppia di distanze zenitali fra punti che abbiano la altezza prossima H' m si troverebbe analogamente : -m. Hi 7 ’i - 4 - 180 0 r. sen 1 '' e, così continuando, si potrà stabilire un seguito di equazioni le quali* risolute coi metodi che diremo nel Capitolo VII, ci daranno i valori più probabili di n Q , m n . Alcune considerazioni che qui non possiamo sviluppare conducono però ad ammettere che p sia una funzione altresì della distanza 5 e dell’azimut relativo. Pucci, Geodesia. 16 242 Capitolo sesto. Fin ora le altitudini trigonometriche sono state determinate sempre coll’ipotesi di Bouguer, ossia considerando il coefficiente di refrazione come costante. Qui sotto diamo i valori che hanno servito nei lavori classici: j 0,008 ( Puissant ) ( Bessel ) < 0,1285 (Corabeuf ) n = < 0,1285 I 0,1306 (Gauss) \ 0,12374 (Strave). Nonostante l’apparente concordanza di alcuni di questi resultati gli errori probabili delle determinazioni sono molto forti. Struve propone la legge empirica i,oi2 2 °- ( 0,1448 1 4 - H ) 736,6 ove H è l’altezza assoluta media dei due punti considerati, b la pressione, t la temperatura del punto di osservazione. In Italia la discussione di un ampio lavoro fatto in Liguria ha condotto alla formula: p = 0,0876 + o . 0000019 0 — 0.000023 H (26) coll’errore probabile di 0,0014. In questa formula a è la distanza fra i due punti che limitano la traiettoria luminosa, H l’altezza assoluta del punto di osservazione. 8. Quando da un punto di osservazione si vede V or imponi e del mare si può calcolar l’altitudine del punto, almeno con una notevole approssimazione, misurando la distanza zenitale dell’orizzonte marino. A dire esattamente, questa distanza, a causa della diversità fra il Geoide e la sfera, varia coll’azimut del punto osservato sull’orizzonte: la legge di questa variazione avrebbe anzi una grande importanza nella ricerca della forma del Geoide se le distanze zenitali dei vari punti dell’orizzonte marino fossero, almeno differenzialmente, suscettibili di misure di alta precisione, e se non fossero estremamente sensibili le refrazioni anormali che un raggio di luce soffre negli strati molto prossimi a una superfìcie riflettente 0 irraggiante come è quella del mare. Ad ogni modo non è superfluo di esporre brevemente qualche considerazione in proposito. Altimetria. 243 Supponiamo per il momento che l’aria abbia una densità costante e la refrazione atmosferica terrestre sia quindi nulla; questa ipotesi non altera le conseguenze a cui giungeremo. E facile vedere che rappresentando con h l’altezza assoluta sul Geoide di un punto di osservazione A, con R il raggio di curvatura della sezione di azimut a normale nel punto del Geoide corrispondente al punto A e con "( la distanza zenitale che si misurerebbe per l’orizzonte marino in questa direzione nell’ ipotesi sopra indicata, si dovrebbe avere R R + h = sen '(, ( 27 ) giacché l’arco di sezione normale compreso fra il punto di osservazione e il punto osservato può senza errore sensibile esser considerato come un arco di cerchio (Capitolo II). Analogamente, per un’ altra direzione a t qualunque, si avrebbe : R' R + h = sen y e, ponendo = '( -f- x, sarà facile di ottenere : x = • COS ! S+ì ‘+ii od anche, con sufficiente approssimazione: h ( 1 1 cos UR R / Il valore prossimo di cos '( = \j 1 •—• sen 2 ‘( si deduce subito dalla h (27) sviluppando l’espressione di sen '( in funzione di , e trascurando le potenze di questa quantità maggiori della prima : così si trova cos '( = 2 h e quindi per x espresso in secondi Mi arco : \/ 2 sen i"\R R ) ■ 244 Capitolo sesto. Esprimendo R' in funzione dei raggi di curvatura principali R l} R , e dell’azimut x che gli compete e supponendo che la sezione normale di raggio R rimasta arbitraria coincida ora con quella di minima curvatura, avremo : \j R z h cos : \j 2 sen i (28). dalla quale, conoscendo h ed R 2 e misurando i diversi valori che prende x in corrispondenza a valori prestabiliti di a, si potrebbe determinare la forma della superfìcie intorno al punto di osservazione. Se si suppone che il Geoide si confonda coll’ellissoide terrestre, si ha (Capitolo II) 1 1 V 1— e‘scn~ p ( 1—c 2 -f-c 2 cos 2 x cos 2 9 ) « v j e quindi : h e 2 cos 4 a cos 2 9 e 2 ) sen 1 alla quale può anche darsi, senza errore sensibile, la forma : h e 2 cos 4 x cos 2 9 2 a sen 1" La differenza x diviene massima per le due direzioni principali (Perpendicolare e Meridiano), nel qual caso si trova, ponendo « = O : h e 2 cos 2 9 2 a ’ sen 1 ' ' Per b= 3000”, 9 = 45 0 si avrebbe in questa ipotesi x= 13". oj. La formula (29) servirebbe poi assai bene al calcolo del valore dell’eccentricità e conveniente ad una data zona marina quando la misura di x fosse suscettibile di una grande precisione, e il valore di h fosse molto grande, e determinato trigonometricamente con una sufficiente precisione: alcune" esperienze fatte al picco di Teneriffa hanno anzi dato dei resultati concordanti col noto valore di e più di quanto fosse lecito a prima giunta di sperare da un metodo così incerto. Altimetria. 245 9 . Siano ora in generale : R il raggio di curvatura della sezione normale di azimut a nel cui piano si misura la distanza genitale apparente '( dell’orizzonte marino, b l’altezza MA del punto di osservazione M (fig. 41) sul livello del mare che è rappresentato in figura da A B, B il punto osservato dell’orizzonte marino ed M 0 B la traiettoria luminosa : questa nel punto B deve essere tangente alla sezione normale A B, perchè, se la tagliasse, vi sarebbe sul mare un altro punto B i più distante di SdaMe che pure sarebbe visibile da questo ultimo punto. La distanza zenitale apparente del punto M osservato da B sarebbe dunque di 90°, quindi dal solito triangolo M B C (C centro di curvatura dell’arco A B ) avremo, come abbiamo visto altra volta (n.° 5) : b 2 R^b 90°— ‘C 90° 4 - C + 2 A '( (30) dove A '( è la retrazione terrestre supposta uguale per i due estremi A, B della traiettoria luminosa (Ipotesi di Bouguer). Ora, rappresentando con r la lunghezza dell’arco A B, il triangolo stesso MBC dà: 90° - — 2 A '( + R sen 1" e al n.° 6 abbiamo dimostrato che si ha: ^ o 2 A *( ■ 11 S R sen 1 Da queste due relazioni, si trae: '( + 2 A ‘( = 90° + = 0. R sen 1" 90° R sen 1 ' 1 — n 24 6 Capitolo sesto. La prima di queste introdotta nella (30) la riduce alla forma : h = (2 R 4- h) tang Z — 90° tang ; 1 2 R sen 1" e di qui, sostituendo a il suo valore in funzione di '( e di n,. si deduce: I, = ( 2 R + I,) tmg che, risoluta rispetto ad' h col metodo delle successive approssimazioni, ci dà: Z — 90° Z ■ b = 2R tang--—tang —^ . 2 0 2 (1 — n) 90° + I „ -f- 2 R tan: r 2 ^ 9 o° , Z — 90° —— tang - (3 1 ) 2 (1 — «) ’ In pratica questo metodo di determinar l’altezza di un punto non è suscettibile di grande precisione, quindi è inutile di tenere tutta l’approssimazione data dalla (31), e può a questa formula darsi una forma più semplice osservando che Z — 90° è sempre un angolo molto piccolo (a quest’angolo suole darsi il nome di depressione dell’ orizzonte). In conseguenza invece delle tangenti degli angoli di '( — 9 o° Z — 90° 2 ’ 2 (1 — ri) porre adunque : si possono sostituire gli archi relativi. Si suol b = R CC — 9 o°y 2(1 — n) sen r (3 2 ) e il valore calcolato di h deve essere ridotto ancora per la marea . Di questa correzione parleremo in seguito trattando del modo di stabilire i punti di partenza per le differenze di livello. 10. Nel parlaré precedentemente delle distanze zenitali reciproche abbiamo supposto. che le normali alla sezione normale che congiunge i due punti di osservazione si confondano colle corrispondenti verticali (o normali al Geoide). Ciò in realtà non avviene, ma è facile il dimostrare che l’errore che con tale ipotesi abbiamo introdotto nei risultati è sempre trascurabile. Infatti si è dimostrato nel Capitolo III che l’angolo fra la geodetica che congiunge i punti estremi A , B di un arco di sezione normale, e questa Altimetria. 247 seconda curva, non raggiunge in uno dei suoi estremi il valore di 0". 1 per distanze quali sono quelle che si debbono considerare nelle livellqzioni trigonometriche. Non è difficile intendere che in simil genere di livellazione le brevi distanze sono sempre le più convenienti, poiché si rende, cosi, meno sensibile nei risultati l’influenza delle refrazioni atmosferiche anormali : d’altronde la semplice ispezione delle formule sopra dedotte mostra altresì che ad un certo errore nelle distanze zenitali corrisponde un errore relativo tanto più forte nella differenza di livello quanto più, in eguali condizioni di differenza di livello, è prossima a 90° la distanza zenitale, ossia quanto più i punti sono lontani. Dunque potremo ritenere che nell’estremo B di un arco di sezione normale AB l’elemento di questo e quello della geodetica A B corrispondente abbiano la stessa direzione, che è quanto dire che la sezione A B normale in A formi in B una sezione obliqua corrispondente alla sezione normale che passa per questo punto B. Questa sezione normale è contenuta nel piano osculatore in B alla geodetica, e tal piano osculatore, sullo sferoide, passa prossimamente per il punto A, perchè la geodetica A B non differisce che di pochissimo dalla linea piana AB (sezione normale) considerata. Quindi il piano determinato dalla normale in B alla sezione normale e della normale alla superficie in B (verticale) forma, col piano della sezione normale considerata, prossimamente un angolo di 90°. Nelle nostre formule abbiamo perciò introdotto lo stesso errore come se le distanze zenitali reciproche fossero state misurate con un istrumento il cui asse verticale fosse inclinato, rispetto alla verticale dell’ istrumento, di un piccolo angolo compreso in un piano perpendicolare al piano in cui si doveva eseguir la misura. Vedremo fra breve che in questo caso la zenitale osservata non differisce sensibilmente dalla distanza zenitale che si cerca. Un errore assai maggiore è quello che proviene dalla ipotesi fatta che l’arco di sezione normale che congiunge due punti sulla superficie del Geoide si confonda sensibilmente col suo cerchio osculatore in un suo punto qualunque compreso fra questi. Un tale errore potrebbe esser facilmente computato per mezzo della formula (21) del Capitolo II, che è: „ c 3 e 2 cos oc sen 2 o r_. IA --L e che dà la correzione da farsi alla differenza di livello calcolata 248 Capitolo sesto. sulla sfera per rjdurla ad una differenza di livello ellissoidica. Della deviazione del Geoide dall’ellissoide, per le distanze atte alla livellazione trigonometrica, può poi sempre farsi astrazione. Sia però M M' (fig. 42) l’arco n di sezione normale che in lunghezza può supporsi uguale all’ arco M M" del suo cerchio osculatore in M: invece della verticale M"' M" su cui devono contarsi le altezze, noi abbiamo considerato il raggio CM" Al', commettendo nella differenza di livello calcolata l’errore M" M'", ossia l’errore M'M" che non differisce sensibilmente da M'' M"', e che è dato in valore dalla formula precedente. Per una distanza di 100,000 metri il massimo valore che può prendere r — R è di o m ,o4, quantità inferiore di molto alla precisione cui si può aspirare nella determinazione delle altezze per mezzo delle distanze zenitali fra punti così distanti fra loro. Nella determinazione del coefficiente di retrazione invece l’erFig. 42. rore, che si commette trascurando di tener conto della ellissoidicità dell’arco di sezione normale M M', diviene sensibile perchè la normale in M' alla sezione normale e il raggio C M" del punto M" del cerchio osculatore ad essa in M formano un angolo che ha un valore apprezzabile anche per distanze geodetiche assai piccole. Ora ‘C 2 , che comparisce nelle formule (23), (24), (25), si riferisce realmente alla direzione di questo ultimo raggio, mentre la distanza zenitale misurata reciproca alla si riferisce alla direzione della normale in M' alla sezione normale MM'. La distanza zenitale misurata reciproca alla dovrebbe dunque essere introdotta in calcolo corretta di un piccolo angolo variabile colla distanza, lo che giustifica l’espressione (26) posta per p. Conviene però notare che facendo uso di due distanze zenitali reciproche per il calcolo delle differenze di livello, ed applicando a queste le formule (9) o (18), un errore in p o in n non ha influenza nella media dei due valori separatamente ottenuti per mezzo di ciascuna distanza zenitale. 11. Ci resta a parlare della misura delle distanze zenitali e a dedurre per questa le formule analoghe a quelle che nel Capitolo precedente abbiamo stabilito per la misura degli angoli azimutali. Ai t metrici. 249 Di solito gli angoli zenitali si misurano coll’universale, col teodolite o col cerchio zenitale reiteratoti; il sistema della ripetizione è andato completamente in disuso. La misura vien fatta sul cerchio zenitale che, negli istrumenti reiteratoti, abbiamo visto essere intimamente connesso al cannocchiale e girare con esso nel proprio piano quando l’asse ottico ruota in un piano verticale, l’istrumento essendo fisso in azimut. Da tale movimento i microscopi zenitali sono indipendenti e si suppone che rimangano in una posizione perfettamente fissa; in realtà i piccoli movimenti che essi hanno sofferto si apprezzano per mezzo della piccola livella di precisione che è con loro collegata invariabilmente. Se il cerchio non è concentrico all’asse orizzontale di rotazione del cannocchiale, ossia questo asse non passa pel centro della graduazione verticale, sono applicabili naturalmente le formule dedotte nel Capitolo precedente per l’eccentricità dei cerchi, e in ogni caso un sistema di microscopi equidistanti basta per eliminare dalla media delle letture ogni errore di eccentricità. Supporremo dunque la graduazione zenitale perfettamente centrata. Ciò posto, siano sulla sfera celeste Z (fig. 43) lo zenit di un istrumento, P, K i punti in cui i suoi assi verticale ed orizzontale incontrano respettivamente la detta sfera: chiamiamo, come nel Capitolo precedente, con b l’inclinazione di questo secondo asse sull’orizzonte, in modo che si avrà ZK =90°— b e rappresenti O la direzione osservata in una certa posizione del cannocchiale (l’istrumento fisso in azimut) ossia la direzione dal- l’asse di collimazione: si cerca la distanza zenitale '( =ZO. Facendo ruotare il cannocchiale intorno al suo asse orizzontale dal suo asse ottico vien descritto il gran cerchio U V sulla sfera celeste e dall’asse di collimazione il piccolo cerchio OR: il polo comune di questi due cerchi è in K , e se ad un tempo è nulla la parallasse c del cannocchiale ( costante di collimazione') e gli assi principali dell’istrumento sono perpendicolari fra loro, i due cerchi suddetti si confondono con un unico cerchio che passa per P: se poi anche la costante di livella b è nulla, questo cerchio passa anche per Z. U R 250 Capitolo sesto. In questo ultimo caso la determinazione della distanza zenitale cercata di O è ovvia: infatti sia l o la lettura ignota che i microscopi farebbero sul cerchio zenitale quando si puntasse lo zenit Z ed /, quella corrispondente alla direzione 0 del cannocchiale; si avrà: Invertendo la posizione dell’istrumento, ossia facendolo ruotare in azimut di 18 o°, la lettura dello zenit rimane evidentemente la stessa e si ha analogamente, notando che il senso della graduazione è ora invertito e chiamando l 2 la nuova lettura fatta su O: e quindi Nel caso generale, in cui le costanti b, c hanno un valore diverso da zero, ma molto piccolo, conduciamo i grandi cerchi O K, P K, Z K e siano A, A’ i punti in cui questi due ultimi incontrano il piccolo cerchio OR; siano inoltre /,, l o le letture fatte sul cerchio zenitale quando l’asse di collimazione è diretto in O ed in A respet- tivamente; l’angolo sferico OKA è misurato dall’angolo di cui ha dovuto ruotare il cannocchiale e quindi il cerchio (l’istrumento essendo fisso in azimut) intorno all’asse orizzontale per puntare successivamente O ed A, e quindi, supponendo che la graduazione proceda da A in 0, sarà: O K A — l — l . I O La posizione relativa dei punti A, A' cambia col cambiare dell’azimut dell’istrumento, e tali punti coincidono quando il punto K si trova nel piano del gran cerchio P Z. La livella unita ai microscopi zenitali dà evidentemente, col girare dell’istrumento in azimut, le variazioni subite dall’arco A A'. Siano dunque X lS \ le letture fatte sulla livella respettivamente quando l’azimut è tale che A A' abbia il valore conveniente al puntamento di 0, e quando A A' è nullo: si avrà A A' = \ — 1 I O e, ponendo A’ KO — si trarrà: "£'= + \ — K — \ ( 33 ) Devesi però tener presente che le quantità l o , 1 0 ci sono ignote. Altimetrìa. 251 Ora il triangolo sferico A' K O, ove il lato K 0 è eguale a 90° -f- c, ci dà, nelle notazioni sopra stabilite : cos '( = —■ sen c sen b -j- cos c cos b cos X,' e da questa, osservando che c, b sono quantità molto piccole e che ne sono affatto trascurabili le seconde potenze e i prodotti, si trarrebbe subito che si ha sensibilmente *( =£'. Ad ogni modo, tenendo conto anche delle quantità di secondo ordine rispetto alle costanti di aggiustamento, si troverà: cos — cos ‘C = b c + b 2 4- c 2 2 COS r> ^ • Se si pone, secondo il solito, £ = £'+* si deduce, sempre colla- approssimazione delle quantità di secondo ordine: b c 4- b 2 + c 2 COS ■ d’onde, ricordando che sen Y< Yj Yj 2 sen — cos — 2 2 COS Y' - cos 2 ■ sen — 2 r> Y'- e moltiplicando il prodotto b c per cos 2 4- -f- sen 2 4-, si ottiene senza difficoltà: x '/ cotg tang Y'I 2 sen 1". (34> che è la correzione in secondi da farsi a per ottenere ‘C. Resta ad eliminare dalla (33) l o , 1 0 . Ma se si inverte l’istru- mento, facendolo ruotare in azimut di 180 0 , e si chiamano con / 2> . \ 2 le letture fatte sul cerchio e sulla livelletta puntando in O in questa nuova posizione e se si osserva che la lettura fatta sul cerchio puntando nuovamente in A coll’istrumento invertito non cambia, giacche l’istrumento ha girato intorno alla direzione fissa P» ma il senso della graduazione è invertito, si avrà analogamente: '( ■= / — / 4 -1 ^ O 2*0 l") tang—! sen 1" o 2 ) ( 35 ) ) 252 Capìtolo sesto. e quindi, per le (33), (34): ( 36 ) L’inversione non elimina dunque qui, come nel caso della misura degli angoli azimutali, l’influenza degli errori di aggiustamento : però questa influenza nella misura delle distanze zenitali è di secondo ordine rispetto a tali errori : è necessario e sufficiente, per non tenerne conto nelle zenitali geodetiche, che essi siano ridotti molto piccoli; ma astronomicamente parlando la distanza zenitale '( potendo divenire molto piccola, diviene indispensabile di conoscere le costanti b, c e calcolarne l’influenza per mezzo della (34). Del resto le zenitali astronomiche essendo fatte in generale su punti mobili nello spazio, vi hanno inoltre, per servirsi del metodo di inversione, certi altri criteri da seguire, dei quali l’esposizione esce dal programma di questo libro. Per zenitali geodetiche si prende adunque ‘0 1. K , Le (35) e (33) portano altresì alla relazione: K = l + \ o * 0 / - 4 _ /, } 4 - 1 ( 37 ) e questo valore II ha una certa importanza quando in un dato punto di stazione si debbono misurare molte distanze zenitali in una identica posizione del cerchio rispetto all’asse orizzontale del- l’istrumento, giacché in questo caso ogni coppia di osservazioni conjugate l t , l 2 deve dare per K uno stesso valore, qualunque sia il punto osservato. La discordanza fra i vari valori ottenuti può dare, con dei criteri che esporremo nel Capitolo seguente, l’idea della precisione delle osservazioni fatte. Il valore geodetico di I\ serve poi in alcuni casi in cui (come in Astronomia sferica) si tratta della misura della distanza zenitale che un punto mobile nello spazio ha in un dato istante. Astronomicamente, ripetiamo, vi hanno però per le distanze zenitali altri metodi di misura suscettibili di maggiore precisione di questo. 12 . In alcune ricerche speciali conviene conoscere l’influenza delle attrazioni locali sulla misura delle distanze zenitali, o come si •dice, Y attrazione locale in distanza zenitale. Sarà superfluo di notare Altimetria. 25 S che la considerazione di tal genere di attrazione non entra per nulla nella livellazione trigonometrica, giacché in questa è essenzialmente Y altitudine dei punti al disopra del livello medio del mare che si cerca e quindi debbono essere introdotte in calcolo le distanze zenitali apparenti anziché le ellissoidiche. Sia ancora, come nel Capitolo precedente, 6 l’attrazione locale in un punto di osservazione, Z lo zenit vero e Z' lo zenit ellissoi- dico di questo punto e contiamo gli angoli azimutali a partire dal verticale Z Z'. La distanza zenitale apparente di un punto osservato 0 sarà ZO e Z' 0 = Xj la ellissoidica; l’angolo azimutale che compete al punto 0 sarà infine O Z Z' = oc. Ora dal triangolo sferico OZZ' si deduce: cos *(' = cos C cos 0 + sen "( sen 0 cos x da cui si trae, notando che 0 è sempre un angolo estremamente piccolo : cos — cos ’C = f) sen '( cos oc. Perendo ’Xj = £ — k, si avrà dunque, colla solita approssimazione : k = 0 cos oc (38) Per x = o evidentemente k diviene eguale a 0 , e per oc = 90°, l’influenza dell’attrazione locale è nulla. Quest’ultima considerazione giustifica quanto fu detto nel numero io sull’ipotesi adottata che le normali ai punti di una sezione normale si confondano sensibilmente colle corrispondenti verticali. 13 . Naturalmente è applicabile alla misura delle distanze zenitali quanto abbiamo detto nel Capitolo precedente sugli errori che si commettono nelle misure azimutali fatte per mezzo di. istru- menti goniometrici a cerchi graduati. Ma in questo caso vi ha altresì un’altra causa di errore inerente agli istrumenti di’grandi dimensioni e non dobbiamo omettere di parlarne: in realtà in Geodesia non se ne suole tener conto, quantunque in certi istrumenti in cui il cannocchiale è dissimmetrico rispetto all’asse di rotazione (come nel caso dei cannocchiali spezzati) o molto leggiero e facilmente deformabile (come nei comuni teodoliti di Starke, che pure sono eccellenti istrumenti geodetici) tale errore divenga sensibile, nonostante la loro piccolezza. Questa nuova causa di errore, che deve porsi nel numero delle cause di errore costante (ossia di quelle che producono sempre l’identico effetto quando la quantità misurata, in questo caso l’angolo, ha lo stesso valore), é la flessione, cioè il 254 Capitolo sesto. cambiamento relativo di forma che succede nel cerchio graduato se non è orizzontale, e nel cannocchiale se non è verticale. Il modo di tener conto della flessione del cerchio può vedersi descritto in quasi tutti i trattati moderni di Astronomia sferica, * e noi rimanderemo a tali trattati il lettore che volesse conoscerne la teoria; giacché, a causa delle piccole dimensioni che hanno i cerchi negli istrumenti geodetici anche di alta precisione e per la precisione che si richiede nelle misure geodetiche, l’errore commesso nelle misure degli angoli per la flessione del cerchio è in ogni caso affatto trascurabile. Non sempre succede però lo stesso per la flessione del cannocchiale. E facile vedere che la linea di collimazione in un cannocchiale è la retta che congiunge il centro ottico dell’obiettivo coll’incrocio dei fili che caratterizza la direzione di mira, giacche gli assi secondari della lente obiettiva passano tutti per il centro di questa. Nella misura degli angoli zenitali si considera la retta ora indicata come ruotante intorno all’asse orizzontale dell’istrumento insieme al cerchio zenitale con cui è supposta invariabilmente connessa. Nella fig. 44 sia A' AB questo cerchio e supponiamo che CA, A' B rappresentino respettivamente le direzioni dell’asse di collimazione quando l’asse ottico è posto successivamente verticale ed orizzontale. Nella prima di queste posizioni la gravità tende a far diminuire di lunghezza la parte del cannocchiale che è al disopra del suo punto di sospensione e ad allungare l’altra, ma non ad A alterare sensibilmente la direzione dell asse di collimazione rispetto al cerchio: nel secondo caso l’azione della gravità produce un incurvamento del cannocchiale colla concavità volta verso il basso, l’obiettivo e il reticolo dei fili, a causa della elasticità del metallo, venendo a prendere una posizione piu bassa di quella che avrebbero se la gravità non agisse. Se coteste due parti si sono abbassate della stessa quantità evidentemente la linea attuale di col- * Chauvenet, Spherical and practical Astronomy. Voi. IL Brunnow, Astronomie pratique, etc. Altimetria. 255 Umazione è parallela a quella clie si sarebbe avuta senza l’azione della gravità, e quindi la sua direzione rispetto al cerchio non ha subita nessuna .alterazione, giacché la distanza fra' quelle due parallele è trascurabile aifatto sotto forma parallattica alla distanza di osservazione. Ma se i due abbassamenti sono disuguali la posizione della linea di mira è cambiata rispetto alla graduazione (zero del cerchio) ; l’angolo di cui tale linea ha ruotato per causa della gravità dipende, in generale, dalla distanza zenitale relativa alla direzione del cannocchiale, si annulla con questa distanza, e diviene massimo quando la distanza zenitale è di 90°; il valore che prende in questo caso è detto costante di flessione del cannocchiale. Sia E D la direzione che prenderebbe l’asse di collimazione del cannocchiale rispetto al cerchio graduato E AB in una posizione qualunque di mira se la gravità non agisse, EH—a, D I—b gli abbassamenti dell’oculare e del centro ottico dell’obiettivo causati della gravità, in modo che HI rappresenti la linea di collimazione effettiva : se per il centro del cerchio C si conduce F G parallela ad HI l’angolo F C E rappjresenta il valore / della flessione corrispondente alla distanza zenitale X* — EC A. È facile vedere che, rappresentando con R il raggio del cerchio, si ha prossimamente: f a —b Y J == ~5 - 7, sen C, R sen 1 ' e, se la differenza di abbassamento a — b potesse essere supposta costante, si avrebbe in conseguenza: / = S sen '( (39) che è la formula più comunemente adottata per calcolare il valore della flessione in distanza zenitale £ quando è data la costante di flessione [ 3 . In realtà la (39) non può essere accettata se non come una formula di approssimazione, sufficiente per i bisogni della pratica e fondata sulla piccolezza del valore che ha ( 3 , il quale non raggiunge che raramente qualche secondo. Volendo spingere più oltre l’esattezza conviene considerare la quantità , come una itseni" funzione di che può venire espressa in generale con una serie trigonometrica ordinata secondo i coseni e i seni dei multipli di questo angolo : qui non ci fermeremo su tale proposito, che ha interesse solo nelle misure astronomiche di estrema precisione, ove anche le piccole frazioni di secondo debbono essere discusse quando entrano sotto forma di un errore costante (vedasi il Capitolo VII). Capitolo sesto. 256 Passeremo senz’ altro ad indicare i metodi più semplici che si possono adottare per determinar la costante di flessione j 'i. Allorché si dispone di un istrumento di cui la flessione sia conosciuta (come sarebbe un istrumento meridiano di un osservatorio) o sia nulla, per costruzione, una tale determinazione si fa con tutta facilità come segue. Pongansi i due istrumenti cogli assi di collimazione in una stessa linea che sia compresa prossimamente nel meridiano, gli obiettivi essendo rivolti l’uno verso l’altro, a piccola distanza, e gli oculari regolati in modo da puntare coi cannocchiali a distanza infinita (croce dei fili al fuoco principale dell’obiettivo). In tal caso i raggi luminosi che partono da un punto dei fili sono refratti dall’obiettivo di ciascun cannocchiale in un fascio cilindrico di raggi paralleli, che, incontrando il secondo obiettivo, formano nel piano focale principale di questo un’ immagine del punto da cui sono emessi. Cosi in ciascun reticolo di fili si forma un’ immagine dei fili dell’ altro reticolo. Misurando le distanze zenitali ’C 2 di ciascuna croce dei fili per mezzo dell’altro istrumento, se la flessione fosse nulla per ambedue questi istrumenti, le due distanze zenitali sommate darebbero evidentemente 180 0 , più l’angolo che formano fra loro le due verticali che passano per il centro di ciascuno degli istrumenti: se la distanza fra questi è A un tale angolo è--—, essendo 9 il raggio ^ 0 p sen r ' di curvatura del meridiano sotto la latitudine prossima 9 del luogo di osservazione : si può del resto porre un tale angolo eguale a A 9, rappresentando con questa notazione la differenza di latitudine fra i centri dei due istrumenti. Ciò posto siano ( 3 i; (i 2 le flessioni orizzontali degli istrumenti adoperati : avremo 18o° = C, — [i, sen -f t 2 — f> 2 sen ( 2 — A 9 e se ( 2 sono prossimi a 90° : P 2 = ‘C, + 'C 2 — 180 0 — A 9 — fi, (40) che dà il valore di fi, cercato in funzione di quello di dato. E inutile osservare che il valore di ( 3 , deve essere determinato da un grandissimo numero di valori di distanze zenitali reciproche misurate sulle diverse parti dei cerchi e delle viti .micrometriche dei microscopi; per l’eliminazione dell’errore di graduazione è necessario considerare almeno quattro posizioni del cerchio distanti di 90°, a meno che non si disponga di due coppie di microscopi opposti Altimetria. 257 nel qual caso anche due sole posizioni sono sufficienti. II numero delle osservazioni da farsi per ottenere una precisione data vien determinato coi criteri che esporremo nel Capitolo seguente. Per mezzo di osservazioni geodetiche, e senza l’aiuto di un altro istrumento di flessione nota, si può determinare la costante di flessione col metodo seguente. Sia A (fig. 45) un punto geodetico di nota distanza A dal centro di stazione C (centro dell’ istrumento) e si disponga in B una superficie orizzontale (liquida) riflettente, 0 Fig- +>■ come, per esempio, del catrame o dei mercurio, scegliendo il punto B per modo che dal centro di stazione C si veda in B l’immagine riflessa di A. Facciamo per il momento astrazione dalla refrazione atmosferica e sieno '(, le distanze zenitali vere Z C A, ZCB misurate in C sul punto A, e sulla sua immagine veduta in B. La distanza C B = S può essere direttamente misurata ; rappresentando quindi con p l’angolo parallattico CAB, il valore di p può esser dedotto dalla relazione r, fornita dal triangolo CAB, e se il punto A è abbastanza lontano si avrà con sufficiente precisione: rì . sen (’(' — () (40 A sen 1" Pucci, Geodesia. 258 Capitolo sesto. Sia ora Z' B 0 la verticale del punto B e rappresentiamo con ~ il valore comune dei due angoli CBZ ’, Z'BA e con 11 l’angolo COB compreso fra le due verticali C O, O B che possono ritenersi situate nello stesso piano. I due triangoli CBA, CBO ci danno: 2 ^ + 'C— ‘C-{-p — 1 8o° = o 18o° — £ — -f- u = 0 d’onde si trae senza difficoltà: r A -f- '( = 1 8o° -f p -f- 2 u. Sia DB la intersezione della superficie di livello che passa per B col piano C O B e R il raggio di curvatura in D della sezione normale BD: è facile vedere che se i punti C, B sono molto prossimi si ha con più che sufficiente precisione: X . sen R sen 1 Ricordando inoltre la (41), la precedente espressione di ‘C + ‘C diverrà : Se invece delle distanze zenitali vere si vogliono considerare le distanze zenitali apparenti affette dalla flessione basta introdurre in luogo di ‘C e "( nella relazione (41*”’“) respettivamente ‘C'-f-r-j-psen^', "C — r -fi P sen essendo r la refrazione terrestre in C che compete alla distanza zenitale ‘C, giacché i punti C, B debbono supporsi cosi prossimi che il valore di ^ e di '( possono sempre nel calcolo della refrazione terrestre considerarsi eguali. In quanto a S e p essi non cambiano sensibilmente giacché, se le refrazioni in ^ e £ sono sensibilmente eguali, il nuovo triangolo formato con X dalle direzioni apparenti C A', B A' rifratte ha il vertice A' sul cerchio che passa per i tre punti C,B,A. La (41*“) ci dà pertanto per il valore della costante di flessione cercata : sen (CJ — () . 2 sen À 1 T~ sen 1' P = 2 sen Z, Naturalmente i valori di Zj e £ da introdursi in questa for- Allimetria. 259 mula dove tali angoli non entrano sotto il segno di funzione trigonometrica debbono esser misurati con cura eccezionale su diverse parti del cerchio e con un numero di osservazioni sufficienti a dare al loro valore un errore probabile molto minore di quello della costante di flessione (vedi Capitolo VII). Vi sono altri metodi di determinare la flessione, ma sono adatti più agli istrumenti astronomici che a quelli geodetici: possono vedersi descritti nei trattati di astronomia sferica.* 14 . Ci rimane da parlare della riduzione delle distante genitali al centro di stagione, ossia della correzione che è necessario di fare alle distanze zenitali misurate fuori di un punto trigonometrico e su punti prossimi a quelli da osservare prima d’introdurle in calcolo. A vero dire in pratica, per lo più, invece di correggere le distanze zenitali osservate, si sogliono modificare le differenze di livello calcolate colle formule (9) 0 (18), aggiungendo algebricamente ad esse le differenze di livello fra i punti osservati o di osservazione e i punti che si sarebbero dovuti osservare o in cui doveva esser fatta stazione. Ma questo sistema non è per certo il più conveniente, giacché in esso le due distanze zenitali corrispondenti ad una unica differenza di livello non possono più esser considerate come reciproche, e quindi il loro confronto diretto non può nè dare un’ idea degli errori di osservazione, nè essere usufruito per la ricerca del coefficiente di refrazione. Ad ogni modo la riduzione al centro è necessaria quando sia il caso di applicare i metodi esposti nei numeri 5 e 6 di questo capitolo. Sia pertanto A '( la correzione da farsi ad una distanza zenitale £ misurata in un punto A' prossimo al centro di stazione A su di un punto B' prossimo al punto da osservarsi B per ridurla alla distanza zenitale di B rispetto ad A. Rappresentiamo con h la differenza di livello fra A ', B', con a la relativa distanza geodetica, con n -(- A a la distanza geodetica fra A e B ed infine con A h la somma algebrica delle differenze di livello A A', B B' ; applicando la (9) o la (18) avremo: h 2 17 cot g S + cotg 2 £ + r,*(i— n) 2 r sen 2 ( l I h -f- A b = (v + A 0) cotg ('( -f A () -f- pr -f A ri) 2 cotg 2 ( ( + A c) 2 (i — n ) 2 r 'ir sen 2 (£ -f A £) ' ' ' * Chauvenet, Spherical and practical Astronomy. Voi. II. — Brunnow, Sphe■ rical Astronomy. 2Ó0 Capitolo sesto. Se si osserva che A A cr sono quantità molto piccole e se si sviluppa in funzione di tali quantità il 2 ° membro della seconda delle soprascritte relazioni, è facile vedere che, con più che sufficiente approssimazione, si può porre : ti c cotg n A C seti 2 "( — A h da cui si trae il valore cercato di A '( espresso in secondi, che è dato da: A - A <7 cos — Ah sen £ o sen i sen ‘( (43) Del resto in pratica, meno che in casi eccezionali, la parte che in questa correzione dipende da A c è trascurabile, e £ è tanto prossimo a 90° che si può porre senza errore sensibile sen( = i, e calcolare senz’altro A X," per mezzo dell’espressione o sen i"’ 15. Abbiamo visto qual sia l’influenza della refrazione nelle misure delle distanze zenitali; non è certo superfluo di studiare un poco più intimamente la natura della traiettoria luminosa nell’aria. In Geodesia propriamente detta non si hanno da considerare di tale traiettoria che piccoli archi limitati fra due punti terrestri: in tal caso la differenza fra le distanze zenitali vera ed apparente si suol chiamare refra^ione terrestre, mentre dicesi refra^ione astronomica la differenza stessa quando la distanza zenitale relativa si riferisce ad un corpo celeste : qui è solo della refragione terrestre che imprendiamo a trattare, ritenendo le notazioni già stabilite nei numeri precedenti. Quando fosse conosciuta la legge di decrescenza del calore col crescere dell’altezza, o, in altri termini, la relazione fra l’altezza e l’indice assoluto di refrazione, relazione che noi nel n.° 2 abbiamo indicata con rp. = ff(r), la traiettoria luminosa rimarrebbe perfettamente determinata. Infatti si giungerebbe subito alla sua equazione nelle coordinate polari r, u del numero ora citato, giacché dalle relazioni: y r sen X, = c = F(r) senC r cotg ‘C Altimetria. 261 quivi dedotte, ricordando che cote; ed eliminando 'C, si trae: du = cdr e quindi, se F (r) fosse noto, per mezzo di una semplice quadratura si avrebbe per l’equazione cercata: \l[F(r)] ( 44 ) Nell’ipotesi di Bouguer si aveva: vi F(r) = kr- quindi sostituendo : 2 VI — 2 che è un differenziale binomio riducibile a forma razionale. Integrando, colle regole note per tale caso si trova: 2(1 — w) i — m m cu — C I = tang — 1 ove C si determina osservando che per u = 0 si ha r = 1\. Cerchiamo ancora l’espressione del raggio di curvatura della traiettoria luminosa; siano perciò M (fig. 46) un punto qualunque di tale curva e CMZ la normale alla superficie terrestre (supposta sferica) condotta per M; se y. è l’indice assoluto di refrazione dello strato d’aria di spessore infinitesimo che comprende l’elemento della traiettoria immediatamente inferiore al punto M, u — dy. sarà l’indice assoluto di refrazione dello strato d’aria immediatamente superiore, e, chiamando 3 l’angolo R' M C, che è l’angolo sotto cui si rifrange il raggio MR incidente in M con la distanza zenitale *( == ZMR , avremo per la nota legge fisica dei seni: sen y. — d y. sen 3 262 Capitolo sesto. Sia dr, l’angolo di contingenza della curva in M, ed è evidente che fra '( vi ha la relazione si deduce : X — dr t , quindi la precedente relazione ci dà, trascurando i differenziali di second’ ordine rispetto a quelli di primo : R = d r , d IJ. y d'n = -s- tang . u: ° Di qui si deduce subito l’espressione differenziale del raggio di curvatura R nel punto M della traiettoria luminosa poiché, chiamando i l’arco di questa contato a partire da un punto arbitrario, per esempio dal punto di osservazione P in cui la distanza zenitale è si ha: R _ d * _ y-dn d r, tang '( d y. da cui, osservando che dal triangolo infinitesimo R' M A si trae sen '( d y. ' Per eliminare sen'C supponiamo dato l’indice assoluto di refrazione dell’aria nel punto e pel momento di osservazione. Avremo allora dalla legge dei seni: y P, sen ‘C, sen C, = - 1 — 1 - - y.r ove il numeratore del secondo membro è da considerarsi come una costante nota c; in conseguenza il valore precedente di R diviene: P: y . 2 r dr [j. r ir c d «. r l y. t sen d y. ( 45 ) Altimetrìa. 263 Nell’ipotesi di Bouguer si trova; * = M 7 da .ih. m d r e quindi dalla (45): Se nella relazione R m sen ‘C 1 y. r sen y-, sen Y r r si sostituisce a — il suo valore in r, che si ha dall’ipotesi adottata, y-, si vede che in questo caso: I sen _ /rV“ sen '( \r) e, introducendo questo resultato nella espressione di R, si ottiene : R m r sen Z, ' Siano C 2 due distanze zenitali reciproche ed R [} R 2 i due raggi di curvatura corrispondenti; si avrà: R , r, sen^ 2 R 2 ~ r 2 sen ‘ D’altronde è facile il vedere che: r, sen (£, -4- aZ,) r 2 sen(‘C 2 +A^ 2 ) e poiché A'C, a'( 2 sono angoli piccolissimi, se le distanze zenitali ‘C„ r 2 , come nei problemi geodetici, sono prossime a 90°, il confronto delle due equazioni precedenti ci mostra che, nell’ ipotesi adottata, si ha sensibilmente R i = R 2 , ossia che R è sensibilmente costante per tutta la lunghezza dell’arco s di traiettoria luminosa che geodeticamente capita di considerare. 264 Capitolo sesto. L ’ipotesi di Bessel sulla decrescenza del calore è data da : d’onde, ricordando la relazione fra l’indice assoluto di refrazione e la densità, si ottiene facilmente: — r, O-n) c S, r (i e 2 V 1 4 - C(t L e La formula (45) ci dà in questo caso : 2 (c -j- 1) c 8, [j sen o, ricordando l’espressione del coefficiente di refrazione p [formula (17)], Analogamente per R 2 otterremo: E t) r sen 'C PP\ s en Concluderemo che quando si possa supporre senza errore sensibile r sen'C, ,, . . ——=- = 1, come nella maggior parte dei problemi di altimetna, v 2 sen L >1 nell’ipotesi di Bessel si ha sensibilmente che ci dà la relazione fra le curvature della traiettoria e i coefficienti di refrasfone. Iti. L’espressione del raggio di curvatura R in funzione di r si può ottenere, se non rigorosamente, almeno con grande approssimazione anche indipendentemente da qualunque ipotesi. Infatti dalla relazione è facile dedurre; a 2 = 1 -f- c 8 2 (1 -I - c ÌPflì c d ì> Altimetria. 265 ove la densità S deve esser considerata come una funzione di r. Siano 1\ il valore di r al punto di osservazione P (vedi avanti fig. 46) e b la differenza di livello fra P e il punto qualunque M della traiettoria; la espressione rigorosa di R (formula 45) può porsi sotto la forma: " lV y. t 1\ sen (c ,d 8 “ u ' Siccome 8 diminuisce continuamente col crescere di h, potremo porre in generale: 8 = 8 l + B l h + B 1 F + B ì h' + ... dove B t , B 2 , P ; ... saranno delle costanti del cui valore ci occuperemo tra breve. La precedente espressione di R diviene allora: r (r+/;) (1 +cS) 3 / 2 R = ^2_(r,+ h) (1 + c BJ}-\-c B 2 b 2 - f- „ .) 3 ùi c r i sen ‘C, (-B.+ 2 B 2 h + 3 B, /P+ ...) Ma al punto di osservazione P si ha h — o, quindi: (46) 2(l+f r),yiì l J ; sen 'C l B l formula generale, poiché il punto P è arbitrario ; essa può mettersi anche sotto forma più semplice ricordando che [J. L = \I i -f-cd, e che quindi si ha: 2(1 -2- c 8 ,) c B l sen ^ ( 47 ) Rimane da determinare la costante B r 17. Per questo prenderemo a considerare una formula che avremo occasione di dimostrare fra poco (vedi n.° 23), ed è la formula che dà la differenza di livello fra due punti in funzione delle altezze barometriche b, b 2 e delle temperature t, t t osservate in essi. Tale formula può mettersi prossimamente sotto la forma: -*( 1 + s K b essendo k una costante ed s il coefficiente di dilatazione dell’ aria. In realtà tale relazione si fonda su di una ipotesi speciale e non è che una relazione approssimativa, ma, siccome in pratica conduce a resultati sufficientemente esatti, per l’applicazione che siamo per 266 Capitolo sesto. fame può essere ritenuta come rigorosa, come s’intenderà meglio in seguito. Essendo a la base dei logaritmi comuni avremo dunque: K b = a i + e- e, giacché si ha dalla Fisica : 8 b i -C zt i 8, b i i -(- e t ’ troveremo sostituendo : o = ò.-- a ■ + 5 h + 1 1 I -j- £ t Sviluppando in serie l’esponenziale otteniamo : 8 = 8 . 1 ~h £ h I -|- zt h Log a , h 1 k , t,+ t^ 2 k I + £ - L r- Log a I -f- £ t 4 - t\ + formula cui, con sufficiente approssimazione, si può dare la forma più semplice : s = ^t 1 + £ (h—0] [ I — x( I — £ ~r^) Logfl + ••■]• Ora, giacché la temperatura col crescere di h diminuisce con legge continua, possiamo porre : h —t — yh -j- ■ ■ e la relazione precedente diverrà allora: 8 = 8ji -fi zyh -fi- s h 2 .j^i — Jt (. 1 —— zn h ■ . .)Logfl-j" • • • che, comparata col precedente sviluppo di 8, cioè colla 8 = 84 - B s b + B t h 2 +. •• 8,(i -f £ Q Log a ci dà : B. r.- k (48) Il valore di y, si ottiene facilmente dall’ osservazione : così, in condizioni normali, salendo di 173 metri di altezza è noto che la temperatura diminuisce di un grado centigrado negli strati d’aria Altimetria. 267 prossimi al livello del mare: si ha quindi con precisione sufficiente 7 = ——. Baeyer, in una memoria intitolata Ueber die Strahlenbre- 173 cbung in der Atmosphàre *, nell’ ipotesi che la terra possa considerarsi come uno sferoide riscaldato che emana calore nello spazio, giunge alla formula N S = 5 (l±.tA;>flT v V" :+l (1 -f- zv h) in cui, N ed a essendo costanti, si ha: p + \/ n = P 2 — 4 C 1 + 2(1 + e*)' 2(1+8/') 4 e a ^ = £a + _^_.—-, q = tL p~- P - \j 11 V = —, - r 2(1 + sr) I + zt' È facile ricavarne c quindi : t> » \f \ A^" s % \) ^ A^" P r x . — w) — — (y -f w) j = — S, e ^ ■ (49) Questa formula deve considerarsi come meno approssimata della precedente (48) a causa della ipotesi su cui si ^onda. 18 . Riferiamo la traiettoria luminosa P M R (vedi avanti fig. 46) a due assi ortogonali coll’origine nel punto P, l’asse delle x essendo diretto secondo la tangente alla curva, e l’asse delle y secondo la normale: la traiettoria sarà rappresentata dalla equazione y =/(*), da cui, sviluppando il secondo membro colla serie di Maclaurin, e ricordando che per x = 0 si ha y — 0 e ~- = o, otterremo : d x y = M x 2 -f- Nx* (50) Vediamo come possa ricavarsi anzitutto il valore di M. Perciò se * V. Memorie dell’Accademia imperiale ielle sciente in Si. Petersbourg, VII serie, tomo III, n.° 5. 268 Capitolo sesto. ricordiamo l’espressione del raggio di curvatura di una curva piana in coordinate cartesiane [+ 6i) fk R- <£y_ dx 2 d v d^ v deducendo i valori di ~- 2 dalla (50),. ricaveremo: Ci X et X R-. e per x = o: (i+( 2 d /.t+ 3 ^+...)T /} . 2 M 4 - 2.3 N X 4- . . . ’ R. 2 M Ma il valore dì R t ci è dato rigorosamente dalla equazione (47) che, confrontata con quest’ultima, ci dà: c B, sen M = 2 ~ 4 (1+c^) (5i) dove il valore di P, si riferisce al punto in cui la distanza zenitale è Il valore di N si ottiene agevolmente considerando sulla curva un secondo punto P 2 , cui si riferiscano le quantità ‘( 2 ,.B 2 , R 2 , S 2 . Siano infatti X, Y le coordinate (nel nostro sistema) di P 2 (figura 47), ed osserviamo che (l’arco g=P,P 2 essendo, geodeticamente parlando, sempre assai corto rispetto al suo raggio di curvatura, si può sempre supporre die la traiettoria luminosa si confonda fra P i e P 2 con la parabola Alt ii netria. 269 di terzo grado y = Al x 2 -fl- N x 3 (lo che equivale in realtà a dire che per l’arco n s i possono nello sviluppo (50) trascurare i termini di ordine superiore al terzo). In tal caso P espressione precedentemente trovata per R in funzione di x ci dà R _ {I +( 2 AfX+ 3 NXyf/s 2 2JU + 2.3NI e questa, unita alla (51) ed alla 2(1 4 -cSJ cBsen? ’ 2 * 2 determina N in funzione di X. La risoluzione delle equazioni sopra dette diverrebbe però molto complicata senza alcune considerazioni geometriche che la rendono invece agevolissima. Abbiasi nella fig. 47, che è qui superfluo di dichiarare, ^=Q 2 P t P 2 , A^-G.P.P,; sia T il punto d’incontro delle due tangenti in P t , P 2 alla traiettoria luminosa, e poniamo ò = A —j— A ( 2 : otterremo fàcilmente: t \ — 1 8 o° 4 - u — ^— ^2 > e, se è nota la distanza geodetica r tra i punti P t , P 2 , per essere r u = - 7 , r sen 1' o l’angolo ^ potrà venir determinato esperimentalmente, osservando le due distanze zenitali , 'C 2 . Nella fig. 47 l’angolo ò è rappresentato dagli angoli Q 2 TP ì *=Q i TP i sotto cui si tagliano le due tangenti P i Q 2 , P 2 Q ,, giacché l’angolo 0 2 T P 2 , ad esempio, è esterno al triangolo TP J P 2 . Ma la tangente P t 0 2 si confonde coll’asse delle x, e quindi l’angolo 0 2 TP 2 = ò ■ è l’angolo che la tangente al punto P 2 (X, 7 ) della curva fa colla parte positiva dell’asse delle x; perciò si avrà: tang ò = = 2 MX + 3 NX 2 e la precedente espressione del raggio di curvatura P 2 diverrà: 270 Capitolo sesto. Da questa, combinata colla (51), è facile di ricavare: N== TX jf^Tcosrif pj' * ( 52 ) L’equazione della traiettoria luminosa resta così determinata, almeno fino alle quantità di 4. 0 ordine, ed è y== jR l + 6 X (p 2 cos 5 < 1 * ~~ r) dove 4 ha in ogni caso un valore così piccolo che può venire, senza errore sensibile, sostituita al suo coseno l’unità come nelle considerazioni successive supporremo di aver fatto. 19. E facile vedere che la refra^ione (terrestre) A ^ al punto di osservazione P i è data da: ' •/ E tang A ; i = e quindi, a causa della (53), osservando che \'C l è un angolo estremamente piccolo che può essere sostituito invece della sua tangente, avremo : 2 -^2 -Ri ' Analogamente, riferendo la curva ad un sistema di assi coordinati x lf y t analogo al sistema x, y, ma coll’origine nel punto P 2 , si troverebbe perciò avremo AV X(2 P 2 + PJ a‘( 2 A, (2 P, + P 2 ) (54) Cerchiamo i valori di X, X i in funzione di quantità note e perciò conduciamo nella fig. 47 la Y (= P 2 N ) del punto P 2 . Facendo centro in C descriviamo l’arco di cerchio P t M; la lunghezza P 2 M, dietro le considerazioni già fatte nei primi numeri di questo Capitolo, rappresenterà la differenza di livello fra i due punti P 2 e P i9 quindi applicando qui la (18) o la (9), lo che è indifferente per le conclusioni che ne trarremo, si avrà: P 2 M = h = s cotg X >1 -f- P cotg 2 ( 2 ri 2 r, sen 2 r (1—«) + • • • Altimetria. 271 sen ! Ponendo H= Q 2 M avremo poi dal triangolo P l Q 2 C: r, 4- H P e quindi: H sen — sen (C,— u) sen (X Si — u ) sen (£— u) = 2 tang — cotg \ '* 2 1 — tang — cotg M)' Da questa, ricordando che u = —, si trae : jcotgK, 2 r. ! 2 — cotg (il, — —V l P 2 rj rcotg'C,- 2 r, sen *Y ■ — cotg 2 £,-+••• e il precedente valore di h insieme a questa ultima relazione ci permette di calcolare il valore di P 2 Q 2 = H — h. In tal modo si trova : pa 2 H- 2 1\ sen 2 ^ ' La fig. 47 ci mostra che si ha : X = P i Q 2 -NQ 2 , NQ 2 = P 2 Q 2 c OS& r, sen u s ti) + . e quindi: X = - sen — u) sen ((^— u) p, s 2 cos ('(,— u) _ s p I s 2 c otg'C t sen ('C t — 11) . 2 r sen 2 sen — u) 2 1\ sen ^ ' " ’ Se si riflette che in Geodesia il valore di '( t è sempre prossimo a 90° si vede subito che il termine in ri è interamente trascurabile; quindi la (54) diviene: A _ 2 R, + R, sen (C—11) a'( 2 2 -j- R 2 ■ sen — u) e questa relazione unita alla A ^.+ l8o °+« — £,—S 2 (5 6 ) determina completamente le refrazioni AÌ^, A^ 2 . Capitolo sesto. 20 . Quando sia nota per mezzo di una livellazione di precisione la differenza di livello fra due punti, legati fra loro da un lato geodetico, e quando questa differenza e la distanza fra i punti suddetti siano abbastanza grandi, si può avere un confronto, d’altronde assai interessante, fra i valori ottenuti per la refrazione terrestre dalle formule sopra dedotte e i valori che essa prende in realtà sotto le diverse circostanze atmosferiche. Si possono anche determinare cosi alcune cause di variabilità in certi dati di cui altrimenti non è possibile rilevare l’influenza, come, per esempio, succede per lo stato igrometrico dell’ aria. Per far ciò ai due punti P i} P 2 , dei quali è esattamente nota la differenza di livello, si osservino delle distanze zenitali reciproche e contemporanee e si notino la pressione barometrica, la temperatura, le indicazioni psicrometriche, ecc., insomma tutti quei dati che possono colla refrazione avere un legame qualunque. Si è visto precedentemente che si ha (fig. 47) con sufficiente approssimazione P t Q=H-b = 2 t\ sen 2 ' I triangoli P i 0 2 C, 0 2 P 2 N ci danno poi r, sen u sen (£.—“) , N Q 2 = (H — /;) cos (C, — tì) in modo che le coordinate X, Y del punto P 2 avranno per espressione analitica : r sen u A =- —y -; — (A/— lì) cos (C, — iì) sen Q, — u) 7= (H — lì) sen & —k). In conseguenza per la refrazione aC i; che è data, come abbiamo Y già notato, dal rapporto ^r, si avrà con più che sufficiente appros- A situazione : a ; r _ (H — h) sen 2 (*C,— «) . r 1 senti — (H —/;) cos —t/.)sen(^— u)' Analogamente per 1’ altra distanza zenitale si troverebbe (57) AC, (H — lì) sen 2 ("C 2 — lì) r 2 sen u — (H — lì) cos (C 2 — lì) sen (C 2 — u) e queste due relazioni ci danno il mezzo di comparare i veri va- Altimetria. 2 73 lori delle refrazioni così calcolati con i valori ipotetici calcolati per mezzo delle distanze zenitali reciproche colle formule dei numeri precedenti. In sostanza questo metodo non differisce da quello con cui per la refrazione astronomica si deducono esperimentalmente certe costanti, che entrano nelle formule teoretiche : in tal caso il punto osservato è a distanza infinita, ma è facile ottenere allora l’espressione di A per altra via, intendendo che sia data la latitudine astronomica esatta del punto di osservazione e la declinazione esatta delle stelle che si osservano, e che allora tengono luogo del punto osservato geodeticamente. Dobbiamo notare che nella refrazione astronomica si tien conto di tutto il ramo della traiettoria luminosa che dall’occhio dell’osservatore va al limite dell’atmosfera, e si inferisce la curvatura di tal ramo dalla pressione, temperatura ed igrometria osservata nello strato d’aria dell’osservatore; è perciò evidente che quando la legge ipotetica sulla diminuzione del calore col crescere dell’altezza si discostasse anche di poco dalla vera non si potrebbe ottenere concordanza fra le refrazioni astronomiche calcolate e le osservate sotto tutti gli angoli zenitali da o° a 90°. Ora fra le tavole di refrazione astronomica calcolate coll’ ipotesi di Bessel e le osservazioni corrispondenti la concordanza non lascia punto a desiderare, almeno per distanze zenitali minori di 88°, al di là del quale limite i raggi luminosi, traversando in gran parte gli strati atmosferici prossimi alla terra, risentono degli esquilibrì di temperatura e di densità che sono causati dalla diversità di costituzione e dalle scabrosità della superfìcie terrestre. Una tale concordanza non solo deve darci una grande fiducia nella ipotesi di Bessel, ma provarci altresì che negli strati atmosferici superiori, nonostante la variabilità delle correnti aeree e dei fenomeni meteorologici, regna una disposizione molto più regolare di quella che potrebbe supporsi a prima giunta. Nelle refrazioni terrestri la concordanza fra la teoria e l’osservazione è, come abbiamo già notato, tutt’ altro che soddisfacente, quantunque i resultati medi di un gran numero di osservazioni non si discostino sensibilmente dai valori teoretici, lo che ci deve indicare come le cause perturbatrici sono discontinue e casuali. Ad ogni modo sia nelle osservazioni astronomiche, sia nelle geodetiche, allorché si richiede una grande precisione è necessario ripetere molte volte le misure degli angoli zenitali per eliminare l’influenza delle casuali alterazioni di densità negli strati atmosferici. 21 . Nella teoria completa della refrazione, quando si tenga conto della ellissoidicità degli strati atmosferici di eguale densità, iS Pucci, Geodesia. Capitolo sesto. 274 e delle variazioni locali, si dimostra che la traiettoria luminosa è una curva a doppia curvatura, la seconda curvatura essendo per altro pressoché insensibile. Questa corrisponde ad una refrazione anche negli angoli azimutali, ben conosciuta ai geodeti sotto il nome di refra- 7 ione laterale. L’estrema tenuità del suo valore, quando non vi sono cause eccezionali di perturbazione, la grande difficoltà di sottoporla a calcolo, e la grande influenza che vi esercitano le irregolarità della crosta terrestre hanno condotto i geodeti a farne completamente astrazione, o, piuttosto, a considerarla come un errore casuale nelle osservazioni azimutali. Strave , colla discussione di uno dei più vasti lavori geodetici classici, ha dimostrato esperimentalmente che, in realtà, per lati geodetici minori di 60 chilometri, come sono quelli delle comuni triangolazioni, la refrazione laterale è insensibile, a meno di circostanze eccezionali inerenti alla conformazione e alla costituzione del suolo che i lati traversano; al di là di tale limite essa diventa sensibile tanto più quanto maggiore è la distanza. Ad ogni modo è importante di notare che, nello stabilire i vertici di una rete trigonometrica ( riconoscenza geodetica ), debbonsi evitare per quanto è possibile le visuali [lati) che corrono molto prossime alla superficie terrestre (queste visuali prendono il nome di radenti), giacche vicino al suolo la densità dell’aria è spesso anormale: le osservazioni azimutali poi debbono farsi ripetutamente in diverse condizioni di atmosfera, evitando il tempo piovoso e semicoperto. Non è superfluo di ricordare a questo proposito che le ombre proiettate sia da oggetti terresti, quando il sole è poco elevato sull’orizzonte, sia da nuvole sparse nel cielo, sono molto pericolose per le visuali che le traversano, giacché producono un raffreddamento locale dell’aria e quindi un aumento nella sua densità in una zona limitata nettamente da una superficie conica. La. forma di questa superficie dipende dal diametro solare e dalla forma dell’oggetto che proietta l’ombra, e il valore della refrazione laterale prodotta è funzione della forma e dello spessore del cono traversato. Una tale refrazione può raggiungere, in certe circostanze, parecchi secondi, come si è potuto constatare da esperienze dirette nella misura della base di Somma (Lombardia) in una visuale radente per io chilometri, che in certe ore traversava diverse ombre proiettate da gruppi di alberi fra mezzo ai quali la visuale passava. Porremo fine a quanto concerne la livellazione trigonometrica ricordando che questa è solo suscettibile di modesta precisione e ciò a causa della refrazione terrestre che, in molti casi, presenta delle ano- Altimetria. 275 malie che sfuggono a qualunque legge. Per diminuire il più possibile la loro influenza in un lavoro altìmetrico ì punti fra cui si determinano le distanze zenitali sono scelti assai prossimi fra loro (da 5 a 15 chilometri), d’altronde questa condizione è necessaria altresì per la nettezza del puntamento da farsi nelle ore meridiane : le osservazioni zenitali debbono essere poi fatte, come già abbiamo detto, ripetutamente in diversi giorni e circostanze diverse, evitando il tempo rotto o piovoso, e le giornate di vento forte. Quando queste precauzioni sono state prese la livellazione trigonometrica dà del resto resultati eccellenti, d’altronde è l’unico mezzo che si può adoperare nei lavori d’altimetria molto estesi, come sono quelli, ad esempio, che fissano le altezze fondamentali nel rilievo delle curve orizzontali delle carte topografiche. 22. Passeremo adesso a dedurre le formule relative a un altro metodo di livellazione, molto meno esatto invero della livellazione trigonometrica, ma che in alcuni casi può solo venire adottato. Il processo sopra esposto presuppone istrumenti delicati e la conoscenza delle distanze esatte fra i punti fra cui si cerca la differenza di livello : di tali mezzi è spesso impossibile di disporre e si ricorre allora al barometro o al termobarometro, i quali istrumenti, misurando la forza elastica dell’ aria nei punto di osservazione, possono anche indicare l’elevazione di questo sul livello del mare, almeno quando si suppone nota la legge di decremento della densità atmosferica col crescere dell’altezza. Siano & o la densità dell’aria a o° C. di temperatura e sotto la pressione p o ed a il coefficiente di dilatazione cubica dell’aria; se, la pressione rimanendo la stessa, la temperatura diviene f, la densità diverrà S i5 e, ricordando che le densità sono in rapporto inverso dei volumi, è facile vedere che fra le quantità sopra indicate esiste la relazione : = —L. 1 I + a t Se si suppone ora che la pressione varii e divenga p, rimanendo costante la temperatura, per la legge di Mariotte avremo, rappresentando con S la nuova densità; S p Po 1 + (58) Consideriamo l’atmosfera come composta di un numero infi- 27 6 Capitolo sesto. nito di strati orizzontali di eguale densità ( superficie di livello successive) e sia d h lo spessore di uno di questi strati, contato sulla normale (verticale) allo strato inferiore; se p è la pressione che per la forza elastica dell’aria viene esercitata sull’unità di superficie di questo ultimo strato caratterizzato dalla densità X, p — d p sarà la pressione relativa all’unità di superficie dello strato immediatamente superiore, e dp corrisponderà evidentemente al peso di una colonna d’aria di altezza d h, di densità S, e di base uno, giacché dobbiamo qui supporre l’atmosfera in equilibrio. In conseguenza, rappresentando con g l’accelerazione della gravità corrispondente allo strato considerato, potremo porre dp — — g li d h ove il segno negativo indica che la pressione diminuisce col crescere dell’ altezza (h), e g deve esser considerato come funzione di h. Per determinare questa funzione conviene considerare la terra come sferica, la quale ipotesi non ha veruna sensibile influenza nei resultati che otterremo : sia quindi r la distanza dello strato in cui la gravità è g l e /; è nullo dal centro terrestre; si avrà: g r 2 Eliminando g e 8 per mezzo di questa relazione e della (58) dal- l’espressione soprascritta di dp otterremo senza difficoltà : d p __ P ed, integrando : Log p = C g x <ì o r 2 d h Po 0 + h T (1 + a 0 -KjIo f r2 - dh Po J (r + hy (1 + a t) ( 59 ) ove C è una costante arbitraria, e il logaritmo è Neperiano. Questa relazione serve di fondamento alle diverse formule che sono state date per la livellazione barometrica e ché non differiscono fra di loro se non per l’ipotesi che si ammette sul decremento della temperatura atmosferica col crescere dell’ altezza, ipotesi necessaria per esprimere t per h allo scopo di eseguire l’integrazione accennata nella (59). Anche qui, come per la livellazione trigonometrica, è dunque l’ignoranza della legge del decremento sopra indicato (n.° 3 e seguenti) che arresta la nostra analisi ; ma non dobbiamo dirnen- Altimetrici. 277 ticare che, anche conoscendo tale legge, essa sarebbe pur sempre di assai dubbioso vantaggio nel caso attuale, giacché qui si tratta del calore degli strati d’aria assai prossimi alla terra, che sono influenzati dalla costituzione e dalla forma della crosta terrestre ( irraggiamento ., riflessione, ecc.). 23 . Fra le varie formule dedotte con delle speciali ipotesi dalla (59) la più conosciuta, ed una delle più convenienti, è senza dubbio quella proposta da Laplace, e che si fonda sulla considerazione seguente. Il valore del coefficiente a (per cui si suole prendere 0,004, valore un poco più grande di quello che si ottiene esperimentando su l’aria perfettamente secca) che moltiplica la temperatura t nella (59) è assai piccolo, ed in conseguenza il fattore 1 -f- xt non differisce mai molto dall’unità, e varia fra limiti assai ristretti. L’errore che si commette dunque supponendo t costante, ed eguale alla temperatura media fra quelle osservate nei due punti di cui si cerca la differenza di livello, è molto piccolo; Laplace pone pertanto: _A_ ( gJS \ 1 ■ h ~f t I -j- a -2 Log p=C- db (r + h ) 2 da cui si deduce: Po gl 1 ' 2 i +a L±%og7> = C-K T 1 r -f- h ' Per determinare la costante d’integrazione C rappresentiamo con la pressione corrispondente ad h — 0 ; si avrà : _|_( , + »i±i.) LogA _ c+ i e, sottraendo membro a membro le due equazioni precedenti: Po gXr 1 (60) dalla quaie è facile ricavare h con successive approssimazioni quando tutte le quantità del i.° membro sieno conosciute. Per ridurre il logaritmo Neperiano al logaritmo comune corrispondente basta, come è noto, dividerlo per il modulo [j. — 0,4342945 ; così otterremo : 278 Capitolo sesto. Ci rimane ad esprimere le pressioni p t e p in funzione delle quantità barometriche corrispondenti, date dall’osservazione. Sieno perciò b i , b 2 le altezze barometriche e T 1 ,T 2 le relative temperature osservate (termometro annesso)*: se la temperatura e la gravità fossero le stesse nelle due stazioni le pressioni e le altezze barometriche sarebbero proporzionali: nel caso generale sieno A x , A 2 le densità del mercurio respettivamente relative a b t> b 2 ; avremo: p == A g b , p = A g b , — = 7 - j~\~2 Il lèi l > r 202.25 g {f A) A \ g l b. 4 4 h + ^‘ P A,? /> A„À\ ' r 2 20 2 2 2 2 ' D’altronde, rappresentando con p il coefficiente di dilatazione del mercurio —ì. si suor ha ancora : A„ 1 + P A Perciò porremo : lo 8 j = 2 log (1 + * j + log (1 + p T 2 ) — log (1 + p TJ + log . h Per maggiore semplicità si suole osservare che — , p T : , $T 2 sono, in generale, quantità molto piccole, quindi conviene sviluppare i logaritmi dei binomi, che entrano nel secondo membro della precedente identità, per mezzo della nota serie: log (1 + x) = n (x —y -f j — ..., ecc. j ritenendo negli sviluppi solo il primo termine, nel qual caso si trova : 2 log(i + 1 ) + log (1 + p T 2 ) — log(i + p T) = *\- + HT-Td * E necessario tener qui ben presente che t ,, t 2 , che compariscono nella (61), sono le temperature dell’aria esterna (termometro libero') nei due punti fra cui si cerca la differenza di livello. Altimetria. 279 e quindi: h _ Po i, S oF- T t t, 4- 1. 1 + « j-- , h 1 +- r i log ^+ i^ + PF(r 2 -r,)(. (62) Al fattore g, *„F suol darsi un’altra forma più conveniente di questa in cui g r varierebbe di valore a seconda della posizione del punto cui si riferisce. Sia cp la latitudine di questo punto, R il raggio terrestre (per il valore di questo raggio a tutto rigore dovrebbe prendersi quello della cosidetta sfera osculatrice, ponendo R — \j p N ), G l’accelerazione della gravità al livello del mare sotto la latitudine h)_ /1 \ 1 C d h ( 1 -4" ^ (1 + a O log p = c — J -jA - p-, * L’integrazione della (59) nell’ipotesi esatta di Bouguer riesce semplicissima, ma conduce ad una formula assai poco conveniente nell’applicazione, a meno che non si ricorra a sviluppi in serie, dei quali il calcolo pratico è abba- 284 Capitolo sesto. Il valore di h dh potrebbe essere ricavato subito in termini finiti eseguendo l’integrazione per parti, ma, per la comodità nell’applicazione, è molto più conveniente sviluppare in serie il fat- ( hY* tore 1 + - : per tal modo si deduce senza difficoltà: Po , ,, , r (ùh 2 2 os h' y ì osh A TYu ^ + lo § P c=,c ^ - T -— + ——-— + ...,ecc. Gl' J + _ r ir 4 r Determinando la costante d’integrazione c (come al numero 23) colla condizione che per h = o si abbia p=p [} ricaveremo: p n f », p. h , co h 2 2 iùh l 3w/; 4 -d-SL— fi + af I lorr — --- -1-h d — 3 r 4 r (i + *0 l°gr = ——r + P I + b _ 2 r ■.. .,ecc. stanza complicato. Infatti, nella detta ipotesi, la (59) può esser posta sotto la forma : r'dh — fy — (1 4- ce t .) log p — f - -h_ gj of* ^ ^ lJ J (!-»*. ove si è fatto « = hot 1+^1 1 h) (r + hy . Per eseguire l’integrazione poniamo: ^ . C 2 ~ . 7 . “ (1 — a/àfr + i) 1 (V 4- A) 2 r-f/j i —vii essendo A, B, C delle costanti da determinarsi per modo che soddisfacciano una tale relazione : per le equazioni che le determinano si trova : A + Br + Cr ! =i — A B (1 — wr) + 2 Cr = o -Sa + C = 0 « • da cui si ricava: A = - I + t» r B-- '(1 + wr) 3 ’ (1 + wr) 3 ' Sostituendo ed integrando troveremo : Po gl ò 'o f* (i + «h) log p = c + (1 + u r) (r + h) —dii -- log (r 4 - h) -1- t-t -v 3 ^ ^ :(i + »r) ! a (1 + ur)‘ Altimetria. 285 e da questa: h = - —r- tì —4?— ( 1 + ~\ (1 + a t ) log — (àh w h g i o o p. \ r J ^ & p 1 H-. 2 6 r ove abbiamo trascurato, rispetto all’ unità, la quantità -—p e quelle degli ordini superiori come affatto insensibili. u _ P«_ a a; Pi s Introducendo i valori di ——e di —già dedotti al num.° 2? Si F- P si ottiene poi: C 1 + t ùh co ìf 2 6 r 1 +~)(i+ 2 ^j(i + ycos2 ? )^i+^ (i + aOjiogl + ^+P^r.-r,)) (67) che è la formula che volevamo ricavare. In essa è conveniente, conte già abbiamo indicato, di dare a C un valore dedotto da esperienze dirette. Il valore di 01 deve essere calcolato dalla (66), che ci dà 01 = *(*.— *?) (68) introducendo in questa in luogo di t t , t z le temperature osservate (termometro libero') e in luogo di h la relativa differenza di livello ap- e determinando c colla condizione che per b = o si abbia p = p l : -p2-( l + atl ) (! + ur)log^. -- 1 h I fi- — r P (1 + r) 'og (1 + 7 ) + log (i - M li). Di qui, ricordando quanto fu detto al numero 23 sul valore di ^ > s * deduce in fine: A=(i + 7)[ C ( I + ‘XT')( I + lf) (^'/cosay) (i+«h) ( J + “Ojlog^i fi- fi- ULL 7 js u (T— T,)| fi-^ log/l fi- — ^ r --log(i-M /j) 1 r 1 ‘ ‘ t z f* (1 fi- “ r) & ( r ) ft (1 fi- « r) 6 'J . Il valore assai grande di « r rende assai penoso il calcolo di questa relazione. 286 Capitolo sesto. prossimata e infine in luogo di a il coefficiente di dilatazione che compete allo stato igrometrico medio dell’aria al momento dei- fi osservazione. 25 . Al num.° 4 abbiamo indicato qual era prossimamente l’ipotesi di Bessel sul decremento della densità atmosferica col crescere dell’altezza: però, per integrare l’equazione fondamentale (59) in questo caso, è utile il dare alla formula che rappresenta l’ipotesi di Bessel la sua forma originale che è: r s (69) ove 0 è una costante da determinarsi esperimentalmente, r una variabile ausiliaria legata alla differenza di livello h dalla relazione: e p t , S, sono la pressione e la densità dell’aria nel punto in cui h = 0. La (69) mostra che l’ipotesi di Bessel è intermedia fra quella di Bouguer e l’ipotesi che il calore atmosferico sia costante col crescere dell’altezza, e concorda quindi coi risultati esperimentali di cui abbiamo parlato al n.° 3. Infatti se il calore atmosferico fosse costante si avrebbe: mentre nella ipotesi di Bouguer, si deduce senza difficoltà [formule ( 7 ), (8), (70)] essendo N una costante: ora la (69) può esser messa sotto la forma: sotto cui viene a giustificare la considerazione che abbiamo fatto poco sopra. Ciò posto, riprendiamo la relazione fondamentale: dp = — g § db a cui, sostituendo a g il suo valore in funzione della gravità g t del Altimetria. 287 punto in cui h = o e della differenza di livello h, e ricordando la (70), si può dare la forma d P = —Si^- il f =gjr.d gjrds. ' (r 4- h ) 2 61 " ' ' " \r -fi h) Da questa combinata con la (69) si dedurrà agevolmente : d p d’onde, integrando: 8 ? ” , :-— eo d s P P , 8 ? 0 li Log p — — e 0 + C. Pi La costante di integrazione C si determina osservando che, per ipotesi, ad s — o corrisponde il valore p z di p e quindi si ha; Se ne trae: Log p l = C ■ L°g^=^-^ # ove il logaritmo è Neperiano; dividendo per il modulo [j. a fine di ridurlo a un logaritmo comune ricavando nello stesso tempo il valore di e si ottiene: e = 1 Pi 6 S log - ed, in conseguenza : 0 , s = — log fi r y. 1 1 Sil J - P - h l 0 a — 1 ^iSi? °P avra: Sostituendo infine ad r il suo valore ricavato dalla (70) si H ,+ ^ log ! i+ *fe log / Il valore di ^, che varia col punto da cui si comincia a contare h, si deduce dalla nota relazione: + a O 288 Capitolo sesto. dove p a , S 0 hanno il consueto significato (n.° 22 e 23) e t l è la temperatura dell’aria (termometro libero) per h = o; perciò la precedente espressione di h diviene: (1 4-«*,)/>„ log 1 + ed introducendo in luogo di —y— e di ^ i valori trovati al gl P P avremo : ( i +^) 1 og[i+^(i+ £ -^)(i+a.o(i+^) (7 0 (1 + y cos2 > U 2 ' Altimetria. 2S9 e, per piccole differenze di livello, il termine (3 p. ( T 2 ■— T~) diviene pressoché insensibile; d’altronde esso rappresenta la correzione da farsi alle letture barometriche per ridurle alla stessa temperatura, sia dunque che si trascuri il detto termine, sia che la riduzione suindicata si supponga fatta a parte, potremo porre: Ora si ha: h = CI 1 -fa M lo K b. e quindi: 2b , b 1 + b l 2 \ b z + b l 1 4 - s h j b -K 'A±A K-K K + K , », , , , b—b,\ , ( b—b, log ~ = log 1 -f f-f — log 1 — f-4 ove la quantità ^ ha, nelle nostre supposizioni, un valore molto piccolo. Sviluppando in serie i logaritmi del secondo membro colla nota formula troveremo: h = 2 C p, ( 1 -f a 3 \A i - ^ + • • • • Se dunque i cubi di ^ sono trascurabili rispetto a questa quantità si potrà porre: è = 2C[A(i+a f -L±i*)t|i. (72) 2 A + V Dando a C il valore esperimentale indicato a suo luogo [formula (65)], conveniente al caso in cui si trascura la correzione per la latitudine e per il vapore acqueo, avremo dunque: h = 15976 (1 -f a —^ (73) 2 A + V In pratica, per comodità, si suole prendere : t, 4- 1 \ b. — b. h = 16000^1 -f 0,002 —^ - j j 2 J^ + b,’ e questa relazione dà discreti risultati se la differenza di livello b non supera i 1000 metri. Pucci, Geodesia. 19 290 Capitolo sesto. 27 . Tutte le formule che abbiamo dedotte nei numeri precedenti per la livellazione barometrica suppongono che le altezze barometriche e le temperature dell’ aria (termometro libero ) delle due stazioni siano state osservate nelle identiche condizioni atmosferiche, e quindi che le due stazioni non sieno orizsontalmente troppo distanti, e le osservazioni siano state fatte in tempo normale e contemporaneamente. Quando è un solo osservatore che opera, e perciò non è possibile che quest’ ultima condizione sia soddisfatta, è necessario di ridurre una delle due temperature osservate a quella che si sarebbe ottenuta contemporaneamente all’ altra ; tale riduzione si può fare per mezzo delle differenze orarie ricavate da osservazioni termo- metriche di qualche luogo vicino. Dovrebbe ancora tenersi conto dell’influenza della parte della massa terrestre cui appartengono i punti di stazione, che si eleva al disopra del punto più basso; ma le considerazioni teoretiche non ascriverebbero a tale correzione che un valore trascurabile ( Poisson ) e, praticamente, non si conosce nessuna formula empirica soddisfacente. I barometri più usitati per la determinazione delle differenze di livello sono quelli di Deleuill (sistema Fortin ) o quelli a sifone (sistema Gay-Lussac ), pei quali il coefficiente di dilatazione della scala si suol porre eguale a 0,00001876, e quindi alla lettura fatta b si deve far la correzione —0,00001876 b T. Per differenze di livello molto grandi gli Aneroidi danno resultati molto incerti: per piccole differenze di livello sono molto convenienti quelli di Bre- guet a graduazioni successive, fatte cioè in modo che il quadrante comprenda solo una porzione della scala, e che quindi ciascun barometro possa essere usato soltanto dentro i limiti di altezza per i quali è costruito. Per ciascun barometro si determina un diagramma di correzione assoggettandolo a numerose esperienze di confronto con un barometro normale a mercurio a diverse pressioni e a diverse temperature. Del resto le norme per l’uso degli istrumenti sopraindicati debbono essere consultate nei trattati speciali. 28 . È noto che il punto dì ebollizione di un liquido dipende dalla pressione che esso sopporta; negli ultimi tempi si è quindi pensato di usufruire di questa dipendenza per la misura delle differenze di livello. L’istrumento a ciò adatto vien chiamato termobarometro e si compone, in sostanza, di un recipiente in cui si fa bollire un liquido determinato (acqua distillata'), e di un termometro di alta precisione, che serve a determinare la temperatura sotto cui il li- Altimetria. 291 quido bolle. Da questa temperatura si inferisce la pressione a cui il liquido è sottoposto. E necessario di usare delle delicate previdenze affinchè l’osservazione della temperatura di ebollizione non riesca erronea, giacche la materia di cui si compone il recipiente altera tale temperatura, e a volte fino a più di un grado; inoltre influiscono su di essa anche i salì sciolti nel liquido, ecc. Perciò il termometro, anziché nel liquido, viene immerso nel suo vapore; questo vapore per altro deve avere uno sfogo sufficiente in modo che la sua tensione sia perfettamente eguale a quella dell’ aria libera, e che l’ostacolo che trova nelle pareti della camera che lo contiene non produca un’ alterazione nella temperatura di ebollizione del liquido. Regnatili (con delicate osservazioni che sarebbe molto utile di estendere e di ripetere coi mezzi di accresciuta precisione di cui oggidì disponiamo, o, in ogni caso, di sottoporre a nuovo calcolo in armonia col principio dei minimi quadrati) trovò che fra la temperatura centigrada t di ebollizione dell’ acqua distillata e la pressione esiste la legge esperimentale log p = a — fi x + 20 — y y + 20 (74) ove a, ( 3 , y, x, y, sono delle costanti; Rankine propose invece di porre log p = A — ^ — (75) Calcolato il valore della pressione p da una di queste formule il metodo di calcolo delle differenze di livello non differisce- da quello indicato nei numeri precedenti per la livellazione barometrica. 29 . I metodi che abbiamo fin qui esposti per l’altimetria di una regione terrestre hanno per fondamento una successione di differenze di livello, che introduce nei resultati definitivi un errore tanto maggiore quanto più i punti trigonometrici, cui appartengono le al- * I valori che i suddetti illustri scienziati hanno ottenuti per le costanti delle due formule (74), (75) sono: a = 7,39744, log (3 = 0,13977, log 7 = 0,69244, log % = 7,99405, log;’ = ^99834 A — 8,9477, log B = 3,18114, log C= 5,088 p essendo espresso in chilogrammi su di un metro quadrato preso come unità di superficie. Capitolo sesto. 292 tezze determinate, sono distanti dall’origine delle differenze di livello ( quote ), ossia dai mareografi: d’altronde la livellazione trigonometrica (e molto meno quella barometrica o termo-barometrica) non può dare resultati di alta precisione per le cause già più volte indicate in questo Capitolo. Nei lavori altimetrici molto estesi si stabiliscono adunque delle linee di riferimento di cui tutti i punti hanno altezze determinate con un metodo di molto maggiore esattezza, ossia per mezzo di una livellatone di precisione, detta anche livellatone geometrica. Tali linee fanno parte intanto di quei lavori di alta precisione di cui la Geodesia propriamente detta si vale in certe ricerche scentifìche, mentre ciascun punto di esse può servire di partenza per la determinazione di un seguito di differenze di livello; allorché due serie di tali determinazioni parziali si incontrano in uno o più punti comuni si ha un controllo dell’esattezza delle altitudini determinate e in pari tempo una vantaggiosa condizione di concordanza, che può essere usufruita per ricercare le correzioni più probabili da farsi alle altezze degli altri punti determinati ( Compensatone , Capitolo VII). Quantunque il metodo, assai semplice del resto, con cui una livellazione di precisione viene osservata, calcolata e compensata abbia un intimo rapporto colla Geodesia propriamente detta, l’esposizione di esso non può tuttavia trovar qui il suo luogo; essa forma piuttosto una parte importante della Geometria pratica, ed è ai trattati speciali di tale materia che dobbiamo rimandare in proposito il lettore. Invece ci conviene di parlare brevemente dei punti di origine delle altezze, ossia della ricerca dei punti del Geoide da cui partono le differenze di livello. Abbiamo visto che il Geoide è la superficie di livello secondo cui si disporrebbero le acque dei mari (supposto che questi comunicassero fra loro, e penetrassero sotto i continenti) quando fossero in perfetto riposo. Ma molte cause disturbano la loro quiete: il calore diurno, la rotazione terrestre, l’avvicendamento delle stagioni, i venti, le pressioni, ecc., producono di continuo delle variazioni di densità e degli esquilibrì periodici od irregolari; inoltre l’attrazione lunisolare, còme è noto, è causa di un movimento periodico particolare, conosciuto sotto il nome di marea; dimodoché la ricerca dei punti del Geoide lungo le spiaggie marine, che sarebbe agevolissima se le acque fossero in costante equilibrio, diviene assai complicata, e solo difficilmente, e per mezzo di lunghi periodi di giornaliere osservazioni, si giunge a discernere ed a calcolare l’influenza delle varie cause di disturbo sul livello medio del mare. Altimetria. 293 Facendo astrazione pel momento dalle prime delle cause di esquilibrio suddette dobbiamo esporre alcune nozioni generali sulle maree : l’analisi completa di un tal fenomeno richiede lunghi e complicati sviluppi, che sorpassano di molto i limiti che ci siamo prefissi in questo libro: del resto essa forma parte della Meccanica Celeste piuttosto che della Geodesia. Supponiamo di tenere immersa verticalmente nel mare un’ asta fissa graduata, e di osservare il punto in cui la graduazione è incontrata dalla superficie delle acque: è facile constatare esperimental- rnente che la distanza di questo punto dallo zero della graduazione è una funzione periodica del tempo, o piuttosto della posizione relativa del Sole e della Luna nella sfera celeste. Tale distanza va soggetta, in generale, a diversi massimi e minimi, fra i quali si debbono distinguere i massimi e minimi diurni, mensili ed annuali, i giorni, i mesi e gli anni essendo i lunari. Si comprende subito che la causa del fenomeno non è che l’attrazione lunisolare : la Luna, come l’astro più prossimo a noi, esercita in esso l’azione principale, e poiché tale astro in 24°'° 50™ circa descrive (apparentemente) una circonferenza della sfera celeste, la direzione della sua attrazione è continuamente variabile, ed il rigonfiamento che essa produce nelle acque marine segue l’astro nel suo movimento diurno. Le resistenze che incontra questa specie di onda nella sua traslazione lungo le spiaggie e nel traversare gli stretti, l’effetto delle riflessioni multiple e dell’attrito interno del liquido producono un ritardo tanto più notevole quanto più il suo tragitto capita in mari ristretti e poco profondi, e fra coste molto frastagliate : questo ritardo ( che è costante per ciascun punto della superficie del mare ) è conosciuto sotto il nome assai improprio di stabilimento del porto. In realtà, anziché un solo rigonfiamento di acque, l’attrazione lunisolare ne produce due diametralmente opposti, che raggiungono uno stesso punto del mare a 12"'. 25” circa di intervallo di tempo. Per spiegare elementarmente questo fenomeno sia m a m'a' (fig. 48) una sfera composta di una massa liquida di uniforme densità e in equilibrio sotto l’azione dell’attrazione mutua molecolare Newtoniana, e supponiamo in 5 concentrata una nuova massa attraente; rappresentando con K l’attrazione di tale massa all’unità di distanza e sull’ unità di massa, con r il raggio della sfera suindicata e con A la distanza fra il centro dì tale sfera e il punto attraente 5 , l’equilibrio primitivo della molecola elementare liquida posta nel punto m della sfera più .prossimo ad 5 , sarà disturbato da una forza F m diretta se- Capitolo sesto. 294 condo m S, la cui intensità sarà data da : „ K dm F -=(I=7y- Se la massa attraente S è sufficientemente distante, come nel caso che ci occupa, tutti gli elementi di massa situati nella sezione meri Fig. 48. diana a'ca della sfera considerata, perpendicolare alla congiungente c in S, possono d’altronde esser considerati come egualmente attratti verso S con la forza „ K dm F c = —t- A e, nel nostro caso, in cui r è assai piccolo rispetto a A, avremo prossimamente F _ F 2 Kr . : —a m , A> ’ come si vede subito sviluppando in F m il fattore (A — r )- 2 = A- 2 (i in funzione delle potenze ascendenti di — . Ne risulta che, rispetto all’unità di massa situata nel piano mediano a' c a suddetto, l’unità di massa liquida situata in ni viene attratta verso 5 con un eccesso 2 Kt di forza prossimamente eguale a —- 5 -; estendendo il ragionamento a tutti gli elementi di massa compresi nell’emisfero a'cani se ne conclude che in in si deve formare un primo rigonfiamento liquido, ossia un’alta marea dovuta all’attrazione di S. Se ora si considera Altimetria. 295 l’elemento di massa liquida, situato nel punto tu' diametralmente apposto ad m, per il valore dell’ attrazione che S esercita su di esso si trova: j-, Kdm Kd m ( 2 Kr \ " (à + r) 2 - V l’ ' - +-) da cui : Kdm , F„,i — F c = *3 +• . ., ecc. Perciò i punti del piano mediano a'ca sono attratti verso 5 con una forza maggiore che non il punto tu', e in m' si deve produrre un secondo rigonfiamento del tutto eguale a quello in ni, come abbiamo sopra indicato. In conseguenza dei due rigonfiamenti sopra descritti ( alte maree ) vi ha poi lungo la circonferenza a! a una depressione nel livello delle acque, alla quale si dà, come è noto, il nome di bassa marea. In un giorno lunare vi sono dunque, per ciascun punto terrestre, due alte e due basse maree che corrispondono a due massimi e due minimi nel livello della superficie delle acque, sempre astrazione fatta dalle cause accidentali d’esquilibrio, locale o generale che sia. I valori di questi massimi e minimi sarebbero tutti prossimamente eguali se non si avesse da considerare che l’attrazione di un sol corpo celeste ; ma il fenomeno delle maree, quale noi 1’ osserviamo, è dovuto in pari tempo all’attrazione del sole e a quella della luna (quella degli altri corpi celesti è qui del tutto insensibile) ; in conseguenza i valori sopra indicati sono funzioni della posizione relativa di questi due astri. Poiché in un mese lunare vi hanno due epoche in cui la luna e il sole si trovano nello stesso piano meridiano terrestre (1 congiunzione ed opposizione ), in tali epoche gli effetti dei due astri si sommano, e l’alta e la bassa marea corrispondenti sono massime. Nelle quadrature, ossia quando il sole e la luna si trovano in due piani meridiani che si tagliano perpendicolarmente, si hanno invece le minime alte e basse maree. In questi massimi e minimi si verifica un ritardo rispetto a quelli della causa che li produce, come succede in tutti i fenomeni fisici: ciò può facilmente venire spiegato da considerazioni analitiche semplicissime che qui non è il caso di riferire. Per esempio, nei nostri mari le massime alte e basse maree si producono circa un giorno e mezzo dopo il momento di una congiunzione od opposizione, e le minime altrettanto tempo dopo le quadrature relative. 296 Capitolo sesto. Il periodo completo del fenomeno delle maree è di 18 anni circa, giacché dopo questo ciclo le posizioni relative del sole e della luna tornano ad essere pressoché le stesse, mentre le variazioni secolari dei corpi celesti sono affatto insensibili ai nostri mezzi di osservazione mareometrica. 30 . La misura delle alte e basse maree vien fatta per mezzo di istrumenti speciali, che prendono il nome di mareografi o inareometri secondo che registrano da per sé le osservazioni, o queste debbono esser fatte direttamente dall’osservatore. Oggidì in Geodesia è solo dei primi che si fa uso, dacché, per eliminare dai risultati l’influenza delle cause continue di disturbo del livello del mare, è necessario di disporre di un gran numero di osservazioni fatte durante un lungo periodo di tempo, come per esempio, in 10 anni. Per dare un’idea dei sopradetti istrumenti ne descriveremo per sommi capi uno,- che è rappresentato schematicamente nella annessa figura 49. In un cilindro vuoto metallico M N, immerso nel mare e in cui l’acqua entra per la sua bocca inferiore M, è introdotto un galleggiante metallico P sospeso per mezzo di una catena metallica che, dopo percorso il cammino P Q R G, si avvolge a un cilindro pieno G ed é mantenuta in tensione dal peso H. Il cilindro vuoto MN suddetto serve a smorzare le piccole ondulazioni irregolari e casuali che si producono alla superficie del liquido. Allorché il livello del mare s’alza o si abbassa in tale cilindro, il galleggiante P, salendo o discendendo, produce una rotazione del cilindro G intorno ai suo asse, e, per conseguenza, una rotazione della ruota dentata AB, connessa invariabilmente colla testa del detto cilindro. Questo movimento di rotazione è trasmesso, per mezzo di un sistema di ruote dentate, al cilindro pieno C, intorno al quale si avvolge una seconda catena mantenuta in tensione da un lato dal peso E, dall’altro dal peso F, che agisce sulla catena a traverso la sbarra di ferro II e la terza catena L F. Cotesta sbarra di ferro riposa su due curri m, n ; allorché il cilindro C ruota intorno al proprio asse sotto l’azione di salita o di discesa del galleggiante P, la sbarra di ferro L L si muove nel senso della sua lunghezza, proporzionalmente alla quantità di cui il galleggiante è montato o sceso: 11 rapporto fra i due movimenti lineari, cioè fra quello del galleggiante e quello della sbarra L L, è convenientemente determinato dal roteggio interposto, che in pari tempo serve a smorzare le bru- Altimetria. 297 sche e troppo rapide oscillazioni casuali del galleggiante, e a regolarizzare il movimento longitudinale della riga suddetta. Questa riga guida un cilindretto metallico che viene introdotto in un foro praticato sul centro 0 di essa : tale cilindretto cade pel suo peso fino ad un piano SS sottoposto, e comprime su questo una matita infissa -W=\ alla propria estremità inferiore. Sullo stesso piano poggia pure una seconda matita mantenuta in O' e fissata con una guida analoga a quella in 0, ma collegata invariabilmente col tavolo che sostiene tutto 1’ apparecchio : in tal modo se si fa scorrere con moto uniforme un foglio di carta sopra il detto piano nel senso normale alla direzione della riga, la prima matita in O descriverà una certa curva dipen- 298 Capitolo sesto. dente dal movimento del galleggiante, combinato con quello della carta, la seconda in 0' segnerà invece una linea retta che può essere assunta come asse delle ascisse e su cui si può contare il tempo. Infatti la matita O è messa in corrispondenza con un orologio a pendolo T T, e riceve da questo un piccolo movimento nel senso perpendicolare al movimento della carta a ogni istante in cui la lancetta delle ore segna un’ora esatta (o m , o. s ). I) congegno annesso al pendolo per ottenere questa indicazione può esser fatto in diverse guise, ma il più semplice consiste in una ruota con un solo dente che gira insieme alla lancetta delle ore, il dente essendo messo in corrispondenza con questa, in modo che ad ogni ora esatta incontri una leva delicata che trasmetta l’indicazione alla matita. Il movimento uniforme suindicato della carta si ottiene semplicemente avvolgendola a due cilindri paralleli e laterali al piano su cui la carta scorre; nella figura è segnato solo uno di cotesti cilindri in S 5, l’altro rimanendo nascosto sotto di questo : una ruota dentata K, mossa uniformemente dall’orologio a pendolo, fa ruotare i due cilindri nello stesso senso uniformemente intorno ai propri assi, per cui la carta è obbligata a strisciare sul piano, mentre svolgendosi da un cilindro si avvolge sull’ altro. Allorché l’orologio è in movimento si ottiene sulla carta una indicazione grafica della forma indicata nella fig. 50, ove la linea AB è da ritenersi come l’asse delle ascisse indicatore del tempo, e dalle ordinate, ridotte nella scala effettiva per mezzo del rapporto di diminuzione relativo all’ istrumento e di cui più sopra abbiamo parlato, e aumentate di una costante, che sarebbe l’altezza del piano della carta sul livello del mare quando la matita 0 tracciasse l’asse delle ascisse A B, si può dedurre l’altezza del piano della carta sul livello del mare ad ogni istante. I punti C, E, G... danno gli istanti e i valori delle basse maree, e D, F, H... quelli delle alte. Il cosiddetto livello medio del mare corrisponde all’ordinata media di una Altimetria. 299 lunga serie di ondulazioni della curva mareometrica : di solito questa ordinata si deduce dall’ area compresa fra la curva e l’asse delle ascisse (misurata con un planimetro) divisa per la porzione corrispondente di quest’asse. Però fa d’uopo, anzitutto, correggere le curve mareografiche dell’ influenza locale dei venti dominanti e delle altre cause di disturbo casuale, nel modo che indicheremo più sotto. Il mareografo che abbiamo descritto è conveniente per osservazioni regolari protratte per un lungo periodo di tempo: e, in realtà, in alta Geodesia è soltanto di questo genere di osservazioni che può tenersi conto, giacche le alterazioni casuali in un luogo durano a volte assai lungamente e non possono esser poste in evidenza che dalla discussione diligente di un grandissimo numero di osservazioni. Tuttavia è spesso necessario, specialmente per lavori di minore importanza scientifica, poter determinare un punto di partenza per le altezze in pochi giorni e in luoghi in cui un apparecchio stabile non può esser montato. Vi hanno dunque dei mareografi facilmente trasportabili e di piccola mole, che possono essere montati con tutta facilità su di una spiaggia qualunque; è facile immaginare la loro forma, che in sostanza non differisce da quella dei mareografi fissi. 31 . L’ordinata media della curva mareometrica sarebbe pressoché costante in ciascun mese lunare se il livello marino non fosse disturbato che dall’ attrazione lunisolare : anzi, anche le differenze fra le ordinate medie delle diverse fasi di marea (intervallo fra una bassa marea e l’alta marea successiva o reciprocamente) sarebbero quasi insensibili ai nostri istrumenti di misura. * Ma per l’effetto degli altri elementi di esquilibrio, e specialmente a causa dei venti, queste differenze prendono dei valori rilevanti che, in certe località, superano Spesso l’intero valore della marea (differenza di livello fra l’alta e la bassa marea). È dunque indispensabile di sottoporre a calcolo cotesto effetto, e gli elementi relativi sono tratti dalle curve stesse mareografiche, combinate con le corrispondenti osservazioni della direzione e intensità del vento, della pressione barometrica, della temperatura, ecc. Conviene però notare che queste osservazioni non possono essere limitate al luogo del mareografo, sono anzi i fenomeni di un carattere generale ed esteso quelli che producono le anomalie maggiori quando anche nel luogo del mareografo non si rendano * Queste differenze dipendono dalla latitudine del luogo, come si vedrà meglio nel numero successivo. JOO Capitolo sesto. palesi in nessun’altra guisa. Si comprende adunque che la discussione delle curve mareografiche deve essere condotta con molta perspicacia, non essendo di natura da ammettere altri criteri generali se non quelli che si debbono in ogni caso seguire nelle ricerche esperimentali delle relazioni fra le quantità fìsiche. Non dobbiamo dunque fermarci su questo argomento se non per indicare la forma che sembra essere la più conveniente per la funzione che deve rappresentare il complesso del fenomeno che disturba l’equilibrio medio dei mari. Questa funzione è la seguente: y=y 0 + + pt -f $Ksen(A + C) (76) ove y è il valore dell’ordinata media di una fase di curva mareogra- fica durante la quale fase le circostanze di tempo sieno rimaste le stesse, y 0 è l’ordinata media ignota d’un numero intero di fasi comprese in un mese lunare, a, p, y, §, C sono costanti da determinare esperimentalmente t è il tempo in frazione di un mese lunare, contato dalla congiunzione o dall’ opposizione, b la differenza di altezza barometrica in millimetri da 760, t la temperatura, A l’azimut secondo cui spira il vento nella zona considerata, K la intensità di esso. Il modo di dedurre dalla (76) i valori delle quantità che vi compariscono e che non sono osservate direttamente sarà esposto nel capitolo seguente. 32 . Supposto ora conosciuto il valore (che può ritenersi costante) dell’ ordinata media y o corrispondente ad un numero intero di fasi di marea comprese in un mese lunare, corretta da ogni influenza casuale, questa, ridotta per il rapporto di diminuzione del mareografo, e aumentata della costante istrumentale già sopra menzionata, ci dà l’altezza del piano del mareografo sul livello medio dei- mare. E invalso l’uso fra i Geodeti di considerare questo livello medio come appartenente al Geoide, e quindi si suole ritenere l’altezza sopra indicata come l’altezza assoluta del suddetto piano del mareografo (piano che, essendo munito di piedi a viti calanti, vien disposto orizzontalmente per mezzo di una livella). Con misure dirette poi si trasporta, come si suol dire, questa altezza al segnale geodetico che deve servire come punto di partenza delle differenze di livello, o all’istrumento (livello, teodolite od universale che sia) posto nella posizione in cui le operazioni di altimetria hanno principio. Ci sembra importante di notare che i punti che appartengono al livello medio del mare non appartengono però realmente al Geoide, Altimetria. 301 definito come la superficie di equilibrio secondo cui si disporrebbero le acque dei mari supposti in comunicazione e quando non vi fossero cause di continuo disturbo. Una tale considerazione, che non ha valore rispetto allo scopo principale dell’altimetria, diviene invece necessaria quando si vogliono comparare degli %eri mareo- metrici posti sotto latitudini molto-diverse, per dedurne delle conseguenze sulla forma del Geoide. Per mostrare elementarmente la distanza (in altezza) fra un punto appartenente al livello medio del mare e il punto corrispondente del Geoide e dedurre in pari tempo una formula che dia, con sufficente approssimazione, il valore di tale distanza, considereremo il Geoide come una sfera di raggio R (lo che non introduce in questo caso nessun errore sensibile nei resultati) e supporremo che la superficie delle acque, deformata a causa dell’attrazione lunisolare, sia un ellissoide di rivoluzione allungato, col suo grand’asse diretto verso il corpo attraente, che possiamo ammettere unico. Rappresentando la metà di questo grand’ asse con R -(- x è facile vedere che il piccolo asse è dato, con sufficiente approssimazione, da R — 2 x, giacché, il volume dell’ ellissoide dovendo essere eguale a quello della sfera, si ha fra il raggio di questa e i semiassi a, b la condizione da cui si deduce a 2 — {R -fxf a 2 b = R\ R'> R 2 x T 3 x R 2 . ecc, mentre, per la piccolezza del rapporto le seconde potenze di questo possono evidentemente essere trascurate, tanto più che la forma ellissoidica ammessa non è che ipotetica. Tutti i punti che in un dato istante hanno alta marea appartengono a un meridiano terrestre, e, nella nostra ipotesi, astrazione fatta dal ritardo della marea ( stabilimento del porto ) la forma della intersezione del piano di quel meridiano colla superficie delle acque è in quell’istante un’ellisse che ha per semiassi R -f- x ed R — 21: se si riferisce cotesta curva a un sistema di coordinate polari r, 0 col polo al suo centro e coll’asse polare coincidente coll’asse maggiore dell’ ellisse, per l’equazione che lo rappresenta si trova senza difficoltà R — 2 x Vi — e 1 cos 2 f) r = Capitolo sesto. da cui si deduce: e 2 cos 2 0 R e 2 cos 2 6 2*1 + ., ecc. OC Per il valore di e 2 , trascurando le potenze di superiori alla prima, si ottiene per altro (R + A') 2 - (R - 2 A') 2 _6 X (R + + 2 Tf + ecc ' quindi l’espressione precedente diviene: r — R = — 2 * ( i — — cos 2 0 j + ... r — R = — 2x[ i — 2 Per esprimere 0 in funzione di quantità note, sia 8 la declinazione astronomica del corpo attraente e 9 la latitudine ( geocentrica , vedi il capitolo delle Carte geografiche') corrispondente al punto (r, 0 ) ed è facile constatare che si ha : 0 =

di 9 che corrisponde al massimo di H si ottiene subito sostituendo nella (79) a A il suo valore dato dalla prima delle (78) in funzione della costante x e deducendo dal risultato il valore di In tal modo si ottiene senza difficoltà per la a 9 r condizione del massimo: 2 cos (9 — 8 ) sen (9 — 8 ) = sen 2 (9 — 8 ) = 0 3°4 Capitolo sesto. d’onde si vede che vi ha un massimo nei punti per cui si ha

pq> qq e, se si fa astrazione dall’ordine di successione con cui gli avvenimenti si possono combinare, avremo la tabella schematica seguente: AA A B ovvero B A BB f 2 pq 4 2 Analogamente in tre prove successive si hanno le combinazioni e probabilità seguenti, sempre facendo astrazione dall’ordine di successione: AAA A AB 1 ABB BBB P' 3 P 2 q j 3pq 2 Y dove le diverse probabilità non sono altro che i quattro termini dello sviluppo di (p -f- qf. ' È facile vedere che in generale i termini dello sviluppo di -f- q) n rappresentano appunto le probabilità delle diverse combinazioni dei due avvenimenti A, B in un numero n di prove successive, combinazioni caratterizzate dall’esponente di p che indica il numero delle volte che è successo A, o dall’ esponente di q che indica il numero delle volte che è successo B, indipendentemente però dall’ordine di successione con cui gli avvenimenti si sono presentati. Infatti se è data- la probabilità che in n prove l’avvenimento A si sia presentato li volte, la probabilità che in un’altra prova successiva lo stesso avvenimento si presenti di nuovo sarà data dalla probabilità primitiva moltiplicata per p, e invece la probabilità che succeda nella (n -f- i) ma prova l’avvenimento B sarà data dalla probabilità primitiva moltiplicata per q. Da ciò si deduce che se la proprietà sopra indicata dello sviluppo di (p-{-qT ò vera P er n prove è vera altresì per » + 1. 3*4 Capitolo settimo. Adottando per brevità la notazione C„ m per il numero delle combinazioni di n oggetti presi m ad m, la probabilità che l’avvenimento A si sia presentato m volte sopra n prove (e quindi n — m volte l’avvenimento S) sarà : C H m .p m q"~ m . Quando m prende i diversi valori possibili che sono dati dai numeri interi compresi fra o ed n, questi estremi inclusivi, la probabilità corrispondente varia: e ci possiamo domandare quale è il valore di m per cui essa diventa massima, ciò che si riduce a trovare il termine che ha il massimo valore fra quelli dello sviluppo di ( q + py. Ora i termini di questo sviluppo in generale sono crescenti fino ad uno di essi al di là del quale divengono decrescenti, giacché il rapporto del termine dell’ordine m-{- 2 al precedente è dato da: n — ni p m + i q n m i + -1 _P _L ? m 11 dove — è necessariamente maggiore dell’unità. Se dunque si comparano tre termini successivi, di cui quello di mezzo sia quello dell’ordine ni fi- i, e si rappresenta con M il valore di m corrispondente al termine massimo, avremo le condizioni : p (il — M 4 i ) q M > i, p (pi — M) q (M + i) dalle quali, ricordando che q = i — p, si trae: M~p>p (n fi- i) — i. M, - MI + I - l v Cffi'f (3) 9. Uno dei teoremi piti importanti del calcolo delle probabilità e che dovrà servirci di fondamento alla teoria che dobbiamo esporre, è il noto teorema di Bernoulli che può formularsi così : Quando il numero delle prove di un dato fenomeno cresce indefinitamente, la probabilità che ciascuno avvenimento atto a produrre il fenomeno si presenti un numero di volte proporzionale alla propria probabilità si accosta indefinitamente alla certezza, por modo che in un numero infinito di prove i rapporti fra i numeri delle volte che si sono presentati i vari avvenimenti possibili (numeri che in tal caso divengono infinitamente grandi) sono esattamente eguali ai rapporti delle singole probabilità di questi avvenimenti. Per dimostrarlo, osserviamo che in generale si ha : 1 . 2 . 3 . . . n 1.2.3 . ..h fin — h~)(n — h — 1) (n — h — 2) ... 3.2.1 n ! h! (n — b)! quindi, se si pone m — h — k, la formula (3), che esprime la probabilità che l’avvenimento A in n prove si sia presentato un numero di volte compreso fra m -f- / ed m — /, diviene : m + li)\ .*» — k - m + fc ( 4 ) Supponiamo che per m si scelga il massimo numero intero compreso nel prodotto pQi-fT), per modo che sia: m = np -f- w 3 i6 Capitolo settimo. ove os rappresenta una frazione propria; si avrà: ni w n — m —-111 Oj 11 ' 11 ' -, q n ■ n À Inoltre, per la formula di Stirling*, avremo approssimativamente: (ni — li) ! = (in — lì) m k e m+h ^ 2 t: (ni — li) (n — m- f- lì) \ = (n — m -f- ] i ) n — m + h e -n+ m -h 2 r: (n —■ m -f- k) * La nota formula di Stirling si può ottenere come segue. Nella serie : n‘ x‘ i. 2 1.2.3..»’ supponiamo x = cosyi seny = e , ,J , essendo?, al solito, il simbolo dell’immaginario. Avremo: n (cosy-f-* seny) I . 2 . 3 . . . 11 ” * + ... + I . 2 I e -my Se si moltiplica questa identità per ^ dy e si integra fra i limiti — ir, ir osservando che in generale si ha: [ £ifcy-|x_p 27 r [1 Jk\ = L meno che per k = o, nel qual caso il valore dell’ integrale diviene 2 ir, si ricava : seny-t«y eoa y-|- 1.2.3...» — 7 t da cui, ricordando che e*”<“ en ^'^=cos [« (senjy — y)~\ + i sen [re (sen— y)], si trae : e nu>sy [ cos j- n ^sen y —-^)] + i sen [n (sen y —_>')]! dy = 1.2.3...» — 7 T Ora per ciascuno dei valori che prende c nC0S! ' cos [» (seny — y)] per y compreso fra o e — ir corrisponde un valore eguale e dello stesso segno per y compreso fra o e -f w, mentre in sen [n (sen;y— jy)] corrisponde un valore eguale ma di segno contrario, quindi gli elementi reali di cui si compone l’ integrale del primo membro della precedente identità sono due a due eguali e dello stesso segno, mentre gli elementi immaginari due a due si distruggono. Avremo adunque 1.2.3...» K re"__ T_ f ir . 3 ... n ir J gli COS '■> cos [11 (sen y — )■)] dy 0 Teoria della combinazione delle osservazioni. 317 rimanendo sottinteso che quando n, m — k, n — m h divengono • infinitamente grandi queste formule sono rigorose. In conseguenza la formula (4), sostituendovi a p, q,n!, (in — lì) !, (« — m-]- lì) ! i loro valori sopra scritti diverrà, dopo facili riduci, sviluppando in serie sen y : 1 f* | «v 3 ■ — e ncosy C QS I - Tri \I.2. ny‘ 1.2.3 ■ ■ - n 3 I •2.3 . 4. 5 ,.., eco. | dy Ora cambiamo di variabile indipendente ponendo 1 = \j 2 n sen — e, se si osserva che cos y= 1 — 2 sen 2 ^, la precedente espressione diverrà : n n 2 e" r^Tit I «. 2 3 -=-I ( cos -; 1.2.3.../; rr v ' 2 ni \ 1 • 2 • 3 n . 2° .7 — — • are sen° i.2.3.4.5 /— • • ■ > V 2 n ài V 2 n Il noto sviluppo : \J 2 11 \J 2 n 2 n \l 2 u 2 ■ 3 4 n ~\/ 2 re 3 • 4 • 5 ci mostra che la quantità compresa fra parentesi sotto il segno di coseno può svi- A 7 ^ lupparsi in una serie di termini della forma ~~ essendo m un numero positivo intero o frazionario crescente coll' ordine dei termini, dimodoché per n — a c la somma della serie si riduce a o: perciò dalla relazione precedentemente ottenuta si ricava : lim n n e~ n \j 211 2 C » , ---= — e-t il. 1.2.3...» ^ J Ma è noto (vedasi in seguito al numero 16 di questo Capitolo) che r* perciò avremo: lim e ì~dz = - n n e-"*J 2 n ir 0 1.2.3...» che è la formula di Stirling. È facile constatare che anche per n assai piccolo questa formula dà una notevole approssimazione. 3*8 Capìtolo settimo. zioni 2 -(in—■¥) (i l) \ tu) 2Ttm(n espressione che ci dà un valore approssimato di P, che però diviene rigorosamente esatto quando n, m — k, n — m -f- k divengono infinitamente grandi. Ora la relazione m — np -)- co, da cui si deduce l’altra n — m = nq — co, ci mostra che quando n diviene infinitamente grande m ed n — in divengono pure infinitamente grandi dello stesso ordine, giacché p, q, o) sono delle frazioni proprie: in quanto ad /, che è rimasto arbitrario, possiamo supporre che tenda all’ infinito insieme ad n, m ma con legge tale che le frazioni —, —, -tendano in pari n m n — m tempo a diventare infinitamente piccole. Perchè una tale ipotesi si verifichi basta infatti scegliere per l il maggior numero intero compreso in una potenza frazionaria (minore dell’ unità) di n, per esem- 2 pio in 72 3 . Siccome k non assume negli elementi della somma che costituisce P che valori compresi fra — l e -f- /, risulta che nella ipotesi sopra detta k quando n — oc divengono trascura n —• ra rabili rispetto all’unità. È facile constatare altresì che il limite del prodotto m-f-fc è l’unità, giacché si ha: lini -le . = lini “ + l i ni = oc> I I Teoria della combinazione delle osservazioni. 319 1 — ni ^ li 1 m ni. 2 -w 4- ecc. 1.2 I —w-I-w 3 ... = e~ 1.2 lini i I+ ^r- + ‘=l„J,-J I + _U„ + tt-m — a n -L'\ n - in) ecc. — I + w + I . 2 ... —e+ l e quindi il limite del prodotto sopra indicato sarà e' a . e +u — 1. Per avere poi il limite del prodotto t m [ni — k osserviamo che si ha : n — m ' \ m — ni -\- k ì Log (tn=r) *=-c»-*)Log(i-i)=- (w-/v)f- + \ni ¥ {« T , n — m Log - r \n — m + k 2 ni' 3 111 » — m -J- k ...I = k- V ie ¥ 2 m 6 ni 2 1 ¥ 2 (n — m) 6 (n — ni ) 2 i logaritmi essendo Neperiani. Se ne deduce n —• m Lo! (/ ni f n—-m V '\\ni — -h) \n — ni -f- k) FI 1 1 ¥[ 1 1 2 [ni ' n — mj 6 [w 2 («— m) 2 Ora se l’ordine di k è tale che ^siano quan- 2 ni 2 (n — ni) 2 tità finite (lo che non contraddice la ipotesi fatta precedentemente sopra i limiti cui tendono k ed n) evidentemente la serie prece- F n dente ha per limite --r-, giacché i termini in ¥,F, ecc. r 2 m (n — m) & ’ ’ hanno tutti per limite zero, potendo esser posti sotto una delle due , F k F k k k torme a -, a -,... ecc., mentre —,-tendono m ni n — ni n — m m n — ni 320 Capitolo settimo. a zero quando n cresce indefinitamente. Si avrà dunque = lim „ e 2 m (li — m) . • 11 — 00 Ma per / = oo il numero degli elementi della somma che costituisce P diviene infinito: in realtà la variabile k non passa da un valore all’ altro che seguendo la scala dei numeri interi, tuttavia nel nostro caso la somma suddetta si può cangiare in una integrazione considerando k come una variabile indipendente e continua fra i limiti —l e +/, giacché si viene così a sostituire alParea A, limitata in un senso da una linea spezzata abcde. . . della forma della fig. 51, l’area limitata in quel senso da una curva MN con- 9r^k Fig. SI. tinua che è molto prossima a tale spezzata. Avremo dunque: £ 2 m(n — l Poniamo ora ^ = k n , da cui d^ = Poniamo ora ^ = 2 m (« — in) e la precedente relazione diverrà: lim P = lim Per altro si aveva m=np -j- w, n — m — n.q — w, e per n = 00 si può trascurare w innanzi a np, n q: dunque sarà : 0 \l 2pq Teoria della combinazione delle osservazioni. 321 ed in conseguenza : lim P = Km -r= V Ipqn In questa formula P rappresenta la probabilità che in n prove l’avvenimento A si sia presentato un numero N di volte compreso fra ni — l, m -pi, ossia fra np — l ed np 4 - / : ora si può scegliere sempre l in modo che mentre, a seconda delle precedenti ipotesi, lim ^ — sia o, si abbia pure lini — 00 : a ciò è sufficiente, B = > r v n 2 per esempio, porre, come più sopra, l — ri* ; ne risulta che in questo caso si avrà 1 H-°° limP = -r=\ e~$dz, UJ — oc J 4- co e-^dz (vedasi — in seguito al n.° 16 di questo capitolo) si trae: lini P = 1. I V 2 pqn e~^dz- Quindi vi sarà certezza che il numero N sia compreso fra np—l . N ' Il ed np -\-l, cioè che — sia compreso fra p -, p -|— ossia, poiché il limite di — è zero, che — non differisca da p: lo che dimostra il teorema di Bernoulli sopra formulato. L’integrale 1 + ,-w V 2 pqn e~*dz V 2 pqn dà poi il valore approssimato della probabilità che l’avvenimento d si sia presentato in re prove un numero di volte compreso fra m -fi / ed m — l.* * Laurent, Traitè du Calcul des Próbabilités. Pucci, Geodesia. 21 322 Capitolo settimo. 10. Un secondo teorema fondamentale è il seguente, conosciuto sotto il nome di Teorema di Bayes. Se p„ è- la probabilità che in una prova agisca la causa C„ compresa fra le cause C„ C 2 ... C, atte a produrre un fenomeno F determinato, ma mutuamente escludentisi, e q„ è la probabilità che se agisce la causa C n avvenga appunto il fenomeno suddetto, quando questo è avvenuto la probabilità che sia la causa C„ quella che lo ha prodotto è data da: p ___ P n ?» _ PAi +PA. + •••/>.?» + •••A?»' Per cause escludentisi si intendono delle cause tali che quando una di esse agisce le altre non possono agire. Per dimostrare il teorema di Bayes premetteremo il seguente: Lemma. Quando si considera un fenomeno A che consiste nel concorso dei due fenomeni B, C di cui il secondo è subordinato al primo (cioè non può succedere che quando il primo si è già presentato), la probabilità P che A avvenga in una prova è. data dal prodotto della probabilità a priori p' del fenomeno B, per la probabilità p" che, B essendo avvenuto, succeda anche il fenomeno C. Infatti se Al è il numero dei casi egualmente possibili nella prova che si considera e che comprendono l’avvenimento A e, fra questi, n è il numero dei casi favorevoli all’ avvenimento di B si ha fi p' = j^. Supponiamo che, quando B è succeduto, il fenomeno C possa aver luogo in n' maniere diverse; la probabilità p" sarà data fi' evidentemente da —. Ma n’ è pure il numero dei casi favorevoli n ad A, giacché è il numero dei casi favorevoli alla successione degli avvenimenti B, C, quindi avremo: !L = !UL = p>p« N n N P P come si voleva dimostrare. Ciò posto, tornando al teorema di Bayes, rappresentiamo con Q la probabilità a priori che in una prova succeda il fenomeno F sotto l’azione della causa C„ ; per il principio delle probabilità composte avremo: Q=Pnq n - D’altronde se fi è la probabilità a priori del fenomeno F, e si con- Teoria della combinazione delle osservazioni. 323 sidera l’azione della causa C„ su F come subordinata all’ avvenimento di tale fenomeno, per il lemma precedente, si avrà altresì : <2 = n P e, dal paragone dei due soprascritti valori di Q, si trarrà: Resta a dedurre il valore di Ci. Sia N il numero totale dei casi ugualmente possibili innanzi alla prova che può produrre F, m„ il numero dei casi favorevoli ad F quando agisce la causa qualunque C„; evidentemente si avrà: „ m 1 -f- tn 2 + m . .. + m n -f . .. m, ^- giacché le cause C x , C 2 ...C S mutuamente si escludono. Se chiamiamo con k„ il numero dei casi in cui agisce la causa C„ potremo porre ancora : , K m„ P» — N ’ q “~ k n e quindi : m n - P» I»- Introducendo questo valore nella precedente espressione di Q avremo n = A ?,+)>,?»+• • - A A + •• - A?» ed, in conseguenza, la (a) può prendere la forma: P =---AlA- Pi) + •■• + (o.-/») = 0. (14) Il valore più probabile p della quantità osservata deve soddisfare a questa equazione qualunque sia d’altronde la forma vera od ipotetica della funzione + *,,.../> + *„) 333 Teoria della combinazione delle osservazioni. da cui si trae: V=F(p, p, p, 4 1* +forfaL'-+- ove gli indici alle derivate indicano che in esse si deve porre: x t =x 2 ... —x n = o. Ma, V essendo una media, si ha per definizione F (p, p, p ,...) = p , ed inoltre le derivate parziali di i.° ordine, che esplicitamente compariscono nella precedente relazione, sono tutte eguali fra loro; in conseguenza avremo: V=p -M0 i + * 2 + * 3 + O + A che si riduce subito alla seguente: F = p -j- A osservando che la somma delle differenze x lf x z ,... x n è nulla, giacché p è la media aritmetica delle osservazioni. A causa della simmetria della V rispetto alle osservazioni potremo porre ancora: r a 2 f i r a 2 f i r a 2 f i b(/>+*,)! kf>+*j\L Idtp+xj-ì a 2 f i r a 2 F a (/>+*,) ao + * 2 )J 0 La (.p + *,) d(p + *,). _1 La Q> + * 2 )ao+x 3 )J ed è facile concludere che al residuo A che comparisce nel precedente valore di V può darsi la forma : A = 12 x 2 + y {x l x z -f -f- x, x, + ...) + O. D’altronde dalla condizione: si ricava: x 2 + ...x n =--0 ■2x 1 -{-2(x I x z -\-x 2 x ì -\-x l x ì + .. .) = o la quale riduce 1’ espressione di A sopra ottenuta a : A = ^~^ 2:F-f-n=&p. 2 -hn 2 (i5) 334 Capitolo settimo. ove si è posto: ed 0 è dell’ordine delle terze potenze degli errori x t , x 2 ... ecc. Riportiamo dall ’Esposizione del metodo dei minimi quadrati del- P illustre colonnello Ferrerò i seguenti valori di A, per le forme più comuni della funzione V: o.o o i “2 ; ’or+or+o> m + A = + o, m + ° 2 m +°3 m + --- ndx 2 =c essendo c una costante finita ; infatti la precedente equazione, per il principio di omogeneità, mostra subito che il valore di-— deve es- ° max — x -f- 2 a x sere un infinitamente piccolo di i.° ordine e quindi quello di ndx infinitamente grande per n — . In conseguenza, trascurando gli infinitamente piccoli di secondo ordine, avremo: fp' (x) d x xdx ?0) — c ed integrando e ponendo -~-j = A : Log cp (x) = — A x 2 -j- Log k, 9 (x) = k e- Ax2 . (17) Il postulato da cui siamo partiti non ha certamente nulla di inammissibile, e, del resto, fra tutti quelli proposti per determinare la forma della funzione 9, sembra il più razionale. Ad ogni modo, quando non si voglia accettare come rigorosamente dedotta la relazione fondamentale (17), si può pur sempre considerar l’esponenziale k e~ Axì come una delle forme ipotetiche piu adatte a rappresentare empiricamente la curva delle probabilità, giacche concorda pienamente coi caratteri generali della funzione 9 esposti al n.° 12, salvo a verificare esperimentalm®ite se cosi in realtà i sistemi di osservazioni che si considerano vengono ad essere rappresentati. Vedremo più innanzi che per le osservazioni geodetiche una tal verifica permette di porre nella relazione (17) una piena fiducia. Prima di lasciare questo argomento, in vista dell’importanza della relazione (17), osserveremo tuttavia che ponendo in generale lo che, qualunque sia la 9 (x), non implica assurdo, ed ammettendo come postulato che si abbia 9 (x) — 9 (— x) si ricade subito nella forma di 9 (x) precedentemente ottenuta ; infatti sviluppando 9 (x) Teorìa della combinazione delle osservazioni. 339 in sene avremo : e non resta che a esprimere in funzione delle osservazioni la costante h. Questa costante ha un significato analitico molto notee, per essere si avra: — oc e—i l d y, Se ora si immagina il volume V composto di un numero infinito di anelli cilindrici circolari concentrici il cui asse comune sia l’asse delle il volume elementare di ciascun anello, compreso fra due cilindri successivi, la superficie e il piano xy, sarà dato da 3 [tt (r 4- d r) 2 — n r 2 ], o, trascurando gli infinitesimi di second’ ordine rispetto a quelli di primo, da 27 t dr. Avremo dunque n dr — 7T J 30 2 r dre~ 7T . Confrontando questo resultato col precedente si ottiene appunto e~ & dt r= y n — 30 come si voleva dimostrare. Teoria della combinazione delle osservazioni. 34i vole nella teoria che ci occupa giacché caratterizza, per dir cosi, il genere delle osservazioni cui si riferisce. Infatti ogni singola classe di osservazioni fatte con un dato istrumento ed un dato operatore ha una curva di probabilità speciale, e queste curve non differiscono ■che per il valore di h che loro compete. Per questo ad una tale costante si dà il nome di misura di precisione. 17 . Per esprimere la misura di precisione in funzione dei dati delle osservazioni fa d’uopo ricorrere a una funzione ausiliaria di queste, ma la scelta di tale funzione è completamente arbitraria. Una delle più convenienti è il così detto errore medio , ossia il limite cui tende la radice quadrata della media dei quadrati dei veri errori di osservazione quando il numero di queste tende all’ infinito. Rappresenteremo sempre con in l’errore medio che compete a un sistema di osservazioni di cui x t , x 2 ... x n sono i veri errori, e vedremo in seguito come dato un numero finito di osservazioni attuali possa calcolarsi il relativo valore di m. Per ora noteremo che in un numero infinito di osservazioni un errore x, per il teorema di Ber- noulli, si presenta un numero di volte proporzionale alla propria probabilità, e quindi, se indichiamo con n un numero indeterminato Anche più semplicemente si può eseguire l’integrazione sopra indicata come segue. Poniamo ( '"+*> e-fdy + » 0 d’ onde d x d y e- e supponiamo di integrare prima di tutto rispetto alla variabile x. Ponendo x — y u ■e notando che nell’ integrare rispetto ad x, y deve esser considerata come costante e quindi si ha dx = y d u si trae : (' + u ‘‘)f y dy 2(1 + n‘) 0 0 [are tag 00 — are tag oj Di qui si ottiene come più sopra: dx = 342 Capitolo settimo. di osservazioni, in un numero infinito di queste l’errore * si sarà presentato lim n=Xl n

;J ' f e~‘ dt : I ''Ti? — » — co Fra l’errore medio e la misura di precisione di un sistema di osservazioni vi ha dunque la seguente importantissima relazione: h =~r m v 2 ( 20 ) 18 . In luogo di scegliere come funzione ausiliaria l’errore medio è spesso conveniente scegliere la cosi detta media degli er- f ■+® L’integrale definito I e—fif 2 dt si ottiene subito integrando per f parti col porre v = I tdte—fi— --, u — t. Si ha allora : — fidi "f ® e, passando ai limiti e ricordando il valore di I e— p dt : f + ® t 2 e-‘-dt = te- 1 +» a I— » 2 Ora si ha te-fi t t 2 2e ‘* 2 , i i z “ i 1 i , , I 1.2 t 1.2 t e~ 12 d’onde si conclude che il valoie di —-— è nullo tanto per t = oc quanto per t — — (X). In conseguenza avremo : f + * V* t 2 e~ fi dt = - - 2 Teoria della combinazione delle osservazioni. 343 rari ossia il limite cui tende la media aritmetica dei valori assoluti dei veri errori di osservazione (astrazion fatta cioè dal loro segno) quando il numero delle osservazioni cresce all’infinito. Questa nuova quantità ausiliaria ha, del resto, coll’errore medio una relazione semplicissima, la quale agevola molto il calcolo di questo allorché il numero delle osservazioni è molto grande. Rappresentando infatti con h la media degli errori è facile vedere che si ha o 0 giacché, come abbiamo già notato, essendo n un numero indeterminato di osservazioni, in un numero infinito di queste l’errore x si presenta lini,, = x «

2 » x

n k\j 71 , m= 1,2533./’ (23) Le due funzioni ausiliarie sopra indicate sono quelle di cui attualmente si fa uso: esse del resto non sono che un caso speciale della forma: K = d x ed è facile vedere che, qualunque sia il valore che si attribuisce ad a, tale forma conduce sempre ad una relazione lineare semplicissima 344 Capìtolo settimo. fra K ed h e quindi essa è molto conveniente pel caso nostro. Non ci fermeremo più oltre su questo argomento che, per ciò che dobbiamo esporre, non presenta grande interesse. 19 . Le quantità in, k, h hanno un significato analitico di alta importanza nella teoria che ci occupa, significato che dobbiamo ora porre in evidenza. Per ciò rappresentiamo con h t , h 2 , i valori che prende h in due sistemi differenti di osservazioni (per esempio, nelle misure angolari fatte da due operatori o con due istrumenti diversi). In generale uno stesso errore a in un’ osservazione avrà probabilità diversa di succedere a seconda che l’osservazione appartiene all’ uno o all’altro dei due sistemi. Rappresentiamo con 7 ®, la probabilità che l’errore di un’osservazione del primo sistema sia numericamente minore di a t : applicando le formule (9) e (18) si avrà: h : \^J ‘ h dt: Analogamente se Ya 2 è la probabilità che l’errore di una osservazione del secondo sistema sia numericamente minore di a 2 avremo : — rtj Zrg Chiameremo per brevità a i e a 2 errori temibili relativi in ciascun sistema considerati in corrispondenza l’uno coll’altro; se si considerano questi errori come variabili si possono determinare in modo che y„„ Y„ 2 , sieno eguali, ossia che l’errore temibile relativo a i in una osservazione del primo sistema abbia la stessa probabilità dell’errore a 2 nel secondo. Ma per questo è sufficiente e necessario che si abbia: quindi, rammentando inoltre le relazioni (20) e (23), potremo porre: ff = K _ fh = K a 2 h t m 2 k 2 ( 24 ) e questa relazione ci mostra che in due sistemi di osservazioni di precisione diversa gli errori temibili relativi stanno fra loro in ragione inversa delle misure di precisione e in ragione diretta degli errori medi e delle medie degli errori. Questa proprietà mentre giu- Teorìa della, combinazione delle osservazioni. 345 stifica il nome di misura di precisione data alla costante h, mostra che anche l’errore medio e la media degli errori possono essere vantaggiosamente scelti ad indicare la precisione dei relativi sistemi di osservazione. 20 . Abbiamo già detto che la forma antecedentemente ottenuta per la funzione

m\j2 [formula (20)] la serie che dà Y a deve essere ordinata secondo le potenze negative crescenti di t e si ottiene per mezzo dell’ integrazione per parti, ponendo successivamente : u 1 In tal modo si deduce: e~ {ì d t 1 • 3 • 5 [ e' 1 • 3 • e La legge di formazione dei termini successivi della serie è evidente. 348 Capitolo settimo. si conclude senza difficoltà che: , „ e~‘~ ( i ,1.3 1 . 3 . 5 d t . e~' h = -I-r 4 - r- 2 r - ì-rr- 2 t I 2t 2 t' 2 ’ t° + 1 • 3 • 5 . . . (2 k — 1) j _ 1 . 3 . 5 . .. (2 n + 1) f d t + ,n-f- i r i+ -’ Ma in questa serie il limite 0 che comparisce nell’espressione generale di Y a conduce al valore 00. Però si può osservare che si ha : Y. fa h 0 0 r>ìi J ovvero, ricordando che c-' 2 rfr = — : di ah ?sj a h Introducendo in questa la precedente espressione di j e~*' d t si trova : r„ = 1 V* a 2 2 ah ---u —Ll j , . 2 a' Ir 2~ a ’ ir + + 1 . 3 . 5 . . . (2 n -f 1) j*” d t e~‘ : • ( 2 9) Per constatare la convergenza della serie è necessario indagare il valore della quantità : 1 . 3 . 5 . . . (2 n -f- 1) f * d t 2 n + 1 I + * * ah d f g — Ora se in ciascun elemento essenzialmente positivo +a dell’ integrale definito che comparisce in essa invece di e~ 1 ' si sostituisce il massimo valore che prende e~ p fra i limiti ab e d 00 evidentemente il risultato è maggiore del valore cercato; ma il massimo valore suddetto di e - ' 2 è quindi avremo: 1 . 3 . 5 .. .(2 n -f- 1) t e~‘ : ^ 1. 3 . 5 . .. (2 11 + f* d t ,»+1 < a h Teoria della combinazione delle osservazioni. 349 ed osservando che : J dt 1 a " + * (2 n -f- 1) d !n+l h ln+l a h è facile vedere che il valore cercato è minore di : 1 . 3 . 5 ... (2 n — 1) 2” > 1 a " : : lf n ■ : e questa ultima quantità non è che l’ultimo termine a cui abbiamo arrestato lo sviluppo della serie nella (29). Se dunque nel calcolo di Y n per mezzo della (29) ci arrestiamo ad un termine il cui valore sia trascurabile, il residuo della serie sarà pure trascurabile, e la (29) è, in conseguenza, adatta al calcolo di Y a . Il valore dell’ integrale definito che dà Y a può essere finalmente sviluppato anche in una frazione continua come ha mostrato Laplace. Noi però, dacché le formule dedotte sono sufficienti al nostro scopo, ci limitiamo a rimandare il lettore sia all’ immortale autore della Meccanica Celeste, sia al trattato di Astronomia dello Chauvenet che riproduce la deduzione di Laplace. 23 . La probabilità Y a che l’errore di un’osservazione sia minore numericamente dell’errore temibile relativo a è una frazione propria che tende più o meno rapidamente all’ unità quando a tende all’infinito, e la rapidità ora indicata è in relazione colla precisione delle osservazioni. Fra tutti i valori che prende Y„ col variare di a vi ha pure il valore l 'j 2 che merita speciale attenzione, dacché indica il dubbio (n.° 5). Infatti rappresentando con p'(come faremo sempre in seguito) il valore dell’errore temibile relativo a corrispondente ad Y a =‘/ 2 , la probabilità che l’errore in una osservazione sia maggiore di 0 è data da Yf — 1 — Y p , ossia è ’/ 2 come la probabilità che l’errore suddetto sia minore di p, lo che significa che vi sono numericamente tanti errori possibili maggiori di p quanti sono i minori. Inoltre se si considera un valore maggiore di p, per esempio p -f- b 2 , evidentemente la probabilità che l’errore di un’osservazione sia maggiore di tale valore è minore della probabilità che sia minore. Al valore particolare p si dà il nome di errore probabile; a vero dire il significato che comunemente parlando è naturale di annettere a questa espressione non ha nulla che fare col significato analitico della quantità che essa rappresenta; tuttavia il nome suddetto è ormai entrato nell’uso comune e conviene che sia ritenuto. 350 Capitolo settimo. La relazione che vi ha tra la misura di precisione e l’errore probabile si ottiene risolvendo rispetto ad ah l’equazione (28) per mezzo delle successive approssimazioni dopo avervi sostituito ad Y„ il suo valore '/ 2 . La prima approssimazione, (trascurando tutte le potenze di a h superiori alla prima) darebbe p h = o , 4431. Continuando il calcolo fino ad ottenere la 6. a decimale esatta si trova: p/; = 0,476936. Ricordando la relazione fra la misura di precisione e l’errore medio e la media degli errori, avremo dunque: 0,476936 p = 0,674489 m 0,845348* In pratica il valore dell’ errore probabile * si suole scrivere accanto ed in seguito al resultato delle osservazioni (media aritmetica) preceduto dal doppio segno per indicare l’incertezza. 24 . Abbiamo più volte accennato che la legge fondamentale (18) di frequenza degli errori in relazione colle loro grandezze deve essere verificata esperimentalmente per le diverse classi di osservazioni per constatare se in ciascuna di queste classi sono ammissibili i postulati su cui la (18) si poggia. Ora una tal verifica si può fare con tutta facilità confrontando il numero degli errori probabili (ossia delle differenze fra le osservazioni e la loro media aritmetica) compresi dentro certi limiti ed ottenuti dall’ esperienza, col numero degli errori veri che dentro quei limiti dovrebbero essersi presentati dietro la forma (18) assegnata alla funzione

2 1,8 3 — 1,2 3",2 3",6 0)9 1 — 0,1 3"> 6 00 o,6 0 fi - 0,6 100,0 100,0 L’esame di diverse verifiche di questo genere mette in piena evidenza che la legge fondamentale (i8) rappresenta molto bene non solo le misure di quantità fisiche, ma altresì tutti i fenomeni fisici che hanno per carattere la variabilità sotto l’influenza di un gran numero di cause ignote, specialmente poi nelle parti medie della curva delle probabilità. Naturalmente le estreme sono alterate dalla condizione di continuità che" abbiamo imposto alla forma della funzione sono i valori che ha dato l’osservazione respettivamente per p, q, e poniamo : P secondo il principio della media aritmetica il valore più probabile che si può dedurre per la quantità u dietro le osservazioni fatte U = aP + bQ. (p) Combinando per altro in tutti i modi possibili nella relazione (a) i diversi valori osservati per p, con quelli osservati per q è chiaro che si ottengono n », valori di u che possono esser considerati come provenienti dall’osservazione e che hanno tutti a priori la stessa probabilità, ed è facile vedere che facendo la somma di questi n n l valori si trova : [«] — n' a \p] -f- nb [0 + J)] £ v „ Osservando poi che per ipotesi [u] = o si trae : e quindi avremo: p, _ ^ (M + » $ ò) ( si-r d v " P e -b-»s i ■ (39) Si conclude che la probabilità di un errore nullo nella media aritmetica sta alla probabilità dell’errore 8 nel rapporto e h " n5S . Consideriamo la media aritmetica p 0 come appartenente ad una classe di osservazioni di cui sia H la misura di precisione; la probabilità H dell’errore x — 0 vien data da-^dx, e la probabilità dell’errore H P 8 è —il loro rapporto ci dà un altro valore di : \Jk r se ne trae: e quindi: P 1 1 P' g-tenà* g-H-à* H — h\]~n. Ricordando la relazione fra le misure di precisione e gli errori medi si avrà infine : come volevamo dimostrare. Teoria della combinazione delle osservazioni. 359 29 . Passiamo adesso a vedere come dallo scostamento medio di un numero dato di osservazioni si può dedurre il valore più probabile dell’errore medio che compete al sistema di queste. Sieno o'j, o' 2 ...o'„ le osservazioni date, p' la loro media aritmetica, v\, v' 2 ... v'„ i relativi scostamenti, g.' lo scostamento medio, in modo che avremo: P' = \y -y] n Supponiamo che si siano fatte altre n osservazioni o'\, o’ 2 , o" .. . dello stesso sistema, colla media aritmetica p", e cogli scostamenti v'\, v" 2 , v" ... e ancora, per altre n osservazioni, si abbia: e cosi di seguito per q gruppi di n osservazioni ciascuno ; sia infine P= la media aritmetica delle medie p ’, p’\ p"’, ecc: è chiaro che allorché il numero q cresce indefinitamente, P tende verso il vero valore della quantità osservata e, se si pone : P' =P+S' x = o’, — P II l ~a + x ' 2 = o\—P p"' = P -f S'" x \ = °\—p p n — P (40) le quantità S ed x divengono respettivamente i veri errori delle medie e delle osservazioni quando q diventa infinito. Se nelle (40) si sostituisce nei primi n valori degli x invece di P il suo valore p 1 — nei secondi n il valore p" —5", nei terzi p’’’ —■ &"' e cosi di seguito, ricordando che in generale: = v ,q) o’ - P' = v', 0'' — p" = v ',.. . o ri) — p ,q) Capitolo settimo. 360 si dedurranno facilmente le forme simboliche: x' — v' -f- x ' = v"-\- 8'', x’" = v'" -(- 8 '' ... x = v -f- S” e i valori di x che se ne possono trarre sono in numero di n q. Quadrando, sommando ed osservando che per ipotesi si ha : [x/] = [V'] = ... = [t> (3) ] = 0 se ne ricava: [x.v] = n [3 S] -|- \y' x/] -f- \y" x>’'] [x/ 3) v" 1 ']. Se si vuole il quadrato dell’errore medio del sistema delle osservazioni considerate basta supporre q infinito e dividere [rr] per il numero degli x ossia per n q. Rappresentando con m il detto errore medio, avremo dunque : in — lim q = oc [SS] , [v'v'} | [v"v"] | nq n q [v {qi v (q) ] 11 q In questa formula i valori di \y" v' r \, .. ecc. ci sono ignoti, nò sarebbe possibile di determinarli esperimentalmente tutti, giacché sono in numero infinito. Si deve per altro osservare che se n è molto grande, dacché per il teorema di Bernoulli gli errori compresi fra certi limiti si presentano un uumero di volte proporzionale alla relativa probabilità, in ciascun numero di n osservazioni essi saranno comparsi lo stesso numero di volte, quindi si deve avere sensibilmente \y' v"\ = \v" z/"] = ecc. Del resto è chiaro che il valore più probabile che possiamo assegnare alle dette quantità incognite é appunto \v’v'\ quindi il valore più probabile di in sarà: »■-»», + {4 .) Resta a determinare il valore di ÙÒ 3 e qui cade in acconcio di q applicare il teorema sull’errore medio della media aritmetica, dimostrato nel numero precedente; infatti il valore di per q infinito non è che il quadrato dell’ errore medio delle quantità P ', P"> P"• ■ ■P ' ìì considerate come un sistema di osservazioni. Ma ciascuna di esse è la media di n osservazioni del sistema o t , o 2 ... o„ considerato, e siccome questo sistema ha per errore medio m, l’er- Teoria della combinazione delle osservazioni. 361 rore medio delle medie p sarà avremo dunque: m ’ V 1 \}n ed in conseguenza la precedente relazione (41) ci darà : n n ( 42 ) n — 1 ove [»»] è la somma dei quadrati delle differenze fra le 11 osservazioni attuali considerate e la loro media aritmetica. Non si deve dimenticare che la precedente espressione di m poggia sull’ipotesi che il numero n delle osservazioni sia sufficien- \y' n'] \y'' n"] temente grande perchè il postulato ecc., possa n n esser verificato. In pratica è dunque conveniente di calcolare 1 ’ errore medio di un sistema di osservazioni dal più gran numero di osservazioni disponibili: tuttavia è bene notare che quando l’errore medio è assai piccolo anche un modesto numero di osservazioni (per esempio una ventina) dà quasi sempre un valore di m abbastanza approssimato. Vedremo del resto fra breve il modo di calcolare la fiducia che si deve accordare al resultato ottenuto. Se nella seconda delle (42) si introduce invece di \v n] lo scostamento medio delle n osservazioni fatte si ha: ( 43 ) Le (42) e (43) danno l’errore medio del sistema delle osservazioni o i ,o 2 ...o„, o, come si dice l’errore medio delle singole osservazioni: la media di un numero s di queste osservazioni ha poi per errore medio : che diviene: ( 44 ) per la media di tutte le n osservazioni fatte. 362 Capitolo settimo. 30 . Quantunque colle tavole dei quadrati, di cui si fa ampio uso nell’applicazione della teoria che ci occupa, si semplifichi di molto il calcolo dell’errore medio ni od M, questo calcolo è sempre assai lungo e tedioso quando il numero delle osservazioni è molto grande, mentre è sempre vantaggioso, come abbiamo già notato, di introdurle tutte in linea di conto. In pratica è conveniente ricercare prima il valore della media degli errori, e calcolare quindi ni per mezzo delle relazioni (23), quando non si voglia ritenere questa media come quantità di confronto e come indice di precisione in luogo dell’errore medio. È chiaro che, per la stessa definizione della media k degli errori, ritenendo le notazioni del numero precedente, e astrazione fatta dai segni degli x, si ha: li — lim a M 1 n q mentre i valori degli x ottenuti più sopra in funzione degli scostamenti v e degli errori § ci danno: [%] = «[*] + b'] + b 7 ] b w ] • A seconda dei criteri esposti nel numero precedente il valore più probabile che possiamo ascrivere alle quantità ignote |V'], b'"]--- ecc., è b'] e quindi il valore più probabile della media aritmetica degli nq valori di x astrazion fatta dal segno, ossia della media degli errori cercata sarà: k = lim„ ^b] 5 n q n llniq = 0O • ? Ora lim„ [*] non è che la media degli errori delle quantità p’, p’’... ecc., che hanno per errore medio m, e, siccome le (23) dimostrano che gli errori medi e le medie degli errori di diversi sistemi di osservazioni stanno in un rapporto costante, mentre, per il teorema del numero 28, -jL è l’errore medio M delle quantità V n p', p ' r ... . ecc., è chiaro che si deve porre : — \ k= M: m = 77= ’ q y n Sostituendo nella precedente espressione di k a ^2 il suo valore Teoria della combinazione delle osservazioni. 363 k \] n si ricaverà: ( 45 ) La inedia degli errori della media delle n osservazioni sarà poi data da: (46) n (\j 11 —• 1) Dal paragone fra il valore di m calcolato per mezzo della (42) e quello che si ottiene dalla (45) moltiplicando k per la costante 1,2533 (n.° 18) si ha una nuova verifica della legge fondamentale (18) e del principio della media aritmetica. Le (45), (42), (23) dimostrano infatti che, nelle nostre ipotesi, si deve avere: 1.2533 ( 47 ) \j \y v] ~bT M \j n — 1 E inutile di notare che tanto la (45) come le (42) prendono la forma dell’indeterminazione quando non si ha che un’unica osservazione; e in realtà in tal caso questa non può bastare per darci un’idea della propria precisione: a misura poi che cresce il numero delle osservazioni l’unità che comparisce nel denominatore diviene sempre più insignificante rispetto ad n; essa rappresenta il dubbio che si deve annettere al valore più probabile di m ottenuto per mezzo della media che ha servito a calcolare gli scostamenti v, e si capisce che quanto più grande è n tanto più grande è la fiducia che deve accordarsi alla media suddetta. 31 . Il principio esposto nel n.° 28 mostra che la fiducia che dobbiamo accordare alla media di n osservazioni cresce in proporzione della radice del loro numero, giacché gli errori temibili relativi a due sistemi di osservazioni stanno fra loro come i corrispondenti errori medi. Aumentando sufficientemente il numero delle osservazioni di un dato sistema ed ammessa la suddivisione indefinita è sempre possibile teoreticamente ottenere un resultato che meriti tanta fiducia quanta si vuole, ossia che abbia una precisione determinata. Naturalmente l’indice di questa precisione può essere o l’errore medio o la misura di precisione o l’errore probabile. Suppo- Capitolo settimo. 364 niamo, per esempio, che si misuri una quantità con un sistema di osservazioni per cui 1’ errore medio è m e si voglia ottenere una precisione caratterizzata dall’errore medio vi', essendo in' il numero di osservazioni per ciò necessarie nel sistema dato sarà il numero intiero immediatamente superiore al rapporto a meno che questo rapporto non sia di per sè un numero intiero. Così nella misura di un angolo con un teodolite che ha per errore medio 2'' per ottenere un resultato il cui errore probabile sia 0", 3 ed in conseguenza l’errore medio sia m' — — > ’ = 0,441 saranno teoreti- 0,674489 m z (2,000 t 2 ... camente necessarie n = — = - = 20,2 osservazioni e in pra- m \o,445 ) 1 tica se ne faranno 21. Il numero delle osservazioni cresce rapidamente col crescere della precisione richiesta nel resultato, lo che ci deve indicare che se teoreticamente gli istrumenti di misura di poca precisione possono dare resultati molto precisi, in pratica si deve aver cura di adottare istrumenti molto delicati là dove si richiede grande esattezza nei dati dell’osservazione, e che d’altra parte gli istru- menti di piccola mole trasportabili possono dare spesso resultati che stieno a confronto con quelli ottenuti con istrumenti fìssi di grandi dimensioni. La rapidità con cui si eliminano gli errori di osservazione nella media delle prime di queste, serve di fondamento al principio della reiterazione delle misure sia goniometriche sia lineari, principio oggidì pienamente riconosciuto come indiscutibile. 32 . Le quantità ausiliarie in, h, k, p vengono dunque determinate esperimentalmente, e sono quindi soggette ad errore: così è conveniente di conoscere ancora la fiducia che si deve accordare ai valori ottenuti per esse, o, in altri termini, l’errore medio e l’errore probabile della loro determinazione. Per ciò osserviamo che la probabilità della coesistenza degli errori veri nel sistema di precisione h è data da : P = h" e //-[**] dv" e, nel sistema di precisione h -j- S, da : _ (h + &)» (4 + j). [„] d - (f,y Se si considera h come suscettibile d’errore, P rappresenterà an- Teoria della combinazione delle osservazioni. 365 cora la probabilità che nella determinazione di h non si sia commesso errore, e P' la probabilità che l’errore sia 8 . Ora il rapporto : n-[x x] + 2hè [> x] si ottiene ancora considerando h come una quantità osservata colla misura di precisione H, nel qual caso la probabilità dell’ errore 4 ero H H essendo — db, la probabilità dell’errore S è —e~ H ‘°'dh, e quindi V~ \/~ si ha : P_ _ e m «a Dal confronto dei precedenti due valori di -p- si trae: n log ^ 1 -j- — j = 5 2 {[a- a] — H 2 \ -)-■ 2 h 8 [x x] ( 48 ) il logaritmo essendo Neperiano. Il valore di - , quando il numero delle osservazioni è sufficientemente grande perchè l’errore medio calcolato per mezzo degli scostamenti v meriti una certa fiducia, è sempre molto piccolo e quindi potremo prendere: , 1 , &\ a § 2 Inoltre fra i veri errori x e l’errore medio m, quando il numero delle osservazioni è abbastanza grande, si può evidentemente porre la relazione: 2 lxx] in - 1 —=!. In conseguenza alla (48) possiamo dare la forma: 11 8 n 8 2 —r -p = 8 2 11 m 2 — 8 2 H 2 -f- 2 b S 11 m 2 . h 2 Ir 1 Ora si ha h = —— } e quindi, eliminando h dalla formula pre- m v 2 cedente, avremo : H = m \ 2 n . ( 49 ) 366 Capitolo settimo. Se rappresentiamo con M l’errore medio della determinazione di h avremo dunque : M = ( 5 o) e per l’errore probabile corrispondente: 0,674489 2 m\jn 00 Queste fonnule permettono dunque di assegnare il grado di fiducia che si deve ascrivere al valore di m calcolato. Per porre questa fiducia in evidenza si suole scrivere (notazione già ricordata al numero 23). 1 m = 2 m W»/ ove m l rappresenta il valore calcolato per ni. Se ne ricava, osservando che h = d' m. m = 1 ± (52) y 2 : Se invece dell’errore medio m si considera l’errore probabile p si ha poi analogamente : _ 0.674489 m p ~ 0,476936 ■ (53) “ fii 33 . La considerazione della fiducia da accordare ai risultati delle osservazioni diviene sommamente vantaggiosa quando si devono combinare dei risultati di precisione diversa: per altro in questo caso conviene anziché alle fiducie assolute, porre mente alle fiducie relative. Diventa allora necessario di introdurre in calcolo un’ altra quantità ausiliaria che è il peso delle osservazioni e che può venir definita per il numero delle osservazioni di un altro sistema dato, ma meno preciso, che debbono esser combinate per formare una media di cui la precisione (errore medio, misura di precisione, errore probabile) sia eguale a quella del sistema di osservazioni considerato. Per Teoria della combinazione delle osservazioni. 367 meglio spiegare il concetto su cui si fonda la scelta di questa nuova quantità ausiliaria suppongasi che sieno state fatte delle misure di una quantità con due istrumenti cui competano errori medi diversi, per esempio, m all’uno e 2 m all’altro. Per quanto è stato detto nel n.° 28 la media di 4 osservazioni fatte con questo secondo istru- mento ha per errore medio -7— = m e quindi merita la stessa fidu- V 4 eia di ogni singola osservazione fatta col i.° istrumento. Se dunque si prende come unità di misura per la precisione un’ osservazione del secondo istrumento, si dirà che un’osservazione del i.° ha il peso quattro. È conveniente di scegliere per osservazione tipo, ossia per unità di peso e di precisione, l’osservazione di un sistema ipotetico, meno preciso di tutti quelli che si comparano con esso, ma, del resto, completamente arbitrario: per maggior comodità questo sistema viene sempre scelto per modo che i pesi delle osservazioni comparate sieno numeri intieri. Sia, in generale, M l’errore medio relativo al sistema ipotetico che corrisponde all’unità di peso, la media di n osservazioni fatte con questo sistema avrà per errore medio sieno p l} p 2 ,... \j n respettivamente i pesi di altri sistemi di osservazioni, e m l , m x ... i relativi errori medi, avremo per definizione : M "■"Va’ M 'ij: fU = M tir" (54) di cui si vede che, per esempio, 2 A —ossia che i pesi di due Pz sistemi di osservazioni sono inversamente proporzionali ai quadrati dei corrispondenti errori medi. Se si ricorda poi la relazione (20) del n.° 17 si vedrà subito altresì che i pesi dì due sistemi di osservazioni sono direttamente proporzionali ai quadrati delle corrispondenti misure di precisione. 34 . Supponiamo che p t ,p 2 sieno i pesi dei resultati O t , 0 2 , di due categorie di osservazioni fatte per lo stesso ente fisico : il concetto fondamentale di tali pesi di 0,, 0 2 si può ridurre più semplice dicendo che, per esempio, la somma di p l osservazioni campione merita la stessa fiducia che il prodotto p t 0 I e quindi tali quantità debbono supporsi eguali. Così invece dei due resultati 0 o 0 2 di peso diverso si potranno considerare p l -f- p z osservazioni ipotetiche 3 6S Capitolo settimo. dello stesso peso i, tali che la somma delle prime p x equivalga a p i 0 J e la somma delle altre a p 2 0 2 . In conseguenza il valore più probabile che dai resultati 0 1 , 0 2 si può trarre per l’ente fisico misurato è: O __A 0,+P, O Pi + Pi Naturalmente questo principio può essere esteso a un numero qualunque di resultati, e in generale si avrà: Il peso del resultato è evidentemente [p]; in quanto al suo errore medio M, se fosse noto l’errore medio corrispondente all’unità di peso, si otterrebbe subito dalla nota relazione: M m, HPÌ ' o Ma poiché il sistema ideale di peso unità è arbitrario, ma solo si deve avere : se n è il numero di queste relazioni, si potrà porre ancora : n e quindi, sostituendo in m o : Nella massima parte dei casi però sono dati i pesi delle osservazioni da combinare ma non gli errori medi corrispondenti, ed è quindi necessario di avere per il calcolo di m a una formula indi- pendente da questi. Per dedurla rappresentiamo come sopra con O il valore più probabile della quantità misurata, dato dalla ( 55 ); i valori più probabili degli errori commessi nei resultati 0 L , 0 2 ... 0„ Teorìa della combinazione delle osservazioni. 369 delle osservazioni fatte saranno dati evidentemente dal sistema degli scostamenti v„= 0 „— O. Ma però questi scostamenti non meritano tutti la stessa fiducia, dacché le osservazioni O x , 0 2 ... 0 „ sono per ipotesi di precisione disuguale e quindi le quantità v t , v 2 .. . v„ non possono essere considerate come appartenenti ad un unico sistema di osservazioni e non sono più qui applicabili i principi esposti nei numeri precedenti per la deduzione dell’errore medio. Però, ricordando che in due sistemi di osservazioni gli errori temibili relativi stanno (n.° 19) in ragione inversa delle misure di precisione e per conseguenza anche (n.° 33) in ragione inversa delle radici dei pesi, riesce evidente che si deve ammettere che se l’osservazione in cui è stato commesso l’errore v fosse stata fatta nel sistema di peso 1 sotto le stesse circostanze, ossia sotto l’azione delle stesse cause pertubatrici si sarebbe invece commesso l’errore V dato dalla relazione: V = v \jp. In conseguenza il sistema delle quantità: deve essere considerato come un sistema di n scostamenti di eguale precisione, ossia appartenenti ad un unico sistema ipotetico di osservazioni di unità di peso : ed applicando ora la seconda della (42), avremo per l’errore medio M che conviene all’ unità di peso : ( 57 ) L’errore medio del risultato 0 sarà poi: Pucci, Geodesia, 24 Capitolo settimo. Se dunque i valori degli errori medi np, m 2 , in ... delle singole quantità O t , 0 2 ...0 n non fossero dati a priori potrebbero essere calcolati dalle relazioni: che scaturiscono subito dalla ( 57 ) e dalla definizione del peso. 35. Nella massima parte dei casi il peso delle osservazioni da combinare resta determinato dalla loro natura stessa. Cosi, per esempio, se per la stessa quantità si sono ottenute in circostanze diverse, ma collo stesso sistema di osservazioni una volta il valore O l con un numero S 1 di osservazioni, ed un’altra il valore 0 2 con S 2 osservazioni, per i pesi delle O t , 0 2 è chiaro che possono essere scelti S , S 2 respettivamente od un loro multiplo o summultiplo : e devesi notare che, se tali pesi non corrispondono a quelli che risulterebbero dal calcolo per mezzo degli errori medi, debbonsi preferire quelli a questi, specialmente poi se i numeri S,, S z sono piccoli, giacche quelli sono indipendenti dall’errore di cui possono essere affetti gli errori medi calcolati. Se poi i pesi debbono esser calcolati per mezzo degli errori medi delle quantità da combinare, conviene prendere per il quadrato dell’errore medio M relativo all’unità di peso il minimo multiplo dei quadrati dei singoli errori medi np, considerati. Del resto si può sempre moltiplicare o dividere tutti i pesi di un sistema di valori da combinare per un qualunque fattore, dacché ciò corrisponde a scegliere uno piuttosto che un altro sistema ipotetico di osservazioni per sistema di unità di peso. In certi altri casi la determinazione dei pesi è una delicata ricerca cui non sono applicabili dei criteri generali, come, ad esempio, quando si tratta di comparare fra loro quantità di natura diversa, o resultati di operatori diversi, nel qual caso gli errori costanti personali prendono in certe circostanze il carattere di errori casuali, e quindi gli scostamenti delle osservazioni elementari non possono più bastare alla ricerca degli errori medi, dacché questi non comprendono in nessuna guisa gli errori costanti. In questi casi è dunque necessario sia di ricorrere ad altre esperienze speciali (come quelle che danno l’errore personale), sia ad una discussione affatto particolare del caso che si considera. Teoria della combinazione delle osservazioni. 371 36 . La considerazione dei pesi è specialmente utile quando si tratta di comparare delle quantità di natura diversa, fra le quali esistono delle relazioni analitiche note in modo che una di esse determina altresì il valore di una o più altre. Per mostrare come si può trattar questo caso ci fermeremo su di un semplice esempio. Sia da misurare il cateto AB di un triangolo rettangolo, di cui A sia l’angolo retto, e supponiamo data la lunghezza dell’altro cateto : per esempio sia A C — 1743”,97. Siasi misurato direttamente il lato A B varie volte, e siano : 1821.87 1821,94 1821,62 1821,72 1821,80 i risultati ottenuti. Il valore più probabile che dietro queste misure si può scegliere per A B è 1821,79 coll’errore medio m [ = o m ,o 55. Ma se si suppone di aver misurato altresì l’angolo in C e trovato C=46°. 15'.06'' coll’errore medio m 1 — 2", il valore di AB può altresì esser calcolato e dal calcolo si otterrebbe: 1821.88 e questo resultato deve esser comparato e combinato col precedente, giacché, a priori, non vi ha nessun motivo per scartare l’uno o l’altro dei due valori ottenuti. E necessario di conoscere dunque i pesi di ciascuno di essi e quindi di esprimere gli errori medi nella stessa unità di misura. In questo caso vi si giunge subito osservando che dalla relazione: c = b tang C si deduce differenziando: , b . dC d c === 2 /-"» > cos C d’onde si vede che, chiamando Ari’ errore che nel lato c corrisponde all’errore A C nell’angolo C, ed esprimendo ambedue gli errori in lunghezza, si deve avere: i.AC.seni" Ar = cos* C 372 Capitolo settimo. Sotto l’angolo di 46°. 15' e la distanza b— 1743”,97 un errore di 2" corrisponde dunque a o m ,o^$ in lunghezza e quindi i pesi dei due resultati sopra indicati staranno fra loro nel rapporto: ( °>° 35 V— 49 10,055] 121 ' Per maggiore semplicità potremo prendere per pesi respettivamente 5 e 12; il valore più probabile del lato c cercato sarà quindi: „ 1821.79x5 + 1821,88x12 „ 0 C~ - ILA -U-?-= 1821,854. Avremo poi l’errore medio di questo resultato applicando la (56) o la (58) : la prima dà m Q = 0.030, la seconda dà invece m 0 = 0,041. La differenza notevole dei due resultati dipende da ciò che il secondo (che deve esser preferito, come fu detto) tien conto del- l’incertezza nella determinazione degli errori medi m 0 m 2 ... ed il primo li suppone esatti, mentre il numero delle quantità da combinare è troppo piccolo perchè l’influenza del dubbio che rimane sui valori esperimentali m l} m 2 non sia molto sensibile. 2." parte. — Determinazioni indirette. 37 . Nella prima parte della teoria che ci occupa abbiamo esposti i concetti di probabilità e di fiducia che si debbono applicare alle osservazioni dirette, ossia a quelle osservazioni che sono fatte immediatamente sull’ente fisico di cui si cerca la grandezza. Ma le applicazioni di tale teoria più utili e feconde hanno luogo quando le quantità cercate non sono misurate direttamente ma debbono essere calcolate per mezzo di relazioni che le collegano con le quantità osservate. Sieno in generale X, Y, Z delle costanti fisiche che per mezzo delle funzioni F(X, Y, Z. . . U, F..,) = o \ ? (X, Y, Z. .. U, V ...) = o | (59) di forma conosciuta dipendono dalle quantità variabili U, V coesistenti, tali cioè che, per esempio, il valore U a di U corrisponda al valore V o di V, il valore UJ al valore F o ', tee., e che, i valori V o , U 0 , Teorìa della combinazione delle osservazioni. 373 VJ U 0 'j ecc. potendo essere direttamente osservati, ciascun sistema; U 0 , V 0 . . . ecc. u:,v:...zcc. formi un avvenimento definito ed indipendente dagli altri. * Se dunque si sono esperimentalmente ottenuti i seguenti sistemi di osservazioni successivamente coesistenti: u, r,... u t ,v 2 ... u„ v n ... le relazioni (59) ci permetteranno di porre le equazioni: F(X,Y,Z...U l ,V I .. .)=o F(X,Y,Z...U 2 ,V 2 ...) = o 9(X, = o 9 (X,Y,Z...U 2 ,V 2 )...) = o le quali, se le quantità U t , V 0 U 2 , V 2 ,... non fossero affette da errori di osservazione, dovrebbero coesistere. In generale si può ottenere cosi un numero di equazioni più che sufficiente per la determinazione delle quantità X, Y, Z,... giacché il numero di queste costanti incognite è fisso, mentre è illimitato quello dei sistemi U, V . .. che possono venire dedotti dall’osservazione. È però necessario di porre mente che ciascuno dei sistemi indipendenti U s , V, ... ecc. deve essere sostanzialmente diverso da tutti gli altri, ossia deve corrispondere a circostanze affatto speciali di osservazione, giacché, se le * Per chiarire il concetto qui esposto ricorreremo al seguente semplicissimo esempio. Sia It la lunghezza di una sbarra metallica alla temperatura t, si ha in generale: h = lo + lo«t + hl 3f* ove lt t t sono quantità variabili che possono esser misurate, /„, a, /3 sono costanti fisiche che debbono esser qui considerate come le incognite del problema. A ogni valore di lt corrisponde un valore di t e queste due osservazioni formano un sistema definito e indipendente del genere indicato nel testo. 374 Capitolo settimo. circostanze di osservazione di quel sistema fossero le stesse di quelle del sistema U Si , V H ..., ecc., le due equazioni corrispondenti non sarebbero distinte fra loro se non per gli errori di osservazione, e quindi non sarebbero adatte alla determinazione delle incognite. Anzi va notato che le equazioni esperimentali (60) saranno tanto più convenienti a questa determinazione quanto più diverse saranno le circostanze di osservazione che respettivamente le individuano, perchè gli errori di osservazione avranno evidentemente allora la minima influenza sui resultati. Dobbiamo ancora osservare che, le equazioni (59) essendo rigorosamente coesistenti, mentre non lo sono, a causa degli errori di osservazione, le (60), è necessario anzitutto eliminare fra le (59) stesse tante costanti incognite X, Y, Z.. . ecc., quante è possibile, o trattare il problema in un modo speciale che esporremo nella 34 parte : qui supporremo dunque che si abbia una sola equazione generatrice e quindi che le (60) si riducano all’unico sistema: F(X, Y, Z u t , f ...) F(X, Y, Z U , V . . .) 2> 2 J in cui il numero delle incognite sia sempre minore del numero delle equazioni. Le equazioni (61) in generale non coesistono, giacché le quantità U lf U 2 ... F, V x ... osservate sono affette da errore : non è dunque possibile nè di ricavare da esse i veri valori di X, Y, Z... ecc., nè di trovare per queste quantità dei valori che soddisfacciano a tutte le (6i) contemporaneamente. Qualunque siano i valori che si crede opportuno di assumer per X, Y, Z, essi, sostituiti nelle (61), non ne annulleranno, in generale, tutti i primi membri, ma li renderanno eguali a certe quantità v l , v 2 ... v n che chiameremo residui di osservazione, in modo che si avrà: F(X,Y,Z...U : , F,...) = *, i F(X,Y,Z...U„V z ...) F(X, Y,Z (62) Ad ogni sistema di valori assunti per X, Y, Z corrisponderà pertanto un sistema di residui tq, v 2 ...v„, e, reciprocamente, ogni Teoria della combinazione delle osservazioni. 375 sistema di residui compatibili colle (62) determinerà un sistema di valori delle costanti X, Y, Z... cercate. Di qui risulta evidentemente che la ricerca dei valori più probabili che, in conseguenza delle (62), si debbono scegliere per le incognite X, Y, Z, si identifica colla ricerca del sistema più probabile di residui v i , v 2 ... v n . Alle equazioni fondamentali (62), che servono di partenza per questa ricerca, daremo d’ora innanzi il nome di relazioni osservate. 38 . Siano X a , Y 0 , Z 0 ... ecc., dei valori prossimi di X, Y, Z, [valori che, se non sono noti a priori, possono sempre essere ottenuti scegliendo fra le (61) un numero di equazioni eguale al numero delie incognite e risolvendole coi sistemi usuali] e poniamo : X = X.+x, Y=Y 0 +y, Z=Z 0 + z- Sostituendo nelle relazioni osservate (62) e sviluppando colla serie di Taylor, si otterrà : (UMifMiD. (ifM§^(?-3 ove gli indici 1,2, 3 ... ecc., indicano che nella forma generale F (X, Y, Z... U, V ...) e nelle sue derivate prese rispetto a X, Y,Z..., in luogo di X, Y,Z... devono essere sostituiti i valori X 0 , Y o ,Z a ... e in luogo di U, V... debbono essere introdotti respettivamente i valori osservati U 1 , V l ... U 2 , V 2 ... ecc., che hanno gli indici stessi. Se i valori scelti X 0 , Y o , Z a ... sono abbastanza approssimati, i termini degli sviluppi non scritti nelle precedenti equazioni saranno trascurabili, e queste equazioni potranno esser considerate come lineari rispetto alle quantità x, y, Z - ■ ■ che ora sono incognite cercate : nel raro caso in cui i termini omessi dovessero essere in parte ritenuti, converrà determinare anzitutto delle correzioni x, y, z ■ • • approssimate applicando alle equazioni soprascritte i criteri che esporremo, e quindi introdurre invece di X a , Y o , Z 0 ... i loro valori corretti, per modo che la forma lineare possa essere accettata come sufficientemente approssimata. Capitolo settimo. 376 Ammetteremo dunque che le relazioni osservate siano sempre lineari e daremo loro la forma: a l x + b l y+c l ì + ...l l = v l \ a 2 x + hy + c 2 z + ---h^ v 2 1 a ì x + hy + c z l + ---l, = v ì ( 63 ) et n x b n y —{- c n ( -{- ... /„ —. v n i Rappresenteremo poi con or il numero delle incognite e con n il numero dei residui o, ciò che vale lo stesso, il numero delle equazioni. I vari coefficienti a, b, c, l . .. saranno o quantità direttamente osservate, o funzioni di queste, o, in parte, costanti note; i residui poi si annullerebbero tutti se le quantità osservate non fossero affette da errore; in conseguenza ciascun residuo può essere considerato come una certa funzione di errori di osservazione, o piuttosto come un errore di osservazione esso stesso. 39. Quest’ultima considerazione conduce subito a distinguere due casi; o i residui v L ,v l ...v n possono essere ritenuti come errori appartenenti ad un unico sistema di osservazioni, e sono allora senz’altro comparabili fra loro, e divengono applicabili ad essi tutti i criteri di probabilità e di fiducia esposti nella i. a parte; o ciascuno dei detti residui deve essere considerato come un errore appartenente ad una speciale classe di osservazioni, ed allora è necessario anzitutto di introdurre qui la considerazione del peso onde rendere possibile la loro comparazione. * * Per meglio spiegare questa distinzione ricorreremo al seguente esempio. Sia da determinare il coefficiente di dilatazione di una sbarra metallica, facendo astrazione per semplicità dal 2. 0 coefficiente, e la sua lunghezza a 0° ; supponiamo di avere ottenuto il seguente sistema di relazioni osservate : h' — — =v t li" — /„ — l 0 <*■ t'' = v 3 li" — / 0 — l 0 a t'" = v 3 ove t', t", t . sono le quantità direttamente misurate e 1 0 , « le incognite cercate. Se le osservazioni t', t", t'"... hanno tutte lo stesso errore medio tst m , come pure le hanno lo stesso errore medio Al», dacché il valore di un residuo qualunque v viene in sostanza ad esser dato da v — M — a l a M (essendo A l, A t gli errori di osservazione commessi in à e f) e i vari errori A /, Teoria della combinazione delle osservazioni. 377 Prendendo ad esaminare ora questo ultimo caso, siano p t , p 2 , p } ■ ■ ■ i pesi dei sistemi di osservazioni ai quali respettivamente deb- bonsi considerare appartenenti gli errori v t , v 2 ... v.. Abbiamo già indicato al n.° 34 come si debba supporre che, se le relative osservazioni, anziché nei sistemi di peso p ! ,p 2 ,., ecc., fossero state fatte tutte nel sistema di peso 1, invece degli errori attuali v l} v 2 .. ,v„ si sarebbero commessi gli errori v^p 0 v 2 ^p 2 ... v n \Jp„ e che queste ultime quantità debbono in conseguenza esser considerate come un sistema di errori appartenenti ad una classe unica di osservazioni. Se dunque, invece di considerare direttamente le relazioni osservate (63), si moltiplica ciascuna di esse respettivamente per la radice quadrata del proprio peso, e si considera il sistema di equazioni: \/a «, * + \IJ, b i y + Va ri ^ + ■ • • yp, h = v ^Pi j Ù> a > x + \IEKy + 'JF* c 2Z + ---\IFj t = v 2ff* I ^ \]p„a„x + \jp n b„y -f \Jp n c„ z + • • • \lP» L = v n \Jp n ) il caso dei residui di peso differente viene ricondotto al caso dei residui di' egual peso. Cosi non è più che di questo ultimo caso che dobbiamo occuparci. Conviene intanto notare che le considerazioni precedenti dimostrano chiaramente come nella specie di calcolo di cui esponiamo ora i fondamenti non è più lecito semplificare individualmente una equazione che proviene dall’ osservazione col moltiplicarla o dividerla per una quantità qualunque, giacché per tal modo verrebbe ad essere alterato il suo peso. 40 . Riprendendo ora ad esaminare le relazioni osservate (63) nell’ ipotesi che i residui abbiano tutti lo stesso peso, vediamo quali siano i concetti che ci debbono guidare nella ricerca dei valori più probabili delle costanti ignote x, y, z - ■ ■ Sia h la misura di preci- e A t sono comparabili, evidentemente anche i vari errori v corrispondenti saranno comparabili, e potranno esser considerati come aventi tutti lo stesso peso. Ma non cosi succede se i valori t', t". .. non hanno lo stesso peso, come se, per esempio, queste temperature fossero state misurate con termometri di diversa precisione, 0 se ciascuna di esse provenisse dalla media di un diverso numero di osservazioni. Se lì e t' provengono, per esempio, da 4 osservazioni e lt" e f da 8, è naturale che al residuo v l si deve ascrivere un peso doppio di quello che si dà a v,, come, del resto, risulta subito dalla definizione del peso. 378 Capitolo settimo. sione del sistema di osservazioni cui appartengono i residui iq, v 2 , Vì...v„: in generale la probabilità che in una singola relazione il residuo sia v sarà data da : ù — ifiip j P — ~r= e d v > \ Tt e la probabilità P della coesistenza dei residui v x , v 2 ... v„ nelle n relazioni osservate che si considerano sarà : Evidentemente nell’infinito numero di sistemi di residui che fanno coesistere le ( 63 ) il piu probabile è quello che rende la probabilità P un massimo, o, ciò che è lo stesso, quello che rende minima la variabile \yv\ di cui P è funzione. La condizione cui deve soddisfare il sistema più probabile dei residui, e quindi quello delle incognite, è dunque: \y v\ = vp -J- vp -f- vp... + vp = minimo, in cui i residui v , v ... v n debbono essere considerati come firn- zioni di x, y, Applicando i noti criteri di calcolo, tale condizione ci dà pertanto: dv d v 8v„ ■* v ' 07 + ^ 0 T + '- ■ v n — = 0 (1 X dv 8 v 8 v n ■ v n — = ° òy 8 v 8 v 8v n v 'JÌ + v 'TÌ + ~ dalle quali, deducendo ( 63 ), si trae: valori delle diverse derivate parziali dalle [a x;] = o \ [M = 0 | [ cv ì = 0 \ ./ ( 65 ) od anche, sostituendo a v l v 2 v ... ecc., i loro valori ( 63 ) ed adot- Teoria della combinazione delle osservazioni. 3 79 tando le convenute riotazioni Gaussiane : [a a\ x -j- b\ y -f- [fl c] z + • • • \_ a b\ = 0 1 [a b ] x + [b b] y -f- \b c\ z + • • • [b l]—o I [a c] x + [b c]y -j- [c c\ z + ... [c l] = o ( ( 66 ) Queste equazioni prendono il nome di equazioni normali ed essendo- in numero eguale a quello delle incognite x,y,z,--. determinano completamente i loro valori più probabili. Si vede subito la leggenotevole di formazione dei coefficienti delle equazioni normali : a partire dai termini quadratici \aa\, \bb\ ecc. in ciascuna linea verticale si riproducono nello stesso ordine i coefficienti della linea orizzontale corrispondente. La formazione di questi coefficienti è la più laboriosa delle operazioni di calcolo che si presentano nell’ applicazione dei minimi quadrati alle determinazioni indirette. È utile di avere una riprova della esattezza del calcolo, e questa riprova si ottiene come segue. Poniamo: s i — a t + b t + c i + ... 4 - ) S 2 = a , + b 2 + C 2 + • • • + l 2 * = U 3 +^J + G + ' • ' + h In generale, si ha: [ 5 (1 = [ fl i\ -)- \b t] -f- [c t\ -f-... -f- [lt~\ e se si danno a t successivamente i valori a, b, c.. . I, si ottiene : [a r] = a a J —|— ^a b J —|- ^a cj -f- . . . -{- [et /J \ [bs] = [ab]+[bb] + [bc] + ... + [bI]l ( 67 ) [? •*■] — [ fl + [b c\ -r [ c c \ + • • • + [ c b\ I dove, al solito, si ha: [a s] = a i s l -f- a 2 s 2 -f- a } -j- . .. [b i\ = b l s l + b t s 2 + b ì s ì - f- . .. [cr] = c. r,+ ... 41. Costituite che sieno le equazioni normali, rimane a risolverle, e a tale scopo è assai conveniente di scegliere il sistema di Capitolo settimo. 3S0 sostituzione, a causa della forma speciale dei coefficienti delle dette equazioni. La i. a delle (66) risoluta rispetto ad x ci dà: , ^ = _[fLÈ] _[£_£] r \aay [ aa ] ^ ‘ [aa] ' Sostituendo nelle altre e ponendo con Gauss: p , i— c i = [ e,> 'J si trae: [b b,i)y + \b c, i] % + [b d, i] t + .. . [b l, i] = o \ [K i]y -f [cc, i] % + [cd, i] t + .. . [c l, i] = o j [bd, i]y + [cd, i]* + [dd, i] t + .. . [d l, i] = o ^ I coefficienti di queste nuove equazioni sono formati colla stessa regola di quelli delle equazioni normali, ma si ha qui un’incognita

  • t'] 2, + • • • o, tenendo conto delle (72): «, V , + a a V z + «, ^3 + • ■ • = ZQ, + VI 0 2 + 'C Q, + • ■ • (7 6 ) Quindi la (74) diverrà: x — A + oc i v t + x 2 v 2 + . . . (77) che è un identità, e deve essere soddisfatta qualunque siano i valori assunti per x, y, 7... quando nel secondo membro si sostituiscano i conseguenti valori di tq, v 2 . . . ecc. Ciò posto, se si osserva che la (70), combinata con quest’ultima, dà (°x— O », + (0, — * a ) w* + (0j — + ■ ■ • = ^ * identicamente, qualunque siano i valori assunti per le incognite, e 384 Capitolo settimo. se si sostituiscono a tq, v 2 , v ì i loro valori dati dalle (63) si avrà: x [ a> (O, — *,) + a 2 (0 2 — O + . ..} + y (°, — «0 + b 2 C°a — «0 -*-•••) + Z \ C i (®, — «.) + C 2 ( 9 * — O +••■! + + / i ( 9 _ Kj ) + / 2 ( 9 2 _ aJ ... ==2 4 -/c qualunque siano x, jy, 3;. . . lo che mostra che deve essere separatamente : C°x — «i) + a ^ (°x — a,) -f . . . = 0 K ( 9 , — <*,) + K ( 9 * — «O + • • • = 0 ri (°, — a .) + (° 2 — * J + ; • • = 0 K ( 9 , — «3 + K(°z — *J +-■■■ = A — k. Se si moltiplica la prima di queste equazioni per Q s , la seconda per Q 2 , la terza per Q ,.. e si sommano i resultati escludendo l’ultima, avremo, tenendo conto della (75): K > ( 9 , — °0 + a 2 (° 2 — °ri) + a 3 (°, — a 3 ) + • • • = 0 d’onde si ricava: [a a] = xp + x 2 2 + oc } 2 4- . . . = oq f) t + a 2 0 2 + x 3 9 3 • • • = [ a 9 J- Di qui, per essere in generale: ( 9 + « 2 a 9 si trae: [ z «] = [0 0] — [(0 — x) 2 ]. (78) Questa relazione ci dimostra che il minimo valore della somma [0 0 ] si ha per « 2 * * * e quindi, per quanto abbiamo premesso, il valore più probabile di Teorìa della combinazione delle osservazioni. .385 -v sarà dato da: r=^+a 1 t i + « i r i + ... poiché, nel caso suddetto la (77) dovendo coesistere colla (70), si ha k = A. Il peso P* della determinazione di x sarà poi : Frale quantità oq, oq, x } . . . devono esistere delle relazioni che si determinano subito per mezzo dell’identità (77); infatti, sostituendo a v t , v 2 , v . .. i loro valori dati dalle (63), si trova: x = A-h [a x] x + [b a] y -+- [c x] 3;. . + fi a] che è un’identità; quindi si avrà: [a a] = a a + a, a -+ a, a 1 \ L 1 1 1 2 2 > 3 1 [b «] = b x oq C , a, + C, q + f l XÌ —l X -hi X -t-.— - A L 1 1 2 i 2 e queste equazioni (meno l’ultima che determina A) legano fra loro oq,oq... ecc. Ma il valore più probabile di x è dato come è noto (n.° 40) dalle equazioni normali: ? = o, 71 = 0, ‘C = o .. . quindi, dalla (74) combinata coll’ultima delle (80), si trarrà (81) = A = — [/a] coll’errore medio: V (a aj (82) m m dove m, come si è detto, è l’errore medio corrispondente ai residui ridotti all’ unità di peso. Così la soluzione del problema che consideriamo per quanto concerne l’incognita .r è ridotta alla ricerca del valore [a a]. 43 . Ora, se si moltiplica la prima delle (75) per sq, la seconda per x 2 , la terza per ecc., e si sommano i resultati, si ottiene: [a 'A Q t -f-1 b x -1 0 2 |r a] 0 ; . .. = | a a], j86 Capitolo settimo. d’onde si vede, tenendo conto delle equazioni (80), che: £ 2 , = [**!• ( 8 3 ) Chiamiamo ancora fi,, p 2 , p 3 .. . ecc. delle quantità che rispetto alla incognita y rappresentino ciò che rappresentano gli 04, « 2 . .. rispetto ad x; se, analogamente a quanto si è fatto per questa incognita, si pone; y=B-r Q’ c f <2/*. + £,'$ + ••• avremo : a, Q' + b, QP + c. g,' + . . • = P, j * a i2/ +c,' + ••• = ?, ( § 4) da cui si deduce, come abbiamo visto, l’identità y = B P,^ + P 2 v 2 + ... In conseguenza per le equazioni analoghe alle (80) si troverà: *« P, + ", P 2 + a , P ; + • • • = ° ; b, P, + b 2 P 2 + & 3 p 3 + . . . = 1 / C P, + C Pa + C P, + • • • = o ^ ! ./ Dalle (84) si ottiene altresì: <2’a = LP PI e il valore più probabile di y sarà dato da: y = B = — {l pi col peso e l’errore medio ^ _ m y = ?«V [P P] • ( 85 ) ( 86 ) Se poi si moltiplica la prima delle (75) per p,, la seconda per p ; , ecc., e si sommano i resultati, si trova: [«p]&+[*p] Q t +[cm> +■■■ = [*$] e questa confrontata colle (85) da: &--=[* PI- Teoria della combinazione delle osservazioni. 3°7 Cosi pure moltiplicando respettivamente ciascuna delle (84) per « a,, x, . .. e sommando si ottiene: [« a ] + i b K ] Q* + • • • = [P *1 = [* P] da cui, a causa delle (80) : <2/ = [*P]- Estendendo il ragionamento a tutte le incognite si vede che ad esse può esser data la forma generale: x = A -\-[« a] 4 + [« P] % + [« y] ^ + • • • \ j- = 5 + [aP]? + LPP]T!+[Py]^+... I ? = c + [a y] ; + [p y] r, + [y y] ‘C + • • ■ ( 7 mentre i loro valori più probabili sono respettivamente A, B, C... ecc., e la determinazione dei pesi e degli errori medi relativi è ridotta alla ricerca delle quantità [a a], [p p], [y y], ecc. cd a quella dell’errore medio conveniente all’unità di peso. Ma se si sostituiscono nelle (87) a £, ?;, t i loro valori in funzione di x, y, z ■ ■ ■ [equazioni (73)] si ottengono delle identità che conducono ai seguenti sistemi di equazioni : [a a) [ 7 . 7 ] + [a b\ [a p] + [a c ] [a y] 1 1 [a b] [7 aj -f [b b} [se P] + [b c] [a y] -f . . . = o 1 [ a c] [7 7 ] -f [b c] [a p] -f [c c] [7 y] +...== o d 4 \x *] [a l] + [ \ ■ mentre noi non ne conosciamo che i valori più plausibili. Il peso delle incognite è pure noto in funzione del peso corrispondente all’errore medio m ; ci è dunque necessario adesso, per avere nozione della fiducia che dobbiamo accordare al sistema dei valori più probabili calcolati per x, y, di ricercare il valore di m. Se i veri valori delle incognite ci fossero noti, avremmo senza difficoltà l’errore medio m dai valori dei residui v t , v 2 , ty ... ottenuti dalle relazioni osservate (63); ma, sostituendo in esse i valori „v 0 , y 0 , 3[o• • • più probabili calcolati, invece dei residui v 2 ,v 2 ,v ... otterremo i loro valori approssimati X 2 , X ; ... Per porre in evidenza la differenza fra [ vv ] e [XX] moltiplichiamo le equazioni (63) respettivamente per ty, v 2 ,v ... ecc. ; sommando i resultati si troverà : \w]= x (a l ty+ a 2 v 2 + ...) +y (/y v c \- b 2 v 2 + . ..) + (/, xy+ 1 , v 2 + ...) = x [a v] -|-y [b v\ 4 - y [c -j- .. . [/ v] da cui, ritenendo le notazioni (72) e (73), si trarrà: b v\ ~ ; v -f r, y -f 1 -f . .. [/ v}. (89) Ma se nelle (6 3) si sostituiscono ad X, y, y... i loro valori dati dalle identità: x = A -f [a a] q -f [a 0 ] r, -j- [a y] £ -f . . . y =5 + [«p]5 + [{J + [Py] I = C + [a y] l -f [fi y] r, -f [y y] *( + ... Teoria della combinazione delle osservazioni. 389 si deduce : v , = a i A + [« *J £ 4 4 [* Pi ‘'i + «,[*r]'C + --. 4- b t B -f b l [a fi) l + b t [p p] n + . . . 4- /, v 2 = a 2 A-\- a 2 [a a] ; + a 2 [a (3] ti + a 2 la y] ^ + . . . -f l 2 v,—a, A 4- a, ... > 5 1 ) Ricordando però che: £2, =[**]> C 2 =l a -P]> 2 j =]° £ T]--- 2/ = [«P], <2/ = [PPh CV = tfr]---ecc., le ( 75 )) ( 84 ) • ■ ■ ecc., ci danno: a = a t [a a] + fa P] + c, [«. y] + . . . a 3 = a 2 [a a] + b 2 [a pi + c 2 [a yj -f . . . P,==«. i*PJ+MPP]+^, iPyi + P 2 — a 2 [ a PI + b 2 IP Pi 4~ c 2 IP y] 4 • • • 7 . = a , [* ri 4- h > IP ri + .]. Ma si è visto [formule (81), (86) ...] che [/ a] = — A [l?\ = -B dunque si avrà: [v v] = {x — A)l-\-{y-B) n + C^—C) •( + ... L/M- Ora se si fa x — A, y — B, % = C . .. i residui v t , v 2 .. . si cambiano in l t , 1 2 ... e si ha £ = r, ='( = ... = 0; la relazione precedente, in conseguenza, dà: = [ 11 ] e quindi possiamo anche scrivere come segue : \v v] = [ 11 ] -j- (x — A) ì- -f- (y — B) r, -(- (3; — C) In questa formula v t , v 2 . . . rappresentano i veri errori, e, se il loro numero n è sufficientemente grande, si ha l’errore medio cercato m dalla relazione n m 2 = \v v\. Quindi otterremo : !X 1 ] = n m 2 — (x — A~) \— (jy — B') r, — (3; — C) '( — ... che darebbe m se fossero noti i valori dei termini : (x-M> (y-B)-n, Q-cyC, ... ecc. Teorìa della combinazione delle osservazioni. Ma abbiamo visto [formula (77)] che si ha identicamente:. x = A -f a v, + a 2 v 2 + . . . mentre, per ipotesi, è: l + a t v 2 + . . . quindi avremo anche : l (x — « 3 v‘ + ,.. + ^ t v,v 1 + x s a 1 v l v J + • • • Non conoscendo il valore vero dei v 2 , dovremo contentarci di sostituire ad essi il loro valore medio in, in quanto al valore medio dei v i v 2 , v i v ì • • • esso è evidentemente nullo poiché gli errori negativi sono per ipotesi egualmente probabili dei positivi, e quindi il prodotto tqtq, per esempio, viene sempre ad essere, nella somma delle quantità analoghe, distrutto da un altro eguale e di segno contrario. Perciò per il valore più probabile di £ (x — A ) si dovrà scegliere la quantità : m 2 0 , « + ove le quantità Mj, M 2 . . . restano perfettamente determinate dalle ( 94 ). 46. Al caso precedente si riduce senza difficoltà il caso generale in cui la funzione U, della quale il valore vien determinato per mezzo dei valori x,y,Z--- ottenuti col metodo dei minimi quadrati, è una funzione qualunque U = F (x, y, z e si vuole conoscere il peso e l’errore medio della determinazione fatta. Infatti sostituendo in U ad x, y, z • • •> ecc. i noti valori [formula (77) e sue analoghe] dati dalle x = A + a i y = B + p, v\ + p 2 v 2 +... c = c + r , v , + r 2 v 2 + • • • e sviluppando in serie rispetto alle quantità <* 2 v 2 ... p v 1} $ 2 v 2 ,..., ecc., avremo : ' )+ (^l (a,Vl + a2W, + "' ) + U — F (A,B,C. . : ove l’indice alle derivate parziali significa che in esse a x, y, z • • • debbono essere sostituiti i loro valori più probabili A,B,C... Se si pone féK (§fì Capitolo settimo. Ì 9 6 si dedurrà: U 0 + v,(L,« l + LJ l + L ì y t + ...) + v 2 (L * 2 + LJ 2 +L 3 Ta + ...) + v } (A a 3 + P 3 + L ove le potenze di v t , v 2 , v ... superiori alla seconda debbono supporsi trascurabili. Si ricade pertanto nella forma lineare di U considerata nel numero precedente, e divengono applicabili i medesimi ragionamenti e le medesime formule sopra dedotte quando in queste ad L 1 , L 2 ,. . . si sostituiscano le quantità (d_F\ (d_F\ (dF\ U4,’ \dy): 4 - 7 . Le equazioni ridotte (69) possono essere ottenute anche in un altro modo che conduce alla determinazione dei pesi delle incognite assai più direttamente e semplicemente che non il metodo esposto nel numero 43. Infatti riprendiamo la condizione F = [v v\ = minimo che serve di fondamento alla ricerca dei valori più probabili delle incognite; sostituendo in questa ai v i loro valori tolti dalle relazioni osservate si trova: F =[(ax-\-ly-\r c%-\-.. . If ] = x [a (a x -)- by -\- c % -f- ... /)] + y[b (ax + by c% +. .. /)] + Z[c(ax-\-by + cz + ...T)] -j- [/ (a x -[- by c % -j- ... /)] ove le quantità che variano da un elemento all’altro di ciascuna somma indicata dalle parentesi quadre sono i soli coefficienti a, b, Ma, esclusa l’ultima, le diverse somme che compariscono nell’ultimo membro della relazione precedente non sono che i primi membri delle equazioni normali, che abbiamo rappresentati con i,, Teoria della combinazione delle osservazioni. 397 x, £ .. . [formule (73)] qualunque sieno del resto i valori che si assumono per x, y, z ■ ■ • Si ha dunque identicamente : F=[ vv ] = xZ+yr, +?£ + ...+ ) x[l à\ y [Ib] z\} PÌ • ’\l l]- ^ Ora se dalla prima delle (73) si deduce il valore di x e si sostituisce in tutte le altre, ritenendo le notazioni del numero 41, si ottiene: £ [ab] \ac] | al] - _____ _ - V _ 1 re _ _ [a a] [a ay [a a] x '"[a a] x = [bb,i]y -\-[b c,i\z + ■ ■ ■ I b ì, 1] la b ] _____ r [a a] ^ [ab\_r [a a] * r [b c, 1] y -f- [c c, i].v + ■ • • ]c l, 1] + [a C] y y [a c] * La «1 * ed in conseguenza la precedente espressione di F, dopo ovvie riduzioni, diviene: f +y v h + ^ ^ + • • ■)’ ^ + Z la h + • • • + U h il ■ È chiaro che, tenendo fermo nel 2. 0 membro di questa il termine in l’eliminazione di y per mezzo delle \ = [b b, 1] 4 -f ■ [b c, 1] z + ■ ■ • [b l, 1] S, = \b c, 1] y -f [c c, 1] 3; + .. . [c l, i[ fatta con metodo analogo a quello impiegato sopra darebbe : F= \à7]^ wty + ■ • • v 21 + • • • V l > 2 ] • Così eliminando successivamente tutte le incognite si trova: p r 2 T r-^+7rr-rr + - ^ 9 3 [a a] [bb,i] [cc, 2J 1 [d d, 3J H- • ■ • V h n] (97) JUM 398 Capitolo settimo. da cui si vede che la condizione del minimo di F è data dal sistema delle equazioni ridotte: 1 = 0 , 71, = 0, ‘( a = 0, 0 3 = o . . . giacché le quantità quadratiche [a a], [bbi], \cc 2]... sono positive. Inoltre risulta che il minimo valore di F = [v v] si ottiene ponendo [v i’] = [* F\ = [/ 1 , n] e questa relazione può servire di riprova al calcolo dei valori più probabili delle incognite, giacché questi sostituiti nelle relazioni osservate conducono direttamente ai valori più probabili dei residui v. Se si vuol mettere in evidenza l’andamento del calcolo da cui si deve dedurre il valore di [/ 1 , n] basta osservare che si ha successivamente [Z /, 1 ] = |Z/,2] = [ 11 , 1] [II, 3I = [II, 2} - L//J- \ aì \[al] [a a] [/;/, 1] [b 1, j) = [//]• 1 al ] 1 [bl, i] 2 [b b, 1] [a a] L/> b, 1 j \cl, 21 • \cl, 2] - [U\ [al? IH il 2 [d, 2 f [c c, 2 [a a] [b b, 1] [C c, 2l e quindi : fÀÀ] = = [Hi l 2 [cl,A l [b b, 1] Lee, 2] , ecc. (97 Wa ) L’espressione (90) dell’errore medio corrispondente all’unità di peso può dunque mettersi anche sotto la forma ni = [ 11 , n\ 11 — w ( 98 ) assai comoda per il calcolo. Ciò posto, per dedurre ora i pesi delle incognite ottenute dalle equazioni ridotte ricordiamo che, in generale, il peso e T errore medio del valore della funzione lineare U^L lX + L 2 y + L }l +... Teoria della combinazione delle osservazioni. 399 determinato per mezzo dei suddetti valori delle incognite è dato [n.° precedente, formule (95)] da P = —l _ “ [L M'j m„ = m ^ [L M ] essendo M,', MJ. .. MJ delle quantità che soddisfanno alle equazioni (94). Suppongansi risolute queste col metodo del n.° 41 ; è evidente che alla somma IL M'] = L, M/ 4 - L 2 M 2 ' + ... l„ m: è applicabile un sistema di eliminazione delle M' analogo a quello impiegato per eliminare x, y, z • • • dall’equazione (96), giacché basta considerare in questo caso nelle (94) i residui L t , L 2 .. . come tenenti il luogo delle quantità c, r h C ■ ■ ■ nella deduzione precedente, c le M' il luogo delle incognite. Così ad esempio, ponendo per analogia a ciò che si è fatto nelle equazioni ridotte : LJ = [b c, 1] MJ + • • • | (98*") si ottiene dalle (94) : m ,__4 _ MJ [a b] M 3 ' [a c] 1 [a a ] [a a\ la a] mentre si ha : 2 2 + la a\ 1 L — I ' 1 [ifl 1 ? ^ ^[aa] 1 e l’eliminazione (fatta per mezzo di queste) di M/ dalla [L M'] ci dà : i LM ']=^ rì + L : M :+ L / M ; + --- Si vede dunque facilmente che, applicando le notazioni già note, si 400 Capitolo settimo. deve avere: \LM'] L 2 ' 2 . U " 2 [bb,i\ [cc, 2 ] ‘ ‘ ' CCC Se si pone ancora, analogamente a ciò che fu fatto nel n.° 41 più volte citato : {L 1 ,i} = L 1 [1 a b] [a a\ L t > [L^ , 1 ] — L ; \b c ,il [a c] [a a] L... ecc. 2 ] - > T .l [£ h jj • CCC - (99) si avrà infine P„ [L M'] = Al [a a] [L 2 ,i ] 2 , \L 3 , 2] 2 [bb,i] ^ [re,2] (100) espressione molto notevole che facilita il calcolo del peso e dell’errore medio di una funzione delle incognite Di qui si trae subito il peso della ultima delle incognite determinate; giacche basta porre: 17= t essendo t questa incognita, e nella (100) fare in conseguenza: -Zi, = L 2 = .. . — L tl _ 1 -—■ o . L n = 1. Allora tutte le quantità rappresentate dalle (99) si annullano, meno l’ultima che diviene l’unità, e si ha quindi: P<= [kk, (n— 1)] (101) essendo k la notazione generale del coefficiente di t nelle relazioni osservate. Per la ricerca dei pesi delle altre incognite conviene tenere altra via, dacché il metodo precedente condurrebbe a delle formule molte complicate. Osserviamo adunque che se si scelgono le n quantità k l ,h 2 ... k n in modo da soddisfare alle n equazioni: A = [a a] 7, \ L 2 =[ab\k l + \bb,i]k 2 ( L } — [a c] -j- \b r,r] k 2 -f- \c c,2] k 3 (102) Teoria della combinazione delle osservazioni. 401 tenendo conto delle (99) si trova per successive sostituzioni : [a a\ T Mi T ^ \aa 1 ' f L 2 — \a b\ /c, li MI \bb,i\ [bb, il 1-^-3; 2 J [c c, 2] e, quindi, alla (100) può esser data la forma: ~ = [aa] k; + [b b, 1] V + [c c, 2] i; + ... (103) Se ora si suppone u= x, e quindi 1, L 2 = L — .. , = L„ — o le (102) ci daranno per i valori di k corrispondenti: 1 = [a a] k, , x o = [ab] k { , x + \b b . 1] k t o — \a. c ] .* [b c . 1] , x -|- \c c . 2] b 3x e quindi dalla formula (103) si trarrà: [a a] /q . x -\-[bb, 1J k t . x + [c c, 2] k s . x + ecc x che ci dà il peso richiesto di x. Analogamente si farebbe per le altre incognite. 48 . In un gran numero di ricerche esperimentali le relazioni che esistono fra le incognite x, y, z • • • e le quantità direttamente osservabili sono perfettamente conosciute e non si presenta veruna incertezza nello stabilire le relazioni osservate che servono di fondamento al calcolo esposto nei numeri precedenti. Ma non di rado succede che dalle osservazioni fatte si vuole a posteriori risalire alla legge che vincola le quantità osservate fra loro e con altri enti fìsici: astrattamente parlando per ottenere questa legge esperimentale il numero delle osservazioni dovrebbe essere infinito ; tuttavia quando questo numero è abbastanza grande si può sempre ricavare una rela- 402 Capitolo settimo. zione analitica che rappresenti la legge cercata con sufficiente approssimazione, ossia a meno di quantità che sfuggono ai nostri mezzi di apprezzamento : quanto più numerose saranno le osservazioni impiegate a stabilire cotesta relazione tanto maggiore sarà la fiducia relativa che potrà ad essa venire accordata. La maggior parte delle relazioni che consideriamo come leggi fisiche accertate non sono che forme approssimative di tali leggi e debbono, rigorosamente parlando, essere ritenute come delle ipotesi che hanno acquistato dall’ esperienza una più o meno grande probabilità di sussistere. Sia che si parta da concetti teoretici che debbano venire verificati esperimentalmente } sia che si parta dalle sole osservazioni fatte per stabilire la forma analitica conveniente a rappresentarle, ci troviamo per lo più dinanzi a diverse ipotesi ugualmente possibili a priori , e non è che a posteriori , applicando i concetti di fiducia matematica fin qui esposti, che la scelta fra esse diviene possibile. Il teorema di Bayes sulla probabilità delle ipotesi indica chiaramente la via che deve esser seguita in questo genere di ricerche, alle quali esso serve di fondamento. Siano p', p", le probabilità di due ipotesi che respetti- vamente conducono ai sistemi di errori residuali: v[, vP, vP. . . vP colle misure di precisione respettive //, /;", e gli errori medi ni, ni' : avremo per il teorema suddetto: P _„+ ù" »'] - v 2 IV «'] p" _ h" od anche, esprimendo [v'' v' 1 ], [v' v'] in funzione dei relativi errori medi : p' b' ni" p" h" m' (104) Di qui si vede che le probabilità delle ipotesi stanno fra loro in ragione inversa dei rispettivi errori medi. E importante di notare che alcuni concetti che ci duole di non poter qui riportare per non dilungarci tropp’oltre su questo argomento, permettono di dimostrare che un errore nella determinazione della torma della curva della probabilità non influisce sensibilmente nel risultato sopra ottenuto. Inoltre gli errori medi delle diverse costanti fisiche determinate nelle varie ipotesi ammesse indicano subito se le osserva- Teoria della combinazione delle osservazioni. 403 zioni fatte erano sufficienti alla loro determinazione, giacche, se nella -determinazione di una delle costanti risulta che il suo errore probabile è uguale o maggiore del valore della costante stessa, si conclude che non vi ha ragione di ammettere dietro le esperienze fatte l’esistenza di questa costante. Per meglio intendere queste considerazioni suppongasi di voler studiare la legge dell’ aumento di volume V di un gas a pressione costante col crescere della temperatura, e poniamo in generale: >=/( 0 - Poiché la funzione f (t) è continua e crescente con V, è legittimo lo sviluppo: V = a -KS t + 7 f + è fi + . . . c se si conoscessero esattamente certi valori V 1 , V 2 , V ... V n di V e le corrispondenti temperature si potrebbero determinare n dei coefficienti ignoti a. (3, y ... ecc. Ma se questi n coefficienti fossero tratti da n relazioni osservate, quantunque i residui v fossero tutti nulli 1’ errore medio relativo all’unità di peso e quelli di a, [3, y .. . sarebbero tutti indeterminati, lo che ci avverte che i valori ottenuti per le costanti fisiche cercate non meriterebbero nessuna fiducia. A priori ci è ignoto altresì qual è il numero dei coefficienti che può essere con maggiore sicurezza determinato per mezzo delle n prove fatte : ma se si fanno le ipotesi successive : V = oc -j- [3 1 V = v. -f- [3 t -f- y f V -= % -j- (3 i -}- y t 2 + t' V=~- ... ecc. gli errori medi corrispondenti indicheranno immediatamente quale fra queste è quella che deve essere prescelta. Supponiamo che i valori di y, 8 risultino determinati con errori probabili maggiori dei valori stessi; si concluderà che l’aumento di volume è rigorosamente proporzionale alle temperature, dentro i limiti di temperatura in cui le esperienze fatte sono comprese. FINE DEL PRIMO VOLUME. I tm &m 11203 ì ) ) ) ) ) ) ì ) ) ) ZL\Z l > > > > > > > LLl I- UL < I O r? co 3| © M t M ! I q I a MOMfU HJL3 Bitte nicht herausnehmenf 'éfitlty A <. ut<0k 4 * *ÌA, W^f, «im ìmm •^t- *• >. >3 j**3B e- V- ■- VA< rsvfi r ;/Vw *y*V -li/ -’V^4 rT"»^ *W*V- W* %’Tg^Ì' ■ '.'*" 'W ■w», V*. s^- "«Siri» Vv v'tfj CS ->iri2V^Cv% ì Ù 't^M >' _ l|1,( «(••fclM -.1 aulì in*** -~ar i -«** ■ -i. v •’sstn // "t±l> r y-ssr C^V\V S X t>r&3 3 - Geschenk yon Herrn Professor Joh. Wild. ( &, m fi FONDAMENTI DI GEODESIA FONDAMENTI GEODESIA ENRICO PUCCI Professore nella R. a Università di Roma VOLUME SECONDO CON 28 FIGURE INTERCALATE NEL TESTO. r' . ^ Af 1 napoli MILANO ULRICO HOEPLI editore-libraio della real casa PISA 1887. io 'h PROPRIETÀ LETTERARIA# Milano, 1887. — Tip. Bernardoni di C. Reheschini e C . INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL SECONDO VOLUME. Capitolo VII. — (Continuazione). Teoria delia combinazione delle osservazioni. 3.“ Parte-, Compensazione delle osservazioni. Della compensazione. — Condizioni. — Correzioni. — Metodo generale per la compensazione delle osservazioni dirette .... Pag. 1 Riduzioni delle condizioni alla forma lineare. — Errori residuali di osservazione. » 5 Correlativi. — Equazioni correlate. — Equazioni normali correlanti. » 7 Errore medio dell’unità di peso. — Errore medio sistematico . . » 9 Errore medio e peso di una funzione delle osservazioni compensate » 12 Della compensazione delle costanti fisiche (determinazioni indirette). — Metodo diretto. » 17 Errore medio dell’unità di peso. » 21 Metodo indiretto di Bessel per la compensazione delle costanti fisiche » 22 Errore medio e peso di una funzione delle costanti fisiche compensate » 27 Dell’ equivalenza assoluta delle osservazioni, e dei sistemi fittizii equivalenti a uh sistema di equazioni generate effettive. » 28 Applicazione della teoria della equivalenza alla ricerca del peso di una funzione compensata. » 32 Della equivalenza parziale. » 33 Della equivalenza parziale rispetto a due funzioni compensate. — Ellisse di equivalenza. » 37 Compensazione delle costanti fisiche per mezzo della teoria dell’ equivalenza . » 41 Applicazione della teoria dell’ equivalenza alla ricerca dell’errore medio e del peso di una funzione di costanti fisiche compensate . » 45 4- a Parte: Compensazione delle reti trigonometriche. Delle condizioni geodetiche. — Loro numero complessivo e loro classificazione. — Numero delle condizioni azimutali, poligonali e lineari . Pag. 48 Compensazione (provvisoria) delle stazioni. » 51 VI Indice delle materie contenute nel secondo volume. Errore medio dell’unità di peso di ogni singola stazione .... Pag. 58 Formazione e riduzione delle condizioni. » 60 Compensazione di una rete geodetica per direzioni. » 67 Errore medio dell’ unità di peso di una rete geodetica. » 73 Errore medio e peso di una funzione compensata. » 75 Compensazione per parti delle reti molto estese. — Metodo di approssimazione successiva (o metodo di Gauss) . » 78 Compensazione di una rete geodetica per angoli. » 80 Precisione della determinazione dei singoli punti delle reti compensate. — Teoria delle ellissi degli errori. — Media ellisse. — Ellisse probabile. » 83 Generalizzazione della teoria delle ellissi degli errori. » 94 Compensazione delle reti altimetriche. » 96 Errore medio unitario. — Teoremi relativi. » 97 Errore del trasporto di una lunghezza attraverso una catena geodetica semplice. — Teoremi relativi. » 100 Degli sviluppi delle basi geodetiche. » 104 Capitolo Vili. — Coordinate geografiche, distante ed a'timut sull’ ellissoide. Delle coordinate geografiche. Pag. 113 Trasporto della latitudine lungo una geodetica data (metedo di Le- gendre). «114 Influenze che gli errori negli elementi di calcolo hanno nel trasporto della latitudine. » 119 Trasporto della longitudine lungo una geodetica data (metodo di Legendre). » 121 Formule per la longitudine relative alla sfera che ha per raggio la gran normale corrispondente alla latitudine di partenza .... » 124 Influenze che gli errori negli elementi di calcolo hanno nel trasporto della longitudine. » 126 Dell’azimut reciproco. — Trasporto dell’azimut lungo una geodetica data (metodo di Legendre). » 127 Formule per l’azimut relative alla sfera che ha per raggio la gran normale corrispondente alla latitudine di partenza. » 128 Influenze che gli errori negli elementi di calcolo hanno nel trasporto dell’ azimut . .. » 129 Trasporto delle coordinate geografiche e dell’azimut lungo una geodetica data (metodo di Andrae). » 130 Altro metodo di trasportare le coordinate geografiche e l’azimut lungo una geodetica data. » 138 Della latitudine ridotta. — Corrispondenze fra la latitudine ridotta e la latitudine geografica. » 144 Triangolo sferico ausiliario Besseliano. — Relazione fra l’arco di una geodetica e la sua immagine sferica. — Metodo generale (di Bessel) per trasportare la latitudine e l’azimut lungo una geodetica data » 145 Indice delle materie contenute nel secondo volume. VII Metodo generale (di Baeyer) per trasportare la longitudine lungo una geodetica data. Pag. 154 Formule di Bessel per il trasporto della longitudine lungo una geodetica data. » 1 5 9 Sviluppi iti serie relativi ai precedenti metodi di calcolo. » 166 Metodo indiretto per calcolare la distanza e gli azimut reciproci di due punti, dati per mezzo delle loro coordinate geografiche .... » 168 Altri metodi indiretti più generali di calcolare le distanze e gli azimut di punti dati. » 173 Teorema di Dalby. » 177 Espressione della differenza fra un azimut astronomico e l’azimut geodetico corrispondente, rigorosa fino a termini in e 1 , ed estensione del teorema di Dalby al caso di azimut geodetici reciproci » 182 Calcolo della convergenza dei meridiani. » 188 Metodo diretto di calcolare la distanza e gli azimut di due punti, dati per mezzo delle loro coordinate geografiche. » 189 Capitolo IX. — Della rappresentazione di una superficie sopra un’altra. Corrispondenze ed immagini. Pag. 193 Superficie simili e superficie applicabili. » 196 Formule fondamentali delle rappresentazioni conformi. — Complesso di conformità. — Teoremi relativi ai doppii sistemi isotermi di linee » 199 Del modulo di trasformazione nelle rappresentazioni conformi . . » 203 Curvatura geodetica dell’immagine conforme di una linea qualunque della superficie rappresentata. — Teorema di Lagrange generalizzato pel caso di una superficie rappresentante qualunque ... » 205 Rettificazioni e quadrature per mezzo di una rappresentazione conforme » 208 Formule generali delle rappresentazioni equivalenti. » 209 Del modulo di trasformazione in una rappresentazione qualunque. — Sua espressione in funzione dell’azimut. — Ricerca delle direzioni lungo le quali è massimo o minimo. » 213 Corrispondenza azimutale. — Linee principali di una rappresentazione. — Loro equazione differenziale. » 215 Espressione dei moduli di trasformazione principali. — Teoremi che se ne deducono. » 217 Ellisse indicatrice delle deformazioni lineari. — Costruzione degli azimut che si corrispondono. — Altro teorema sui moduli di trasformazione principali. » 220 Corrispondenza fra gli angoli. — Iperbole indicatrice. — Teoremi relativi. » 223 Espressione della deformazione degli angoli. » 225 Capitolo X. •— Riduzione dei problemi di Geodesia Ellissoidica alla sfera. Della latitudine isoterma. Pag. 227 Della sfera rappresentatrice più conveniente per la risoluzione dei problemi di geodesia ellissoidica. » 228 Ricerca delle costanti della rappresentazione sferica più conveniente, in funzione della latitudine normale. » 231 Vili Indice delle materie contenute nel secondo volume. Deformazione della curvatura geodetica nella rappresentazione sferica Gaussiana. Pag. 234 Deviazione dell’immagine sferiua di un arco di geodetica ellissoidica dal cerchio massimo corrispondente. » 236 Differenza fra la lunghezza di un arco di geodetica ellissoidica e l’arco di cerchio massimo corrispondente alla sua immagine sferica . . » 244 Risoluzione dei problemi di geodesia ellissoidica per mezzo della sfera rappresentatrice. » 245 Dimostrazione di alcune formole di trigonometria sferica, relative alla risoluzione dei triangoli che hanno un lato piccolo. » 249 Sviluppi più convenienti pel passaggio dalle latitudini sferoidiche alle sferiche, e dalle sferiche alle sferoidiche. » 251 Formule più convenienti pel calcolo del modulo di trasformazione . » 256 Capitolo XI. — Ricerca delle costanti dell’ ellissoide terrestre. Dell’ellissoide di riferimento e della sua determinazione in generale Pag. 260 Riduzione delle misure geodetiche lineari (basi) ed angolari all’ ellissoide . » 265 Variazioni elementari delle coordinate geografiche e dell’azimut di arrivo in corrispondenza a date variazioni degli elementi di calcolo. — Espressioni delle componenti dell’attrazione locale nel caso di distanze geodetiche limitate. » 268 Dei centri di emanazione principali e secondarii ....... » 272 Espressioni rigorose delle variazioni elementari delle coordinate geografiche e dell’ azimut di arrivo in corrispondenza ad una variazione dell’azimut di partenza. » 274 Del coefficiente fondamentale delle circonferenze geodetiche ... » 280 Espressioni rigorose delle variazioni elementari delle coordinate geografiche e dell’azimut di arrivo in corrispondenza ad uno spostamento in latitudine del punto di partenza. » 286 Espressioni rigorose delle variazioni elementari delle coordinate geografiche e dell’azimut di arrivo in corrispondenza ad una variazione nell’ asse maggior e nell’ eccentricità dell’ ellissoide di riferimento . » 290 Riassunto delle formule rigorose precedenti ed espressioni generali delle componenti dell’attrazione locale. » 297 Pesi e combinazione dei due valori della componente ij provenienti l’uno dalle longitudini e l'altro dall’azimut. — Variazioni elementari delle coordinate geografiche e dell’azimut dì arrivo in corrispondenza ad un accrescimento e ad una rotazione elementare dell’arco di geodetica. » 300 Del calcolo delle costanti dell’ellissoide di riferimento definitivo, delle attrazioni locali e delle precisioni dei risultati. — Discussione. — Risultati sperimentali. » 302 Calcolo delle coordinate geografiche definitive. — Precisione delle triangolazioni, dedotta dal confronto fra le longitudini e gli azimut astronomici. » 309 Indice delle materie contenute nel secondo volume. IX Del secondo metodo di determinare le costanti dell’ ellissoide terrestre. — Procedimenti per calcolare la distanza fra due paralleli per mezzo di una triangolazione interposta, orientata con un solo azimut, o per mezzo della geodetica equivalente. — Precisione del risultati. Metodo di Struve per calcolare la distanza fra due paralleli per mezzo dell’arco di una geodetica congiungente, orientato alle due estremità Metodo di Bessel per calcolare la distanza fra due paralleli per mezzo dell’arco di una geodetica congiungente, orientato alle due estremità Discussione comparativa dei metodi precedenti di calcolare le distanze fra i paralleli. Metodi di calcolare la lunghezza di un arco di parallelo per mezzo di una triangolazione orientata con un solo azimut, o della geodetica equivalente. — Precisione e discussione dei risultati . . . Metodo di calcolare la lunghezza di un arco di parallelo per mezzo di un arco di geodetica orientato alle due estremità. Espressioni fondamentali delle componenti dell’attrazione locale in funzione degli archi di meridiano e di parallelo geodeticamente misurati. Discussione delle equazioni generate definitive. — Calcolo delle costanti dell’ ellissoide di riferimento. Condizione di indeformabilità di una rete geografica. — Trasformazione delle formule relative al primo metodo di calcolo, per renderle applicabili nel secondo metodo. Pag. 312 » 3 ! 5 » 317 » 322 » 323 » 3 26 » 332 » 338 » 341 Capitolo. XII. — Del geoide. Coordinate astronomiche di una superficie qualunque. Equazioni differenziali delle geodetiche in coordinate astronomiche .... Espressioni delle differenziali delle coordinate astronomiche in funzione dello spostamento elementare del punto della superficie e della direzione di questo spostamento. Relazioni fra le funzioni ausiliarie M, N, P, W e i raggi principali di curvatura della superficie pel caso di una geodetica .... Altra forma delle espressioni differenziali delle coordinate astronomiche in funzione dello spostamento del punto della superficie, e della direzione di questo spostamento. Espressioni delle coordinate cartesiane del geoide in funzione delle coordinate geografiche dell’ ellissoide. Equazione del geoide in coordinate cartesiane. Relazione fra la variazione dell’ altitudine ellissoidica in una direzione data e la componente dell’attrazione locale in questa direzione Corrispondenze fra le coordinate cartesiane e le coordinate astronomiche di un punto del geoide. — Espressioni delle differenziali delle coordinate astronomiche in funzione di queste coordinate, dell’ azimut, e della differenziale dell’ arco di curva. Integrazione delle equazioni delle geodetiche del geoide. — Espressioni degli errori che si commettono nelle coordinate astronomi- Pag. 343 » 347 » 349 » 351 » 352 » 354 » 355 X Indice delle materie contenute nel secondo volume. che e nell’azimut eseguendo le integrazioni come se le geodetiche considerate appartenessero all’ellissoide di riferimento .... Pag-. 357 Differenze in lunghezza ed orientamento fra un arco di geodetica geoidica e l’arco di geodetica ellissoidica corrispondente. — Riduzione delle basi geodetiche all’ellissoide. » 370 Espressione di un azimut astronomico geoidico in funzione delie coordinate astronomiche. » 372 Riduzione degli azimut astronomici osservati agli azimut geodetici ellissoidici corrispondenti. » 375 Dell’entità delle attrazioni locali e delle ondulazioni geoidiche continentali. — Risultati astronomico-geodetici. — L’onda misurata a Mosca. — Lavori del signor Pechmann. — Calcoli dell’arcidiacono Pratt. — Ipotesi di Airy e di Pratt sulla compensazione delle densità lungo ciascun raggio vettore. — Considerazioni di Faye sulla distribuzione del calore nell’interno della terra. — Conclusione . » 378 Sull’interpolazione delle componenti dell’attrazione locale in generale » 389 Rappresentazione grafica delle ondulazioni geoidiche per mezzo delle curve di eguale altitudine ellissoidica. — Metodo indiretto dei profili. — Metodo diretto. ■—■ Controlli. » 392 Rappresentazione analitica delle ondulazioni geoidiche per mezzo della espressione parabolica dell’altitudine ellissoidica in funzione delle coordinate geografiche. » 396 Rappresentazione analitica delle ondulazioni geoidiche per mezzo della doppia serie trigonometrica. » 398 Calcolo delle altitudini ellissoidiche fondamentali, per mezzo del confronto delle livellazioni trigonometriche colle geometriche corrispondenti . » 399 CAPITOLO VII. (Continuazione.) TEORIA DELLA COMBINAZIONE DELLE OSSERVAZIONI 3.“ parte. — Compensazione delle osservazioni. 49. Alle teorie sviluppate nella seconda parte di questo capitolo può essere data assai maggiore generalità enunciando il problema che esse risolvono, nel modo seguente, che comprende altresì il caso in cui si ha da considerare più di una funzione generatrice : * Date le funzioni generatrici F{x,y,z...U,V...) = o ? 0 , y, k ■ ■ ■ u, v ...) = ° fra le costanti incognite x, y, z ■ • • e lo quantità variabili, ma coesistenti U, V,... osservabili, o, in parte, teoreticamente note, e dati i sistemi di valori U t , V lf ...; U 2 , V 2 ...; U , ^ ... osservati ciascuno indipendentemente ed in circostanze diverse (momenti fisici diversi) dagli altri ed in numero più che sufficiente per la determinazione teoretica (approssimativa) delle incognite, trovare il più probabile sistema di correzioni da fare alle osservazioni, affinchè siano nulli i residui delle equazioni generate, dedotte dalle proposte funzioni generatrici. * Deve tenersi presente che il significato che qui si attribuisce all’espressione funzione generatrice è quello stesso stabilito nella seconda parte del capitolo, ed è quindi affatto diverso dal significato che le ha attribuito Laplace nella Teoria analitica delle probabilità. Pucci, Geodesia. II. 1 2 Capitolo settimo. Lo spirito del metodo che si presenta ovvio per la risoluzione di un tale problema non differisce da quello seguito precedentemente (vedi 2. a parte), che consiste, in ultima analisi, nel ridurre la ricerca dei valori delle incognite x, y, per la quale si ha un numero sovrabbondante di osservazioni, ad un caso di indeterminazione, introducendo come nuove incognite gli errori di osservazione, e nel togliere quindi l’indeterminazione applicando i principii del calcolo delle probabilità. Ma lo svolgimento di questo concetto può esser condotto in guisa da abbracciare ancora una nuova classe molto estesa di quistioni, che si presentano quando fra le quantità osservabili esistono delle relazioni analitiche rigorose di forma nota, che le fanno dipendere mutuamente ciascuna dalle altre. I valori ottenuti dall’osservazione non soddisfanno, in generale, a tali relazioni, e quindi debbono esser considerati come più o meno contraddittorii fra loro; in conseguenza sorge spontanea l’idea di togliere ogni contraddizione correggendo le osservazioni,, e siccome i sistemi di correzioni compatibili colle relazioni rigorose suddette sono in numero infinito, ma ciascuno ha una probabilità diversa di coincidere cogli errori effettivamente fatti nelle' misure, ci troviamo condotti alla ricerca di quello fra tali sistemi per cui la ora detta probabilità è massima. A una siffatta ricerca si dà il nome di compensazione, e le osservazioni corrette nel modo più probabile sono dette osservazioni compensate. Quantunque in tutte le scienze esperimentali si presentino) numerose quistioni, alle quali può essere applicato il calcolo di compensazione, la teoria che imprendiamo ad esporre è considerata i come esclusivamente geodetica, a causa forse della sua origine e- delle estese applicazioni che se ne fanno in Geodesia; perciò, fino ad oggi, essa è stata svolta completamente soltanto per quelle classi! di quantità osservabili per cui può essere accettata come legge dii distribuzione degli errori la funzione esponenziale che si accorda assai bene, come abbiamo veduto, con tutte le osservazioni geodetiche sia di angoli sia di lunghezze, e che noi prenderemo ora a base delle ulteriori ricerche. 50. Sieno V 0 F 2 , V ,. .. V » delle quantità fisiche in numero) di v, che debbono essere esperimentalmente determinate subordi— Teoria della combinatone delle osservazioni. 3 ratamente alle n relazioni rigorose seguenti: r,) = o v 2 , v % r.) = 0 Vil) = o (fi° 5 ) A queste daremo il nome di equazioni di condizione, o soltanto di condizioni, ed evidentemente è da supporre che il loro numero n sia minore del numero v delle quantità V da misurare, giacché, altrimenti, le (105) essendo rigorose e coesistenti, sarebbe possibile di determinare i veri valori dei V senza ricorrere all’esperienza, o, con questa, i veri errori delle osservazioni. Nel caso in cui le (105) contenessero delle costanti fisiche ignote non suscettibili di misura diretta, eliminando tante di esse quante è possibile fra le (105) medesime, o verrebbero tutte a sparire, o rimarrebbe una sola equazione di condizione che conterrebbe una o più incognite oltre le quantità direttamente osservabili, e, se queste fossero suscettibili di momenti fisici diversi, saremmo ricondotti al caso già studiato di un’ unica funzione generatrice. Del resto si vedrà in seguito il modo di trattare tale quistione in tutta la sua generalità. Sieno O t , 0 2 , O ,... O v dei valori esperimentali osservati rispettivamente per le quantità V t , F 2 , V ,... F* coi pesi p t , p 2 , p ,. .. p 2 e con le misure di precisione h 0 h 2 , h ,.. .fai se si pone Ov fi- le quantità v t , v z , v ,...v v rappresentano i veri errori di osservazione, legati fra loro dalle condizioni (105), le quali danno: Ov fi- fv) 9.C0. + ®.» 0 2 + V 2> 0 i + V ì 9 .( 0 ,+ W„ °* + V 2 > ° ì + v ì 0-1 fi- t'v) ?»(0« + W «»0*fi-* , *»0 j fi-*': 0)i fi- Vii) Il numero di queste condizioni è per ipotesi minore di quello delle quantità v t , v 2 , ... v,, che ci sono ignote, perciò non è possibile di risalire ai veri valori di queste, ma se ne possono solo determinare, come è detto più sopra, i valori più probabili. 4 Capitolo settimo. Ammettendo ora che

    a Sia H la misura di precisione corrispondente all’unità di peso: avremo, come è noto (Voi. I, pag. 367): h i = Hs ÌP^ h 2 = H\Jp 2 ,...,}h = H\jp, e, perciò, alla precedente espressione di P può esser data la forma h,. h 2 . b da cui si vede che il massimo valore di P si ha per [p S S] = minimo, i S essendo subordinati alle condizioni (106), e che, in conseguenza, il sistema di correzioni che ha la massima probabilità di coincidere col sistema dei veri errori di osservazione è determinato dalle condizioni coesistenti : 0 ) -|- 5v) 9 XO l + s i ,o t + K,o ì + s i O v -j- S v ) O, + 8„) .p v S.j d §* Pi ^ d + P2 ^2 ^ +P 3 d S, + (107): che sono »-|-i e contengono v incognite delle quali v — n vanno) considerate come variabili indipendenti. Se per mezzo delle prime n delle (107) differenziate rispetto) alle variabili S, si esprimono gli n differenziali d S,, d S 2 ,. .. d S ni in funzione degli altri v — n e di ^, S 2 , , ... S v e si sostituì- • Teorìa della combinazione delle osservazioni. 5 scono quindi tali espressioni nell’ultima delle (107) medesime, si •ottiene un’equazione della forma M d -)- Nd Q d b» — o (108) ove M, N,...Q rappresentano delle funzioni note di S a , $ ed i differenziali d S„ + ,, d S„ +3 ,... d X, debbono esser considerati come indipendenti, dacché tutte le condizioni del problema espresse dalle (106) sono già state introdotte: perciò la (108) equivale al sistema di equazioni M— 0, N=o,..,j 2 = o che sono v — n, e che, unite alle n condizioni (106) determinano le v correzioni più probabili cercate. 51 . Analiticamente parlando il problema della compensazione resta cosi risoluto; ma quando il numero delle condizioni è grande la scelta del metodo da tenere nella eliminazione indicata alla fine del § 50 non è indifferente, e conviene cercare altresì il procedimento generale di calcolo più comodo e più breve. Perciò osserveremo anzitutto che le condizioni (105) possono in pratica esser supposte lineari; ed infatti i valori prossimi x„ X 2 , X ì ... X delle quantità V t , V 2 , F .. . F v sono sempre conosciuti, se non altro dopo fatte le osservazioni 0 i , 0 2 , che si tratta di compensare : ponendo quindi : F t = X t -(- oj i , V z ~ X 2 -j-oj 2 , /^ = X + < 0 ,, • • • X = X -f- co, dalle (105), per mezzo di sviluppi in serie, si trae X 2 ,...X>+(^) 0 ^ + |^| co 2 + , dj, 8X. 0 > 2 +. co, + ,Q I co, -j- ove i resti rì 2 ,... Q„ sono dell’ordine degli co 2 . Ma le quantità co possono esser considerate come quantità dell’ordine, degli errori di 6 Capitolo settimo. osservazione; perciò, secondo lo spirito del metodo dei minimi quadrati, i resti sopraddetti possono essere trascurati. Se, a compensazione fatta, risultasse che i valori X non erano abbastanza approssimati per permettere di trascurare negli sviluppi in serie i termini dell’ordine degli w 2 , dalle osservazioni compensate si trarrebbero dei nuovi valori più degli X prossimi ai V, per ripetere quindi il calcolo di compensazione. Adottando le seguenti notazioni : *0 = 4 ? 3 (« X) = c c 0—X t + 0 t , O=X 2 -\-0 2 , 0 Ì 0V = X* -f- Oy ■X-0 + 4 ( ’i + ^2 0 2 4" -j- Ai o -, -®o + °1 + -S 2 °z + -f- By 0 ) Q + C 1 o, C 2 o 2 -j- 4 - Cy Oy le quantità o [} o,, o 3 ,...o„ vengono a rappresentare i valori osservati rispettivamente per tù i} w 2 , to ... w v che ora tengono luogo dei V, e le equazioni di condizione del problema analoghe alle (105), prendono la forma lineare: + ^2 W 2 4 ” • • • + Ay (ày — O B 0 + Bi w i + B 2 w 2 + • ■ • + •&> “v = o C Q C, C 2 (0 2 -f- ...-(- Cv My = 0 (no) Teoria della combinazione delle osservazioni. 7 È utile notare il significato analitico delle quantità L 1} L 2 , L^, . .. : che mettono in evidenza la discordanza fra le osservazioni, giacché se queste fossero esatte si avrebbe evidentemente = o: perciò sono dette errori residuali di osservazione. 52. Introducendo le notazioni (109) nelle equazioni (107) si trae * A l S, -j- A 2 -J- A ì § 3 4~ • • • + — o B l 5, -j- B 2 8 2 -f- B^ + . .. 4~ Bi 8» -f- L 2 = o C r 8 , -f- C 2 8 2 4 - C 3 § 3 + ... 4 - Ci S v 4 - i 3 = o da cui, differenziando rispetto alle variabili 8, otteniamo : A s dS t -f A 2 d 8 2 + A ì d 8 ? 4 - ... -f A, d 8, = o B r d 8 t -f B 2 d Z 2 + B } d 8 } + ... + B, d 8, = o C, d 8 t + C 2 d 8 2 4 - C 3 d 8 ì + ... + Cv d 8, = 0 Rappresentiamo con I, II, III,... delle costanti indeterminate in numero di n, e, moltiplicata la prima delle (112) per I, la seconda per II, la terza per III, ecc., sommiamo i risultati: si avrà identicamente : (AJ+ BJI+ CJII + ...’)dS l -\-(A t I + B 2 II+C 2 III+...')d 8 2 + (AJ + BJI+CJII + ...)d8 ì + ...= o donde risulta che la condizione del minimo relativo, espressa dall’ultima delle (107), equivale a porre (AJ + BJI + CJII . ~pjjd8 1 + 4-(^I 4 -BJI +C 2 III . -Pj 2 )d8 2 + 4-(V 4 -BJI 4 -0,111 . -P ì \)d8 ì + 4 -{A n I +B n II 4- C„III . - p j n )d8 n 4- 4" (4„ + i 1 4- B n+ 1 II -f- C „ + 1 III ... — p n+ j 8„ +l ) d 8„ +I 4" + (A, I -f B, II 4- C, III — p v 8P) d8 v = 0 , 8 Capitolo settimo. e che l’eliminazione indicata alla fine del § 50 può esser fatta determinando le ausiliarie I, II, III ... in modo da annullare i prim: 11 coefficienti dei differenziali che compariscono nella precedente equazione. Ma per determinare le correzioni v t , v 2 ,... più probabili cercate, ossia i valori dei <3 che corrispondono al minimo d; [p § S], si debbono porre le condizioni M= 0, N —0 ,... <2 = 0 (vedi § 50); quindi si debbono annullare anche i coefficienti dei v — n differenziali che rimangono nella equazione precedente dopo che la suddetta eliminazione è stata fatta, ponendo complessivamente: p i v i = A i I+B l II+C I III+... \ p,v 2 = A,I + B 2 II+C 2 III+... p ì v ì = A J I-t-Bi!I+C ì III+...\ (113) p)ì Vv = Av I ~j~ B „ II C v III + .. . ì che sono v equazioni, le quali, unite alle n condizioni date, determinano e le « costanti ausiliarie I, II, III ,... e le v correzioni v ,, v 2 , ... v». Queste correzioni risultano dunque espresse dalle (113) in funzione delle quantità I, II, III,... alle quali, perciò si dà il nome di correlativi, mentre le (113) stesse sono dette equazioni correlate. A Se si moltiplica la prima delle equazioni correlate per , la seconda per , la terza per — e cosi di seguito, e si sommano i resultati si ottiene: [~\l+{~]o + [^}tU + ... = A^+A,v, + ...A. l\ Così, sommando le (113) dopo averne moltiplicata ciascuna per il corrispondente valore di —, si trova: [- y ] 1 +[^r] 11 + \^y] 111 +• • •=», + v 2 + • • • b, v, , e in modo analogo si avrebbe: Teoria della combinazione delle osservazioni. 9 Ma il sistema dei v è uno dei sistemi dei S compatibili colle condizioni (no), perciò i secondi membri delle equazioni precedenti si riducono rispettivamente a — L l , — L 2 , — L } ,... — L„, e queste divengono: [tMtMtÌ WMtMtÌ ih... +4 = 0 \ ///...+Z 2 = o III... +L 3 = 0 (“4) e formano così un sistema di equazioni normali che chiameremo correlanti perchè determinano i correlativi I, li, III... 53. Dacché le correzioni v 0 v 2 , v ,... v„ così ricavate costituiscono il sistema più probabile di errori commessi in O l} 0 2 , o 3 ,...a, si può per loro mezzo risalire all’errore medio m corrispondente all’unità di peso, e dedurre successivamente gli errori medii delle singole osservazioni. Tale deduzione è tanto più interessante in quanto che questi tengono anche conto, almeno in parte, degli errori sistematici d’osservazione, dei quali può, in media, essere apprezzata l’entità confrontando gli errori medii provenienti dal calcolo di compensazione con quelli determinati in modo diretto nel fare reiteratamente le sopra indicate misure. Osserviamo pertanto che il peso da ascrivere a ciascuna correzione v considerata come un errore di osservazione, è quello stesso della osservazione corrispondente, e quindi il sistema di valori AVA; V 2^J z , \lp, formerebbe un sistema di errori comparabili tra loro, ed appartenenti ad un’ unica classe di osservazioni, se i v non fossero vincolati dalle condizioni (107). Ci troviamo qui in un caso analogo a quello considerato nel § 44, perocché è chiaro che se nelle relazioni \IPX°\ — <0 = V A I P 1 yp 2 (a — <0 = aVa VA (A ~ °ù = A VA V P v 0* — ^ P v IO Capitolo settimo. per mezzo delle n equazioni di condizioni date si eliminassero n degli w, per esempio w,, ... co,,, si otterrebbero v equazioni generate, fra le v — n incognite indipendenti w„ + ,, + [tMt] + L t -j- N 2 L 2 -f- N ì L ì -f- . .. N n L„ relazione che si riduce a U m =U 0 + [FO] + [NL] • (120) se le ausiliarie AT, N 2 , N ,. . N» sono determinate per mezzo del seguente sistema di equazioni normali : [tMtMtÌ N,+ •••+ [tMtMt] In tal caso le N i; . N 2 , N ,... N„ rappresentano delle costanti affatto indipendenti dal sistema di osservazioni . 0 ,, 0 2 , 0 } ,...(X, giacché le quantità A, B, C ,... F, p, che entrano nella costituzione delle ( 121), sono per ipotesi teoreticamente note. Confrontando poi la relazione (120) colla (119) si trova [NL] = [Fv] che ci darebbe un altro modo di calcolare il valore più probabile di U insieme al suo peso. Se nella (120) agli errori residuali ed alle osservazioni effettive si sostituiscono i loro valori in funzione delle osservazioni Capitolo settimo. 14 ipotetiche 0 dati dalle (109), raccogliendo i termini in o t , o 2 , 0,... si deduce: U m = U a + F,X, + F 2 X 2 + F ì X } + ...J- + n,a 0 + n 2 b 0 + n ì c 0 + ...+ + o I (N l A t + N 2 B l + N ì C, + ... + F 1 ) + o 2 (N,A 2 + N 2 B 2 + N 5 C 2 + • • • + FJ + W 4 + N > B s + N , C ì + • ' ' + F 3 ) -f- (A T l -)- N 2 B-, -j- A/ } C v —J— ... —)— A v ) e da questa espressione di U m si ottiene senz’altro l’errore medio m„ cercato, perocché, le osservazioni o 2 , o 2 ,...o„ essendo indipendenti l’una dall’altra, e tutte le altre quantità che concorrono a costituire il valore esperimentale U m essendo delle costanti note, diviene applicabile il procedimento generale esposto nel §26 [formula (34)] e si ha quindi: m ; = < (AT A i + N 2 B i -j -N ì C, + ...+ F,y + m z W ^2 + N 2 b z -f n } C 2 4-... -h F 2 y + m;(N i A ì + N 2 B } + iV, C } + ... + FJ* -f- m » 2 (AT, Am -j- N 2 B y -j- N } C, -j- ... -f- F„y „ y'[ + ^C+^+/)■! 2. = Af 2 £ + N 3 C + ...+iT | Queste due ultime formule risolvono in teoria la questione che ci eravamo proposta, ma per la pratica conviene cercare anche un processo relativamente breve per il calcolo della quantità j~( AT t A N 2 B Ni C A - ■ • • + F) 2 j Teorìa della combinazione delle osservazioni. 15 Perciò poniamo : -L(n;4 + N t B t + N, C t + ... + F,) = A, VA -^(A,A 2 + lV 2 A + Ar ; C 2 + ... + A) = A 2 VA -L(AT, + A 2 A + AT, C, + ... + F,) = A, Va, -p= (AT A, A AT 2 A -|- C v -j- • • • A A) — a» Va ed osserviamo che le quantità A,, A 2 , A ; , ... A„ possono essere considerate come i residui corrispondenti ad un sistema di equazioni generate ideali, dedotte dalla forma generatrice — N + — N + ...+-^= = 0 . VP 1 v'P 2 + VP 3 VP Se si applica quindi l’algoritma del § 47 [formula (97 Ms )] si ottiene : r (aw. + JAf, + cjf, + ... + F )-j = [4 4] „ v ] = -ffl r A F V r BF V \CF T L P J L P ’J L P ,2 J r aa 1 r bb 1 ree 1 L P J L P ,T J [ P ,2 J e quindi: [ AF 2 r bf rH 2 fCPJ r ff 1 L P J L p ’ J m KH-m- m’ [ AF P ■*]■ FH' [¥-] 1 a a 1 [F 5 1 ree i L P J L P ’J L P ,2 J Queste stesse formule valgono naturalmente anche per il caso in cui si tratta di determinare il peso di una qualunque delle quan- Capitolo settimo. tità compensate, per esempio, dovendosi allora nelle (122) fare F s = 1 e supporre nulle tutte le altre quantità F. 55 . La ricerca del peso e dell’errore medio di una funzione U qualunque delle osservazioni compensate si riduce al caso precedente, in cui la funzione è supposta lineare, introducendo al solito, in luogo delle quantità F J} V 2 , V ,.. . V-, che compariscono nella funzione data, le loro espressioni X t + X 2 ”h W 2> X } .. . X, -)- oh in cui le quantità X rappresentano dei valori prossimi dei V, e gli co sono delle incognite per le quali l’osservazione ha dato [§ 51, formule (109)] i valori: X„ 0. X 0 In tal modo si trova: V= I/(X I + co i ,Z 2 + co 2 ,Z 3 + co 5 Xv COv) U^x, dove nel calcolo del valore U m più probabile di U, il resto ri può essere trascurato (vedi § 51), cosicché avremo: U(X l ,X 2 ,X } (dU\, (du\ ’■ Wo + ° 2 W< imMm essendo v l ,v 2 ,...v v le correzioni dedotte dalla compensazione. Analiticamente tale espressione non differisce dalla (119), e quindi per avere il peso e l’errore medio della determinazione U m si possono anche qui applicare le formule (122) del numero precedente se in esse si pone: (ÈE\ F=(^\ [dxj; [dxJ: solo che i valori che ne conseguono per m„, e P„ non sono in que- Teoria della combinazione delle osservazioni. *7 sto caso che approssimativi, restando al solito trascurate le quantità dell’ordine dei v 2 . 56. La teoria esposta nei numeri precedenti può essere ancora generalizzata considerando il caso in cui le equazioni di condizione vincolano non le quantità direttamente osservate, ma degli altri enti fisici od analitici che le osservazioni stesse debbono determinare, ossia, delle costanti ignote x, y, z ■ ■ •, delle quali i valori più probabili debbono essere ricavati da un sistema di equazioni generate; è evidente che questa nuova quistione comprende anche quella della compensazione delle osservazioni dirette, già sopra considerata. Per meglio rendere chiaro lo spirito del nuovo problema che ci proponiamo di risolvere ricorreremo ad un esempio, supponendo che si tratti di comparare le quattro spranghe geodetiche di un apparato di base del tipo Bessel [Capitolo IV, § 7 formule (6)], allo scopo di determinare le costanti m,, m 2 , m ì , m dei loro termometri metallici e le differenze x lt x 2 , x } , x + fra le lunghezze di ciascuna di esse e la lunghezza media fondamentale L dell’apparato. Un numero n di comparazioni fatte in momenti tìsici (temperature) diversi danno, come fu mostrato altrove, le 4» equazioni generate X' — l' + *- -*/ m I = v , X"- -I!' + x- m l X' — 1 ; 4" X 2 -a’ m 2 = V 2 X"- + X 2 - -a 2 " m 2 11 »? X' — V + *3- -< m 3 = v 3 X"- -0" + *3~ m = v 7Ì X' — V + *4- m, 4 II -P* X"- -K * 4 ~ ni 4 11 00 X'"— V" + - a'" m, = v„ X'"— J 2 '" -f x — a 2 '" m 2 = v m . 1 X — IJ" -)- ar,— a”' m ì = v n . X ”'— 1''' -f- x — a'" m —v . I ■ 4 1 4 4 4 12 ove compariscono le n -f- 8 incognite X’, X", X'",. ,.X W , x [} x 2 , x J} x 4 , t«„ m 2 , m 4 , mentre tutte le altre notazioni, astrazion fatta dai residui v, corrispondono a quantità direttamente misurate. Però le x t , x 2 , x , x 4 non possono esser considerate come indipendenti fra di loro, ma sono rigorosamente legate dalla condizione *, + + * 3 + * 4 = 0 00 Puccr, Geodesia. II. Capitolo settimo. che esprime che gli x rappresentano le differenze fra le lunghezze fondamentali delle spranghe ed il loro medio valore. Non si usa introdurre altre condizioni fra le incognite delle (oc) perchè si ammette che le diversità possibili fra i valori calcolati per n\, m 2 , tn , m 4 corrispondano a peculiari irregolarità di ciascuna spranga, ma, teoreticamente parlando, anche questi coefficienti sono legati in modo conosciuto fra di loro, e si possono immaginare dei sistemi di comparazione che permettano di porre delle equazioni rigorose anche fra i diversi valori che il calcolo assegna agli X. Stabilite dunque tutte le condizioni, analoghe alla ([ 3 ), che vincolano le incognite delle (oc), la compensazione in questo caso consiste nel cercare il sistema di residui v che compatibilmente colle (p) ha la massima probabilità di rappresentare il sistema degli errori residuali delle equazioni generate (a) medesime. Ciò posto siano in generale «x * + b t y + c, v + • • • + l, = v, *2* + b ,y + c 2 z + . .. + l t = v 2 x + b^y + c, K. 4- • • • + \ = v ì 0 2 3 ) x + b„y -f c n % + ... + 4 = v n I n equazioni generate, ridotte lineari ed allo stesso peso coi metodi già indicati precedentemente (§§ 58 e 39 Voi. I, pag. 375), nelle quali v l , v 2 , v , ... v„ rappresentino i residui corrispondenti ai valori x, y, . .. qualunque delle incognite, ma subordinati alle o condizioni : A x + A *y + * + • • • + A = 0 ! . 7 ? v -I- 7 ? v 4 - 7 ? 7 - 1 - - 1 - 7 = n / C, x -f- C 2 y -j- C. -f- Si tratta, non più di correggere direttamente le quantità osservate, ma di trovare fra tutti i sistemi di valori x,y,%... delle incognite, compatibili colle (124), quello che introdotto nelle (123) dà per i v il sistema di valori ,... che più probabilmente di ogni altro sistema coincide coi veri errori residuali delle equazioni generate. Del resto ottenuto questo sistema si risale, se fa d’uopo, Teoria della combinazione delle osservazioni. 19 alle correzioni più probabili delle osservazioni dirette applicando i principii già esposti nei numeri precedenti. È chiaro che il numero co delle costanti incognite x, y, z, ■ ■ ■ deve essere supposto maggiore del numero 0 delle equazioni di condizione e minore del numero complessivo n -f- a delle equazioni proposte (123) e (124), perocché altrimenti o dalle equazioni di condizione resterebbero determinati i veri valori delle incognite stesse, e quindi non sarebbe il caso di ricercarne i valori più probabili, o le osservazioni fatte non sarebbero sufficienti a determinare queste costanti. Colla solita ipotesi sulla distribuzione degli errori di osservazione e con un ragionamento analogo a quello dei §§ 40 e 50 di questo capitolo la ricerca indicata si riduce a trovare il sistema x o> Jo> *„> • • • di valori di x, y, z, • • • che rende [v v] = minimo subordinatamente però alle condizioni (124). Seguendo il procedimento del § 52, moltiplichiamo ciascuna equazione di condizione per una quantità ausiliaria ( correlativo ), e rappresentiamo le a ausi- liarie con I, II, III, ... ; differenziando i risultati rispetto alle incognite x, y, z • • • 5 che debbono esser considerate come le variabili del problema, e sommando membro a membro colla condizione del minimo v x d v l + v 2 dv 2 -f- v ì dv^ + ... + v n d v n = o si vede che questa equivale a porre: o=[w dv] + dx ( IA , + 775, + III C, + ...) + + dy (IA 2 i-IIB 2 + ///C 2 + ...) + + ^(7^3 + 775,+ 777C,+ ...) + + . Delle incognite x, y, z • • •, dalle quali dipendono qui i v, a causa delle equazioni di condizione solo w — u possono esser considerate come indipendenti. Ma si ha identicamente: [v dv] = dx \a v] -f- d y \bv] + d z \c f] -j- . .. = d x [ [a a] x + [a b\ y -j- [a c] z + .. .[al ]} -f- 4 -dy {[ab] x + [b b]y [b c]z J r •••[>*]] + -f d z {[a c] x + [bc] y + [c c] z + ■ • • [cl] j + + . / 20 Capitolo settimo. quindi alla precedente condizione del minimo relativo di \y t/] può esser data la forma: o = d x [ [a a] x -f- [a b] y -f- [a c\ % -|- . .. -|- + AJ + BJ 1 +CJII +... + [«/]] + + dy [ [a b] x -f [b b] y -j- [b c] z - 4 - ... -f + A 2 /+ B 2 II + C 2 ///+... + [b /]} + + il ( [a c] * + [? c] y -f- [c c] * + . .. + + A ì 1 + B ì II + C 3 III -f- . . . -f [c l] j -f- +.. Per ridurre la quistione alla ricerca di un minimo assoluto è necessario eliminare da questa ultima relazione, per mezzo delle (124), tanti differenziali dx, dy, d%. .. quante sono le condizioni (124) stesse, ed a ciò si giunge subito determinando i a correlativi I, II, III, ... per modo che i coefficienti dei differenziali suddetti si annullino: ciò fatto, la condizione del minimo conduce ad annullare anche i coefficienti di tutte gli altri co — a differenziali, che debbono esser considerati come indipendenti; dimodoché si ottengono in tutto co relazioni, che, unite alle c condizioni (124), determinano le or-}-' 7 quantità x a , y 0 , ^ 0 ,. .. 1 , II, III,... cercate. Complessivamente si trovano così le equazioni seguenti : [a ctj x —j ~a b J y —{— [ ci cj ^ —J—.—j— \ + A t I +B t II + C, ///+•• • + [al] = o \ [*b]x + [bb\y + [bc]z -f.+ + AJ +BJI + C.JJ/ + ... + [*/]= o I [a c] x + [b c] y -f [c c] * +.+ f + AJ +B 3 II +C 3 J//+... + [r/]= o } (125) A x + a 2 y + A ì <: +. .+ 4=0 B , X + B 2 y + B , * +. .+ 4 = 0 C t x + C z y+ c i * +. .+ 4 = ° che formano un sistema di equazioni normali e possono essere risolute coi metodi già altrove indicati. Teoria della combinazione delle osservazioni. 21 57 . L’algoritmo del § 47 mostra che, dato un sistema di equazioni normali, la ricerca del peso delle incognite e delle loro funzioni è indipendente dalle equazioni generate che hanno dato origine alle equazioni normali proposte, e che in corrispondenza a queste si può immaginare un infinito numero di sistemi di quelle, per modo che i pesi delle incognite e delle loro funzioni restino gli stessi anche se varia l’errore medio dell’unità di peso. Da ciò risulta che, considerando i correlativi 7 , II, III ... come delle nuove costanti da determinare per mezzo delle osservazioni fatte, si possono dedurre anche i pesi delle determinazioni * 0 > Io > \o ’ ■ • ’ T 77 , III, e quelli delle loro funzioni applicando alle equazioni (125) sopra dedotte i procedimenti generali esposti nei §§ 45 e 47 di questo capitolo. In quanto alla ricerca dell’errore medio corrispondente all’unità di peso, è da osservare che il metodo di compensazione esposto sopra equivale evidentemente ad una eliminazione diretta di condizioni (124). Con tale* eliminazione le (123) stesse darebbero un sistema di n equazioni generate, fra co — a incognite non subordinate a veruna condizione, e questo sistema, risoluto col metodo dei minimi quadrati (seconda parte del capitolo), ricondurebbe agli stessi valori più probabili delle incognite ed ai residui 8 lS S 2 , , . .. 8„ che sono dati dalla compensazione eseguita coll’algoritmo del numero precedente. Perciò l’errore medio corrispondente all’unità di peso, ossia alla classe di errori alla quale appartengono i suddetti residui, può essere calcolato da questi applicando la solita formola (90) del § 44, coll’avvertenza che, in questo caso, il numero delle costanti incognite, che rimangono nelle equazioni generate dopo aver tenuto conto delle condizioni, è co — a. In conseguenza si deve porre: m = 1 / [**] n — co —|— cj (126) essendo [8 8] la somma dei quadrati dei residui che si ottengono sostituendo nelle equazioni generate (123) ad x, y, z, ■ ■ • i loro più probabili valori dedotti dalla compensazione. Il valore della quantità [8 8] si può ottenere con una formula completamente analoga alla (97*’“) del § 47 e può allora servire di 22 Capitolo settimo. riprova al calcolo dei valori più probabili delle incognite, quando sia stato anche direttamente calcolato sostituendo questi valori nelle equazioni generate. Infatti si ha in generale, come nel paragrafo sopra citato : [v v\ = [ (ax + by + ci + ... + 1 ) 1 ] = [v. (ax + by + +.. J)] = = x [a v\ -\- y\b v\ %_\c v\ . ,\l v\ = x[av\ +y[bv\-\- i[cv] + . .'.x\aI\-\-y\bT\-\-i\cì\ +...+ [//] di dove, ricordando le identità (72), (73) e le relazioni (125), si trae : [8 8] = [//]+ M + y 0 [bl] + * o [c /] + ... — i (* 0 A ~ì~y 0 A + + • • •) -11 M+y 0 B 2 + i 0 B, + ...) -///(v o c l + 7o c 2 + to c 3 + ...) od anche, tenendo conto delle condizioni (124) : [8 8] = [//] + * 0 [a/] + y 0 [bl] + < 0 [cl] + ... + + IL t +IIL t + IIIL ì + ... Eliminando x o , y 0 , % 0 ,...I, II, III,... per mezzo delle equazioni normali (125) con un procedimento identico a quello già adoperato nel § 47 si ottiene [8S] = L//] MI [a a\ \bl. i] 2 [cl.2] 2 [bb. 1] \cc. 2] ( I2 7) come nel paragrafo suddetto, se non che in questo caso si deve tener presente come le notazioni dei termini che si riferiscono alle ultime quantità eliminate I, II, III, . .. corrispondono ai coefficienti delle equazioni ridotte (risolventi) degli ultimi ordini, che determinano i correlativi. Sv II lavoro di calcolo necessario per la risoluzione di un sistema di equazioni cresce molto rapidamente col crescere del nu- Teorìa della combinazione delle osservazioni. 23 mero delle incognite : ne consegue che se il numero delle condizioni è rilevante l’introduzione dei correlativi I, II, III. . . come nuove incognite da determinare insieme alle costanti x,y,z--- viene a rendere la risoluzione delle (125) assai malagevole, e conviene in questa seguire allora un procedimento diverso dall’algoritmo generale sopra indicato, determinando anzitutto, per mezzo delle equazioni generate (123), col metodo dei minimi quadrati, i valori più probabili delle incognite senza tener conto delle condizioni (124), e cercando quindi le correzioni più probabili da farsi a tali valori perchè le condizioni (124) sieno soddisfatte. Il metodo teoretica- mente più diretto per questo calcolo è il seguente, dovuto a Bessel. Sieno x 0 , y 0 , z 0 - • • i valori di x, y, z, ■. ■ che risolvono il sistema di equazioni normali corrispondenti alle generate (123) fatta astrazione dalle condizioni (124): ritenendo le notazioni della seconda parte di questo capitolo si hanno le relazioni [§43 formule (87)] * 0 = [ a a l ? + 0 P] * + [* y] S 4- • • • y — y a = [* PJ £ + [P P] •'i + 0 ri S + • • • (*) k. — = 0 y] 5 + [P y] * + [y yK + • • ■ nelle quali, come è noto, n, £ ... rappresentano identicamente i primi membri delle equazioni normali suddette qualunque siano x, y, z ■ ■ ■ Ma i valori compensati di queste ultime quantità debbono soddisfare il sistema (125), quindi i corrispondenti valori di £, y), £ ... in funzione dei correlativi I, II, III,... possono esser tratti dalle (123) medesime e sono: r cI = -A i I - B , II— C, III—.. . *' = -A 2 I-B 2 II — B 2 III—... I' = -A i I—B ì II-B ì III— ... In conseguenza, se chiamiamo con \x, \y, A 3;,. . • le correzioni da farsi rispettivamente ad x 0 , y 0 , z 0 > ••• P er dedurne i valori 24 Capitolo settimo. compensati di x, y, le precedenti equazioni (a) danno A * = — {L a a l A + [« P] A -f [« y] AA •• — {[« a] 5, + [a p] B 2 + [a y] B } + . . — {[a a] C, + [a p] C 2 + [a yj C } + .. •}' .}// .)/// A y = — P] A + [P P] A + [P y] A + • • •}' .}// -{[«PK.+ tP P]C 2 +[Py] C } + .. . J in \ A z = — ( [« y] A + [P y] A + [y y] A A-■ ■ì 1 — ([<* yl A + IP y] A + [y y] A + • • VI — |[«y] A + [P y] c 2 + [y y] c ì +.. .]/// (128) Ciò posto sieno w l} w 2 , w ì ,...w„ gli errori residuali delle equazioni di condizione (124) ottenuti sostituendo nei primi membri di queste ad x, y, .. . i loro valori prossimi x 0 , y 0 , . . . in modo che si abbia: A x o + A)’o + A lo + • • • + A = ». A X G + -#2 )’o + -Bj + • ■ • + Li — W 2 A x o + y 0 + Cj i a + ... + -L, = w ì Con queste notazioni, introducendo nelle (124) in luogo di x,y, . le nuove incognite del problema A x, A y, A ^ , si ottengono le nuove condizioni A A * + A A y + A £ -f ... + u> l = o A A x + B 2 A4 -f B A ^ -f ... -f w 2 = o 00 che equivalgono alle (124) medesime, e che, sostituendovi a A x, A y, i loro valori dati dalle (128) in funzione dei a cor- 25 Teoria della combinazione delle osservazioni. relativi 1, II, III ,... incogniti, formano un sistema di p] —2 A l 4 [a y] — . . . -44[PP] -244 + yi-... - 4 4 [r y] — ■ • ■ 4 5] = - 4 4 [x a] -(4 4+44) |> P] - (4 5, + 4 4 ) [xy] - . . . - 44 [P P] - (4 4 + 4 4 ) [P y]- • • • -A A Crr] — - • ■ 4 CJ = - 4 C, [a a] - (44+4Q [a P] - (4 C } + A , C t ) [ay] - -44 [P P]- (44 + 44)[Py] — -44 l'rr] — 55] = -44[ax] —244[ap] -44[PP] —244 l>y] — 2 44 y] 44 [rr] — * C] = - 4 4 [««] _(44+44) [«pj- (4 4 + 44) [«y] - -44[PP]-(4 4 + 44)[Py]- -44 [rr] — - 244 +p] — 244 +y] — — 44 [P P] -244 [Prl — - 44trr] - :c]= — 4 4[a«] 2 6 Capitolo settimo. si trova il seguente sistema di equazioni normali correlanti: [A A]I+[AB] 11 +[AC] III+... + 10^0 j [AB] I+[BB]II+\AC]III+... + w t = o I [AC] I+[BC]II + [CC]III+... + w i = o ( Riepilogando, il procedimento del calcolo di compensazione col metodo di Bessel è il seguente : i.° Dalle equazioni generate (123) si deducono e si risolvono le equazioni normali e le corrispondenti equazioni del peso, senza tener conto delle condizioni (124). 2. 0 Si sostituiscono nelle (124) i valori prossimi x 0 , y a , 3 0 , ■ ■ ■ delle incognite e si deducono gli errori residuali w,, w 3 , .... 3. 0 Si formano e si risolvono le equazioni normali correlanti (130) per ottenere i valori dei correlativi. 4. 0 Si introducono finalmente i valori dei correlativi nelle (128) e si calcolano le correzioni \x, tsy A3;,... cercate. 59 . L’errore medio corrispondente all’unità di peso si ottiene applicando, come nel metodo generale, la formula (126) del § 57, ed il calcolo di [$ S] può anche in questo caso essere semplificato, risparmiando di fare la sostituzione dei valori corretti delle incognite nelle equazioni generate a meno che non si voglia avere una riprova dell’ esattezza dei calcoli già compiuti. Infatti ricordiamo che si ha identicamente, in generale (vedi n.° 44): [v v] = [Ì. >] + (* — * 0 ) l + (y — y 0 ) n + (3 — 3J S + • • • essendo [). 1 ] la somma dei quadrati dei residui delle equazioni generate corrispondenti ai valori delle incognite dedotti dalle equazioni normali: tale quantità può esser nel caso nostro calcolata facilmente facendo astrazione dalle condizioni, ed applicando la solita formula (97 Ws ) del § 47. Introducendo in luogo di £, n, £, . .. i valori £', vi', che corrispondono ai valori compensati delle incognite si avrà pertanto: [SS] = [>. X] + A x . £' + A y . vi' -f- A 3 . XP + . .. È facile vedere come, a questa relazione, sostituendovi a A x, A y, A3,...£', vi', le loro espressioni in funzione- dei correlativi dedotte già al principio del precedente paragrafo, può esser Teoria della combinazione delle osservazioni. 27 data la forma [8&] = pa] — / [[AA\I+[AE]II+[AC]III+...} — II ( [AB\I+[BB]II+ [■ BC]IlI + ...\ — Ili\[A C] 7 -f [BC] II + [CC] ///+...} da cui, tenendo conto delle equazioni correlanti (130), si trae finalmente: [i 3 X] = X] -f- 1 w, -j- II ìv 2 + III w ì ~ }-,... ( : 30 formula molto semplice e conveniente pel calcolo considerato. Si può del resto anche ottenere per [X S] un’altra espressione, indipendente dai correlativi ed analoga alla (97*”') ed alla (127), eliminando i correlativi dalla (131) per mezzo delle (130) col solito metodo che è superfluo di ricordare. Per tal modo si ottiene [w^}f [ti'3,2] 2 [* *] « [* *] w. [A A] [ 55 ,i] [CC,2j' (132) 60 . Bessel non ha date le formule per ottenere i pesi delle incognite e delle loro funzioni, però è facile trovare il procedimento di calcolo conveniente al sistema di doppia risoluzione sopra esposto. Sia infatti la funzione lineare compensata U m =U 0 + i 7 ,* 0 + F 2 y 0 + F ì z 0 +••• + + F, A * + F 2 \y + F, A 3; -fi .. . Se in essa alle correzioni ix, A y, A z, • ■ ■ si sostituiscono i loro valori dati dalle correlate (128), e, per semplificare, si rappresentano con [FA], [-F 5 ], [F C] le quantità costituite in modo analogo a [AB], [A C], [5 C ],... delle formule (129), si trova U m = U Q + F, x 0 + F 2 y 0 -fi F } z 0 + ...+ + I[FA\ + I 1 [FB]+III[FC] + ... ove conviene eliminare i correlativi per mezzo delle equazioni correlanti (130), col metodo dei coefficienti indeterminati. Chiamando questi con R,, R 2 , R ì ,. . ., per le equazioni che li determinano si ottiene senza difficoltà : [AA\R l + [AB]R i + [AC]R ì + ... + [AF]= o \ [AB]R, + [BB]R t + [BC]R ì + ...+ [BF] = o / [ac]r i + [bc]r 2 + [cc]r ì + ... + [cf] = o | (I33) i Capitolo settimo. per mezzo delle quali alla precedente espressione di U m può esser data la forma: u ~= u o + F i x o + F *y 0 + F , ^o + • • • l Rw ì • Esprimendo i w in funzione di x 0 , y 0 , avremo facilmente: U m = U 0 + x 0 (A t + + + + + + y o (J 2 R [ + B 2 R 2 + CA + ... + FJ + + *0 (^? R l + F l R 2 + F 2 R, + • ' ’ + F ù + ove non compariscono più che le quantità x 0 , y a , ^ 0 ,.. . diretta- mente determinate da un sistema di equazioni normali. Evidentemente siamo quindi nel caso trattato nei §§ 45 e 47 di questo capitolo, e possono venire applicate senza più le formule generali quivi dedotte. Esporremo in seguito (quarta parte), il procedimento che conviene adottare nel calcolo, e le modificazioni che è vantaggioso di fare in questo caso alle formule suddette. 61. Siano date le n equazioni generate a 1 x + b t y fi- c, z + ... fi- /, = v, y + c 2 1 fi- ... fi- l 2 = v 2 a n x -f- b„ y -j- c„ % contenenti w incognite, ed immaginiamo (co fi- 1) », osservazioni ipotetiche a,, a 2 ,. b t , b 2 ,... h, H , r,, t 2 ,.. .r„, (che possono comprendere anche <0 », quantità note, da esser considerate come osservazioni di peso infinitamente grande) tali che, costituendo le », equazioni a, * + b, y + r, * fi- . . . fi- 1, = », .. . peso p, * + b 2 + r 2 * fi- ... fi- V, x "h b», y fi- c, n 7 fi- • • • fi- fi, e considerando queste come delle equazioni generate dalla forma a x —p b y fi— c ^ fi— .. .. I = o, risolute col metodo dei minimi quadrati, diano le equazioni normali stesse che corrispondono alle (134), e supponiamo inoltre che anche gli errori medii corrispondenti all’unità di peso nei due sistemi (134), C 1 34) Teoria della combinazione delle osservazioni. 2 9 (135) sieno eguali. In tal caso è chiaro che, quantunque i pesi delle singole equazioni ipotetiche possano esser diversi da quelli delle equazioni effettivamente generate, per la ricerca dei valori delle incognite, delle loro funzioni, e delle fiducie corrispondenti il sistema ipotetico (135) può sostituire completamente il sistema (134) e perciò essi possono esser detti assolutamente equivalenti. Le condizioni dell’equivalenza assoluta sono le seguenti: [p a a]„ ( = [a a] n , [p a b]„ ( = [ ab] n , [p a r]„ ( =[ac\ n ,... \ [pbb]„, = [bb]„, [pbr]„ ( = [b c\ n ,. . . [pcr] B( = [cc]„ ... \ (136) [p ci l J„ ( = [fl l ]„, [pb l], i( = \b /]„, [p f l]«j = \c . | (« — os) [pdd]^ =(n ,— / delle quali l’ultima è una relazione implicita fra le suddette osservazioni ipotetiche a, b, r, . . . I e le osservazioni effettive a,b, c, .. . I, come apparisce dalla formula generale del § 47 di questo capitolo. Le relazioni (136) sono in numero di ■ ( M + ^ 1 mentre le osservazioni ipotetiche sono «,(«-)-1); da ciò si conclude che dato un sistema qualunque di equazioni generate, si può sempre trovare un infinito numero di sistemi assolutamente equivalenti ad esso composti di un dato numero di equazioni, purché questo numero sia maggiore di quello delle incognite. Quelli che sono composti di un numero co -f- 1 equazioni possono essere chiamati sistemi di massima precisione, giacché corrispondono al minimo valore che può prendere la quantità [p 11], Il concetto di equivalenza assoluta può venire però anche esteso al caso in cui il numero delle equazioni ipotetiche (135) è eguale al numero delle incognite, perocché, quantunque effettivamente sia allora impossibile di dedurre dalle osservazioni ipotetiche considerate l’errore medio corrispondente all’unità di peso delle (134), l’ultima delle condizioni (136), che si riferisce appunto all’eguaglianza degli errori medii unitarii dei due sistemi (134), (135) resta identicamente soddisfatta, mentre le altre condizioni (136) sono in numero minore delle osservazioni ipotetiche da considerare. Fa eccezione il caso di una sola incognita, nel quale per n, — co non vi ha che un unico sistema assolutamente equivalente ad un sistema osservato. 3 « Capitolo settimo. Per n t = co i residui delle equazioni ipotetiche (135) divengono naturalmente tutti nulli; e il sistema di queste, che prende la forma a . * + •>, y + f , K. + • • • l . = 0 P eso P, \ a ** + b 2 y + ( 1 «: + --- l *= 0 &ax -fi b a y -fi -fi... Ico— O » Ih » Po C 1 37) vien detto totalmente equivalente * al relativo sistema di equazioni generate, rispetto alle quantità x, y, 3;... I coefficienti a, b, c,... delle incognite sogliono esser poi considerati come delle costanti teoretiche conosciute, ritenendo solo i termini noti l t , t 2 ,...lo come delle osservazioni ipotetiche fatte coi pesi p,, p 2 ,...p« rispettivamente eguali a quelli da ascrivere alle corrispondenti equazioni. 62 . È facile vedere come le equazioni risolventi di un dato sistema di equazioni generate costituiscono un sistema totalmente equivalente a questo ove se ne determinino convenientemente i pesi. Infatti se si pone: x + M [a a] ■y + L^ ] , [aa] 1 ^ [^]_ 0 [aa ] peso [a a] y + \bb.i ■■[bb.i\ » [bb.i] ? + • [Cl.2] ' [cc.2] ° » \cc. 2] 038 ) e si considerano a loro volta queste relazioni come delle equazioni generate, ricostituendo le relative equazioni normali e tenendo conto del significato delle notazioni Gaussiane (vedi voi. I, pag. 380), si ricade nelle equazioni normali corrispondenti alle (134). Cosi ad esempio il coefficiente della % nella prima delle equazioni normali provenienti dalle (138) è dato da: K,M 2 [ bb.i ] + \cc.2\ — [££l [ a a] + [cc.i] = [cc]. * In questa denominazione ed in quelle fra le successive che si riferiscono alla teoria della equivalenza delle osservazioni seguiamo Helmert (V. Die Aus- ghichunghsrechnung nach der Methode der Meinsten Quadrate. Leipzig, 1872) cui tale teoria è dovuta. Teoria della combinazione delle osservazioni. A I termini noti delle (138) formano quindi un sistema di w quantità che possono esser considerate come <0 osservazioni dirette, fatte indipendentemente l’una dall’altra, ed equivalenti totalmente al sistema (134). Per semplicità di notazione rappresenteremo sempre con Xi> X 2 > X 3 > • • -X u ta li quantità ritenendo le lettere l,, 1 2 , l 5 ,... Ita per indicare in generale w osservazioni ipotetiche qualunque equivalenti alle (134) medesime, o, piuttosto, equivalenti in generale rispetto ad to quantità determinate esperimentalmente in un modo qualsiasi. Le jr non sono dunque per noi che un sistema particolare di valori degli l. Le espressioni delle incognite x, y, z, ■ • ■ in funzione delle osservazioni ipotetiche indipendenti x,, y 2 , x ,... x«j deducono dalle (138) per mezzo di sostituzioni successive. Se alle consuete notazioni Gaussiane, indicate nel § 41 di questo capitolo si aggiungono le analoghe [ ab ] = [ac.i] [ a b ] = [ad. 1] 039 ) l ad -V ] — j^rjj [ac.i] = [ad.2] Vd.i]- l 0ì ì [bc.i] = [bd.2] le (138) danno infatti senza difficoltà: 7 > + [bb.i] 1 '^ [bb.i\ L * Capitolo settimo. ove si ha [««] ^ [bb.i] I [cc. 2] 1 [dd.ì] _ [bl.i] [bb. 1] ( I 4 I ) [cW.3] r di.3] 63 . Per comprendere quale grandissimo vantaggio si trae dalla considerazione dell’equivalenza nella soluzione della maggior parte dei problemi in cui si hanno da determinare indirettamente coll’esperienza i valori di certe quantità e delle fiducie analitiche che, dietro le osservazioni fatte, debbono essere loro accordate, basta osservare che esprimendo siffatte quantità in funzione di osservazioni ipotetiche equivalenti totalmente alle effettive, i suddetti problemi si possono risolvere coi soli criterii esposti nella prima parte di questo capitolo. A mostrare quanto ciò semplifichi non solo i calcoli, ma anche il metodo deduttivo da applicare, ci varremo di un esempio che può in pari tempo chiarire sempre più il concetto di equivalenza. Sia da determinare, come nel § 47 di questo capitolo, il peso della funzione lineare * U m — U o -f L, x 0 -j- L 2 y a -f- L ì i o + . .. ove x o , y o , £ o ,. .. rappresentano i valori più probabili delle quantità x, y, % ..., determinati da un sistema di equazioni generate corrispondente alle ridotte (138). Sostituendo ad x a , y 0 , ^ 0 . .. i loro valori (140) in funzione delle 7 t , X 2 , 7 . .. . e tenendo conto delle notazioni (99) stabilite nel § 47 suddetto, si trova dopo facili riduzioni : [A 3 ,2] 7 } -[L^, 3 ]l — [L 2 ,i\ 1 2 Le quantità L t , [L 2 , 1], [i,2]... dietro quanto abbiamo sopra esposto debbono essere considerate come delle costanti note e le 7 l , X 2 , '/ .. . come delle osservazioni ipotetiche indipendenti fatte Teoria della combinazione delle osservazioni. 33 rispettivamente coi pesi [ a a ], \b b .1], [c c. 2], ... Se rappresentiamo, al solito, con m l’errore medio corrispondente all’unità di peso, gli errori medii delle sopraddette osservazioni saranno : m m . m \][aa]’ \J[bb. 1] ’ \J[cc. 2]’ e perciò l’errore medio m„ della determinazione U m si otterrà [§ 26, formula (34)] per mezzo dell’espressione: m u m V [ a a J ed il peso P u dalla : + T L~i? [bb.i\ [CC.2\ ^[dd. 3 ] ' t ~ _L = _K_ , 4. P„ \_aa\ '\bb. 1] [cc. 2] 1 3] formule che già abbiamo altrove dedotte con un metodo molto più complicato (§ 47). tìé. Il concetto di equivalenza può venire generalizzato considerando, anziché tutte le incognite x, y, 3, .. . indirettamente determinate, un numero v qualunque di esse, o di loro funzioni, ed in corrispondenza a queste un ugual numero di osservazioni ipotetiche, le quali, per mezzo di un sistema di equazioni analoghe alle (137), diano per le dette incognite o funzioni gli stessi valori e gli stessi pesi che ad esse ascrivono le osservazioni effettivamente fatte per determinarle. In tal caso le v osservazioni ipotetiche sono dette parzialmente equivalenti alle osservazioni effettive rispetto alle v incognite o funzioni speciali considerate. Le equazioni analoghe alle (137) che debbono dare l’equivalenza parziale rispetto alle v funzioni qualunque £ 7 , U 2 , U ,... U* delle w incognite x, y, 3;,... determinate esperimentalmente per mezzo delle equazioni generate (134) sono dunque, suppostele già ridotte all’unità di peso, della forma : U, + b, U 2 + c t U 3 + . . . 1 , = 0 peso 1 \ a 2 + b 2 U 2 + 14 1/3 + . . . l 2 = 0 » j a 3 hi, + bj L 7 2 -f- e, U, + • ■ • l 3 — 0 8 ? ( I 4 2 ) «v U t + b v U 2 + r v £ 7 , + . . . I, = 0 » ) ove i coefficienti delle U debbono esser considerati come delle costanti, ed i termini noti come le osservazioni equivalenti al dato Peccr, Geodesia. II. 3 34 Capitolo settimo. sistema (134). Per dedurre le condizioni di equivalenza alle quali tutte queste quantità debbono essere subordinate si può partire* dalla funzione lineare F=K + \U l + Z 2 U 2 + ^U, + ...^U v + ... (143) considerando in essa le quantità 0 O , 0,, 0 2 ,. . . 0 v come dei coffi- cienti indeterminati, ed osservare che per la equivalenza parziale considerata è necessario e sufficiente che, qualunque siano i valori di questi coefficienti, il valore ed il peso ottenuto per F introducendo nella precedente espressione le osservazioni ipotetiche l in luogo delle funzioni U, siano eguali rispettivamente al valore ed al peso che ad F assegnano le equazioni generate (134). Eliminando per mezzo delle (142) le funzioni U dalla (143) col metodo dei coefficienti indeterminati e rappresentando questi con K t , K 2 , if ; ,. . .K v , si ottiene per il sistema di equazioni che determinano tali ausiliarie : a ,-^i + tt 2 + a 3 -^3 + • • • a v ^ ^ -^2 + b, K ì + ... b u K v -f © 2 K + c 2 K 2 + tj K ì -f . . . r v K v + e 3 mentre dalla (143) si deduce: f = K + kx + k>K + k ì ì ì + ...kx. Di qui risulta che il peso P F della determinazione di F, fatta per mezzo delle osservazioni ipotetiche l, delle quali, dietro le nostre premesse, i pesi sono tutti eguali all’unità, è dato da: rF kj+kj + kj+...kj- Per altro è chiaro che colla risoluzione algebrica delle (144) rispetto alle ausiliarie K si possono esprimere queste linearmente rispetto alle quantità indeterminate 0, dimodoché si avrà K t = M; 0 , + M" 0 2 + M[" 6, + . . . K=M'Q - 4 - M," 0 4 - MJ" 0 + .. . 2 2 I I 2 2 l 2 3 1 K, = MJ 6, + MJ' 0 2 H- MJ" 0 , + . . . = 0 \ = o \ = 0 \ (144) * Vedi F. R. Helmert, Die Ausgleichungsrechnung, ecc. Leipzig, 1872. Teoria della combinazione delle osservazioni. 35 i coefficienti M rappresentando delle funzioni di forma nota delle costanti di equivalenza a, b, r,... Ciò posto, dalla precedente espressione del peso P F si trae _L = 0 /(M/’ + m » + m/ 2 +.m; 2 ) + * + 0 2 2 (M/' 2 -f M 2 " 2 + M 3 " 2 -f.M/' 2 ) + + 0 3 2 (M/" 2 + M 2 '" 2 + M/" 2 +. M,/" 2 ) + | + 2 o, e 2 (M/ M" + m; m 2 " + m;m 3 " + ...)+ / 045) + 2 e, e 3 (M/ m;"+ m; m/"+ mj m/"+ ...) + \ + 2 9 2 0 3 (M," M/"+ M 2 "M 2 '"+ . ..) + e d’altra parte se si rappresentano con F t , F x , F ,.. . F a i valori che assumono le derivate parziali di primo ordine della funzione F prese rispetto alle in cognite x, y, z, ■ ■ ■ per x = y = z — ... = o, e si applica, la formula (ioo) del § 47 di questo capitolo alla ricerca del peso di P F si trova 1 F 2 [F 2 ,i] 2 [F 3 ,2] 2 , P F [ a a ] [bb. 1 ] ' [cc. 2] ‘ ‘ ' ' Ponendo ancora «a-* m (e nella ipotesi che l’indice alle parentesi significhi che nelle derivate indicate si è fatto x = y = z = ■ ■ ■ 0, e facendo uso di notazioni analoghe alle (99), è facile vedere che si ha : F, =9,1/ +0 2 F 2 ' +0, L! +... [ F t , 1 ] = 0, [L",i] + 0 2 [L t " ,1 j + 0, [L-, 1 ] + .. . [ F,, 1 ] = 0. [L!",2] + 0 2 [F 2 "',2] + 0, [L“',2 J + ... Capitolo settimo. 3 3 6 ed in conseguenza : i iV + 9/ + V + 29, 0 2 -4-2 9.9. + 20 2 9 3 [ a a ] 1 L t > J + [bb . 1 ] + l ■ j + 1 [cc . 2 ] r . W 2 , ri,' mi* , r, [ a a ] 1 [bb . 1 ] 1 [cc . 2 ] 1 . T ,z J -‘3 + ri3+ir ! [A 1 ", 2 ] f + + + 1 2 [ a a ] I l 1 » J L 2 J ^ [bb.i] 1 . , > .M 2 ' 1 [CC.2] i/i,' , ri/MUA'Mi , [Lr,2\[L,"\2\ [ a a ] 1 [bb.l] [CC.2] L'A 1 1-1 , [L;",2][L % "\2] + + Si può osservare che in questa formula i coefficienti *dei termini quadratici rispetto ai 9 sono le inverse dei pesi che in conseguenza delle equazioni generate ( 134 ) si ottengono per le determinazioni di 17,, U 2 , U,,... rispettivamente, dalla solita iormula ( 100 ). Per semplicità di notazione rappresenteremo sempre in quanto segue con Q l’inversa del peso P„ di una funzione qualunque U, in modo che sarà : £ «3 e, per analogia, porremo inoltre : fì l;l; , [z+', 2 ] [i 2 »', 2 ] [ a a ] ^ [bb. 1 ] ' [cc. 2 ] L[Lp [£/',ij[£,",i] [L;",2][U"\2\ [ a a ] ^ [bb. 1 ] ' r [cc. 2 ] ^ l:lp 3 [ a a ] [bb . 1 ] [l;’\ 2] [L’", 2 ] [CC.2] * 0 , Teoria della combinazione delle osservazioni. 37 Cosi l’espressione precedente di -p- diviene : + 26,8,2,,+ e questa deve dare per -=j- , qualunque siano le costanti indeter- r F F minate 0 i3 0 2 , 0,,..., identicamente lo stesso valore della (145). Ne consegue che devesi avere separatamente M/ 2 -f M 2 ' 2 + Af/ 2 + . . . Af/ 2 . = Q t M [< 2 -f Af/' 2 + Af," 2 + .. . Af/' 2 . = Q 2 Af/" 2 + Af/" 2 + Af,'" 2 + . . . Ai,/" 2 .= 0, (146) f- Af/ Ai/' /-Ai,' Ai," -f M’ Ai/ Ai/ Ai/"+ Ai/ Ai/" -f Ai,' Ai,'"+ Ai/' Af/"+ Ai/' Af/" + Ai," Ai, "4 e queste sono le- condizioni di equivalenza cercate, le quali legano i v 2 coefficienti a, b, c,. . . alle osservazioni dirette che compariscono implicitamente nelle equazioni generate (134). Scelto poi un sistema di costanti a, b, c. . . compatibile colle (146), restano pure, dalle equazioni fondamentali (142), determinati i valori delle osservazioni l parzialmente equivalenti rispetto alle £7 , U 2 , . . . £7,. 65. Speciale interesse, per le importanti applicazioni delle quali è suscettibile, presenta la teoria dei sistemi di osservazioni ipotetiche parzialmente equivalenti rispetto a due sole funzioni £7, U 2 . Le formule generali (146) di corrispondenza si riducono in questo caso alle seguenti : Af/ Af/'-f Af/ M 2 3§ Capitolo settimo. mentre, risolvendo le (144) per dedurre i valori degli M, si trae: -K M" = », IVI - tt, :K-K Q I b 2 b I A/f / b , Jl — a 1 iVJ, — “i K-K*,’ a, b — b , Se si pone per brevità A = OA— MA si ottengono quindi le condizioni : [a a] = A 0 2 , [ab] = —Ag,.,, [bb] = A&. È facile vedere come la quantità A è costante qualunque sia il sistema equivalente rispetto ad L7, U 2 prescelto: si ha infatti A = a , 2 b/+ 0/ b , 2 2 a, a 2 b, b 2 = K + < b /+ < V+ K x - < K- < b /- 2 a, a, 1-, b 2 = [“ a l [ b b ] — [“ b J 2 > dalla quale relazione, introducendo in luogo di [a a], [b b], [a b] i loro valori in funzione di Q lf Q 2 , Q J . 2 , si deduce: A =- Q.Q-Q’,*' Perciò le precedenti formule di equivalenza si riducono a : < 2 * a, + = v +k = a . b ,+ «A = - Q, U'Q-i?,... 0 . (H7) Se per mezzo di queste relazioni si eliminano a 2 , b 2 dalla A = (a * b “ b ‘ “ 2)2= \Q, Q—q \ 2 Teoria della combinazione delle osservazioni. 39 si trova l’equazione : 2x+ b ,*2a+ 2a A Q,-2— 1 e questa risoluta rispetto a b 5 dà: b a,.-a«0,-o Q. espressione alla quale, osservando come dalla prima delle (147) si ha < & 0 - <0 Q \. - a= < G2\. -a QJ, può esser data la forma seguente : Q> Analogamente si troverebbe b ±77\/aa-a, 2 - + a-a,. 2 : però è da porre mente che al segno superiore del secondo membro di questa ultima relazione corrisponde il segno superiore della precedente e reciprocamente, poiché se si sostituiscono i valori trovati per bj e b 2 nella terza delle equazioni (147) si trova: ( ± v a a-a.. 2 + \/a a-a x .,)= o. a aa-cv, che mostra come la prima delle (147) non rimane soddisfatta, a meno che non si presupponga la corrispondenza di segni sopra indicata. Si ha dunque: b . _^ = + s \/aa-0a a _ ■ a b. e quindi: a a_ 2= _ a \Zaa-ga 0, + ' a *>. ■ a «x ■ a da cui si ricava: (1 i + gx. a ^ 0 2 X -2 a 0 , a 0 , Ai , (k , Ma,, a__ (A . «, «. + U + ^- 5 t + b;- 0 - (A) 4 o Capitolo settimo. Questa relazione conduce a un teorema importante : ed infatti se nelle equazioni fondamentali di equivalenza ( 142 ), che, nel caso di due sole funzioni qui considerato, si riducono alle u , + b . U 2 + l, = 0 ^U l + b 1 V 1 + l a =o, si considerano C/ , U 2 come le coordinate correnti di due rette in un piano riferite a due assi ortogonali e determinate dalle equa- . , b, b zioni sopra scritte, le quantità , ~ vengono a rappresentare 1 loro coefficienti angolari, per modo che, indicando con a, (3 gli angoli formati rispettivamente dalle due rette coll’asse lungo cui sono contate le coordinate [7, sarà h. cotgP = — — A La relazione (A) può dunque esser scritta come segue cotg a cotg (3 —■ (cotg a 4- cotg (3) O. COtg 2 0 : A 1 A che è l’equazione caratteristica fra gli angoli a e (3 formati coll’asse delle ascisse da una coppia di diametri coniugati relativi ad un’ellisse, in cui gli assi principali formano cogli assi coordinati gli angoli ©j, 0 2 dati dalla relazione q-q 2 2 Q:- 2 e stanno fra loro nel rapporto V Q 2 + Q, cotg© , V Q*+ A cotg © 2 Ciascuna di siffatte ellissi fornisce un numero infinito di coppie di rette che possono dirsi parzialmente equivalenti al sistema di funzioni U i , U 2 , giacché ciascuna coppia considerata isolatamente dà un sistema di osservazioni ipotetiche parzialmente equivalenti rispetto ad U t , U 2 , per mezzo delle relazioni b. , a. V A + b. 2 ’ K \l a 11 sen a sen (3 = ± u;+k VA L=± l. V«; L. + Va/+b 2 Teoria della combinazione delle osservazioni. 4i essendo L t , L 2 le distanze fra l’origine delle coordinate e le due rette della coppia che si considera. 6(>. Premessi questi elementi della teoria dell’equivalenza torniamo ora alla compensazione delle determinazioni indirette e, più specialmente, al metodo di calcolo esposto nel § 58 trattando della risoluzione delle equazioni fondamentali (125). Ritenendo le notazioni stabilite nel paragrafo suddetto si ha: * 4. L£ÉJ y J_ °'[aa p° + r ac 1 I aa 1 ^ 0 + • • • + L al ] [ aa ] v ■ fH.rl [bb.i]^ + [bb.i] O ; \d. 2 j \cc. 2] (148) mentre, per quanto abbiamo esposto nel § 62, le quantità [al] \bl.i 1 \cl. 2 ] [afl]" - * 1 ’ [bb.i] — 1 *’ [cc. 2 ]~ Z 3’ ' ‘ ' possono esser considerate, rispetto ad x 0 , y Q ,z o , • ■ ■ e subordinata- mente alle equazioni soprascritte, come w osservazioni ipotetiche fatte coi pesi rispettivi [a a], [b b . 1], [c c. 2],... e totalmente equivalenti al sistema delle equazioni generate (123). I valori x o , y o , z 0 , introdotti nelle equazioni (124) danno gli errori residuali iu l ,w 2 , w^... che sono legati alle correzioni più probabili A x, Ajy, A 3;,. .. (vedi §58) per mezzo delle condizioni A x -f- A 2 A y -f J } A ~ -j- . . . -|- w l — o \ B 1 A x + B 2 A y 4- B ì A z + • • • -f w 2 = o ^ C, A x -f C 2 A y -f- Cj A z + - • • -f- u ’ } = 0 i Ó49) Se ora in luogo di x o , y o , z o ■ ■ ■ si introducono nelle (148) i valori corretti x o 4- A x, y o -\- A y, ^ o -(- A 3 ;..., queste non restano più soddisfatte, ma per i secondi membri si ottengono dei residui che rappresenteremo con r t , r 2 , r } ,..., ed è evidente che le quantità 7 .i r ,> X. 2" 1 2 > Xj 1 ; > ' ' ’ 42 Capitolo settimo. considerate come osservazioni ipotetiche fatte coi rispettivi pesi [a a], [bb. i], [c c. 2],. .. costituiscono un sistema totalmente equivalente rispetto alle determinazioni * o -j- A x, y 0 - 1 - A y, ^ o -|- A . medesime. Le equazioni (148) danno frattanto ,\ ab] .[ ac ] , r , \ Ai-f- f-1 A y 4- r- 3 A 7 -f .. . = r peso [dal [ aa \ [ aa ] Ay+ jFirr\* z + = 9 [^- J ] |( 150 ) A^ + ... = r 3 » [cc.2] \ dalle quali, analogamente a quanto si è visto nel § 62 [formula (140)], si trae: A x = r ] - \ ab ] _ [ac. 1] l aa J 2 [aa J 3 II r \. bc -^ T 2 [bb. i] ^ ' A? = f 3 “' Combinando queste colla (149) e facendo uso delle solite no‘- tazioni Gaussiane è facile ottenere A G+ K »G+ [A. , 2] . .. + w t = o \ 5 ,L+[ s 2 > I ]G+[^ i ,2]r 3 -[-... + w 2 =o c . G+ [Q,G+ [ c 3 » 2 ] ^ 3 + • • • + w 3 = 0 ^ .- • • 1 ed è chiaro che queste equivalgono alle condizioni fondamentali (124) date, se non che le r l5 r 2 , r ì ,. . . rappresentano qui delle correzioni da farsi alle osservazioni ipotetiche dirette X 2 > X 3 > • • • Ad esempio, dalla prima delle (149) per il coefficiente di r 3 si trova: [ac.i\ , far 3 [a a ] 1 " 3 L&è.iJ + f- [ a a [ ac ] A = [4.c- ' 3 [ a a ] Al [6&.i]V a [««]' ‘/ A \bc . 1 } [ ab ] [bb . 1 ] [ a a ] [bc.x] A. [bb.i] [A 2 ,i] = [A 3 2] Teoria della combinazione delle osservazioni. 45 dietro il calcolo di compensazione, ed alla loro ricerca possono essere quindi applicati i criterii già esposti nel paragrafo 52. Le formule generali (113), in questo caso in cui si ha p = [aa], p 2 =[bb. 1], p } = [c c .2],.. . danno le equazioni correlate: ',!>*]= Ai+ B Ji+ c,/// + ... r t [bb- 1] = K,i]/+ [B>, 1] //+ [C 2 ,1] ///+.. . r 3 [cc. 2 ]-[A ì , 2 ]I + [B } , 2 ]II + [C ì , 2 ]III+... Ponendo poi, per uniformità di notazione, [A][A] l_A t A, [A 2 ,i]\A 2 ,i] | [A 3 ,2}\A 3 ,2\ p J [aa\ [ bb.i\ ‘ [cc.2\ ' HA] [B\ \_A,B t , [A 2 ,i][B„i] [A 3 , 2 ][B 3 ,2] l P J \_aa \~ 1 L bb.i\ [cc,2j [A}[cn _A l c i \A 2 ,i}yc 2 ,i] M 3 ,2irc 3 ,2i P J \_aa\ [bb. ij ' [cc, 2] r mw i ab, \b 2 ,i]\b^,i] \b 3 ,2][b 3 ,2] [ P J [aay [bb, 1] + [cc, 2] f [i?][C] l B,C t [B„ tire,, il \B 3 , 2 ][C 3 , 2 ] L P J [aay [bb, 1] ' [cc. 2] (i54) si ottengono le equazioni normali correlanti analoghe alle (114); m , +m „ +mm+ ^ + _J (ijj) [t^] 7 + [iaicj]„ + [[ci[g ] w+ ... + „ i _ 0 che determinano i correlativi I, II, III,. . . Ottenuti questi, dalle (153) si possono calcolare le correzioni ausiliarie r t , r x , r ,.. . che introdotte nelle (151) o nelle (150) danno le correzioni ir, Aj, A . più probabili cercate. 44 Capitolo settimo. 67 . Per calcolare l’errore medio corrispondente all’unità di peso si potrebbe fare uso della solita formula (126) del § 57 perocché, ottenuti i valori compensati delle incognite, i residui $ corrispondenti a questi possono essere ricavati dalle equazioni generate (123): ma vi ha un’espressione assai più della (126) conveniente al procedimento di calcolo esposto più sopra. Rappresentiamo infatti con So', S o ", 8 g ",... i residui che si ottengono dalle (123) sostituendovi alle incognite i loro valori x o , y 0 , £ 0 ,.. . non compensati, e, ritenute le notazioni stabilite nella seconda parte di questo capitolo, siano E', vq', (/, .. . i valori che assumono E, n,, £ 2 ,. .. (vedi voi. I, pag. 381) per X = x o -\-Ax, y=.y o -\-Ay, ^ = Applicando la formula generale (97) (vedi voi. I, pag. 397) e ricordando che, per la (97““), si ha [§ D &J = [/ /. co], si trova: ___1_Ih__ [ a a ] ' \bb . 1] \c c. 2] M = [MJ + mentre dalle relazioni (148) e (150) del numero precedente si ricava : Se per semplicità di notazione poniamo Vi =[“«], P 2 =[^,l]> Pj = [cc,2],... (156) [pesi delle osservazioni ipotetiche / 2 , totalmente equivalenti al sistema generato (123)], potremo quindi scrivere: [SS] = [S o S o ] + [prr] ed in conseguenza, per l’errore medio m corrispondente all’unità di peso, si avrà: /1 ti « 1 - 4 - 1 1) r ri È superfluo ricordare come il valore [S 0 SJ può essere calcolato indipendentemente dai singoli valori SJ, 8 o ", S o "', . . . (vedi voi. I, pag. 398), e si può avere in tal modo una riprova dell’esattezza del calcolo di x o , y a , ^ 0 ,. . . Per ottenere poi [prrj conviene far uso della formula K* 1 ] 2 , K> 2 1 2 Teoria della combinazione delle osservazioni. 45 che si deduce dalla (116) del § 53, e può servire anche di riprova al calcolo dei correlativi, e delle correzioni r. 68. Ci rimane solo da vedere come applicando la teoria dell’equivalenza si possa calcolare il peso e quindi l’errore medio di una funzione lineare dei valori compensati delle incognite, giacché il caso generale di una funzione qualunque si riduce, come abbiamo vednto più volte, al caso di una funzione lineare per mezzo di uno sviluppo in serie. Sia dunque U = + F, x + F 2 y + F ì z + ■ • • la funzione lineare data : naturalmente è qui da seguire un metodo di deduzione analogo a quello tenuto nel § 63 pel caso in cui le incognite non erano soggette a condizione, sostituendo nella U ad x,y,z ,... i loro valori in funzione delle osservazioni ipotetiche per poi applicare le formule della compensazione delle osservazioni dirette. Ora dalle equazioni (148) e (150) del § 66 si ricava: O' 0 + A y) + +••• + *, *0+ y° + A y + pj77j(^+ A 0+---+5c,—»"*= o ^0+^ +• • • + X 3 r. — o quindi, applicando le (140) a questo caso, potremo porre: (Xi c)+ (x,-r ; ) + (X 2 —0 + (x 3 — r ,) + (X2-O + —(x— c) + --- 4o+ A }' = Per il valore più probabile U m di U si ha d’altra parte: ^0+ (* 0 + A *) + F 2 (j 0 + \y) + F 3 (z 0 + a 0 + • • • espressione che, eliminandovi x o -f- A x, ^ 0 + A y, 4 0 + A 4,.. . per mezzo delle relazioni precedenti ed introducendo al solito le notazioni (99) stabilite al § 47, dà: U-F l 7 .-[F 2 ,i] 1 - [F,, 2] Z + F* r,+ [F 2 ,i] r 2 +[F 3 ,2] r } + 4 6 Capitolo settimo. Dacché le quantità y^, y 2 , y ,.. . debbono essere considerile come osservazioni dirette soggette a condizioni, e 1 tr l , r 2 , r ... ■come le corrispondenti correzioni provenienti dalla loro compema- zione, la soprascritta relazione è analoga alla (119) del § 54: e nella ricerca del peso P„ di U m possiamo perciò seguire il procedimerto tenuto quivi. Ponendo m [f]i 1 A ' F ' + \A 1] ' \As .2] [^ 3 : .2] L p J [ aa ] \bb,i] 1 [cc > 2 ] | B - F < _l 4 ] 1 ^ .2] [Fs : >2] l p J 1 "'[a a] 1 [bb, 1] 1 \cc ,2j rrcitiT 1 C ' F ' + [C, A\[F ? , 1] , [C 3 >2] [ft = .2] L p . 1 [««] [bb, 1] \ \cc > 2 J dopo avere eliminate dalla (159) le correzioni r per mezzo delle .equazioni correlate (153), si ottiene: u.-I- [F„ >] / - [C,2| /.- . +[[ 213 ] nella quale rimane da esprimere i correlativi in funzione delle osservazioni ipotetiche dirette, in modo analogo a quello tenuto nel già citato § 54, per mezzo delle equazioni normali correlanti ( r 55 )- In tal guisa, introducendo le ausiliarie N t , N 2 , N ,.. . determimte da un sistema di equazioni normali analogo al sistema (121) si trae: Um = U °~ ' L ~ ^ 2 ’ ^ 7 ' 2_ ’ 2 ] ' ' ' j (j é0 ) + N, N 2 w 2 + N 3 iv^ r ...) Ma si ha per ipotesi (pag. 24) = A * 0 + A >y 0 + A , *„+ • • • + L t = B i *o+ B 2)'o+ So+ • • ■ + L 2 = Q * 0 + C 2 y 0 -j- C, ^ o -f ...-fi, mentre i valori x o , y 0 , ,. .. non compensati delle incognite sono legati alle corrispondenti osservazioni ipotetiche y i; y 2 , y .. dalle (140) : se per mezzo di queste si eliminano tali valori dalle pre- Teoria della combinazione delle osservazioni. 47 cedenti relazioni si trova, analogamente a quanto abbiamo visto più volte : w , = L— A i X — IX > !] X — K > 2 1 Xj— • • • = L — B l X[X , I] 7 . 2 — [ fi 3 > 2 ] 7-3— • • • w 3 = L ~ c . x — [ c *> i] x — t C 3» 2 1 y.r~ ■ ■ ■ Ne consegue che alla (160) si può dare la forma seguente: £/.=£/„+AT.Z.+ + . -x,( AK+ B ,K+ c,N ì +...+ F l ) - X, (K, I] N, + [5., I] AT 2 + [C„ i] A/ r f ... + [F 2 ,1]) - X, (K > 2 ] N, + [5,, 2 ] N 2 + [C ; , 2 j AT-f . . . + [F,, 2]) e che quindi, le ^ essendo osservazioni indipendenti fatte coi pesi [a a], \bb,T\, [cc, 2],..., la reciproca del peso della determinazione U m è data da : 1 _ (A 1 N t +B l N t +C l N 3 +... + F,y , Tu [a a] , ([^, 1] ^v,+ rx,il x + rc 2 ,ii n 3 + ... + [ f 2 ,if + [FfT] + , ([X, 2] N.+ [ 5 3 ,2] iV 2 + [C 3 ,2] N 3 +... + [Fa, 2])* , ^ [a.2] ' ““ + . Di qui, aggiungendo la seguente notazione a quelle già stabilite: 1 » J“ [a a] + ~ trr'iT" + ed applicando la solita formula (97*”’") del § 47, si trae finalmente: rnmi 2 Firn : T [ [ci [fi , | TF][F] j LpJ Lv ’Jl P mmi rmm i— •■] FTH \m„ = m IW 3 T pim i l p -l L p J rmi . (162) 4 8 Capitolo settimo. 4 .* parte. —• Compensazione delle reti trigonometriche. (ì9. Le teorie esposte nella i.% 2 . a e 3 / parte di questo Capitolo trovano un largo campo di applicazione in Geodesia, ove le osservazioni astronomiche e geodetiche reiteratamente fatte per avere gli elementi necessarii al calcolo delle reti trigonometriche sono sempre ed in numero maggiore di quelle strettamente necessarie alla determinazione teoretica 'dei vertici, e vincolate da condizioni geometriche. È superfluo il fermarci al modo di dedurre gli errori medii ed i pesi delle osservazioni dirette e delle basi geodetiche, giacché in tali ricerche l’applicazione delle formule generali non dà luogo a particolari considerazioni, nè presenta difficoltà veruna. Ma la natura dei procedimenti che conviene seguire nel fare la compensazione di una rete dipende invece dalla ampiezza di questa e dalla natura degli istrumenti gonìometrici adottati; i calcoli sono poi sempre così lunghi e complicati che dalla simmetria delle formule e dalle semplificazioni teoreticamente meno importanti si può ottenere in pratica un grande risparmio di fatica e di tempo. Finalmente alla ricerca della precisione dei risultati si riannodano considerazioni così importanti e generali, che questo argomento merita uno studio ulteriore. È evidente che ciascuno degli elementi di una rete trigono- metrica misurati oltre quelli strettamente necessarii al calcolo di essa, dà origine ad una equazione di condizione, e ad una sola, fra il suo valore osservato e le altre misure, e che, introdotto in calcolo insieme a queste, accresce il peso matematico dei risultati che se ne traggono. Nella compensazione di una rete si hanno dunque tante condizioni quanti sono gli elementi osservati superflui ; ma, nello stabilirle, è necessario tener ben presente che il loro numero è perfettamente determinato, e che, mentre tutte le possibili debbono essere considerate affinchè non restino incertezze nè duplicazioni di valori, dall’ altra parte, se ne venisse stabilito un numero maggiore di quello che la quistione comporta le formule finali assumerebbero delle forme indeterminate. È dunque importante di conoscere a priori il numero delle condizioni da stabilire. 70. Facciamo astrazione dall’orientamento e dalla posizione geografica della rete da compensare, che supporremo costituita da triangoli succedentisi senza interruzione : rappresentiamo con P il numero Teoria della combinazione delle osservazioni. 49 dei suoi vertici, con L quello delle linee di congiungimento (lati), con M il numero degli angoli osservati e con B il numero delle basi geodetiche misurate. I due vertici che formano gli estremi di una base restano determinati da questa l’uno rispetto all’ altro : per la determinazione relativa di ogni altro vertice si richiede poi la misura o di due angoli o di due linee, o di un angolo e di una linea, per modo che i P punti restano determinati da una base e da 2 (P — 2) altre misure geodetiche. Dunque si hanno 5 + M--2P + 3 elementi osservati superflui ed in conseguenza altrettante equazioni di condizione relative alla rete geodetica considerata. Rimane però da esprimere inoltre la dipendenza mutua degli angoli misurati in ogni vertice di stazione fra i vertici del poligono geodetico che lo circonda, giacché le visuali che vanno a questi vertici debbono essere considerate come direzioni azimutali appartenenti ad un giro di orizzonte: così se P' è il numero delle stazioni geodetiche in cui o il giro di -.orizzonte è completo o vi ha sovrapposizione di angoli misurati, si dovranno porre ancora P ' equazioni di natura speciale, alle quali daremo il nome di condizioni azimutali. Le suddette B-\- M—2 P+ 3 altre condizioni poi vanno suddivise in due classi, distinguendo quelle che vincolano fra loro gli angoli di un poligono chiuso, e che possono dirsi condizioni poligonali, da quelle che debbono togliere ogni possibile duplicazione nei valori calcolati dei lati, alle quali daremo il nome di condizioni lineari. * È da osservare che nel costituire questa ultima classe di condizioni, nelle quali sole compariscono a volte le misure lineari direttamente fatte (basi), dovrebbero esser considerate come quantità correggibili da compensare e le osservazioni angolari e le basi stesse: ma il peso di una base geodetica è sempre così grande rispetto a quello delle direzioni azimutali, che è logico il correggere soltanto queste ultime ritenendo le prime come delle quantità esattamente conosciute, lo che semplifica assai il calcolo di compensazione di una rete geodetica, sempre di per sé molto complicato. Dobbiamo notare ancora come, per la natura stessa della quistione, non si hanno mai da considerare due ele- * Comunemente le condizioni poligonali e lineari sono dette rispettivamente condizioni agli angoli ed ai lati; molti autori fanno poi astrazione dalla moltiplichi delle basi. Pucci, Geodesia. II. 4 50 Capitolo settimo. menti lineari adiacenti in una rete direttamente misurati, tolto il caso in cui essi sono parti distinte di una stessa base. Per ottenere il numero di condizioni poligonali da stabilire, riteniamo le notazioni più sopra indicate e rappresentiamo inoltre con L' il numero delle linee di congiungimento, le cui direzioni azimutali sono state osservate da ambedue le estremità. Se si nota che in un poligono chiuso, composto da un numero qualunque delle linee ora specificate, la somma degli angoli è geometricamente nota e si ha quindi una condizione, ma una sola, è facile concludere che qualunque altra linea condotta fra due qualunque dei vertici del poligono ed osservata alle due estremità, spezzandolo in due, dà origine ad una nuova condizione, e ad una sola. Cosi se P" è il numero dei punti in cui è stata fatta stazione (compresi quelli nei quali il giro di orizzonte non è completo) il numero delle condizioni poligonali diverse cui dà luogo la rete considerata è L'—P" + i. Il numero delle condizioni lineari poi si deduce osservando che data la lunghezza {base) che congiunge due punti, per la determinazione geodetica di ogni altro punto si richiedono due nuove linee osservate almeno ad una estremità, e quindi per la determinazione di P vertici sono necessarie i +(P — 2)2 — 2 P — 3 linee. In conseguenza se si hanno nella rete L linee osservate almeno ad una estremità fra P punti, vi saranno L — 2 P -f- 3 lati che restano perfettamente determinati dagli altri, e che possono essere anche calcolati introducendo le corrispondenti misure angolari dirette: quindi si dovranno porre L — 2 P + 3 condizioni per togliere ogni possibile duplicazione di lunghezza. Ciò nel caso di una sola linea misurata direttamente, e siccome ogni altra base dà luogo ad una nuova condizione lineare, così, essendo B il numero delle basi, si avranno in tutto B L — 2 P 2 condizioni lineari da stabilire. Riepilogando si otterranno, fatta astrazione dall’orientamento e dalla posizione geografica della rete, i seguenti numeri di condizioni P' equazioni azimutali L' — P" -f 1 equazioni poligonali B L — 2 P -j- 2 equazioni lineari, Teorìa della combinazione delle osservazioni. 5i in tutto P'+Af + £ —2P + 3 = P'+I'+S + Z —P"—2P + ? condizioni.* E facile constatare che questa ultima relazione è un’identità; ed infatti le L' linee fra P" punti, osservate alle due estremità, corrispondono evidentemente a 2 L' — P" osservazioni angolari, e ad altri L — L' angoli osservati corrispondono le L — L' linee osservate ad una estremità soltanto : si ha dunque M= L-\- L' — P". Vedremo tra breve per altro come introducendo la vantaggiosissima considerazione delle direzioni in luogo di quella degli angoli osservati le P' condizioni azimutali possono essere trattate a parte, lo che semplifica molto il calcolo di compensazione. E superfluo poi l’osservare che nella formazione delle equazioni di condizione si deve badare che esse siano indipendenti l’una dall’ altra. 71 . Cogli istrumenti reiteratori la misura degli angoli di un giro di orizzonte si fa puntando successivamente alcuni dei vertici chiaramente visibili del poligono geodetico circostante, e leggendo coi microscopii rispetto all’ origine del cerchio goniometrico le direzioni dei punti osservati. L’insieme delle letture A> -^5 ’ • • • fatte di seguito ed una sola volta per le direzioni relative delle visuali che vanno ai punti osservati I, II, III, .. . costituisce ciò che si dice uno strato, e, per solito, tali letture si considerano come dello stesso peso : ma, per ciò che dovremo esporre in seguito, conviene generalizzare la questione ascrivendo a ciascuna osservazione elementare (direzione) un peso speciale. Rappresentiamo in generale con p il peso della direzione relativa L, e con v il valore più probabile dell’errore commesso nell’apprezzarla: siano inoltre {1}, {2}, {3 j, ... gli angoli veri rispettivamente compresi fra la direzione vera che corrisponde al punto 1 e le direzioni vere che corrispondono agli altri punti II, III,. . . osservati nello stesso strato, e sia * Lo spirito del metodo qui esposto di dedurre i numeri delle condizioni necessarie e sufficienti per la compensazione di una rete geodetica è dovuto -a Gauss: un altro metodo, che poggia sul sistema di osservazione angolare per direzioni può vedersi descritto nella classica opera di Bessel, Gradmessung in Ostpreussen. 52 Capitolo settimo. finalmente X la distanza angolare ignota compresa fra il punto I e l’origine degli angoli azimutali (zero del cerchio). Naturalmente dietro le osservazioni fatte si conoscono dei valori approssimati (i} 0 , { 2 )„, {3 lo,... di {i}, (2), {3},...: poniamo dunque: li} = h}o+#.> |2) = l2) o+K 2 , { 3 } = 13lo È chiaro che per ogni strato si avranno delle relazioni analoghe alle seguenti : sIKx-q ^Pz (.X + {1 Jo -f A,— LJ =\jp 2 v 2 'JTìC.x + W' + k — lj ='\!T ì v ì ^P* (X -)- [n — i } 0 -f- K„- i L i) — \jp n v„ le quali debbono esser considerate come delle equazioni generate già ridotte all’unità di peso. Operando nella stessa guisa su tutti gli strati di una stazione,, e, per semplificare, ponendo in generale L=i;, {1 io — L 2 = l 2 , {2I0= = si ottiene quindi complessivamente il seguente sistema di equazioni generate dello stesso peso: v:'lT:='lTKX'+ln vl{p] z ='JJI(x , +K i +//) v.;ìpì=ìI](x<+k 2 +ii) < =i/À 77 (^' + VO ì V? w =^1? {X" +K t +l; 0 V ^ =\ZJ7'( x "+^+V') *:^=\fà 7 (x , + *.-i+ z 0 v,r \'p7' =\Ip7 + V l M \j Pi v > = \l + l v^T7 =v7^(^ (v) +^+V v:: ) vV\jp»> = \lp^>(XU+K n - t +Wy Teoria della combinazione delle osservazioni. 53 ove gli indici ai piedi delle lettere si riferiscono alla numerazione delle direzioni in uno strato, e gli accenti alla successione degli strati: è inutile aggiungere che nelle equazioni che si riferiscono a direzioni non osservate in uno strato qualunque si deve supporre nullo il peso, lo che fa scomparire le equazioni stesse. Le incognite del problema sono le v quantità X', X", X"', ... e le n —i correzioni K i , K 2 , K ; ,... Ottenuti le K si hanno i valori più probabili degli angoli j i J, {2}, ( 3},... che rappresentano le direzioni azimutali dei punti II, III, IV,.. . riferite alla direzione del punto I, e che soddisfanno implicitamente alla condizione azimutale corrispondente alla stazione considerata. Tuttavia si deve notare che le correzioni K debbono esser tratte dalle (163) compatibilmente alle condizioni della compensazione della rete in guisa che ci troviamo qui nel caso che abbiamo trattato nel § 56 e seguenti della 3.“ parte di questo capitolo. L’applicazione del metodo diretto di compensazione esposto nel § 56 suddetto riuscirebbe però estremamente complicata perocché le equazioni normali corrispondenti alle (125) verrebbero a contenere un numero di incognite straordinariamente grande e la loro risoluzione, anche per una rete assai ristretta, riuscirebbe pressoché impossibile. E necessario pertanto ricorrere ad uno dei due procedimenti di doppia risoluzione che abbiamo sviluppati nei paragrafi 58, 59, 60, 66 , 67 e 68, risolvendo anzitutto col metodo dei minimi quadrati le equazioni generate analoghe alle (163) per ciascuna stazione della rete da compensare, astrazion fatta dalle condizioni rigorose cui questa dà luogo. Costituendo le equazioni normali corrispondenti alle (163) ed introducendo per brevità le seguenti notazioni [p' J']. ■cC + N ■Cc + < 1! • + pn' sj [p" s "l> = A" L"+A"A"+A"V' ..+ p,"s n " [p.s.r = A'b' +A"l" + A"V' + .- • • + A (v) L (v) - [Al ]« = A'l' +A'V+A"' •+A (V) L (V) 1 Capitolo settimo. 54 si ottiene : in*' [PV* + p; kmi K >+• • - A' A.-,+[ P' 1 ' ]»= °] + PP'K+PP' k 2 + . o (165 |>w]„X (v) + A !,| W i w ^t-^ ) ^A[^'' , ].= o ; PI X'+P>" X"+...+/> WX(* +[i > 2 ]<^ 1 A' X' +^' X ''+---+A' V,X! '' , +[AF^ + [A*J : ’’ , = °j A [A / } ]' v, = °( (166 PJX'+PJ' X"+...+p«‘XV 4M w AA[A,y (>, = o' d’onde, sostituendo nelle (166) ad X', X",...X^ i loro valori tolti dalle (165), avremo: j M 'Mra]>' -[»]A 4tr*+K4tri* -w*-* WAlff- :(I6? [AAfv |AAT\ Jr b Y rAAf) /f ~m\ K Arai K - + ( ltJ _ iw:l \ K ~-' (v) [A4 - MAL [Al. . W = o Queste n — 1 relazioni formano un sistema di equazioni normali che determina i valori più probabili dei K corrispondenti alle equazioni generate (163), astrazione fatta dalla compensazione cui debbono poi andare soggetti. Ottenuti i K si possono dalle (165) calcolare gli X e dalle (163) dedurre quindi i residui v, che rappresentano le correzioni più probabili da farsi alle singole letture dietro la considerazione di ciascuna stazione separatamente dalle Teoria della combinazione delle osservazioni. 55 altre. Per semplicità di notazione, porremo, come si suole : t«o—[^j...., [* *] = [/>,] .[/>]» , [/;c] = (g) >3 /> 4 1 [P]J ...[/z/] = [p 3 /j| ( l68 ) .(■■>) M = !>,]' — P±P•* . [/>]. <■') in modo da dare alle (167) la forma consueta seguente: [a a] K l + [a b] K 2 -f [a c] K ì -f • • • + [« l] = 0 [ab]K t + [bb-\K 2 + [bc]K ì + ... + [bl] = o I Y a c ] Ki + \P c ] K 2 ~r [ c c ] K) + • • ■ + \c l ] = 0 ( ( i 6 9 ) Oltre i valori delle correzioni non compensate K t , K z , K.... è necessario, come vedremo, determinare i loro pesi e perciò nel calcolo dei K conviene far uso del procedimento esposto al § 43 (vedi voi. I, pag. 387); ritenendo le notazioni stabilite nella seconda parte di questo capitolo, avremo quindi : *. = -[« «] M - [*f>] [H] - 0 v] [cl]-.-. ^ = -[^][a/]-[PP][i/]-[p r ][ c /]-... I K, = - [* r] [a n - [P y] [b I) - [y y] [d] - ■ • • \ {l7 ° } le ausiliarie [oc a], [oc p], [a y],... [§ fi], [p y], . . . [y y]... essendo dedotte dalle equazioni del peso (88). Le quantità K così ottenute rappresentano le correzioni provvisorie da fare alle direzioni approssimative { 1 j Q , {2} , {3 | ,..., e debbono venire modificate in seguito alla compensazione della rete geodetica cui appartiene la stazione considerata. Seguendo il co- Capitolo settimo. 56 mune sistema di notazione rappresenteremo con (i)> ^ + (2), -j- (3),. . . le correzioni definitive, ed introdurremo fin d’ora delle nuove quantità ausiliarie [1], [2], [3],.. ., corrispondenti alle £, ti, della formula («) del § 58, ponendo: [1] = [a a] (1) + [ab] (2) + [a c] (3) + • • • [2] = [a b ] (1) + [b b] (2) + [b c] (3) + . .. [3] = [« c] (1) + [b c] (2) + [cc] (3) -f ... Per ottenere le espressioni delle correzioni (1), (2), (3),. .. in funzione di queste quantità osserveremo poi che dalle (169) e (171) si trae +[fli](iir 2 + ( 2 )) + [#p)(^3 + ( 3 )) -)-... + [«/] — [i] = o [a^](^+(0)+r^]K+(2))+[^]K+C3))+---+[^-i2]= o [uc](if I +(i)) + [^](^ + (2))+[rc](if 3 +( 3 ))+...f[c/]-[3]-o e che queste relazioni, formano un nuovo sistema di equazioni normali, che può essere algebricamente risoluto col procedimento del § 43 (formule 88). Se, scritti i valori di K i -f (1), K z ~\- (2), K + (3),..., si nota che nelle equazioni del peso che determinano le corrispondenti ausiliarie [aa], [a( 3 ], [ay] , [PPJ. [PrL non compariscono i termini noti delle dette equazioni normali, e che quindi i valori di tali ausiliarie sono quegli stessi delle formule (170), mentre le quantità K 0 K 2 , . soddisfanno alle (170) medesime, è facile vedere che si ha: (0 = [««J[l] + [^][2] + [« Ti [3] + • • • (2) = [a p] [1] -f- [P p] [2] + [p y] [3] + ■ ■ • (3) = [« r] [1] -+- [P r] [ 2 ] + [7 7] [3] + • ■ • Riassumendo il sin qui detto concluderemo che nella compensazione di una rete geodetica ogni stazione dà luogo ai seguenti calcoli preparatorii : Teoria della combinazione delle osservazioni. 57 i.° Formazione delle equazioni normali che determinano le direzioni più probabili della stazione, astrazione fatta dalle condizioni poligonali e lineari della rete [formule (i 68) e (169)]. 2. 0 Formazione e risoluzione delle corrispondenti equazioni del peso. 3. 0 Formazione delle equazioni definitive che determinano le ausiliarie della stazione [1], [2], [3] in funzione delle correzioni compensate, e reciprocamente [formule (13 1) e (172)]. Dopo ciò resta a determinare l’errore medio relativo all’ unità di peso della stazione considerata. È utile notare che il procedimento sopra esposto condotto fino alla risoluzione delle equazioni normali (169) serve in generale anche a dedurre le direzioni più probabili delle stazioni isolate nel caso in cui le osservazioni non debbano venir poi sottoposte a compensazione come succede in lavori trigonometrici di poca importanza. 72 . La cosidetta compensazione di una stazione, ossia l’insieme dei calcoli sopra riepilogati, riesce di solito assai complicata se non si segue nell’osservazione degli angoli qualche sistema speciale che permetta di semplificare le formule generali del paragrafo precedente. È facile vedere come la massima semplicità si otterrebbe nel caso in cui in tutti gli strati fossero osservati tutti i punti del giro d’orizzonte colla stessa precisione: ma, per lo più, non tutti i segnali od elioscopii intorno alla stazione sono contemporaneamente visibili e, d’altra parte, è facile comprendere come le ultime direzioni osservate in un giro di orizzonte con molti puntamenti non meritino la stessa fiducia delle prime, perocché durante il tempo assai notevole, necessario all’osservazione dello strato sempre più si alterano le condizioni di visibilità dei punti e di aggiustamento del- l’istrumento e diviene sensibile l’influenza della deformazione dei sostegni. Per aver poche osservazioni di egual peso da introdurre in calcolo, è molto conveniente il sistema delle osservazioni binarie ora esclusivamente adottato in Italia. In tale sistema ogni singolo strato non si compone che di due direzioni osservate, ed ogni angolo che è possibile di considerare fra le n direzioni del giro di orizzonte vien misurato un egual numero di volte. Questo numero si determina antecedentemente per modo che tutti gli angoli delle reti da compensare vengano ad avere un dato peso ed un dato errore medio, e tale determinazione si può fare approssimativamente 58 Capitolo settimo. in base all’errore medio che corrisponde ad una singola osservazione di un dato operatore con un dato istrumento, errore medio che si suppone costante, e conosciuto in precedenza. Naturalmente i diversi valori ottenuti per ciascun angolo del giro di orizzonte (e misurati sopra diverse parti successive del cerchio determinate coi criterii della teoria della reiterazione) si raggruppano in un’ unica media. Si possono allora considerare tanti strati ipotetici dello stesso peso quante sono le combinazioni due a due dei punti del giro di orizzonte, lo che rende semplicissima l’applicazione delle formule (168), (169), (170), (171), (172) e la risoluzione delle equazioni del peso: inoltre in queste formule i coefficienti hanno sempre gli stessi valori per tutte le stazioni in cui i giri di orizzonte hanno lo stesso numero di direzioni. 73 . L’errore medio corrispondente ad ogni singola osservazione di una stazione, comunemente detto errore medio della stagione, si deduce applicando la solita formula (90) del § 44 in corrispondenza alle equazioni generate (163), ed osservando che in questo caso il numero delle incognite dalle quali dipendono i residui v è n — i+v, essendo n il numero dei punti del giro d’orizzonte, e v quello degli strati. In tal modo rappresentando con N il numero delle equazioni generate e con m„ l’errore medio cercato, si avrà : m. \PM] N — n — v -j- 1 ( I 73 ) E necessario per altro ricordare che quanto maggiore è il numero dei residui N tanto maggiore è la precisione del valore di m s che ne risulta. Ora, in generale, nella cosidetta compensazione di una stazione anziché introdurre in calcolo le singole osservazioni fatte per gli angoli misurati, per semplificare la ricerca delle direzioni più probabili si raggruppano i diversi strati che contengono gli stessi punti osservati dando alle medie corrispondenti i pesi che loro competono in modo che il numero delle equazioni generate diventa spesso molto piccolo. Per una stazione in cui tutti gli strati contenessero tutti i punti del giro d’orizzonte raggruppandoli in uno strato unico si avrebbe v = 1, n = N, e il secondo membro della (173) si ridurrebbe alla forma indeterminata —. Per ottenere l’errore medio m s con sufficiente precisione è dunqu'e indispensabile di risalire dai residui 1 delle equazioni ge- Teoria della combinazione delle osservazioni. 59 nerate (163) relativi ai varii gruppi di osservazione introdotti in calcolo ai residui relativi alle singole osservazioni, lo che del resto non presenta veruna difficoltà. Il calcolo del valore di [p 1 1] riuscirebbe molto laborioso se dovesse esser fatto per mezzo della sostituzione dei valori più probabili di X', XX > u) ,„.{i},{2},(3}... nelle equazioni generate: perciò in pratica si suole spesso adoperare la (97 6 ' s ) del § 47 della quale l’applicazione è assai semplice, giacché i v termini che seguono il primo nel secondo membro si riducono rispettivamente, come è facile constatare, a [p'i't r p"i"M imi [/>]» ’ ir], ira. ed i successivi provengono dalla risoluzione delle (167), le quali evidentemente sono le equazioni ridotte di v esi “ <> ordine del sistema complessivo (165) e (r 66 ). Più brevemente può ottenersi il valore [p 1 anche tenuto conto di tutte le singole osservazioni, considerando le sole equazioni normali (167) anziché le (163) e (166). Infatti ricordiamo come, dato un sistema di equazioni generate dalla forma generatrice ^pv = ax-\-by-\-cz J r--- J rl, si ha in generale [§ 47 formule (97) e (97“*)] [pvv] = [pii] 1 + 7 2 [ a a ] [bb .1] ' [cc. 2] + ••• qualunque siano i valori adottati per le incognite, e quindi anche per ossia per x = y ■= z = • • • = o, q = [a/], r ti =[bl.\], = [c l .2],... Rappresentando con [V V] il valore che prende [pvv] in questo caso, si potrà dunque porre: [pll] = [VV]- [ al ] 2 [bl. i] 2 [cl.2] 2 C 1 74) [a a] [bb.T] [cc.2] relazione che è identica alla (97**) sopra citata. Ciò posto, per applicare questa formula alle (167), che corrispondono alle (165) e (166), tratte dalle ( 168) le quantità [al], [aa], [bl. 1], [bb. 1]... rimane da determinare il valore che prende in questo caso [V V]- 6 o Capitolo settimo. Ma per K t = K 2 = K — .. . = o le (165) danno : [p"n* [p*^ i» in trt e, sostituendo nelle (163) tali valori delle incognite si ottiene: ìp' < A^ . .. siano suscettibili soltanto dei valori 0 e + 1, e che gli accenti e gli indici coi quali sono distinti corrispondano rispettivamente al numero d’ordine delle stazioni, ed alla successione dei punti nel giro d’orizzonte. 75 . In quanto alle condizioni lineari, abbiamo veduto come esse provengano dalle linee superflue nella determinazione dei vertici della rete: è quindi naturale che le corrispondenti equazioni siano tratte dai poligoni chiusi in cui queste linee sono collocate. Astrazione fatta per il momento dal caso di più basi misurate, è * Bessel nella compensazione delle reti geodetiche prussiane introdusse una correzione anche per l’origine delle direzioni. Si vedrà in seguito quale è il significato analitico che a tale correzione deve essere attribuito, e la cagione per cui oggidì viene per solito trascurata. (176) 62 Capitolo settimo. facile vedere come le due figure geometriche elementari che comprendono tutti i casi che è possibile di considerare sono le seguenti À\fi. Le freccie indicano le origini delle stazioni. Fig- 53- Fig. 54- intendendo che nella fig. 53 il poligono esterno intorno al punto 1 possa essere di un numero qualunque di lati, tutti legati al centro 1 stesso. La prima di queste figure si riferisce per solito alle reti propriamente dette, la seconda alle catene geodetiche (vedi Capitolo V). Le réti si compongono in realtà di una serie di poligoni circoscritti ciascuno intorno a un punto e suddivisi in tanti triangoli successivi ed adiacenti, come nella fig. 5 3 ; alle figure analoghe ad essa daremo, come si suole, il nome di poligoni geodetici; il punto interno geodeticamente parlando è il centro del poligono, e solo per eccezione si conducono in un poligono geodetico delle diagonali come la 2—4. Invece per le catene, che debbono allontanarsi il meno possibile da una geodetica determinata è molto conveniente la successione di quadrilateri geodetici (fig. 54), ossia di quadrilateri in cui sono osservate le direzioni delle due diagonali da ambe le estremità: questa forma geometrica conduce infatti al massimo numero di equazioni di condizione col minimo numero di triangoli tracciati fra i punti estremi della catena. Il numero delle linee che compongono un poligono geodetico di p punti, intendendo compreso fra questi il punto centrale, è 2p — 2 (vedi fig. 53) giacché il perimetro ha p — 1 vertici collegati col centro da p —1 linee; da ciò risulta che ogni poligono geodetico considerato per sé stesso dà luogo (vedi § 70) ad una condizione lineare e ad una sola. Se si considera poi un poligono geodetico di p punti, rinchiuso entro/)—1 poligoni geodetici circon- Teoria della combinazione delle osservazioni. 6 3 vicini collegati e rispettivamente contenenti p iy p 2 , p^,. . .p v -i punti, è facile vedere che in tutto si hanno P+ A+ P2+ Pj+'-Pp-i— 3 (P ~= 3^ + 3 punti e 2 /> + 2 A+ 2 A + 2 A + iP + 2 = 2^p~4.p -j-2 linee e quindi, in corrispondenza al complesso dei poligoni suddetti, si debbono stabilire (vedi § 70) 2 p — 1 equazioni. Ma 2 p — 1 è il numero dei punti interni del complesso di poligoni considerati, quindi il metodo più semplice di stabilire le 2 p — 1 condizioni si è di considerare separatamente tutti i poligoni geodetici circoscritti ai punti interni medesimi. È agevole di generalizzare il precedente ragionamento per il caso di una successione qualunque di poligoni geodetici comprendendo anche fra questi i quadrilateri geodetici (fig. 34) : quindi concluderemo che nelle reti formate da figure elementari cosiffatte le condizioni lineari possono esser stabilite senza veruna difficoltà man mano che con le osservazioni si chiude un poligono od un quadrilatero geodetico. Di solito nelle reti non vi sono altre linee superflue da considerare, se vi fossero dovrebbero essere considerate a parte come diagonali di un nuovo quadrilatero geodetico introducendo per ciascuna una nuova condizione indipendente da tutte quelle stabilite colla regola sopra indicata. Per dedurre la forma analitica da dare alle condizioni lineari nel caso della fig. 5 3 supponiamo come precedentemente numerate le stazioni, e nelle varie stazioni scegliamo come origine delle direzioni più probabili jij, {2], {3},... rispettivamente le direzioni che vanno da 2 in 3, da 3 in 4, ecc., lasciando arbitraria l’origine della stazione centrale 1; indicando inoltre con 1.2, 2.3, 3.4,... ecc., i lati geodetici che congiungono le stazioni 1,2; 2,3; 3,4; ecc., dalla fig. 33 si trae successivamente: i.2 ^ (?2} 3 — {1 } 3 + ( 2 ) 3 — (i) 3 ) 1-3 "«(Uk+COj 1-3 { 1 ì 4 + ( 2 ) 4 -(0 4 ) 1-4 « w ({IÌ 3 +(0 3 ) rj. _ sen (i 2 !— Ul ? +( 2 ) s — (O s) 1-5 «»(M 4 +(i) 4 ] 64 Capitolo settimo. I^J _ j en (i 2 ?6-j 1 0)6 — (Pi) i. 6 seti 1.6 ««({2} 2 — Mrl ( 2 ) — CO,) I . 2 La legge di formazione di questi, successivi rapporti è indi- pendente dal numero dei vertici del poligono geodetico; se ne conclude che, in generale, alla condizione lineare corrispondente ad un' poligono geodetico qualunque, di cui il centro è il punto i e i vertici esterni sono i punti 2, 3, 4, ... può esser data la forma 1 = "» ( (2l—(l} a +(2) — (0,) (h sen r. sen ([2} ; — li},+ (2) — (i)J ««(Mj+COj) rcH({2} 4 -{ij 4 +(2) 4 -(i) 4 ) X X . . . rm('i j + -f (i) 4 ) Analogamente per il caso della figura 54, si deduce ^2 __ sm (> 2 h~ { i ),+ (2) 3 — (i) J 2 • 3 senili ),+ (x),) (l 2 ! 4 —(ij 4 + (a) — ( 0 4 ) 3-4 sen ({i) 2 + (i) 2 ) 3.4 _ sm ({2}, — {1 J,+ (2), — (i)j 1-4 ««(ìi) 3 +(i) 3 ) 1.4 "«({2} — |ij 2 + (2) a —(i) a ) 1.2 sen (l 1 ì 4 Teoria della combinatone delle osservazioni. 65 da cui si trae una forma di condizione già compresa in quella ottenuta più sopra. Consideriamo per ultimo il caso di due basi legate fra loro per mezzo di una catena semplice di triangoli come indica schematicamente la fig. 55, ove i lati 1-2, 5-6, segnati con tratti più grossi, indicano le due basi; si avrà: 1.2 sen (1 1 (- 0 ;) 2 -3 sen (fij, -f(0.) 2.3 sen [\3Ì 4 —( 2 ì 4 +( 3 ) 4 —( 2 ) 4 ) 3 - 4 ««(UlrKO.) 3.4 sen (i 1 ij+ ( I ) s ) 4 - 5 seti ({ 3 J } {2 j.+ (3). (2)3) 4.5 _ -yg» ({ 1 )g+ (i)<) sen (f 1 | 4 -f (i) + j. Chiamando con R il rapporto —fra le due 5 • 6 basi, quantità che è Pucci, Geodesia. IL S 66 Capitolo settimo da ritenere come nota, dalle relazioni soprascritte si ricava : ({ 1 h + ( 0 ,) _ sm ({3 } 4 — {■2 } 4 + ( 3 ) 4 — ( 2)J , . - -, - -r- ' 'X- sen R = (UL + C 1 ).) + ^»([I }; + (!),)_ _ ^"({I)f+(l)<) , sen X ' ({ 3 lj—{2},+ (3)3—(2)3) sen (l I ! 4 + ( I ) 4 ) Da quanto sopra abbiamo esposto si vede come per forma generale delle condizioni lineari si possa scegliere la forma sen (M t -f- sen (iW 2 -f- Sj sen (M 3 + S 3 ) . . . sen (iV, + Ò 7 ) sen (N 2 + S 2 ')sen (iV 3 + 8/) intendendo che M,, M 2 , ... N J} N 2 , N J} . .. rappresentino degli angoli misurati, § 2 , S,,... §/> le corrispondenti correzioni [che per lo più vengono ad essere costituite dalla differenza di due delle correzioni cercate (1), (2), (3), ecc.], ed R una quantità nota che differisce dall’ unità soltanto nelle condizioni dipendenti dalla pluralità delle basi. Per ridurre la (177) lineare rispetto alle correzioni (1), (2), (3),.. ., come è necessario per far uso dei procedimenti di compensazione sviluppati nella 3.“ parte di questo capitolo, è utile di porla anzitutto sotto forma logaritmica, per seguire poi il metodo generale esposto nel § 51. Per tal guisa, indicando con p. il modulo dei logaritmi neperiani, la condizione (177) diventa S cotg M S' cotgN] — -logR^\ogsenM — ^ \j. sen 1 ^ log sen N= 0 ) ove i logaritmi sono i comuni e la somma dei termini noti, indipendenti cioè dalle correzioni, non è altro che l’errore residuale della condizione geometrica relativa alla chiusura del poligono cui la (177) si riferisce. Per introdurre poi le notazioni che abbiamo adottate * Si sarebbe ottenuta una forma simmetrica rispetto ai numeri considerando la successione di rapporti —— , ——. —— , —ti 1 • 3 2.3 2.4 3 . 4 e scegliendo convenientemente le origini degli angoli. 1 • 2 1 • ? 2 -3 2.4 3.4 3.5 4.3 4.6 1.3 >2.3 ’2.4’ 3 .4’3.5 ’ 4 . 5 ’4.6’ 5.6 Teoria della combinazione delle osservazioni. 67 nella 3.“ parte del capitolo basta porre in generale ; (v, V A v) (* (v ' A 0 —1)) =A (V) —V v) Ciascuna stazione dà luogo a un gruppo di equazioni di questa forma e tali equazioni possono evidentemente a lor volta esser considerate come delle equazioni generate dalla forma generatrice a x' + b x" -f c x"' + . .. + « (1) +/(2) + g (3) + ... = o la quale, mancando del termine noto, acquista un significato esperi- mentale solo dalle condizioni (181) che legano parte delle incognite alle quantità note L l , L t , L . È da notare poi che le correzioni incognite x', x'', x'",... (1), (2), (3),... che compariscono in un gruppo (182) relativo ad una stazione non compariscono negli altri gruppi analoghi, per modo che le equazioni normali di tutte le equazioni generate in tutte le stazioni si ottengono senza difficoltà costituendo separatamente quelle corrispondenti a ciascuna stazione. Da tutto ciò risulta chiaramente che ci troviamo qui nel caso del § 56, e che quindi le equazioni generate dedotte dalla forma (182) e le condizioni (181) possono esser trattate con uno qualunque dei procedimenti di compensazione che convengono al caso suddetto. Le equazioni normali cui danno origine le generate (182) considerate a parte, si ottengono subito dalle (165) e (166), sostituendo in esse ai simboli delle incognite X, K s i simboli delle corrispondenti correzioni x, (V), ed omettendo i termini noti, giacché Teoria della combinatone delle osservazioni. 6 9 il gruppo (163) non differisce analiticamente dal gruppo (182) se non perchè in questo i termini noti sono nulli. I valori più probabili delle nuove incognite x, (r), corrispondenti ad x 0 , y a , z a - ■. del §56, astrazion fatta dalla compensazione, sono dunque tutti nulli; inoltre fra le equazioni fondamentali di compensazione analoghe alle (125) le prime v non contengono in questo caso i termini dipendenti dai correlativi, perchè le prime v incognite, cioè x', x", x"',. .. non compariscono nelle equazioni di condizione. Per ultimo è facile vedere che ricavando dalle prime v equazioni suddette i valori di x', x'', x r ',... e sostituendoli nelle altre, le parti di queste indi- pendenti dai correlativi' si riducono rispettivamente ai primi membri delle equazioni (167) o (169). Da ciò si vede come per la determinazione delle correzioni (1), (2), (3),... e dei correlativi I, II, III... si ottenga complessivamente il seguente sistema di equazioni normali “ -- ~ 0 . . «](!),+[^'](2)rf-.. ++' 7 + 5 / 77 + c; UH-. . — 0 ++' 7+5/77+C/ 777+. . = 0 [a"a"l(i\+[a"b"]( 2 ) 2 +... ++"7+5 i '77+C I "777 + . . = 0 1 [«"n(o,+F*m+... ++"7+5/'77+ C z "III + . . = 0 "CO rM/WrK • -+4"(0a+^"( 2), • • • +L= o ' (1),+*/ C0.+- • •+*/' (0rW'(2), • • • + = o ove gli accenti delle lettere minuscole corrispondono alla numerazione delle stazioni. Introducendo le notazioni convenute nel § 71 tali equazioni si riducono alla semplice forma seguente: M' + + 7+5/ 77+ c; 777+ ... = 0 1 IXT ++'7 + 5/77+C/777+... = 0 M 7 + +"7+5/'77+C I "777+.. . = °| + +"7+5/'77+C/'777+. . . — 0 1 + L l — 0 (184) 4'(0 ,+^/( 2 ),+- S/(0rW(2)H- 7 ° Capitolo settimo. 77. Abbiamo già notato come il numero delle incognite (i), (2), (3),. .. che entrano implicitamente nel soprascritto sistema fondamentale di equazioni compensanti sia cosi numeroso, anche per una rete molto limitata, che la risoluzione diretta (§ 56) riesce ineseguibile: fa d’uopo pertanto ricorrere ad uno dei due sistemi di doppia risoluzione esposti nei §§ 58 e 66 della terza parte. Noi seguiremo ora il sistema del § 58 (sistema di Bessel ) e supporremo quindi risolute le equazioni del peso che corrispondono al sistema (183) omessi i termini dipendenti dai correlativi I, II, III ... In tal caso il detto sistema si scinde in tanti gruppi indipendenti quante sono le stazioni, e ciascun gruppo dà origine allo stesso sistema di equazioni del peso che deve essere stato risoluto nel ricercare le direzioni più probabili della stazione cui il gruppo considerato si riferisce (vedi § 71). Se nelle relazioni (172), che legano le au- siliarie [1], [2], [3],.. . di ciascuna stazione alle corrispondenti correzioni cercate (1), (2), (3),..., si introducono i valori che per tali ausiliarie si possono dedurre dalle (184), e per semplicità si pone, in generale: a, = [a a] A l -f [a (3] A z + [a y] A^ + . . 4 + [P P]^ + [Py] 4 + ■• 3t 3 = [a y] A l + [(3 y] A z + [y y] A } + . . ù i =[« a] 5, -f [a(3]5 2 + [ay] B, -f . . . > ( 185 ) ^ = [“P]^ + [PP]5 1 +[Py]5, + ... [a a] C, + [a j3] C 2 + [a y] C, + per ciascuna stazione, si ottengono delle equazioni della forma seguente (1) = a, / + u, 11 + &JH + ... (2) = 21,7+ (186) C«-i) = / + B-, Il + ®-, IH + .. . ! ' che costituiscono le equazioni correlate analoghe alle (128) del § 58, e servono a calcolare le correzioni (1), (2), (3), . . . relative alle Teoria della combinazione delle osservazioni. 71 direzioni della stazione considerata. Le equazioni correlanti analoghe alle (130) si trovano poi, come sappiamo, esprimendo nelle condi- , zioni (181) le correzioni (1), (2), (3),... in funzione dei correlativi per mezzo delle relazioni (186). Per tal modo, osservando che si ha [AB] = [B 3 t], [A <&] = [C 31 ],... [B ' r ]n + pJK, +p 3 'K, + ...+ PJ K n _, “[/]» X' +P2" P 3 " + + A" K„ X" = — [.P v ^],-|-A v) ^ + A w ^ XI* = — ed osserviamo che alle determinazioni di X', X ", X"’,.. . debbono essere assegnati rispettivamente i pesi [/>'], [/>"], [/> ,,/ ],. .., come risulta del resto dalle equazioni generate (163), se si riflette che le quantità X sono della stessa natura delle osservazioni /. Rappresentando con A ,... A u le differenze incognite fra i veri valori di X", X'", ... ed il vero valore di X', è chiaro che il valore 0 , più probabile di X', sarà dato dalla media aritmetica delle seguenti quantità X" — A X'" — A peso [/]„ » [P"l » [P"\ fatta tenendo conto dei pesi. Introducendo per X ', X", X 7 ', ... i Teoria della combinazione delle osservazioni. 75 loro valori in funzione di K I} K 2 ,... e ponendo [p i] = IP' 1% 4 !>" i 4 4- [p'" i"% 4... 4 I>] = [4 ]» 4 [ 4 ]» + [ P"' ]„ + ... 4 [ 4> ]. avremo dunque: M4[j>J ::v ~g,4[4] fv) g 2 +..4A4 ) g ,,-, 4[/> 7 ]^ 1 4[4 ,, ].. A ,4...4 [4 v 4 4 zù [4 È facile vedere come a questa stessa espressione del valore più probabile 0 di X' si giunge anche partendo dalle equazioni generate (163) se vi si considerano K t , K 2 ,... K n _i, come quantità note, quindi essa vale qualunque siano i valori assunti per queste quantità. Perciò si può ottenere il valore compensato O -f- (e) di O introducendo nella (188) in luogo dei K i loro valori compensati K l -f- (1), K 2 + (2), 4 (3)) 5 ed in conseguenza la correzione ( 0 ) che, dietro il calcolo di compensazione, si può fare alla direzione scelta come origine degli azimut è data da: _ [P J v) C 1 ) 4 l>I v) 00 4 • • • IXT (» — 0 ( lg9 ) e gli errori più probabili commessi nell’osservazione delle singoli direzioni considerate come enti fisici determinati sono: 4)4(0, 4)4 4), (o) 4 ( 3 ), - - • (°) 4 ( w I )- L’ipotesi sulla quale riposa implicitamente questo procedimento è che dato 1’ errore complessivo delle due osservazioni necessarie per misurare un angolo, i valori più probabili dei due errori elementari di osservazione sieno di segno contrario ed eguali alla metà dell’ errore complessivo suddetto : e questa ipotesi non può essere accettata se non si fa astrazione dall’influenza degli errori sistematici, che possono esser diversi in diverse direzioni. 79 . Fatta la compensazione di una rete coi metodi esposti più sopra, importa calcolare l’errore medio corrispondente all’unità di peso, cioè ad ogni singola osservazione coniugata di una direzione; giacché dal confronto del valore ottenuto per esso in conseguenza della compensazione, con quello calcolato direttamente nelle singole stazioni (§ 73) viene posta in evidenza, come è noto, l’entità degli errori sistematici d’osservazione considerati complessivamente. Il procedimento che conviene di seguire in questo caso è quello già esposto in generale nel § 59, tanto più che la quantità (188) 74 Capitolo settimo. [p \ a], ossia la somma dei quadrati dei residui corrispondenti alle equazioni generate delle varie stazioni ed ai valori non compensati delle direzioni deve supporsi già calcolata insieme a questi valori. Nell’applicare al caso nostro la formula generale (126), ossia la si deve assumere evidentemente per n il numero totale delle equazioni generate di tutte le stazioni, per w il numero totale delle incognite, cioè il numero complessivo delle direzioni della rete escluse le origini, aumentato del numero di tutti gli strati introdotti separatamente nei calcoli preparatorii delle stazioni, e per a il numero delle condizioni. In quanto al calcolo della quantità [p S 8], abbiamo già visto al § 59 come partendo dalla nota identità \pvv] = [p\ 7]' 4- (x — x o ) ; + (y—yj ti + (4 — O Z + •. ■ (ove \l p 1 rappresenta in generale il residuo di un’ equazione gene rata ridotta all’ unità di peso, corrispondente ai valori più probabili non compensati delle incognite) e sostituendo ad ([x — x 0 ~), ()' — yj, — £ 0 ), • • • i valori che queste quantità assumono nel caso della compensazione, si trova > [pU] = [pi A] + 1 ^ + 11 ^ + 111 ^ -ti... (191) Infatti nel caso nostro si ha * — x o = ( 0 > (y —y 0 ) = (2), (v — O = (3), • • • £ = -[*]. *=-[2], £ — — [ali ■ • • I, 'C = e quindi [p & = [p 1 *] + (0. t 1 ! + ( 2 ), [2], -!-•••(«— i), [» - i], + (0. Ma + ( 2 ),[ 2 L +••■(»— 0* [» — 4 le somme essendo estese a tutte le stazioni. Se in luogo delle correzioni (1), (2), (3), ... e delle ausiliarie [1], [2], [3],... si introducono i correlativi, eseguendo l’eliminazione per mezzo delle correlate (186) e delle equazioni compensanti (184) si ottiene poi, * Si è scritto qui [p S 0] in luogo di [5 5] per mantenere a S il significato di residuo di un’equazione generata analoga alle (163) non ridotta all’unità di peso. Teoria della combinazione delle osservazioni. 75 tenendo conto delle correlanti (187), la formula (191) più sopra ricordata. Se non si vuol far uso dei correlativi si può adoperare la relazione [j)U] = [|)n]- l ; [A 2 1 ] \L,,iY [Ffi.i] \l 3 ,2Y [Ctt.2] ••• (I9 2 ) analoga alla (132) del § 59 e che si deduce dalla (191), eliminandone i correlativi per mezzo delle correlanti (187) col procedimento già tante volte indicato. 80 . Ci resta a vedere come si può dedurre il peso e 1 ’ errore medio di una funzione delle osservazioni compensate, per esempio, della distanza geodetica fra due vertici qualunque della rete. E chiaro che basta considerare il caso in cui la funzione compensata ha la forma lineare seguente U m =U 0 + F t K l + F i K 2 + F ì K J + ... ( : 93 ) giacché le quantità K t , K 2 , K^,.. . (r), (2), (3),. .., che hanno qui il significato dei numeri precedenti, sono correzioni che si debbono supporre dell’ordine degli errori d’osservazione. Per seguire il metodo generale del § 60 è anzitutto necessario esprimere le correzioni (1), (2), (3), ... in funzione delle direzioni più probabili dedotte nelle singole stazioni. Perciò introduciamo in luogo di tali correzioni i loro valori dati dalle correlate (186) ed avremo U„ = U a +[.FK] + / [ Fa] + // [FU] + III[F <£] + ... (194) dalla quale relazione debbono essere eliminati i correlativi per mezzo delle equazioni correlanti (187). Col metodo dei coefficienti indeterminati, rappresentando questi con 2 ?,, R 2 , R ì ,. ■ ■ come nel § 60, per le equazioni che determinano tali quantità si trovano le [AH] R t + [A*] R t + [AG] R 3 + ...+ [Fa] = o \ [A fi] R [+ [B fi] i? 2 + [B€] R } + ...+ [F fi] = o l [A€]R i +[BK ì '+...A'"K l "+J”K 2 "+...+ Sì l l 2 =b; k;+ b;k;+b } > kj+. .. b,"k i "+b 2 "kj'+.. .+ n 2 l=c;k;+ c 2 >k;+ c;k>+. .. <;/'#/'+ c 2 "k,"+. .. + n } ove gli accenti si riferiscono ai numeri d’ordine delle stazioni ed Q 2 , Q ... rappresentano delle funzioni di forma nota delle direzioni prossime {ij 0 , {2) o , {3 } 0 , - - - arbitrariamente scelte, ed in conseguenza debbono esser considerate come delle costanti note. Da queste relazioni e dalla (196) si ricava, tralasciando per semplicità gli accenti: U m =0 + K I {A l R i -\-B 1 R 2 + C ! R } + ...+F i } + ■ + K 2 \A 2 R i + B 2 R 2 + C 2 R ì + ... + Fj + + K, K K J r B } R 2 + C 3 R^ + ... + FJ + ove Q è una costante. La ricerca del peso di U m resta cosi ridotto al caso già studiato nei §§ 45 e 47 di questo capitolo (voi. I), giacche le quantità K : , K 2 , if ; ,. . . possono esser considerate come determinazioni indirette corrispondenti alle equazioni normali (169). Se si pone Qi = 0 x ì F i + [* P] F 2 + [« y] F , + • • • \ &=[«P]J 7 , + [PP]i :, 1 + [Py]i ? , + ... I Q} = [ a y] F t + [P y] F 2 -f [y y] F 3 -f ... \ . I e si costituiscono le equazioni analoghe alle (92) del § 45 sopra citato, in corrispondenza alla precedente forma di U, tenendo conto delle notazioni (185) si ottiene + R i + 8 i *, + <&, * 3 + ... M 2 =Q 2 + X 2 R i + 8 2 R 2 + {3-4} 0 > • • • i valori dedotti per tali angoli dall’osservazione: ponendo, come nel paragrafo 71 {1.2) = {i.2}„ +^,{2.3} = {2.3}„ + *,,{3.4} = {3.4},, + * 3 , . . . è chiaro che per mezzo delle misure fatte nella stazione considerata si possono costituire le seguenti equazioni generate K + l; =v; peso p; K + l; = v ; » p; • )) k„ + LJ = vj » p: K+h + II » p," )) pn » k 1 + *. + !»" = u 2 " » P n " -f- Li"—vi" )) Pi" & 3 + £ + + LJ"=vl" )) p >n 2 » k I -j-k 2 + kn + LL”= vj" » D /// - 1 n che debbono essere risolute subordinatamente alla condizione (200). È qui conveniente ricorrere al metodo di sostituzione diretta eliminando l’incognita k„ per mezzo della (200) stessa, posta sotto la forma k 2 -j- -f- w — 0 ; ed è facile vedere come in tal caso le precedenti equazioni possono Pucci, Geodesia. II. 6 82 Capitolo settimo. essere raggruppate due a due per mezzo di medie aritmetiche, in guisa da ottenerne il sistema di equazioni generate indipendenti K “H/ =w/ peso A' 1 K -K' =A' )) » PI j )) P'n-l A+A » Pi' k z +k 3 + *" =*/' )) P " )) (201) » P"-* 1 K+h+h -f//" =r»/" )) pr » )) )) ■pj" =V„-i )) j.W A*-» ! le quali in questo caso sostituiscono le (163) del § 71. Costituendo le corrispondenti equazioni normali e ponendo, per conformità di notazione, M=A'+A''+A'' , +A' V +--- \ [ab]= A"+A"'+A ,t +--- I [«*]= A"'+A ,T +--- [**]=A'+A"+A"+A" , +A ,/, + .-- [M= A"+A'"4-A"'+■ • • [cc] . .. A" +A"'+A'"+-.. [^]=A' */+A" */'+#"*/"+••• /] = a , /;+a"/,"+a"^ /, +a" , /; /, +^ ì , "V"+ • •• [^=A , V+A , V+A ,, V , +A ,, 'V"+A"'^ , +A ,,, V /, +-” 1 Teoria della combinazione delle osservazioni. 83 :si ritrova un sistema analogo al (169), salvo che, in questo in caso, le quantità k si riferiscono agli angoli successivi invece che alle direzioni. Successivamente poi la compensazione generale della rete può procedere come nel caso delle misure azimutali per direzioni, colla sola modificazione delle condizioni (181), nella cui formazione in luogo delle correzioni (1), (2), (3),... corrispondenti alle direzioni debbono essere introdotte quelle relative agli angoli j 1.2 ), .{2.3}, {3.4Ì,... più probabili dedotti come sopra è detto, le quali per analogia, si sogliono rappresentare colle notazioni (1.2), (2.3), (3.4),... Si deve però avvertire che ove comparisce l’ultimo angolo jn. ij di ciascun giro di orizzonte conviene in generale introdurre 360° — {1.2} — (1.3) — {1.4}... per non aggiungere le condizioni azimutali che complicherebbero -di troppo il calcolo. Solo nel caso in cui si tratti di piccole reti, e che la compensazione venga fatta col metodo diretto esposto nel § 52, è utile introdurre in calcolo anche le correzioni (n. 1) corrispondenti agli ultimi angoli suddetti, aggiungendo le condizioni azimutali che prendono in generale la forma: (1.2) +(2.3)+ (3.4)+ ...! = 0. (203) 84 . L’errore medio ed il peso di una funzione qualunque delle osservazioni compensate non danno che parzialmente l’idea della precisione complessiva di una rete geodetica; ma questa precisione si concepisce invece colla massima chiarezza considerando le probabilità che hanno i punti prossimi a ciascun vertice trigonometricamente determinato di coincidere invece di questo colla vera sua posizione geodetica. L’introduzione di queste probabilità conduce a delle importanti conclusioni che si raggruppano sotto il nome di Teoria delle ellissi degli errori, * della quale daremo ora i fondamenti per quanto ce lo consente l’indole di quest’opera, rinviando il lettore ai trattati speciali per le sue importanti applicazioni ai lavori topografici e di bassa geodesia. Consideriamo anzitutto in un piano un punto O determinato esperimentalmente per mezzo delle misure dirette ed indipendenti * La considerazione delie ellissi degli errori fu introdotta per la prima volta in Geodesia da Andrae ( Danske Gradmaalìng), ed è stata poi sviluppata da Helmert nella sua importante memoria intitolata Studien iìber rationelle Ver- tnessimgen (Schlòmilch, Zeitschrift f tir Mathematik und Pkysik, 1868). 8 4 Capitolo settimo. delle sue coordinate x 0 , y o riferite a due assi obliqui qualunque comprendenti l’angolo In conseguenza, dalla (204) si ricava ,2 1 > a\ + \b b] [i a a ] [b è] — [a è] 2 ’ ( 20 7 > relazione che dimostra, come sapevamo, che tutti i sistemi generati assolutamente, totalmente o parzialmente equivalenti rispetto alle coordinate x 0 , y 0 conducono allo stesso errore medio M della determinazione del punto (x o , yj. Le corrispondenze fra le coordinate relative a due sistemi di assi ortogonali che hanno comune l’origine e formano fra loro Teoria della combinazione delle osservazioni. 87 l’angolo ò sono x = x’ cos + b sen i}/ b' = — a sen i{/ -f- b cos <{/. (208) Dalle osservazioni alle quali corrispondono le equazioni generate dalla suddetta forma, e che per ipotesi hanno dato x o , y n) si possono quindi anche trarre altre equazioni atte alla determinazione delle nuove coordinate xj , y o r dello stesso punto O considerato, ed i coefficienti delle equazioni normali che ne provengono sono dati da \_a d ] = [a a\ cos 2 il/ -f- \bb] sen 2 <1/ -f- 2 [a b] sen 1/ cos 'li \ [a'bq = (-[aa] + \bb]) sen ^ cosò — [ab~\{sen 2 ^ — cos 2 ò^ 7(209) \b' b'~\ — [a a\ sen 2 -)- \b b] cos 2 <]/ — 2 [ab]sen i cosò . Di qui, osservando che si ha cos 4 ii -f- sen 4 1|/ -(- 2 sen 2 ò cos 2 ò — 1, si trae senza difficoltà [«' a'] -f- \b' i'] = [a a] -j- [b b\ [a a'] [b 1 b] — \a'b'Y= [a a ] [b b ] - [a b] 2 , ed in conseguenza si vede come l’errore medio M' della nuova determinazione (x o , ,;y 0 , ) del punto O, errore medio che sarebbe dato da una formula analoga alla (207), non differisce dall’errore medio M della determinazione (# o , y o ), giacché gli errori medii corrispondenti all’unità di peso nei due sistemi di equazioni generate qui considerati hanno evidentemente il medesimo valore. Non succede però lo stesso per gli errori medii delle determinazioni singole x 0 , xj e y o , y a '; ed infatti le formule (206) e quelle analoghe relative alla determinazione (x 0 ', y 0 ') danno (210) 88 Capitolo settimo. Rappresentiamo quindi con <|* J}

    a l + U> b ~\ ± \l ([« «] — [ b b ]\+ 4 [a b ] 1 ( ( ' 2I4 ^ > MI = tn -t ^[ - \ 2 ([aa][bb\-[ab] 2 ) j MI -j - My = M = mi -j- mi. / E poi facile constatare per mezzo delle (212) che, rappresentando con 6 P angolo formato fra P asse delle x e la direzione corrispondente al valore M x di m x , si ha inoltre : mi = MI cos 2 6 -(- MI sen 2 6 j ml=Mlsen 2 0 -^Mlcos 2 D )' Queste equazioni sono molto importanti nella teoria che ci occupa, giacché danno il modo di calcolare e di costruire grafica- mente i valori di m x e di m y corrispondenti a dati valori di 6. La fig. 56 rappresenta la forma della curva che si ottiene conside- Fig. 56. rando nelle (215) m x od come il raggio vettore corrispondente 90 Capitolo settimo. all’ anomalia 9 in un sistema di coordinate polari, e la posizione di tale curva rispetto all’ellisse principale degli errori di cui è detto nel paragrafo seguente. Ciò premesso torniamo alle equazioni generate, che, per ipotesi, determinano il punto (x o , y 0 ), e, ritenendo le solite notazioni, poniamo inoltre in generale v = ax-\-byf-l l = ax 0 +by 0 -fl A X = X- X o *y =y—y a essendo x, y dei valori arbitrariamente scelti, che non soddisfanno le equazioni normali [a 1] — o, [b ),] = o corrispondenti alle generate suddette. È facile dedurre la relazione [d v] — [a a] A x 2 -j-- 2 [a ¥] A x A y -)- [b b~] A y 2 -f- [X ),] (216) che,,, riferendo il punto qualunque x, y a due assi paralleli ai coordinati coll’origine nel punto x 0 , y o , e considerando Ax, A y come coordinate correnti, per \y v] = costante rappresenta un’ ellisse col centro nell’origine. * Ma i punti per i quali \y v\ è costante hanno evidentemente la stessa probabilità di coincidere col punto cercato 0 invece del punto più probabile x o , y o , giacché la probabilità relativa della determinazione qualunque (x,y) è proporzionale alla quantità quindi si vede che anche nel .caso delle determinazioni multiple di un punto (determinazioni indirette) tutti i gruppi di punti che hanno fra loro eguale probabilità di coincidere colla vera posizione del punto cercato O invece del punto determinato (x o , y o ~), costituiscono una famiglia di ellissi concentriche, simili e similmente disposte alle quali daremo, come nel § 84, il nome di ellissi degli errori. Gli angoli 0 lS 9 2 compresi fra le direzioni comuni agli assi principali delle ellissi degli errori e l’asse delle x, ed i valori degli assi di ciascuna di queste curve si deducono, come in generale, facendo ruotare gli assi coordinati per modo che sparisca il termine * Le curve rappresentate dalla (216) sono delle ellissi perchè la quantità [a a] [bb] — [a b ] 2 è essenzialmente positiva, come si vede dalle relazioni (206), (207) che debbono dare per m x , m„, M dei valori reali, e come, del resto, può esser dimostrato direttamente in modo semplicissimo. Teoria della combinazione delle osservazioni. 9i rettangolare nell’equazione (216). Siano Ax', Ay' le nuove coordinate vincolate alle antiche per mezzo delle relazioni Ax = A x' cos’l/ — Ay' sen A y = A x' sen -f- A y' cos , nelle quali rappresenta l’angolo di cui hanno ruotato gli assi : evidentemente, ritenendo le notazioni (209), dall’equazione (216) si ha: \yv ]— [X X] — [a'a] àx' 2 -f 2[a'b'] Ax' A/-fi- 2 \b'b'\Ay n (217) Di qui risulta che la condizione necessaria e sufficiente perchè l’angolo ò prenda uno dei due valori 0 t , 0 2 è data da 2 \a'b'~\ = | \b b] — [ci a] j sen 2

    ([^'l)’ ~h>([b'b']) ovvero, in conseguenza delle (211) e (213), h*\[ad\ + [bb]±\J([aa]-[bb]) 1 +4[al>Y\ | 5 , = _^ ^ ^ h 2 |[a a] + [b b] + \j ([« a] — [b b]) +4 [a £] 2 j j ove i segni superiori e gli inferiori rispettivamente si corrispondono. s 2 Per il valore particolare m 2 delle quantità p = \vv] — [XX] si ottiene la cosidetta ellisse principale degli errori , della quale i semi- 92 Capitolo settimo. assi non sono che i massimi e minimi valori M x , M y , lungo due direzioni ortogonali, degli errori medii elementari m' x , : infatti moltiplicando il numeratore e il denominatore di ciascuna delle (219) rispettivamente per [a d\ + [bb] + \j([a a] — [b £]) 2 + 4 [a ¥]\ e per [a a]+ [bb]±\J ([aa]-[bb]) 2 + 4 [ab]% si trova: _ 2 + + \ J([aa]— [bb]f~- 4 [aby \ C ) m — m [bb] — \ab] 2 ) i \ ^220^ _ t [aa]+m±^ ( \ 7 d)^\Htf+ A \ 2 ([a a] [bb] — [aby) e queste confrontate colle (214) dimostrano la proposizione sopra enunciata. 86. Osserviamo ora che la probabilità relativa del sistema qualunque di errori v I ,v 2 ,v ìt ... } che supporremo già ridotti allo stesso peso, è proporzionale ad Jj — ìfi v] e che, per conseguenza, la probabilità che la vera posizione del punto O cada dentro un elemento di area d a adiacente al punto che corrisponde ai suddetti residui è data da Cr^Mrfc, dove C per un dato sistema di equazioni generate è costante, ed h è la misura di precisione relativa all’unità di peso. Ricordando che lungo ciascuna ellisse degli errori \y v\ è costante, con un procedimento analogo a quello indicato alla fine del § 84, si ha quindi per la probabilità d W che il vero punto 0 sia compreso entro l’anello ellittico racchiuso fra due successive ellissi degli errori, anello di cui rappresenteremo anche qui l’area ' con d A : dW = Ce-^Md A. Teoria della combinazione delle osservazioni. 9 ? Ponendo per brevità: s 2 = F ([w] — K >=b K = \j[aa] J r [bb]±\j[[aa] — [bb]) -f 4 [ a ^Y _ fz _ \J [a a] + [b b] + \j ([a a] — [è &]}* + 4 [« b ] 2 j ( 221 ) e rappresentando con A l’area dell’ellisse di cui i semiassi sono A e B [formule (219)] si ha d’altra parte: dW= Ce-^W.e-^.dls K, K. ’ ove K I} K 2 si conservano costanti per tutte le ellissi degli errori: per conseguenza, ricordando che si passa da una ellisse degli errori ad un’ altra col variare della sola s, e differenziando rispetto ad s r si ottiene 1- s d s d A = ■ K.K, Quindi la probabilità W„, che il vero punto O sia compreso in un’ellisse degli errori corrispondente al valore s' di s è espressa dall’ integrale 0 (essendo N una costante), giacché l’ellisse degli errori corrispondenti ad s — o si riduce ad un punto. Eseguendo l’integrazione si trova: = i—e- *' 2 ) in cui il valore di N si può determinare osservando che per s' = -|- 00 i semiassi della ellisse divengono ambedue infinitamente grandi, e perciò si deve avere W=x ed N = 1. Avremo pertanto ( 222 ) log (1 — = — 0,434294 j' 2 ) il logaritmo essendo comune. 94 Capitolo settimo. Per s' = si trova l’ellisse degli errori in cui la somma dei quadrati dei semiassi è uguale al quadrato dell’errore medio della determinazione del punto più probabile (x o ,y 0 ), giacché si ha [* *] - l> VI e quindi i semiassi dell’ellisse suddetta sono dati dalle formule (220), che paragonate alla (214) danno: M = \M 2 + £\ (223) Perciò a tale ellisse Helmert ha dato il nome di media ellisse degli o errori: la probabilità W h che la vera posizione del punto O cada dentro di esso non è che di 0,3935. Se poi si fa s'= 0,8325 si ottiene W = 0,5 e l’ellisse corrispondente, per analogia al significato analitico dell’ errore probabile, è detta ellisse probabile degli errori; fra i suoi semiassi e l’errore M medio della determinazione più probabile (x o , y o ] del punto O si ha la relazione 1,177 M=\j A 1 -\- B 2 . (224) È facile vedere quali sono le relazioni fra le ellissi degli errori e le ellissi di equivalenza parziale rispetto alle due quantità x 0 , y o (vedi terza parte di questo capitolo, § 65). Considerando ad esempio nella ellisse principale una coppia qualunque di diametri conjngati 2 wj , 2 /m,,, si può sempre ritenere che le loro direzioni coincidano con quelle di un sistema di assi tali che alle coordinate di O ipoteticamente misurate cogli errori rnedii m' x , m y corrisponda la stessa ellisse principale suddetta e quindi lo stesso errore medio nella determinazione di 0 : scegliendo poi per diametri conjugati gli assi dell’ellisse principale si hanno le due direzioni ipotetiche ortogonali equivalenti alla determinazione (x 0 , 31 o ) considerata. 87. Le conclusioni precedenti si generalizzano senza difficoltà al caso in cui il punto trigonometrico x o , y 0 sia determinato in un modo qualunque se si introducono nelle formule in luogo dei coefficienti [a a], [a ti], [b ti], i pesi P x , P y delle incognite x o , y 0 , (o le reciproche [a a], [(3(3]), ed il peso P x + y della funzione x 0 +>' 0 , peso, questo ultimo, che è dato, come risulta dalle formule (92) e (93) del § 45 (Voi. I, pag. 393), dalla relazione - — [a a] -f 2 [a (3] -f [(3 [3], P»+n (225) Teoria della combinazione delle osservazioni. 95 che dimostra come la quantità [a [ 3 ] può esser sempre espressa in funzione di P x , P 3 , P x + y . Infatti dalle equazioni del peso delle incognite si ottiene facilmente nel caso nostro oa_ \ [a a] [a a] [(3 fi] — [a fi] 2 — [a p] [a«]"[pp]-[*p]* > (22 6 ) [b b] = [a a] [a a] [fi [ 3 ] — [a [ 3] 2 / e, per conseguenza, alle relazioni fondamentali (218) e (219) delle ellissi degli errori, trasformando le (219) col metodo con cui ne abbiamo più sopra dedotto le (220), può esser data la forma seguente : „ 2 [« ( 3 ] \ tane 2 0 = F —— iP—n ì * a—[p a AZ tp- ([« a + [p a t /(> a - rp a) 2 +4a 2 ) o?) b * = tì? (t a a J+rp a ± \l (0 a—[p a) 2 +41* a 2 ) Ora se, come si è fatto nei paragrafi 64 e 6 5 parlando dell’equivalenza, si adotta in generale la notazione Q per significare l’inversa del peso p di una funzione qualunque delle incognite, in modo che si abbia Q x = — , o „ = ~, ^ P*’ - J Py e, per analogia, si pone [tenendo conto della (225)] 1 1 1 o *.» = [-a = le (227) divengono 2 Px+y 2 px 2 Py -; rr > C 228 ) Unsl ' >= TJ^O, A ’ = Tj?i8*+& + HQ.-Q,y+4Q..,) = 2 h 2 cositi ( + Q- ± Qp + (&• + Q«y cos 29 ! B1 = TW (&■+ & ± (229) 2 h 2 COS 2 0 ' 1± ^ + Ci/ + (Qx + Qy) MS 2 0 j. 9 6 Capitolo settimo. Queste formule permettono evidentemente di calcolare gli elementi delle ellissi degli errori e tutte le altre ausiliarie di precisione corrispondenti alla determinazione del punto (x o , y o ), in funzione dei pesi P x , P y , P x + y , anche nel caso in cui x ed y non rappresentino le uniche incognite di un sistema di equazioni generate, ma facciano parte o siano funzioni qualunque di un sistema d’incognite determinate coll’esperienza, subordinatamente o no a condizioni rigorose. E utile osservare che nel caso generale, in cui le reciproche Qx, Q y dei pesi delle due coordinate qualunque x, y sono determinate dalle formule o-hL . rv-1] 2 , ** [aa] n [bb.i] " l “- L 12 \L " il 2 [aay[bb. i] •/ .1 (230) (vedi § 64, pag. 36), il valore di Q XiV si ottiene con tutta facilità dalla espressione L/L/ y [a a] ' \b b . 1] (231) giacché in corrispondenza alle (230) si deve porre contemporaneamente F = x o-\-Jo x 0 = L/x + L/'y+... y 0 = L / x + L /'y + ■■■ e, se si calcola la reciproca del peso di F per mezzo delle formule generali (§ 47) tenendo conto della relazione (228), si trova appunto, con facili trasformazioni, la (231). 88. Le reti altimetriche ( livellazioni barometriche, trigonometriche e geometriche ) vanno evidentemente soggette a compensazione come le reti geodetiche propriamente dette; ma noi non aggiungeremo che poche parole in proposito, giacché le formule ed i criterii del § 52 si applicano a questo caso senza veruna difficoltà e senza dare occasione a considerazioni speciali. È chiaro che nella compensazione di una rete altimetrica si può fare sempre astrazione dal modo con cui sono state determinate le differenze di livello fra le coppie coniugate dei suoi punti, e considerare tali differenze di livello come delle quantità misurate da Teoria della combinazione delle osservazioni. 97 compensare invece delle osservazioni dirette che hanno servito a calcolarle. D’altra parte si viene così a tener conto separatamente di certi errori speciali che è utile di tener distinti, come sono ad esempio l’errore di refrazione ( teoretica ) nelle livellazioni trigonometriche e geometriche, l’errore istrumentale costante nelle barometriche, ecc. Il numero delle differenze di livello da misurare per determinare le altitudini relative di P punti è evidentemente P — 1 : se dunque N è il numero delle differenze di livello direttamente determinate in una rete altimetrica di P punti N — P + 1 sarà il numero superfluo di tali misure, ed altrettante saranno le equazioni di condizione distinte da stabilire. La forma da dare a queste condizioni si determina facilmente osservando che se a,, a 2 , a sono le altezze assolute dei vertici di un poligono chiuso, si ha: — a 2 -f- a 2 — a } -f-.. . -f- a„ — = 0. Sieno h t , h 2 , h , .. . h„ le differenze di livello successivamente osservate fra i vertici sopraddetti considerati due a due contiguamente, e che possono essere positive o negative, ma che si suppongono contate sempre in una data direzione lungo ia periferia del poligono; rappresentiamo inoltre con (1), (2), (3),.. («) le correzioni più probabili da fare a tali osservazioni dietro la compensazione; la precedente relazione conduce alla condizione h, (0 + + ( 2 ) + ^, + (3) + ... + &* + (») = 0, dalla quale si ottiene (0 + (2) + (3) + ...+(») + L = o, (232) essendo L la somma algebrica delle differenze di livello h. Tale è la forma sotto la quale si pongono le condizioni altimetriche, ed è inutile aggiungere che nello stabilire le due equazioni corrispondenti a due poligoni che hanno degli elementi comuni, fa d’uopo tener presente che se le direzioni secondo cui procedono le differenze di livello successive negli elementi comuni sono opposte, i termini corrispondenti ai detti elementi nelle due equazioni debbono avere segno contrario. 89 . Nel caso della livellazione geometrica, come del resto succede in generale per tutte le misure che procedono per piccoli Pucci, Geodesia. II. 7 9 8 Capitolo settimo. tratti successivi lungo date linee (ad esempio le basi), sorge la considerazione àt\Y errore medio relativo all’unità di peso ed all’unita di lunghezza, unità per la quale in Geodesia si adotta il chilometro. Tale ausiliaria dà in realtà l’idea assoluta della precisione di siffatte misure, dacché può essere considerata come sensibilmente costante lungo tutte le linee di una data specie, almeno se l’unità di misura prescelta contiene un numero sufficientemente grande dei tratti elementari direttamente misurati. E facile vedere che se M è l’errore medio corrispondente all’unità di peso nella misura della intera linea /, si ha un valore esperimentale dell’ errore medio unitario suddetto dalla formula essendo l espresso in funzione dell’ unità di lunghezza prescelta : ed infatti immaginando la linea / suddivisa nelle sue unità, e supponendo ciascuna di queste misurata direttamente coll’ erróre medio p., la formula generale (34) del § 26 (Voi. I, pag. 355) dà appunto la soprascritta relazione. Sieno ora l 2 , / ; ,. . . /„ varie porzioni della lunghezza L, e consideriamo delle misure fatte fra gli estremi di queste linee, tutte colla stessa precisione ma ciascuna due volte (di solito le due misure coniugate vengono fatte in direzioni opposte per mettere in evidenza e compensare in parte gli errori sistematici di osservazione); se con w l3 w 2 , w rappresentiamo le semidifferenze dedotte rispettivamente da ciascuna coppia di misure, evidentemente le quantità w l w 2 w 3 w n \K’ PP P } che, dietro ciascuna delle suddette coppie, darebbero altrettanti valori approssimati dell’errore medio unitario m, possono esser considerate come dei singoli errori più probabili corrispondenti a varie osservazioni della stessa lunghezza (unità di misura) : quindi il valore più probabile che dal loro complesso si può trarre per p. sarà w w formula che, del resto, vale anche pel caso più generale, in cui w iy w 2 , w 5 ,... w„ sono rispettivamente gli errori medii corrispondenti Teoria della combinazione delle osservazioni. 99 all’unità di peso nelle misure sopra indicate. È superfluo aggiungere che l’errore medio relativo all’unità di peso per una misura dello stesso genere di queste ed alla lunghezza qualunque 1 è dato da y.^ 1 , ed il peso da ^ se si sceglie come unità di peso la misura À unitaria. Ma se le misure lungo la linea L sono state sottoposte a compensazione, la formula precedente deve esser modificata in guisa -da tener conto anche delle loro correzioni più probabili. Osserviamo perciò che se h', h" costituiscono una coppia di misure coniugate relative al tratto / ed h m è la loro media, si ha in generale h' — h m = + w, h ' ! — h m — q: w; sia ancora (F) la correzione che in seguito alla compensazione deve esser fatta ad h„: evidentemente gli errori più probabili. delle due osservazioni h', h' ! saranno ± w + (¥), qr w -)- (k), dei quali la somma dei quadrati è 2 (w 2 -j- (£) 2 j. Da ciò risulta che la correzione che, in conseguenza della compensazione, deve esser fatta alla quantità pj nella precedente iormuta ^2343, L 1 J luogo di n poi deve essere introdotto il numero complessivo <5 delle equazioni di condizione che hanno servito a compensare le misure .considerate h (vedi § 53 formula 115) : si avrà dunque (235) Però nel caso di una livellazione geometrica, alle N — P + 1 equazioni indicate nel § 88 vanno qui aggiunte evidentemente le n condizioni che si riferiscono alla compensazione delle coppie h', h" di differenze di livello misurate per ciascuno dei tratti l, giacché la (235) si riferisce al caso in cui sono introdotte in calcolo le singole misure anziché le medie delle osservazioni coniugate: perciò si ha Ricordiamo per ultimo che il valore di calcola molto facilmente dalle equazioni ridotte correlanti per mezzo del- 100 Capìtolo settimo. l’algoritmo di cui già tante volte ci siamo serviti per dedurre le espressioni dei pesi e degli errori medii nelle parti precedenti di questo capitolo. 90 . Nel § io del capitolo V (vedi Voi. I, pag. 183), parlando dello sviluppo delle basi geodetiche, ci siamo riservati di studiare a suo tempo la forma più vantaggiosa da dare al complesso dei triangoli che legano una base al primo lato geodetico di una rete, ed è qui il luogo d’intraprendere un tale studio. * Anche in questo caso conviene evidentemente introdurre la considerazione dell ’ errore medio unitario (corrispondente all’unità di lunghezza) ogni volta che si tratta degli elementi lineari dei triangoli (vedi § 9 del capitolo V e § 89 di questo capitolo) : la relazione che lega questa quantità, che, al solito, rappresenteremo in generale con y, all’ errore medio ni corrispondente all’ unità di peso in un lato di lunghezza l non è però la (23 3), la quale suppone la lunghezza l misurata successivamente per brevi tratti; in una triangolazione un lato l non è scindibile che in porzioni nelle quali gli errori di osservazione hanno influito ugualmente in proporzione della lunghezza di queste, giacché non si può considerare una porzione misurata separaramente dalle altre: si deve dunque porre: m ( 2 37 ) e la quantità y. deve essere considerata come un errore di relazione piuttosto che come un errore medio nel senso assoluto di questa parola. Consideriamo anzitutto un solo triangolo piano ABC, di cui sia noto esattamente il lato a (base) e siano stati osservati direttamente i tre angoli, e rappresentiamo con (1), (2), (3) le correzioni che a tali angoli debbono esser fatte in conseguenza della compensazione: il valore più probabile dal lato b sarà dato dalla relazione b ed il peso p b e 1’ errore medio m b di questa determinazione si ot- * L’indole dell’opera non ci consente di trattare distesamente quest’argomento : il lettore può consultare in proposito l’interessante memoria di Helmert già altra volta citata, intitolata Studien iiber ratìonelle Vernmsungen (Zur Theorie der Basisnd^e) e pubblicata nel Zeitschrift fìlr Mathematik, und Phisik, von Sclòmilch, 13. — 1868. Teoria della combinatone delle osservazioni. IOI terranno senza difficoltà applicando le formule generali (122) stabi- a sen B lite nel § 54. Se si pone per brevità b 0 = sen A la (119) del suddetto paragrafo dà in questo caso (vedi capitolo V, formula 22) : b = b o { l ~ (0 cot g A + ( 2 ) cot S B ] > mentre l’unica condizione.fra le correzioni (1), (2), (3) è la seguente * (0 + (2) + (3) — A = °> essendo A l’errore di chiusura del triangolo considerato. In conseguenza per applicare le (122) si dovrà porre ^1= — K cot g A, F = b 0 cotgB, F,= F 4 =... = o A=A==A= 1 , A=A =... =B=B = ...=C=C=... = o. Siano rispettivamente p i} p 2 , p i pesi degli angoli osservati A, B, C, e sia ni l’errore medio corrispondente all’unità di peso; la seconda delle (122) dà: cotg A , cotg IT 1 cot 2 A ■ = b 2 A cotg 2 B A .Pi A — + — -fi — Pi P> Pi \ (238) dalla quale si trae con ovvie riduzioni : J_ = , 2 A C0t g 2 A + P, cotg 2 B A-p 3 ( cot g A -f- cotg By P» ° AA+AA+AA AJh .. jp 2^ Ai-Pi c ° l S[B+P _3 (cotgA+axgEy b „ V AA+AA+AA ( 2 39 ) 3 1 3 ove nell’ espressione di y. 0 abbiamo aggiunto il fattore sen 1 " nel- l’ultimo membro per indicare che mentre l’errore medio dell’unità di peso, secondo la consuetudine trattandosi di misure angolari, si suppone dato in secondi, l’errore medio unitario [J. b s’intende invece espresso in lunghezza. Queste formule dimostrano un teorema molto importante per la teoria che ci occupa, ed infatti dalla (238) si vede subito come in un triangolo in cui un angolo è molto acuto, almeno uno dei lati geodeticamente calcolati resta determinato con un peso relativamente molto piccolo, a meno che il peso dell’ angolo acuto osservato non sia molto grande in confronto dei pesi degli altri due angoli. Ora nelle reti di riattacco di una base ad una triangolazione trattandosi di passare da una geodetica direttamente misurata, e quindi molto corta, ad una geodetica molto più lunga, o reci- 102 Capitolo settimo. procamente, per mezzo di un piccolo numero di triangoli, * di-: viene impossibile l’escludere gli angoli relativamente molto acuti. .Dalla prima delle (239) risulta inoltre che dato poi a priori A o E il massimo valore del peso P b si ha rispettivamente per B od A di 90°. Concluderemo che: i.° In generale gli angoli molto acuti di una rete geodetica debbono, teoreticamente parlando, essere misurati con una precisione molto maggiore degli altri in modo che, presso a poco, il peso di ciascun angolo sia proporzionale alla sua cotangente. 2. 0 In una serie di triangoli simili crescenti (sviluppo), in ciascuno dei quali uno solo dei lati calcolati serve di base ai triangoli successivi e l’angolo opposto a questa ha un valore dato, la miglior forma da dare ai triangoli è la rettangola, l’angolo retto essendo opposto al lato che deve esser poi considerato come base. Lo sviluppo- in questo caso ha la forma indicata nella fig. 57, ove le linee pun- K Fig- 57- teggiate indicano un secondo sviluppo per la chiusura del poligono- * Vedremo fra breve che, in generale, col crescere di troppo il numero dei triangoli dello sviluppo diminuisce il peso della determinazione del lato finale. Teoria della combinazione delle osservazioni. 103 intorno ad A, AB la base da sviluppare, A C il lato geodetico di riattacco alla rete principale, KH una linea aggiunta per avere una condizione lineare di più. In generale gli sviluppi di tal forma . hanno l’inconveniente di dare un numero di condizione troppo piccolo rispetto al numero dei loro vertici. 3. 0 In una serie di triangoli simili decrescenti (riattacco alla base') in ciascuno dei quali uno solo dei lati calcolati serve di base ai triangoli successivi, e ! angolo opposto al lato che si calcola ha un dato valore la miglior forma da dare ai triangoli è la rettangola, l’angolo retto essendo opposto alla base. 91 . Consideriamo ancora una catena semplice di triangoli successivi, che, partendo da una base misurata b, conduca alla determinazione del lato L. Il valore di questo in funzione degli angoli misurati nella catena è dato dall’espressione [§ 75 formula (177)] : ^ j sen M l sen M 2 sen M ì sen M„ sen Al, ’ sen N 2 ' sen N sen N„ Poniamo in generale X = sen M sen N e rappresentiamo con x l’errore commesso nel calcolo di tale quantità a causa degli errori di osservazione fatti nel misurare M ed N. L’espressione dell’ errore corrispondente A L in L si ottiene collo sviluppare in serie la precedente espressione di L, rispetto ad x : , x 2 ,.. . x„; ritenendo al solito le sole prime potenze di queste quantità avremo quindi: \L = b[X 2 X^...X n x 1 +X i X } ...X n x 2 +...X i X 2 ...X n ^x„}. Ora la determinazione del lato L per mezzo della base b può esser fatta in un numero infinito di maniere, giacché la forma della catena congiungente è del tutto arbitraria: lasciando in disparte la forma di ogni singolo triangolo è quindi importante il ricercare se sia più conveniente per la precisione del resultato di adottare una catena di triangoli piccoli e numerosi, od un piccolo numero di grandi triangoli. Evidentemente in questa ricerca basta considerare il caso in cui i triangoli della catena sono simili, nella quale ipotesi X l , X 2 , ... X n prendono lo stesso valore X, e la precedente espressione di A L diviene A L = b X n ~ i (x, —J— ac 2 —|— ... —|— x„), essendo L — bX n ed in Al L z conseguenza : *, + **+••• -*» X 104 Capitolo settimo. A L Se si considera -j- come una funzione lineare rispetto ad x it x z ,..., e si rappresenta in generale con m x l’errore .medio corrispondente ad x, dalla relazione precedente si può trarre l’errore medio unitario [/,, della determinazione di L applicando la solita formula (34) del § 26: si trova in tal guisa \l[m x m x ] da cui, se si suppone, come è naturale, che tutti gli angoli della catena sieno stati misurati colla stessa precisione, avremo finalmente : (240) Questo risultato dimostra che la precisione della determinazione di un lato trigonometrico diminuisce proporzionalmente alla radice del numero dei triangoli (simili) impiegati: può poi servire a stabilire il numero delle basi e la loro posizione nella rete in modo che l’errore medio unitario dei lati più distanti da esse non sorpassi una quantità data, giacché l’errore medio di un osservazione angolare (e quindi il valore di mf) è sempre conosciuto a priori con più che sufficiente approssimazione. Inoltre ci permette di formulare il seguente teorema conosciuto sotto il nome di teorema di Laplace: Di due reti geodetiche che coprono la stessa zona e sono com - poste di triangoli equiangoli e poggiate su lati determinati con ugual precisione (unitaria) con osservazioni angolari egualmente precise, è piti precisa quella in cui i triangoli sono più ampii. Questo teorema suppone che gli errori medii corrispondenti all’ unità di peso nelle due reti comparate siano uguali, e che gli errori sistematici nelle misure azimutali siano indipendenti dalla distanza dei punti osservati : per conseguenza non vale che per distanze geodetiche minori di 60 chilometri, giacché al di là di questo limite, diventa sensibile la refrazione laterale ellissoidica e casuale (vedi § 21 del capitolo VI). Però dentro i 60 chilometri la precisione relativa delle reti a grandi triangoli è ancora aumentata dalla influenza relativamente più piccola delle fasi dei segnali geodetici, e degli errori inevitabili che si commettono nella determinazione degli elementi necessarii per la riduzione degli angoli ai relativi centri di stazione. 92 . Rifornando ora alla relazione (240), notiamo come, data la base b ed il lato di arrivo L, il valore dell’errore medio m x Teoria della combinazione delle osservazioni. 105 dipende dalla forma dei triangoli simili successivi della rete con- giungente, ossia da X, mentre, ponendo per semplicità ~=k, si ha: k = X", log k log X ( 2 40 Si può quindi domandare quale è il numero dei triangoli della rete che, in corrispondenza ad una data famiglia di triangoli (per esempio isosceli o rettangoli), dà la massima precisione nella determinazione seti M del lato finale L. La relazione generale fra m x ed X ■■ si ha & „. x jy dalla seconda delle formule (239), facendovi A — N, B = M, b o =X, nel qual caso se ne trae = m sen W/1 / A cot S 2 N +A C0 ¥ M + A (cotg N+ cotg M ) 2 X V Wa+AA+APj ove p t ,p 2 rappresentano rispettivamente i pesi delle quantità N, M e p quello del terzo angolo del triangolo ; ed è chiaro che la formula sopra scritta (come le 239) comprende anche il caso in cui uno degli angoli è stato concluso, bastando allora supporre nullo il relativo peso. In conseguenza la (240) dà: — sen 1". log k p 2 cotg 2 N -j- p t cotg 2 M-\-pz (cotgN + cotgM ) 2 log sen M sen N (242) La rete dei triangoli rettangoli crescenti, considerata nel paragrafo precedente come una delle più convenienti, corrisponde al caso di M — 90°, e quindi l’errore medio unitario \m del lato finale L è dato allora dalla relazione : (jtg =m sen 1 log li log sen N AA+Afh+AA ’ (243) da cui si vede che il valore di N che rende minimo l’errore medio unitario y.', è indipendente dal rapporto k fra il lato finale e la base di partenza, e corrisponde al minimo valore che prende la quantità r c °¥ N Capitolo settimo. ioé per N compreso fra o° e 90°. Ora è facile constatare che la derivata d F cos N ( , . T . i\ - -Icos N— 2 log-r-, 1 ( b senN) dN seri N log 2 . j b seri N si mantiene costantemente negativa fra i limiti di N sopraddetti, quindi pd diminuisce col crescere di N ed acquista il più piccolo valore per N = 90°. Introducendo questa ipotesi nelle (241) si trova n=o o, risultato che dimostra come sia, in questo caso, conveniente il moltiplicare più che è possibile il numero dei triangoli simili dello sviluppo. Per trovare poi il limite M t) al quale tende y.ì col crescere di n, e che corrisponde alla massima precisione teoretica nel lato finale L, basta notare che per N = 90° il valore di F, che si presenta sotto la forma indeterminata è eguale a 2 e quindi si ha : Mp= 2 m 1 seri 1 1" \ogk P 2 +P3 ( 244 ) Fig. 58. A/h+Aih+M ’ 93 . Confrontiamo ora la precisione dello sviluppo rettangolare sopra discusso con quella dello sviluppo romboidale accennato nel § io del Capitolo Y. Perciò sia A C = b (fig. 58) la base misurata, ABC il primo triangolo dello sviluppo romboidale e § la distanza del vertice B dalla base b ; avremo: AB = b .seri (C + (3)) sen ^B -f- (2) j e quindi: bsen (-4 + (i)) j«*(C +(3)) sen ^ B -fi (2) j da cui, sviluppando in serie rispetto alle correzioni e ponendo b sen A sen C 8 = sen B si trae con facili trasformazioni: S = S o[ I +(i)cotgA — (2)cotgB + (3)cotg C}. Fra le correzioni (1), (2), (3) si ha la solita unica condizione (0 + ( 2 ) + ( 3 ) — A = °, Teoria della combinazione delle osservazioni. 107 in modo che per l’inversa del peso della determinazione 8 , con una deduzione analoga a quella sviluppata nel § 90, si trova in generale J_ _ *2 pfcotgB+cotgCy+pXcotgA—cotgCy-Tp^cotgA-TcotgB) 2 P* ° AA+AA+AA ’ ( 45) essendo />,, p 2 , p } i pesi rispettivi degli angoli osservati A,B,C. Nel caso speciale di un triangolo isoscele, evidentemente i due angoli A, C, adiacenti alla base hanno la stessa importanza nella determinazione di 8, ed è quindi logico il supporli misurati colla stessa precisione; inoltre, rappresentando con 0 la metà del terzo angolo misurato B, è: D 0 = — — 90° — A = 90° — C, e perciò la (246) ci dà: 1 2 $1 (cotg 2 0 —(— tang 0) 2 Pj Pi + 2 Pz di dove, osservando che fra d o e b vi ha la relazione approssimativa S o = — cotg 9 , si trae facilmente: j___ b 2 Po' — (i6p 2 -±-Sp,) sen *® niseni"b I 1 mg =-rrr V —r—;- ■ 2 senfi V 4A + 2 Pi Se invece di un solo triangolo isoscele A B C e della distanza §, si considerano i due triangoli ABC, AB'C (fig. 58) simmetrici rispetto alla base data A C e la distanza BB’ = A = 2 8 fra i loro vertici opposti B e B', supponendo gli angoli che si corrispondono misurati colle stesse precisioni si ha evidentemente : «Zi = mg . \j 2, giacché le due parti di cui si compone A provengono da due determinazioni fra loro indipendenti: in conseguenza l’errore medio ma della determinazione di A fatta per mezzo del rombo AB CB r è dato da Ciò posto, immaginiamo protratto lo sviluppo della base b per mezzo di figure romboidali simili successive A B A' B ', B C B' C', m \- b . m sen 1 '' 2 sen 2 0 2 A+A ( 2 47 ) io8 Capitolo settimo. CD C' D', . . . (fig. 59), risolute successivamente prendendo a base le rispettive diagonali b — A A ', A t = B B', A 2 — C C',... E chiaro allora che la diagonale A„, che supporremo essere il lato di riattacco fra lo sviluppo della base e la rete geodetica, è data da A „ — b cotg n 9 (248) e perciò, rappresentando con me l’errore medio di una determi- D F>g- S9- nazione di cotg% si ha [vedi § 91, formula (240)] u.A =- r V n (249) 1 “ cotgti v v essendo log cotg 0 11 ■=. Teoria della combinazione delle osservazioni. 109 Il valore di me si deduce senza difficoltà dalla (247), giacché per b = 1 si ha in essa A = cotg 0 ; ponendo per brevità, come nel 92, /e = -y, si trova quindi dalla (249): ni sen 1 '\jlogk (250) 2 sen 0 cos 0 \j log cotg 0 V 2 P 2 J rP 1 Ne risulta che il valore di 0 che rende minimo l’errore medio è indipendente dal rapporto k fra la base ed il lato finale, come nel caso dello sviluppo rettangolare, ed è quindi una costante che si deduce dall’equazione : d (sen 2Ì\J log cotg 0) dì Eseguendo la derivazione si trova 1 = o. ■ (2 cos 2 0 log cotg 0 — 1) = 0, ( 2 5i> \j log cotg 0 il logaritmo essendo naturale, d’onde si trae empiricamente 0 = 24 0 . 48’. 30" circa, ( 2 5 2 ) e perciò si ha per il minimo valore dell’errore medio della determinazione di A • Al 2,27 m sen 1 Log. k ( 2 53 > V 2 P*+P, il logaritmo essendo comune. Il confronto di tale resultato con quello (244) corrispondente allo sviluppo rettangolare non può però esser fatto se non partendo da qualche ipotesi sui pesi degli angoli: e più di tutto è evidentemente logico il supporre uguale nei due sviluppi il lavoro complessivo d’osservazione azimutale, lavoro che dipende sostanzialmente dal numero delle stazioni dello sviluppo e dal lavoro in ciascuna di queste. Fra tali due aliquote del lavoro totale non si può assegnare veruna relazione a priori, e, perciò, conviene tenerle distinte nella discussione, supponendo che i due sviluppi siano composti dello stesso numero di triangoli, e che sia costante in ciascuno di questi la somma dei pesi delle tre misure angolari. Se dunque v è il numero delle diagonali successive dello sviluppo romboidale, 2 v sarà quello dei triangoli elementari in ciascuno dei due sviluppi da comparare, e per gli errori medii unitarii no Capitolo settimo. della determinazione del lato finale avremo rispettivamente nei due casi [formule (253) e (243)] : Mo — 2,27 m sen 1" Log k V 2 Pi'+ PS MI == m sen 1" cotg N Log l Pi +Ps' Log sen N PI PI+Pi Pi+PiP '*r ove si ha [formule (241) e (248)] : Log k = v Log cotg 6 = v Log cotg (24 0 .48'. 30") = 2 v Log ed il doppio accento alle lettere si riferisce allo sviluppo romboidale, l’accento semplice al rettangolare. Il valore di N resta quindi perfettamente determinato da questa ultima relazione ed è prossimamente di 42 0 . 50', di modo che la precedente espressione di M/ dà : M/ = 2,63 msen 1' ^ L °g k \JjJ Pl~\~Pì Pi + Pi PI +P1P1 Si può semplificare più oltre la ricerca che ci occupa osservando che i pesi pp e p ' influiscono ugualmente nel valore di Af/ e che, perciò, è logico di supporli eguali: introducendo quindi la costante P del lavoro azimutale di ciascun triangolo (lavoro che può venire misurato dalla somma dei pesi degli angoli) in modo che si abbia P^Pl+Pl + Pl^Pl'+Pl'+P", avremo finalmente: MI 1,60 .mseni"\]Logk P— — A 2 ri M' = 2,63 . msen 1" \]Logk V Di qui si vede, come del resto già sapevamo, che la massima precisione tanto nello sviluppo romboidale quanto nel rettangolare si ha quando si concentra tutta la cura dell’osservazione sull’angolo opposto alla base di ciascun triangolo. Nella discussione che ci Teoria della combinazione delle osservazioni. ni occupa'è poi evidentemente da supporre p^=p l ", nel qual caso si ha o,6 circa. d’onde si conclude che il peso dello sviluppo romboidale, a lavoro complessivo costante, è sempre circa due volte e mezzo maggiore di quello del rettangolare, qualunque sia d’altronde il rapporto fra la base ed il lato finale. Del resto la precisione relativa dello sviluppo romboidale è ancora molto aumentata in pratica dalle condizioni geometriche cui dà luogo se si osservano le direzioni delle diagonali, giacché evidentemente la figura romboidale è quella che fornisce il massimo numero di condizioni col minimo numero di triangoli ben conformati. Alla stessa conclusione si giunge considerando costante il lavoro complessivo di osservazione, astrazion fatta dal numero delle stazioni, nel qual caso questo numero, ed, in conseguenza, la somma dei pesi delle osservazioni relative ad ogni singolo triangolo, debbono essere considerate come delle variabili da determinare nel modo più conveniente. Sieno infatti v, e 2 v 2 rispettivamente i numeri dei triangoli elementari nello sviluppo rettangolare e romboidale, ed abbiasi per ipotesi : ',(>/ +PJ +PD ( p: +2A') 2V 2 (A"+A" +/>,") 2V 2 (2p/'+ p 2 ") Dalle solite relazioni (241), (248), (243) e (253) avremo: v « l0g T^TN = ì °g k = ' J 2 log cotg 6 msen i 1 'v r cotg N 1,31 msen 1 ove, per quanto è stato detto poco sopra sull’importanza relativa di pj, p" negli errori medii M/, M ” , è da supporre : C— = C — 2 2 Si ottiene adunque 1,31 .v v t . cotg N 112 Capitolo settimo. ovvero, sostituendo al rapporto — il suo valore in funzione di N, n M» 2 M' log 3 > 9 2 ' sen N cotg N il logaritmo essendo volgare; d’onde risulta che il massimo valore che può prendere il rapporto fi, corrisponde al valore N t di N compreso fra o e 90° che rende minima la quantità cotg N ÌOg senN Derivando ed eguagliando a zero si trova : -^-jTr \i>.cos z N — log — 1 —rj^ sen N ( r 6 sen N ■ =0 essendo p = 0,4342945 il modulo dei logaritmi naturali, e da questa equazione, risoluta empiricamente, si trae per il suddetto valore di N: N l = 2 6° . 1 . 3 o" circa, che, introdotto nella precedente espressione di fi, dà: M z " — 0,68 M[. La precisione dello sviluppo romboidale è dunque anche in questo caso assai maggiore di quella del rettangolare; però conviene notare che il lavoro effettivo, tenuto conto del numero delle stazioni, nello sviluppo rettangolare, è molto minore, mentre questo raggiunge una precisione un poco maggiore che non nel caso precedentemente discusso: ed invero dalla relazione log- ,-r v 2 & sen N v, log cotg 9 si ottiene 2V 2 =2,I v,, che mostra che nello sviluppo romboidale si richiedono il doppio delle stazioni, che non nel rettangolare. CAPITOLO Vili. COORDINATE GEOGRAFICHE, DISTANZE ED AZIMUT SULL’ELLISSOIDE. 1. Le reti geodetiche calcolate e compensate coi metodi esposti nei capitoli precedenti, non danno che le posizioni relative delle proiezioni geodetiche dei punti da esse collegati; quando si vogliono conoscere le corrispondenti posizioni assolute sull’ellissoide terrestre, è necessario di riferire i vertici trigonometrici a delle linee conosciute di questa superficie, come sono ad esempio i meridiani ed i paralleli geodetici. Il sistema più conveniente di linee coordinate non può essere assegnato in generale, giacché dipende dallo scopo cui deve servire la determinazione dei punti suddetti. Per la costruzione delle carte geografiche si ricorre spesso, ad esempio, alle coordinate geodetiche polari, od alle coordinate cosi dette di Bonne e di Cassini , coordinate che non potrebbero essere adottate con vantaggio in altre quistioni geografiche o geodetiche. Però quasi tutte le coordinate che si sogliono considerare possono essere espresse per mezzo di formule abbastanza semplici in funzione dalle coordinate geografiche (Latitudine e Longitudine geodetica), che sono, senza dubbio, le più comode nelle ricerche di alta geodesia, e presentano il grande vantaggio di sintetizzare, per dir cosi, le condizioni fisiche e naturali del punto che determinano. Vediamo^dunque come, data una rete di triangoli, si deducano le latitudini e le longitudini geografiche dei suoi vertici. È superfluo notare come per tale determinazione sia necessario ricorrere alle osservazioni astronomiche, giacché la conoscenza dei meridiani e dei paralleli terrestri poggia sulla loro relazione colla sfera celeste: ma con tali osservazioni non si riesce direttamente a determinare, in ultima analisi, che le direzioni delle verticali terre- Pucci, Geodetta. II* Capìtolo ottavo. 114 stri, ossia valori affetti dalle attrazioni locali, i quali, nell’ignoranza in cui siamo sulla natura analitica del Geoide, e per cagione delle casuali ondulazioni di questa superficie, non hanno nessuna relazione rigorosa analiticamente assegnabile in generale colle distanze geodetiche fra i punti terrestri, e non possono quindi dare un’idea della posizione relativa di questi. Perciò, la considerazione delle sole coordinate astronomiche non basta ai bisogni della Geografia e della Geodesia, ma è necessario di ridurre queste quantità a quelle che si sarebbero osservate dai punti corrispondenti geodeticamente sopra una superficie ipotetica nota, come è appunto l’ellissoide terrestre, correggendole delle relative attrazioni locali. I metodi, coi quali si giunge a fare questa correzione nel modo più probabile confrontando le osservazioni astronomiche fatte, coi resultati delle triangolazioni geodetiche, e che risolvono una delle più importanti questioni dell’ alta geodesia, saranno esposti in un altro capitolo : qui ora supporremo che sia stata determinata la posizione geografica di un vertice di una rete trigonometrica compensata e la direzione (azimut geodetico) di uno dei suoi lati, per mostrare come da questi dati si possano dedurre le coordinate geografiche di tutti gli altri vertici. Per lo più tale passaggio si fa da punto a punto della rete per successive differenze di latitudine e di longitudine, in modo che la distanza fra i due punti, delle cui coordinate si cercano le differenze, sia molto piccola rispetto ai raggi di curvatura della geodetica congiungente; ma altre volte conviene considerare dei punti collegati indirettamente fra loro per mezzo di una geodetica calcolata da una triangolazione intermedia: questi due casi debbono essere considerati come essenzialmente distinti, perocché, non essendo possibile dedurre formule finite per risolvere il problema qui discusso, nel primo caso è vantaggioso ricorrere a delle serie ordinate secondo le potenze crescenti della distanza geodetica, serie di cui basta tener conto dei primi due o tre termini, giacché riescono allora rapidamente convergenti, mentre nel secondo caso la convergenza delle serie da adottare non deve dipendere dalla posizione dei punti sulla superficie terrestre. <* 2. Siano

    hd" 2 P ds 2 ds + ( 4 ) Capitolo ottavo. 116 Le formule precedenti stanno qualunque sia la natura della curva s : per esprimere che questa è una geodetica dell’ellissoide basta subordinare le coordinate correnti (s, o, w) dei suoi punti alla condizione r . sen a = costante (teorema di Clairaut), dalla quale si possono dedurre in funzione di 9 e di a le espressioni delle derivate ^,... che compariscono nelle (4). Derivando rispetto ad 5 si ha infatti d a tang a d r d s r d s ( 5 ) mentre dalla nota relazione a. cos \/1 — e 2 .sen 2 ds 2 1— e 2 .sen 2 o ds 1— e 2 .sen' 6 .e 4 . sen 2 (0 cns 2 m cns a d co e 2 , sen 2 fi ) 2 ds 3 . e 2 ( ccw 2

    ) d’io sen 2 d , 1 co d s ’ ds 2 2 ds i2 122 Capitolo ottavo. nel punto iniziale ( s.sen «, Ncosfsen 1" s 2 .sen 2 a seno 2. N 2 cos 2 co ds y "7 SPM OC ( rr-r- - \cos 2 a (1 + 3 tang 2 a = $«. -|l-^-1-—X—-j (28) r .cosa. formula analoga alla (16) del § 3, dalla quale si conclude che, anche nel trasporto della longitudine, un errore nell’ azimut non ha che un’ influenza di secondo ordine. Per l’influenza di un errore nella latitudine si ha evidentemente 4 ) <5 A'Wo = s. sen oc. — ; ■ S 9 ■ df T sen cp\ d cp + r .sen oc ■& di p 2 V + -- e quindi, osservando, che, coll’approssimazione del terzo ordine, incluso, in S A co» si può porre ( 1 — e 2 ) sen cp d? a.cos 2 cp^i — e 2 .sen 2 cp r) _ (1—r 2 )(i-f-r« 2 cp) a.cos^cp^i — e 2 .sen 2 cp «(7Ì 1 ) + <•(...) ( 2 9 ) + sen 2 cp C 1 — e 2 ){i±sen 2 e quindi, coll’approssimazione del terzo ordine inclusivo, sarà: A« = A A -fi- e 2 .s 2 .sen2a i cos z . ra e 2 ) 1 2. p .AP(i d Con A J 34 Capitolo ottavo. che è il raggio del cerchio massimo CB ; per conseguenza sono qui applicabili le formule (21) e (2I 6 ’ 8 ) del Capitolo II (Voi. I, pag. 62 e 63), delle quali la seconda, tenendo conto delle conclusioni tratte nel § 14 del Capitolo III, dimostra come l’arco di cerchio massimo C B' differisce in lunghezza tutto al più di una quantità di quinto ordine dall’arco di geodetica CB = 1. Da quanto precede resta dimostrato che nel triangolo sferico P'CB' (fìg. 61) si possono considerare come noti il lato CB' — \ f il lato CP' = 9o°-—, e l’angolo C=9o 0 *: cosi da esso si possono calcolare la differenza di longitudine cercata A co, il lato B'P' e l’angolo P'B'C, che rappresenteremo con 90°—dacché differisce poco da un retto. Chiamando inoltre con <3 l’angolo B'DE , si ha (fìg. 61) P'P'= 90°—4>-|-S, quindi, ponendo l'—j y ^ dal triangolo sferico rettangolo sopra indicato avremo: tang A co == tang V sec tang ^ = sen l'tang sen (4> —■ $) = cos V sen . Ma per lo più queste formule convengono poco al calcolo logaritmico, a causa della piccolezza che hanno Ago, <]>, 4 e V, cosicché è utile ricorrere a degli sviluppi in serie per le linee trigonometriche di queste quantità. In tal modo, limitando l’approssimazione al quarto ordine inclusivo, si ottiene senza difficoltà: Am = V. sec<ì> 1 V 2 .tang 2 sen 2 .1' 4 = k'.tangi’ 1- - -(1 -f 2 tang $>)\ * V 2 .seni" V 2 .sen 2 i”, , , , 0 = tangji —• ——(1-j-3 tawg ) j 1 (40 La prima di queste formule dà direttamente la differenza di longitudine cercata fra i punti A e B dello sferoide : la seconda e la terza servono poi rispettivamente a dedurre l’azimut «' reciproco all’azimut dato «,, e la latitudine sferoidica del punto B nel modo che segue. * Rigorosamente parlando l’angolo in C differisce da 90° di una quantità di quarto ordine che può essere calcolata colla formula (126) dal seguente § 25; ma, trattandosi di un azimut, si può sempre fare astrazione da tale piccola differenza. Coordinate geografiche, distante ed azimut sull’ ellissoide. 135 Se si riferiscono, come nel § 7 del Capitolo II, gli archi EB, EB' (fig. 61), con un sistema di coordinate polari r, X, all’asse polare DE ed al polo D, le formule dedotte nel luogo suddetto (Voli, pag. 60), facendovi r =N = a — 0 0 \j 1 — e 2 .sen 2 < I> y B (i—Q_ et(i-e 2 ) 10 1 — e 2 .sen 2 (1 — danno per l’espressione generale del raggio vettore r lungo l’arco ellittico E B : e 2 X 2 .cos 2 -ì>\ , r = N \ J -JU=7j) + - e quindi, per l’elemento lineare dz di tale arco, si ha dz — N 0 dX\j (r — m.Z, 2 fi- i.m 2 X 2 -f-..., ove, per brevità, abbiamo posto m — - ^{l—e 2 )^ A causa della piccolezza di ni, dalla precedente espressione di dz, almeno per valori limitati di X,, con un facile sviluppo in serie ci tYCt P • dz = N 0 d'C(i-mX 2 +...), e quindi, rappresentando con z la lunghezza dell’arco ellittico EB, avremo : ■KT C 3 Jyf" Y 2 , > 17 „ m.P.senK 1" s = N o J dZ,(i — m.Q = N o \ò.sen. 1'-— + ••• od anche: • N n 8 .seni"^ e 2 . P.N o sen ì i"cos 2 " 3C 1 —O Di qui, osservando che N 0 <).seni" non è altro che la lunghezza dell’arco sferico E B ', si conclude che la differenza di lunghezza fra questo arco e l’arco ellittico EB è affatto trascurabile nel caso qui considerato, raggiungendo appena il sesto ordine di grandezze, dacché il, come risulta dall’ultima delle (41), è una quantità piccola di secondo ordine. La differenza di latitudine sferoidica fra i punti C e B, ossia fra B ed E, si può quindi calcolare dalla formula (40), Capitolo ottavo. 136 introducendovi ì>.N a seni" in luogo di a e <1> in luogo di tp^ ma i termini di terzo e quarto ordine di tale formula, a causa della piccolezza di 5 , hanno valori cosi piccoli che si può ritenere senz’ altro il solo primo ordine, ponendo e quindi - (Ì.N^sen 1" S.(i— e 2 .sen 2 ti) p 0 seni" 1 — e i

    - S .(1— e 2 .sen 2( t>) 1 —t ( 42 ) Se per il punto B immaginiamo ancora condotta la normale BB" all’ellissoide, la direzione di tale retta, quella del raggio vettore DB prolungato indefinitamente, e la direzione della corda BC (fig. éi) costituiscono un triangolo sferico rappresentato nella fig. 6i w *, del quale l’angolo in B", compreso fra il piano B'BB" B' del meridiano e il piano CBB" normale allo sferoide in B, è il supplemento a 360° dell’ azimut 0 della sezione normale ellissoidica B C nel punto B. Se la normale B B" in B coincidesse colla retta B B' tale azimut sarebbe dato evidentemente dalla relazione 0= 270 0 -)- <]/; poniamo dunque, per analogia, 0 = 270° + 'F, in modo che il suddetto angolo sferico B" sia dato da 90° — *F, e, rappresentando rispettivamente con 3 e con 90° —)— tt i due lati B B" € B" C, osserviamo che l’angolo B"B‘C è dato da 90 ^ : si avrà allora: sen 3 tangr = cos V tangty—cos 3 sen *F, da cui si trae con ovvie trasformazioni: 1 sen 5 iang^e —. 2 sen 2 — sen v f|. lang tj/ — tang 'F cosW Coordinate geografiche, distante ed agimut sull’ ellissoide. iyj Si ha per altro evidentemente 2- = + S, od anche, introducendo per © il suo valore (42), e ricordando le (41): e 2 .l l2 .sen 1 " sen 2 <1> da cui si vede come 3 è una quantità del terzo ordine. Il valore prossimo dell’angolo t, ossia della depressione del punto C sull’orizzonte di B, è dato poi da —, perciò la grandezza tangty — tang W è tutto al più del quarto ordine, e chiamando quindi con jr la differenza — T, si può porre, nel caso nostro: tang w da cui si trae: — 2. sen - -. sen V 2 £ = cos 'F j tang t . sen 3 od anche fino al quarto ordine inclusivamente, introducendo in luogo delle tangenti e dei seni dei piccoli archi, gli archi stessi, per l I" il suo valore prossimo ed esprimendo tutto in funzione di V : e 2 .\ r \sen 2 i'' ,rew2 (43) 8 Questa formula servirebbe a calcolare la differenza fra l’angolo 270°-j- e l’azimut 0 = 270° -)- W della sezione normale CB in B: ma di solito si fa astrazione da tale differenza, che non diventa apprezzabile che per distanze geodetiche r eccezionalmente grandi, e non ha, in nessun caso, influenza sensibile nel trasporto delle latitudini e delle longitudini lungo una rete trigonometrica, come risulta chiaramente dalla discussione dei §§ 3 e 6. Avuto l’azimut astronomico del punto C rispetto al punto B (azimut in B della sezione normale B C ) si può passare anzitutto senza difficoltà ai- fi azimut geodetico corrispondente, introducendo la solita correzione per mezzo delle formule generali (25) del Capitolo III, le quali, in questo caso danno, chiamando con c la correzione suddetta espressa in secondi, ed osservando che nelle formule sopra citate per s si può i 3 8 Capitolo ottavo. sostituire con più che sufficiente approssimazione l'.a.seni 1 ’ : e 2 . V 2 .sen i".sen2 i>. cos 2 w , c =-■- 1 - L -f- ... 12 o, più semplicemente, a causa della piccolezza di e tenendo conto delle (41): c e 2 .\ n .sen 2 i''.sen2

    24 (45) 11. Il procedimento di calcolo sviluppato nel numero precedente è dovuto ad Andrae, ed è molto semplice e conveniente in tutti i casi in cui la risoluzione del triangolo sferoidico ausiliario ABC può essere ridotta a quella del triangolo piano di eguali lati per mezzo delle formule (16) o (17) del Capitolo V (Voi. I, pagine 172 e 173): nei rari casi di distanze geodetiche maggiori la ricerca delle ausiliarie 1 , a e (3, diviene assai complicata. Il metodo seguente mantiene invece pressoché la stessa semplicità di calcolo anche per archi di geodetica eccezionalmente lunghi (ma non illimitati), come ad esempio sono quelli di un migliaio di ■ chilometri. Sia a la lunghezza dell’arco di meridiano compreso fra i paralleli dei punti A e B, punti che supporremo come precedentemente congiunti dall’arco di geodetica r; ritenendo le notazioni dei numeri precedenti per la latitudine e per l’azimut di un punto qualunque, e per quelli dell’ estremo A di questa curva avremo come è noto : d <7 = p ,d

    , e 2 s’seno, cos2 x sen2 co ^ 4. N/(i — c 2 )seni " ^ 12 . N; j ( 1 — e 2 )sen r" „ e 2 , P. rew a sen 2 a, cor 2 o, C = 5 —'- xtT 7 -—- 12 . Al, (1 — e ) Per tutti i possibili lati di una rete geodetica osservata poi, quando non si voglia approssimazione maggiore a o".ooi nei risultati, si può porre semplicemente : Am = AQ A« = Aj-f c= 5 e .s .sen2x i cos cp r 4. jV, 2 (i — e 2 )sen 1" ( 49 ) Ora il triangolo sferico AB’P' (vedi pagina seguente, fig. 6 2), formato sulla sfera ausiliaria dal già considerato arco di cerchio massimo s, e dai meridiani sferici che lo limitano, ha per angoli (vedi §§ 5 e 8) A fi, 180 0 —oq— A A ed a,, ed i lati rispettivamente opposti ai primi due di questi sono s e 90° — > o co r-> •st* r-> so Os II Q> Si b/) 1 rA 00 Os SO ■rA O MD C4 SO ^ cq <0 VO c OO OS rr\ rr\ ©* 3 <1 O Ò C\ I o o bp b/j « o o T T O co O ~ O' Os -^t- M O ^ Os Os Tj- bo £ br, bo SO o os r-* so SO O -H CO t-H t-t w rr\ OS O OS 1 1 O CO n er\ O rrs co r/A O r-*. < ■> O OS | -) O CTs oo OS ds OS Os M H II II 1 Jl II 11 . <1 + Si « C 5 Si sì <-1 £ *fc> 1? 8^ M sì » 4 & a 1 < I b /3 bo &> !>. CO 4 os o ^ 4 00 Co ■ bo bo Cf> Q, & Capitolo ottavo. 144 Se si calcola poi in modo analogo la posizione geografica di Lissa sì ottiene partendo Da Giovannicchio ? = 43°-oi-44,867 m= 0.36.25,485 «,'= 184 .58.44,024 «' — a! = 2 1 Angolo del triangolo in Lissa = Differenza = Da Tremiti ?= 43.01.44,867 w= 0,36.25,485 x '= 206.30 10,431 21.31.26,407. 21.3 1.26,407. = 0.00.00,000. 12 . Tutti i sopra esposti metodi di calcolare le differenze fra le coordinate geografiche di due punti collegati da un arco di geodetica noto in direzione e lunghezza suppongono che il rapporto fra questa lunghezza ed il semiasse terrestre sia notevolmente minore dell’unità; esporremo ora un metodo, dovuto a Bessel, completamente generale, premettendo alcune formule e considerazioni sopra una quantità ausiliaria ben nota ai geodeti sotto il nome di latitudine ridotta; quantità che rappresenteremo di qui innanzi sempre con u, e che è analiticamente definita dalla relazione r —a costi, (56) escludendo la soluzione per cui a © ed u corrispondono angoli di segno contrario: è inutile il dire che nella (56) le lettere r ed a hanno il loro consueto significato. È facile il costruire geometricamente l’angolo u corrispondente ad un punto M di data latitudine: infatti sia P ME un meridiano ed EO il suo semiasse maggiore (fig. 63), e, circoscritto all’ellisse EMP una circonferenza, si tracci l’ordinata MQ —y del punto M, e si prolunghi fino ad incontrare in M' la detta circonferenza. Nel triangolo OM'Q si ha evidentemente QO = r, M '0 = a, e quindi r = a . cosM 0 Q-, d’ onde si vede che la latitudine ridotta u è in figura rappresentata dall’angolo M'OQ. Analiticamente poi dalla (56) si ottengono senza difficoltà le seguenti formule di corrispondenza fra la latitudine ridotta e la Fig. 63. Coordinate geografiche , distante ed agimut sull’ ellissoide. 145 relativa latitudine geografica: COSQ cosu = . . -r V 1 — e 2 .sen 2

    costi K 1 1 w mentre si ha: cos « T sen a cos u sen a i sen a, cotg a = cos a l cos 0 — sen 0 tang u s . Quindi si trova du—db .cosa, e per conseguenza, dalla (60) : ds = adb\] 1 — e 2 .cos 2 u. (62) (63) L’integrazione di dB\j 1— e 2 .cosati non è possibile in termini finiti, giacché dipende dalle trascendenti ellittiche. Per mezzo di queste potrebbe venir calcolato s in funzione di 0 e, reciprocamente, 0 in funzione di s\ ma, oltre che i mezzi che possediamo per 1’ esecuzione di un tale calcolo sono ancora piuttosto deficienti, a causa della piccolezza di e 1 è molto più conveniente e sbrigativo ricorrere ad uno sviluppo in serie. Per ciò è necessario anzitutto esprimere nella (63) u in funzione di 0, partendo dalla relazione semi = senti ,cosb -J- cos u t senbcos a 0 dalla quale, se si pone cotg M = cotg zq cos a s , (64) 148 Capitolo ottavo. come è sempre possibile di fare, si trae sen(M-\- 0 ) senM ( 65 ) e quindi: ds—a e 2 sen 2 M sen 2 (M -f- 0) . Dalla (64) si deduce ancora con facili trasformazioni sen u cos 2 x i cos 2 u t -{- sen 2 u , cos u sen M cos u i sen oq; così, introducendo la nuova quantità ausiliaria u a definita dalla formula m cos u o = cos u 1 sen oq == cos n sen a, la precedente espressione di ds prende la forma e .sen u ds = adO^ 1 — e 2 y 1 -f- sen 2 (M -(- 0 ) , O i — e' sotto la quale può essere sviluppata in una serie molto convergente ed immediatamente integrabile termine per termine, applicando il procedimento del Capitolo II, § io. L’ausiliaria u o ha un notevole significato geometrico, giacché è la latitudine ridotta dei punti della geodetica s in cui l’azimut è di 90°, e corrisponde ai paralleli fra i quali corre tale curva e che sono tangenti successivamente a punti determinati di essa (Capitolo III, § 4). Per applicare le formule (22), (23), (24), (25) del Capitolo II (voi. I, pag. 64 e seguenti) a questo caso si deve fare in esse e .sen .u, sen .11 e .sen .11 P = e . sen . u 1 + V 1 + 2 Coordinate geografiche, distante ed azimut sull’ellissoide. 149 d’onde, ponendo, per semplificare, tang E - e.senu _ si trova ! ld = — tang 3 E, c ■ V 1—e 2 3 1 — cos E 1 + cos E (67) 2 E -tang -, 1 rr COS - , m 1 -f- cos h 2 ^ 2. cos E cos E ‘ Per tal modo le suddette formule (24), (25) del Capitolo II danno : * ,1 , E , 1 $E , 1 ,, E . A=i+ — tant- + -^tang- + — G tang -fi-... *= -~r tang2 i+i6 tang6 fi + rii tangI0 l- ■ ■ ■ I . = dw\Ji — e 2 .cos 2 u, (Bo) che mostra intanto come la differenza fra w e la differenza di longitudine cercata è dell’ordine di e 2 . Per integrare la (80) sviluppiamo anzitutto il radicale in serie secondo le potenze ascendenti di e 2 ed avremo: e 2 , cos 2 11 e*, cos* 11 e 6 , cos 6 11 5 . c 8 . cosati 2 8 16 128 da cui, fra i limiti zero e w dell’integrale, si ottiene: AW = 6J dw. cos 2 n cos 2 u ~4 e 4 , cos*n 8 Per eseguire l’integrazione accennata nel secondo membro conviene introdurre nuovamente la variabile 9 invece della w, eliminando du> per mezzo della (79). Ora da questa, se si tiene conto della relazione generale fra gli azimut e le latitudini ridotte, si trae , sen a. cosu dw— -4- - cos n d 9 , per modo che la (81) si può scrivere come segue: e .costi sena co — w - 1 '.r«( 14- e .cos u 5 .e 6 .cos 6 u 64 -•••) («0 ove rimane ad esprimere ti per 9 e ad integrare. Perciò osserviamo come facendo uso anche qui delle due costanti ausiliarie u a ed M del § 13, definite dalle relazioni costi = cos arseti oc, cotg M = cotg n t cos oc, ( 83 ) Capitolo ottavo. 156 e tenendo conto della (65) posta sotto la forma sen u — sen u a sen (M -f- 0 ), si trae in generale (cos 2 ti)”= [1 — sen 2 u o sen (M-f 0)]”. Il secondo ; membro di questa relazione può essere sviluppato in serie ordinate secondo i coseni dei multipli dell’arco M-f 0 applicando le solite formule (22), (23), (24) e (25) del Capitolo II, nelle quali in questo caso è da porre: e 2 =i, k=senu o , I — cosu t I + COS II , lift =■ - -=cos- 2 -, c 2 2 2 U 0 . - = tang — I -| -COSU o ù 2 In tal modo, facendovi successivamente m = 1, m = 2, m = 3 ,... si trova senza difficoltà : * cos 2 u = cos 4 — ji -f tang 4 — -f 2 tang 2 ^ cos 2 (M -f 0 ) 2 ( 2 2 il = cosali = COS — ^i + itang'^ + tang* 1 ^. ^ ■ -f 2 ^2 tang 2 -j + 2 tan g 6 - jj 2 (M-f 0 ) -f 2 towg 4 -j- cor 4 (M -f 0 ) f -f 9 taw^ 4 — -f 9 tang 8 — 2 2 2 l-|- 2 1 3 tang 2 ^--f 9 tang 6 ~ -f 3 tawg- 10 ^jcor 2(M-|-0) |-f 2^3tó«g 4 + 3tórag 8 ^jcor4(M-f 0) -f -f 2 f awg 6 — cos 6 (M -j- 0 ) \ 2 ) * I valori dei coefficienti A 0 , A x , A 2 ,... che si deducono dalle formule ■(24) del Capitolo II, supponendovi successivamente m — 1, m = 2, m Coordinate geografiche, distante ed agitimi sull’ ellissoide. 157 ' per conseguenza dalla (82) si deduce 1 rZ -P 2 ^ 1 e liÉ. ù =w —r . cos u„ dbl i+^(i + 0+-f-(i + 4^ 4 )+ ' + + 9 ^+ 9 c+ +c 6 ) + -" ,2.2' X ,4 -^( 2c + 2c3 ) + + 2 \ 4 c 6.6 [cW 2 (M+ 0 ) + C3 c + 9^+3^) + --' + 2 j¥ c ’+ (3 c ’+ 3 f4) + • • ■ ì **4 (M+ ») 4-2 jL^£f c 3 + ..J fW 6(Af+6) ( 64 ) e 2 cos^ 2 “2 4 ror 8 -- , 2 ! . .11 \ , 2 ' ove per semplicità di trascrizione abbiamo ritenuto le notazioni p, c Il 11 per le quantità cos 2 , tang 2 . Ponendo iK [ifi-^tang^ + tang* ^ ^2 tang 2 4" 2 tang 6 + • • • j 4 - ■ • ■ 4 v i + ^ 4 f) + e 2 co^ e*cos* — -taH? — 4 2 8 (84) 4- àcos* ^ 2 S U Q —8 — tang ~i sono i seguenti: perm=i si ha A 0 = 1 -J- c 2 , A) = c, A 2 = A 3 = A,= ... =ó m = 2 A a — 1 4- 4c 2 4~4 Ay= 2 'c-\- 2 c 3 , A 2 — c 2 , A 3 ~A,= ... = » jk= 3 A= 1 4 - 9c 2 + 9c 4 + c 6 , 4= 3 c+9c 3 + 3 c 5 , A 2 = 3 c 2 4- 3 c 4 4-, 4 = c 3 , A t =A ~... = o m = 4 z ? 0 = 1 -f i 6 c 2 + 36 ióc 6 4- 1: 8 = 4 c4- 24 c 3 4- 24c 5 4- 4 « 7 A 2 = 6 c 2 4- i6c 4 4-6c 6 , ^ 3 =4c 3 4-4c 5 , Ai—à, A~=. ..—o .. i 5 8 Capitolo ottavo. si ha finalmente Am = w e cosu c «=» \ 5 0 +2 % B„cos2n(M-\-Q')l ed eseguendo l’integrazione: seti n §cosn(2M-\- G B 0 %-\~ 2 formula che può servire direttamente al calcolo della cercata differenza di longitudine Am. Infatti l’arco G e le ausiliarie u o ed M devonsi supporre già calcolate nella determinazione della latitudine u e dell’azimut a corrispondenti al punto B (vedi §§ 13 e 14), quindi per l’applicazione della (85) non resta da cercare che il valore di w, il quale può essere dedotto dal solito triangolo sferico ausiliario P'A'B’ per mezzo di una qualunque delle formule seguenti : * sen G seti et. sen w = cosu i sen G sen et 1 sen w cos u sen G cos u o sen w = cosu i costi 11 — u I ( 86 ) cos w et — a tang 2 2 2 11 —11 1 C/>W 2 o delle: sen 45 sen 45 cori 45 cos 145 ( 86 Ms ) * Relativamente al calcolo di w vedasi inoltre quanto è detto nel se' guente § 20. Coordinate geografiche, distante ed azimut sull’ ellissoide. 159 che sono analoghe alle (50) del § 11, e che danno in modo semplicissimo contemporaneamente all’angolo w anche l’azimut a. 18 . Le (84) ed (85), che sono date da Baeyer nella sua memoria intitolata Das Messen auf der Sphàroidischen Erdeoberflàche, permettono di ottenere la differenza di longitudine in modo del tutto generale, ma presentano, come nota Baeyer stesso, una lunghezza di calcolo eccessiva, giacché i valori dei coefficienti B [formule (84)] dipendono dalla quantità u o che è suscettibile di tutti i valori compresi fra o° e 90° e non si hanno tavole in proposito. Le formule analoghe dedotte originalmente da Bessel sono meno rigorose, teoreticamente parlando, ma danno tuttavia molto più semplicemente e per qualunque distanza geodetica la massima approssimazione compatibile coi .nostri mezzi di misura. Bessel osserva che paragonando la serie 5 ,e 6 .cos 6 u e 1 .cos 2 u . e^.cos^u 5 ==i-f 8 64 4 collo sviluppo del binomio S 2 =(i -\-r .e 2 .cos 2 ti)”= 1 ~\-n .r. e 2 .cos 2 u -f- 00 — 2 ) e + . COS A U -f e .cos u -f- 1.2.3 e determinando n ed r in modo che i primi termini delle due serie sieno rispettivamente eguali, la differenza fra i limiti 5 , ed S 2 è data da e 6 . cos 6 u-{- dimodochè se si introduce S 2 in luogo di S, sotto l’integrale della relazione generale (82) si viene a commettere in A m un errore dell’ ordine di e 8 -<0,000 000 002 errore che, tenuto conto della massima approssimazione con cui può esser dato l’arco s, è interamente trascurabile qualunque sia la differenza di longitudine cercata A m. I valori di n ed r che rendono rispettivamente uguali i primi tre termini delle due serie suddette sono dati dalle condizioni n{n — i)r 2 1 2 Capitolo ottavo. 160 dalle quali si trae: r = _ 1 M== _ 1 4 r possiamo dunque porre con Bessel invece della (82) \~3 A (ù = w- e .costi f 6 ( t -I 1—-o\oo5 2 zm , 0 od anche, esprimendo zz per 0 per mezzo della relazione (65), ■ [■ ■+ f ■»•’(«+«)]" v, > Abi — lU- ove l’integrazione accennata si può eseguire per serie col solito metodo del Capitolo II, § io. Per applicare le corrispondenti formule (24) e (25) quivi stabilite vi si porrà _ 1 £ 2 _ 3 sen 2 u o m — ~, t — — 4 j— 3 / + c 2 , , / ,3 e .sen u n / , 3 e i .serìu„ '~y' + ìT=v 1 + 1 / 1 + 3 £ . sen & 4T=tf ovvero, introducendo anche qui una costante ausiliaria E 1 analoga alla costante H dei precedenti paragrafi 13 e 14, e definita dalla formula tang E' -■ 3 E.sen'u 0 4 ^V’ più semplicemente: «z = — — , k 1 = — tozzg 2 £ ' (87) / 1 - 4 -cosE' cor 2cosh' cosE' ’ 2 1 —cosE' c = 1 -)- cor E' E' - tane 2 — Coordinate geografiche, distante ed azimut sull’ ellissoide. 161 ed in conseguenza i 9 A'= i fi--tang* ——|- ~ tang 8 — + tanfi’— -f ... ° 1 9 ù 2 8i 6 2 6561 * 2 ., 1 2 E' 2 É £' 28 . I0 E' A — — tang --- tang 6 --towg- \~ ... 1 3 5 2 27 & 2 729 a 2 . , 2 , E' 14 $ E r 1 A l- ii 81 2 • (88) tang "——|- ... A (ù—W e. T(F- ? dft\A' # « 0 + -g- cotfu —... I J % 2 , s+ s+ , ^ ,- - COS 2 01 - 77 -+- 7 -- T cot g u n -•• , dO'.$ 2 .cosu \j 1 — e 2 .cos 2 u ) . \8 16 16 du> = dw - eJ! -^- °\ 2 .sen / S + \ | + ^ 4 6^_ +.) -cos 6 0 Per mettere il secondo membro di questa relazione sotto forma più conveniente osserviamo che la (94) dà: e 2 .sen 2 u 0 e 2 sen 2 u a -\- (1 — e 2 ') cos 2 u 0 1 + ( : — O c 0 t g 2u o e quindi , e 2 —* 1 à cotgu=-^—-p, mentre, introducendo l’angolo ausiliario E già adoperato nel § 14- e definito dalla relazione _ e. sen u n tang E = -== , y 1 — e si ricava e 2 .sen 2 u■ 2 E -m ir A tang — ^ i — e tang E 2r 2 ò =-2-3— = — ; — 2 —rp = sen h = - t^\~s = , e.semi n 1 4 -tang E ( , 2 E\ l +T=T l I + i “»'l) E E E E = ^tang 2 — — 8 tang + 12 tang 6 —-16 tang H Per ?c o = 90° si ha dunque contemporaneamente : tang E = ^L= S 2 = e 2 , cor£= f T= 7 , V 1 —£ , E 1 — cor £ 1 — \J 1 — e 2 fan? — =-rr =- , ò 2 i+toJi: i+y/i—c 2 Coordinate geografiche, distante ed agitimi sull’ ellissoide. 165 e quindi, rappresentando con n questa ultima quantità, 4 n : 4 n — 8 n 2 -j- 12 ri — 16 jz 4 -f- • • • (I +n) z In conseguenza avremo e 2 — ò' 2 =4^«— tang 2 j j— 8^z 2 — tang^jfi- i2^C—iang ( '~j -... 1 1 —e 1 — e 1 -(- 4 « -j- 8 « 2 -|- 16 « ? + • • • ■■ $ 2 cotg*u 0 = 4^n — tang ' ! + 8^w— tang 2 ^j +... EI E\ S 4 cotg 2 u a = 16 tang 2 —In — tów^ 2 —! + ••• S + — 1 6 tang 4 —|-... = e 1 — e 2 . cos 2 u o -\- e 2 . cos 2 u i <$ 2 .cotg 2 u o ìi*.cotg‘ r u o + - = H 2 \J 1 — e 2 . cos 2 u a _ efi _ sen 2 u o \ji — e 2 .cos 2 u 0 = e 2 \Ji+$ 2 .cotg 2 u 0 =-e 2 ^i-i 2 8 = e 2 j 1 + 2 — tang 2 ^ J + 2 («— tang 2 f ) + ■ • • J e queste relazioni permettono, coll’ approssimazione dell’ordine di e 6 inclusivo, di dare alla (95) la forma semplicissima seguente: d(ù = d I . 1 2 E 1 ,E 1 4 - n- tang - tanr -.. e 2 .cosud 6 2 2 4 w - 2 ^ 1 _£* 1 J* - tang 2 — cos 2 0'—|— tang 4 — cos 46'—... / v 2 2 4 2 J sotto la quale diviene immediatamente integrabile. Cosi, ritenendo le notazioni del § 14, si trova 1+11 —-tang - — -tang*- — ... J(02—0,)j A(ù==w _ e Slf 2 ^\ — L t ang 2 ^sen(p’ 2 — 0,)«w ( 61 + 6 ',) + } (96) ì tang '* — sen2(fi ' l — Wd)cos2 (01-f 0,) + • • • 1 — V 1 — e 1 T+7 1 —e 166 Capitolo ottavo. formula molto conveniente pel calcolo dì A quando la determinazione della latitudine u e dell’azimut a è stata fatta adoperando la (78). I procedimenti di calcolo sviluppati in questo paragrafo e nel § 14 sono dovuti al signor Helmert. 20 . Le formule (65), (71), (61) e (86) danno le quantità 11, a e w in modo affatto generale : tuttavia hanno il grave inconveniente di richiedere un calcolo con almeno otto cifre decimali logaritmiche esatte se si vuole spingere l’approssimazione fino a o",ooi nei resultati. Teoreticamente parlando gli sviluppi in serie che hanno per modulo di convergenza le variazioni degli elementi geodetici (latitudine, longitudine, azimut, distante e quantità corrispondenti a queste sulla sfera ) fra gli estremi dell’arco s non si accordano collo spirito e colla generalità dei metodi esposti negli ultimi paragrafi: però in pratica nella maggior parte dei casi, cioè quando la distanza r non sorpassa il massimo valore possibile in un lato geodetico osservato, è utile di ricorrere a sviluppi siffatti, giacché permettono di ottenere l’approssimazione di o 7, ,ooi anche colle comuni tavole logaritmiche a sette decimali. Ora dalla relazione generale sen u - sen u. sen jfsen(M+Q) del § 13 si trae: sen u = sen u^osfì -f- sen 9 sen u 1 cotg M, da cui, sviluppando in serie senQ e cor 9 , e tenendo conto della relazione (64), si ha : /. ■«. ». Cll W ^ 2 // semi — semi = (11 — ujcosipseni —-——— sen upen 1 '— ' (11—uff , „ , (u — uff 4 . — A— ■ cos u i sew 1 -f- a— sen u l sem 1 -f-.... 24 «^9.r -cos u cos al O.seni 1 ' 9 3 .r«z 3 i"\ semi ) senu( , „ 9 4 , \\ , - .sen 1" — — sen 1 IT- ÌQ 2 -(«-Q 2 L od anche: 11 — u = 9 . cos — hU. tangupen 1 "— _ (« — »,) ’] sen 2 x „_ J _ [ 9 4 -(« — »,) 4 ] tanglaseri’ .. - 24 Coordinate geografiche, distante ed azimut sull’ ellissoide. 167 Di qui, colla approssimazione del quarto ordine inclusivamente, si trae: (11 — zq) 2 = ® 2 - cos 2 **-!— 0 3 • tangiifoscn^en y. i seni"-\- Q 4 e 4 -f- — tang 2 u i sen 2 a.fi\ —5 cos 2 sen 2 1" - — cos 2 ot, i senon 1 seni" , , xW .tangu cos 2 v. sen 2 v. seni" (:U — UJ — 0 3 . C0S 3 oq— -—-__J-!- (11 — zq) 4 = 0 4 .cat 4 oq, e quindi, sostituendo nel secondo membro della precedente espressione di (11 — zq), si trova coll’approssimazione suddetta, 11 — zq= 6 .cos oq — X^.se^ocjangu^en 1" — ‘j 6 & -cos a. i sen 2 a. l (i -\- 3 tang 2 u l ')sen 2 i" -f7 2+ 0 + - tangu^sen 2 aifii —9i-3 tang 2 u 1 (i —3 cos 2 a.^\serì 1". L’errore che si commette in u —zq trascurando il quinto ordine non raggiunge o",ooi se la distanza geodetica 5 non sorpassa 300 000 metri. Ottenuto u, il calcolo dell’ angolo w può esser fatto molto semplicemente; ed infatti osservando che cu e 0 sono quantità dello stesso ordine, dalla relazione sen a sen w = sen 0- - cos 11 si trae coll’ approssimazione del quarto ordine inclusive : ft.senor. 0 3 .sen a sen 2 1 " ( sen 2 oi 7 yj === _ l --- 1 [ 1-L cosu 6. cosu \ cos 2 u (98) Per ultimo, con la stessa semplicità, dopo aver calcolata la differenza di longitudine iw, si può ottenere l’azimut a per mezzo della relazione sen a— oc sen n -f- zq 2 0 2 COS — 2 i68 Capitolo ottavo. dalla quale si deduce, sempre coll’approssimazione suddetta u 4- « w. sen - - w .seti cos — 2 Nel caso poi che l’azimut a e l’angolo w sieno stati calcolati contemporaneamente per mezzo delle relazioni (86 iis ), e la distanza geodetica s non sorpassi 300 000 metri, conviene calcolare la latitudine ridotta u dalla relazione S 2 sen - 2 2 w cos — 2 sviluppata come segue: )• (100) sen 1 n — u = 0 seti 2 w cos - -• 2 21. I metodi esposti nei paragrafi precedenti sono di uso continuo in Geodesia, giacché danno gli elementi geografici fondamentali per la cartografia di un paese e per lo studio matematico generale della superficie terrestre: perciò molte tavole sono state costruite per abbreviarne i calcoli, ed il problema che essi risolvono è stato studiato col massimo interesse. Il problema inverso, date, cioè, le posizioni geografiche di due punti terrestri, determinare la loro distanza e V orientamento della geodetica ellissoidica che li collega, fino a questi ultimi tempi non si presentava che per eccezione, e, forse per questo, considerato quasi come una curiosità scientifica, non fu risoluto in modo rigoroso e generale, ma, nei rari casi, fu trattato con metodi indiretti, per mezzo di successive approssimazioni. Per altro oggidì nell’applicazione dei metodi moderni della Geodesia sintetica tale quistione ha acquistato una notevole importanza, dacché coll’estendersi delle reti geodetiche sopra vastissime regioni e col perfezionarsi delle misure di longitudine, è diventato indispensabile nelle grandi sintesi il paragonare ripetuta- mente le posizioni astronomiche di punti molto lontani, colle relative distanze geodetiche. Ne intraprenderemo dunque lo studio, Coordinate, geografiche, distante ed azimut sull’ ellissoide. 169 distinguendo, come per il problema precedente, il caso di una distanza geodetica limitata, dal caso generale di una distanza geodetica qualunque, ed indicando anzitutto le più semplici soluzioni indirette. Sieno e B (

    r° l' + 3-t«ng ® 0 + 3 - e -cos2 ?o cotg x—e (1 + 14 sen

    0 )j + • • >00 0 2 . N 0 cos 7 + s seti 0 ) N 0 cos

    2 .NI cos 2 ( p ( ( i -» 2 (1+r) 2 Ab>. N 0 cos

    tang a _A co, N 0 cos

    (no) formula che si risolve per approssimazione rispetto a X', introducendovi Ato invece di A fi. In generale però l’angolo X' e l’angolo AQ sono molto piccoli, cosicché per applicare quest’ultima formula conviene ricorrere a degli sviluppi in serie: coll’approssimazione del quarto ordine inclusivo porremo quindi : A fi. N l cos(f l sen 1' seni/ ^Ci 2 . serpi'' ■sen '<.pi (in) Ottenuto prossimamente X, nell’altro triangolo sferico ausiliario A'B'C' (fig. 62) oltre a questo lato si conoscono i valori provvisori! del lato B’C'=S, e dell’angolo C'=ò, valori che non differiscono dai veri che di quantità di quarto ordine: risolvendolo quindi provvisoriamente si avranno con molta approssimazione i valori di r e di «■==§— A', che, introdotti nelle (48), danno modo di calcolare i valori di S e di AO a meno di quantità del quinto ordine. Ripetendo quindi il calcolo si otterranno i valori cercati di 1 e di « . È superfluo notare che in pratica, eccettuato il caso di distanze estremamente grandi, è utile di fare la risoluzione del secondo triangolo sferico A'B’C' coi metodi esposti nel Capitolo V. Trattandosi anche qui di un metodo non comunemente conosciuto aggiungiamo un esempio per Indicare lo schema ed il procedimento del calcolo / ( =43°.01'.44",867 I Posizione geografica di Lissa j V ( “2= o .36 .25 ,485 Dati } fi = 42 .07 .16 ,269 w, = o .00 .00 ,000 Posizione geografica di Tremiti Calcolo della distanza fra Tremiti e Lissa e dell*A.zimut in Tremiti Coordinate geografiche, distatile ed aiimnt sull’ ellissoide. 5.0511067,4, 5 = 112488,14 26°. o 5'.3 i 7 6 Capitolo ottave. L’approssimazione nell’azimut non è che di o",oi perchè nel calcolo non è stato tenuto conto dei diecimillesimi nelle differenze delle coordinate geografiche (vedi discussione nei §§ 3 e 6). 23 . Anche questo secondo metodo, quantunque applicabile a distanze molto considerevoli, suppone che l’arco r sia una quantità assai minore del raggio medio terrestre. Una soluzione indiretta generale può esser tratta qui pure dalla rappresentazione Besseliana dell’ ellissoide sulla sfera, ed è la seguente. Riteniamo tutte le notazioni stabilite nel § 12 e nei successivi di questo capitolo, e torniamo al triangolo sferico ausiliario in cui, ai lati yo à — zq, 90°— u 2 e 0 sono rispettivamente opposti gli angoli 180 0 —« 2 , oq e w. La relazione (90), ove | 3 0 differisce di poco da L, mostra come la differenza fra A co e w sia dell’ordine di e 2 6, e sia quindi in ogni caso una frazione molto piccola di A co: perciò se si risolve provvisoriamente il triangolo sferico sopra citato (in cui sono da considerare come conosciuti i due lati 90°— u i , 90°—w 2 ) introducendo la differenza di longitudine A co in luogo dell’angolo w, si ottengono dei valori prossimi di 0 e di oq che, introdotti anzitutto nelle relazioni (66) e (67), e quindi nella relazione provvisoria zu = A co e 2 .[ 3 0 .9 ,cosu 0 ( 1 — V 2 ) 1 ' 3 (112) dedotta dalla (90), danno una seconda approssimazione dell’angolo w. Risolvendo di nuovo il triangolo sferico ausiliario si ottengono così per oq, oc 2 , 9 dei valori che non differiscono dai veri che di quantità dell’ordine di e 4 , e possono essere usufruiti senz’ altro per calcolare definitivamente le costanti ausiliarie M, u a , ed E [formule (64), (66) e (67)] che compariscono nella (90) e quindi, per mezzo di questa, l’angolo w. Una terza risoluzione dà per ultimo gli azimut aq, a 2 cercati, mentre la distanza s può essere calcolata dalla relazione generale (69) del § 13. La risoluzione del triangolo ausiliario si fa per mezzo delle analogie di Neper, che in questo caso danno Coordinate geografiche, distante ed azimut sull’ellissoide. 177 cos u. — 11. cot? 11+11, 2 w ■ cot? — seri a cotg —- - = ■ ù 2 sen - 2 u, — u. 2 ZU ■ COt? — COS «,+«* tang — a — ■ a. sen — -- 6 2 ti-i-u cote -=-- sen «.+** cos tang — — — ■ - tang - cos O3) 24 . L’unica e semplicissima soluzione diretta del problema che ci occupa si fonda sopra un importante teorema, che ha dato luogo a curiose controversie,* e che è ben noto ai geodeti sotto il nome di teorema di Dolby , dal matematico inglese al quale è dovuto. Ecco in che consiste. Siano P un polo, A l ,A l due punti dell’ellissoide terrestre,

    2 sen A co _II. \ \j 1— e 2 .sen 2 ^ 12 ‘ fi 1—e 2 .sen 2 oJ e sviluppando il primo membro in una serie ordinata secondo le i8o Capitolo ottavo. potenze ascendenti di e 2 , si ottiene per altro: e 2 , sena!!, ( X = sena 0 senA(ù e 2 .sen a'! ( £ . S£fl O jsen ip 2 — sen

    + X. 2 • cor a[ sen z a'„ -(- yj. cos 2 a[ sen*a! a + • • • / e sostituendo per y il suo valore in funzione di e 2 , avremo : e 2 , seno ■ ——~ (sen 9,+ sen 9J + tang (a — a ó) = e 2 , sen a'„ sena'! sen A (ù ; 1 ■ A (seno ,— , e 2 .sen a!cosa'„ . \ 12 ì - (seno, — sen ©,) + I C/5»-M A /.\ V 42 l IS * o'cOS n ' sen\o> +* 4 0-•) + ••• ove, se si limita l’approssimazione alle quantità dell’ordine di e + inclusivamente, si può introdurre l’arco (a- — a'!)sen 1" in luogo della sua tangente. Dall’espressione di a' — a' a si passa evidentemente a quella analoga di a" — a'! invertendo gli indici delle lettere a e 9; si ha dunque I e 2 , seno 1 -|--- (sen. 1 2 , n a' — a 0 = - 7, (sen 9,— senojl , e ,cosa 0 sena 0 , sen Usta, seni v 72 A -(««9,— seno!) 4 -\ / sen Au r2 TU 1 \ +c 4 [...}+... , e 2 seno, , . . . \ — 1-—^ (r«»9 a + sen oj + 2 ji __ / e .sena.,sena 0 , \ ] 2 ut a" —a 0 =- 7, (seno — seno!) { . e .cosa., sena 0 . sen\<à.seni H--- (seno —««9,) + 5 £MAw v 72 71/1 +4-1 + I Coordinate geografiche, distante ed azimut sull’ ellissoide. 181 e per conseguenza, sommando membro a membro: a'-fi a ' 1 — (a'o-fia"')= e*.sen a!,sena" , .^isenfa'J-fia'fi) sen (p,-fi sencp,) . - - -r sen m —sena) --- ! - - - 72 - sen A os . sen i t sen A « 2 ) ossia, ponendo 2

    A w .-—- \2.a ovvero da : Coordinate geografiche, distante ed azimut sull’ellissoide. 183 La prima parte di questa nuova proposizione si dimostra senza veruna difficoltà osservando che se a', a" sono gli azimut geodetici corrispondenti agli astronomici a', a'' e contati dal Nord nei due sensi come è detto sopra, si ha dalle formule (25) del Capitolo III, coll’approssimazione del terzo ordine inclusivo: I e 2 .seti 2 oL , cos 2 (f l \2.ad sen 1" ,, , s .e .sen 2/ cos 2 sen\iù e 2 .cos 2 seni' J (ove è stato aggiunto il fattore sen 1 perchè il primo membro rimanesse espresso in secondi) od anche: ; -f a” — (a'-f- oc"') — A (0 s .e .cos psenp 12. a z (128) come si voleva dimostrare. 21 . Il teorema di Daily, così modificato, offre un mezzo semplicissimo per calcolare la convergenza A oc dei meridiani, corrispondente ad una data geodetica s, in funzione delle latitudini degli estremi di questa e della loro differenza di longitudine: ed infatti, rappresen- Coordinate geografiche, distante ed azimut sull’ellissoide. 189 tando con 8 la quantità fifi-a" —-(a'-fa"), dal triangolo sferico limite abbiamo A a— 8 tang —-— 9,+< sm —— cos Atì tang —■ ò 2 (129) da cui si trae il valore di A a — 8, mentre la quantità 8 può esser calcolata dalla (128) introducendo in luogo di s un valore approssimato, per esempio il suo valore sferico. Nella maggior parte dei casi però la quantità 8 è affatto trascurabile, giacché si ha più che sufficiente precisione arrestando l’approssimazione ai termini di terzo ordine: allora è utile trasformare con uno sviluppo in serie anche la (129), che sarebbe poco conveniente al calcolo per logaritmi a causa della piccolezza di A a e di A co. Col noto metodo delle approssimazioni successive si trova così, tenendo conto delle grandezze di quarto ordine: seri 92+9J A a —■ 8 = A c 2 s>, , Ac ù 2 .sen 2 i"i ■4 fi-i- cos 9 — 9. 3 2 \ 12 sen * ?.+ 9 » \ COS > 9 — 9 . 2 / od anche, sempre colla suddetta approssimazione: Ac a.sen 9 ,+ 9 , A x - cos ? 2 — ?, \o>\sen 2 i"cos 2 ^tls 12 (130) 28 . Tornando ora alla determinazione diretta della distanza geodetica 5 fra due punti dei quali sono date le posizioni geografiche e degli azimut geodetici in questi, ricordiamo che dal triangolo sferico ausiliario di Bessel si ha, indicando al solito in generale con u la latitudine ridotta: sen X' cos u 2 sen oc 2 cos u t ove OC', oc 2 rappresentano gli azimut che negli estremi di 5 corrispondono ad una unica direzione di questo arco, in modo che cc 2 — «, coincide colla convergenza A a dei meridiani limitanti. Se ne deduce senza difficoltà: tang- ■ cotg ■ ■ cotg- ■ li a —- tang — o (I 3 1 ) V 190 Capitolo ottavo. formula che, unita alle precedenti (128) e (129), dà il mezzo di calcolare gli azimut cercati oq ed oc 2 . Nel caso più comune in cui 04—04 e w 2 — u 1 sono da considerare come quantità piccole del primo ordine, invece della (131) è poi conveniente di adottare la formula tang- 4 « u -Cui - — cotg — - - I \U * 2 \ A oc — A u 12 -sen 1 che si ricava dalla (131) stessa con ovvii sviluppi in serie ed è approssimata fino al terzo ordine inclusivamente. Ottenuti gli azimut 04, 04 la ricerca della distanza r non presenta più veruna difficoltà giacché si hanno tutti gli elementi per calcolare le costanti ausiliarie che compariscono nella formula (69) del § 13. Così le (64), (66), (67) daranno: cotg M = cotg u i COS cq cos u 0 — cos u t sen 04 e.. sen u tang E= 1 • e dal triangolo ausiliario di Bessel si avrà: Am A a tang — cos ■— tang- = - cos ■ A oc cotgu m sen — tang— = sen ■ (oO (04) o, per il caso in cui il tener conto della quantità del terzo ordine sia sufficiente: . A oc A u. cos - 2 COS fi_ A oc . cotg u m ^ sen ■ , , oc -4- , , A u . tang — - -. sen 1 12 À 2 A a 2 COtg U n 24 sen • (i35) Coordinate geografiche, distante ed azimut sull’ ellissoide. 1 9 T Finalmente si otterrà s dalla relazione _ >E r==a^i— e lC0S 2 \A o 3 .seni"-fi'. cos E ; Y ésisennOcosn( 2 Mfi-()')l, (136) n= 1 ^ 3 i valori di A o , A 1 , A 2 , A 3 ... essendo quelli specificati nelle (68) del § 13 suddetto. Applicando questo metodo generale al caso considerato alla fine del § 22 si ha il seguente calcolo (pag. 192) per ottenere la distanza Tremiti-Lissa, e l’orientamento di tali due punti l’uno rispetto all’altro. Gli azimut non concordano coi resultati del § 22 che nei decimi di secondo, ma i centesimi provenienti dal calcolo sono illusorii, dacché è stato tenuto conto solo dei millesimi nelle latitudini e nelle longitudini (vedi discussione nei §§ 3 e 6). La distanza r ottenuta tanto col metodo del § 22 quanto in questa ultima applicazione non differisce che di o m ,03 dal dato di partenza indicato nel § 11; la concordanza è quindi superiore all’approssimazione tenuta nei calcoli riportati. Calcolo della distanza e dell’orientamento Tremiti-, 192 Capitolo ottavo. On , ON r-. . ’'?}■ C?n ~\ O fe» ^ r->. on 0 " r>. O n on || 11 11 Il Il 11 II In 1 n 1 8 bo 0 -Si» 1 8 5 ,1° ^0 8 > & ^ fcq | m bo- bo bi3 O OO r-N, Tf* OO On ON On OO ON r^. no OO dTl OO || II II II termine Cj OS « 0 .+ $ 4 r © C<"N Tj- «© Jf bo + + On 00 00 On O On On NO 00 no fVN *0 r-* r/*\ 00 On On oe NQ^ 00 _ I>> no co O \y\ On _ O On 00 , _ 0 r/*\ r/~\ «s H . Tt* NO (N l>. \s\ O v\ 0^ . 0 0 '0 r<\ O fi"\ iss O) O >1 O crs M O O O NO NO NO 0 t^v . ON OO & OJ CN 1-1 II II II II II II II || Il II II II II II II II II 11 £ < S 3 <1 O C* «T ?r >>} CAPITOLO IX. DELLA RAPPRESENTAZIONE DI UNA SUPERFICIE SOPRA UN’ALTRA. 1. Coi metodi di misura e di calcolo studiati fin qui si possono riferire le singolarità della crosta terrestre ad una superficie ipotetica di forma nota (ellissoide terrestre), per modo che esse rimangano perfettamente determinate di posizione e, per cosi dire, analiticamente costruite. A prima giunta sembra che il miglior modo per acquistare quindi un’idea sintetica della distribuzione relativa dei luoghi consista nel riportare le linee ed i punti, che si vogliono considerare, sopra una superficie simile alla superficie fisica o matematica della terra, a seconda dei casi, ma di piccole dimensioni, in modo analogo a quello secondo cui sono realmente disposti, così che gli angoli rimangano inalterati e le distanze, contate lungo fili tesi sulla superficie rappresentante, sieno ridotte in una data proporzione. Ma questo metodo, tutt’al più applicabile nelle grandi sintesi approssimative, non risponde alle richieste della pratica, in cui per solito si ha da fermare l’attenzione sopra una zona parziale, raffigurata in tutte le sue particolarità caratteristiche, per intuire la disposizione di queste non solo, ma altresì per risalire speditamente alle distanze ed agli orientamenti per mezzo di facili misure e di calcoli elementari. D’altra parte per zone limitate, la superficie matematica terrestre si confonde quasi col suo piano tangente, ed era quindi naturale che i primi tentativi per rappresentarle fossero fatti su di un piano e che, in seguito, dopo accertata la sferoidicità del nostro pianeta, si cercasse di usufruire della notevole intimità del piano colla superficie suddetta col rappresentare su di esso per mezzo di Pucci, Geodesia. II. 13 i 9 4 Capitolo nono. proiezioni ortogonali o centrali anche zone sempre più larghe fino alla costruzione delle prime carte generali. Così a poco a poco si impose agli antichi geografi, guidati dai bisogni della navigazione, del commercio e dell’ arte della guerra, il problema di rappresentare sulle carte le irregolarità e le diversità di costituzione fisica delle varie regioni della terra, subordinando la legge di proiezione allo scopo cui le carte erano destinate, finché sviluppata l’idea dell’arbitrarietà della legge, non si giunse, sotto la scorta dei più grandi analisti e geometri, a considerare la costruzione delle carte come un caso particolare di una teoria molto più generale che può servire anche in altre importanti questioni di alta geodesia. Ed invero se date due superficie si stabiliscono delle relazioni fra le coordinate dei punti dell’una e le coordinate di quelli dell’altra, per modo che ad ogni punto della prima corrispondano uno o più punti in numero discreto sulla seconda, e reciprocamente, e le corrispondenze sono esprimibili per funzioni continue dentro certi campi, è chiaro che in questi limiti ad una figura tracciata sopra una delle due superficie corrisponde sulla seconda una figura che è come l’immagine di quella. È facile comprendere come, teoreticamente parlando, per mezzo delle corrispondenze suddette si possa sempre risalire dalle proprietà geometriche ed analitiche di una immagine a quelle della figura rappresentata, e parecchi passaggi siffatti abbiamo veduto nei precedenti capitoli, ove più volte è stata tacitamente ridotta la soluzione di problemi ellissoidici a quella dei problemi corrispondenti sulla sfera. La teoria della curvatura integrale delle superficie è aneli’ essa, ad esempio, un caso speciale di rappresentazione sferica, la legge di corrispondenza essendo data dalle relazioni ^ 1 +/+?' Y= — ~ q = l/i + V 1 +/-+Y fra le coordinate cartesiane X, Y, Z di un punto della sfera e le coordinate cartesiane della superficie considerata, che entrano implicitamente nei coefficienti differenziali parziali p e q. Cosi pure, in generale, le integrazioni fatte per mezzo di un cambiamento di Della rappresentazione di ima superficie sopra un’altra. 195 variabili non sono in ultima analisi che trasformazioni di superficie o di spazii, le corrispondenze essendo scelte per modo da rendere più facile sulla superficie o nello spazio trasformato una sintesi che mal si poteva eseguire sulla superficie o nello spazio dato. 2 . Supponiamo che i punti della superficie da rappresentare sieno riferiti ad un doppio sistema di linee coordinate tracciate sulla superficie stessa e corrispondenti ai parametri variabili u, v, per modo che il suo elemento lineare sia dato da d s = \JE ,du 2 fi- 2 ,F .du.dv -f- G. dv 2 , (1) -e che, analogamente, per la seconda superficie si abbia : ds'=\j E', dui fi-2 .F'.du 1 -dv^fi- G'.dv\ . (2) Affinchè a ciascun punto della superficie Sfili,v) corrispondano uno o più punti in numero discreto sulla superficie S'fii l , v^) è necessario e sufficiente il porre «.=/-! («>*) ì , S V ,=fv l ( U > V ) ) essendo f H , simboli di funzioni arbitrarie, tali però che per ogni valore reale di u e v si abbia almeno un valore reale per u, ed uno perù,. Le relazioni (3), che sintetizzano qui le corrispondenze, comprendono dunque implicitamente tutte le rappresentazioni possibili, che si ottengono in pratica individuando le funzioni arbitrarie suddette, e di queste la scelta può esser fatta per modo da dare alla rappresentazione delle proprietà speciali assegnate a priori. Cosi ponendo u ,=k( u ) | ( 4 ) le linee u t della superficie rappresentante vengono a corrispondere alle linee u della superficie rappresentata, e le v, alle v, e se, parti- colareggiando più oltre, si volesse ad esempio che al sistema dei meridiani ed a quello dei paralleli dello sferoide terrestre corrispondessero in un piano rispettivamente due sistemi di rette ortogonali, basterebbe porre, nelle consuete notazioni della latitudine e della longitudine e rappresentando con x,y le coordinate cartesiane del piano : x=/ x (w) y =/»(?) 196 Capitolo nono. e si potrebbero per di più caratterizzare le funzioni arbitrarie/*,/, in modo da dare alla rappresentazione qualche altra proprietà. 3 . Supponiamo per un momento che nelle corrispondenze (3) si potessero determinare le funzioni arbitrarie per modo che il rapporto fra l’elemento di una linea della superfìcie rappresentata ed il corrispondente elemento della linea rappresentante avesse un valore invariabile n, indipendente cioè dalla posizione e dalla direzione degli elementi suddetti: in tal caso ad un triangolo curvilineo elementare di lati infinitamente piccoli tracciato sulla superficie rappresentata corrisponderebbe in generale sull’ altra un triangolo curvilineo elementare simile al primo, giacché, secondo lo spirito del calcolo differenziale, tali triangoli potrebbero esser considerati come piani. Da ciò si vede come nella rappresentazione gli angoli fra le linee rimarrebbero inalterati, di modo che all’ elemento di superficie (vedi Introduzione, § 9) da — seno>.ds u ds„ verrebbe a corrispondere un parallelogrammo di lati infinitamente piccoli, la cui superficie avrebbe per espressione analitica essendo e sarebbe quindi do=sen(à.ds' u ds' v ds'„ d s u ds: —— =n = cost ds„ do=n\da od anche, integrando fra limiti dati di u, v, ed indicando con <7, l’area corrispondente ad un’area data 0: a=n 2 . a : la rappresentazione conserverebbe quindi altresì un rapporto costante fra le aree che si corrispondono. E facile trovare le condizioni cui debbono soddisfare le funzioni f H , f V{ affinchè ogni figura rappresentante sia simile, nel senso qui sopra indicato, alla figura rappresentata, ed infatti dalla relazione ir, \/ E'.du\-\- 2 ,F'.du t G'.dv] ^E,du 2 -\-2 .F.du.dv-\-G.dv 2 che vincola in una rappresentazione qualunque due elementi ds l , ds che si corrispondono, introducendo in luogo di dtp, dv L i loro va- Della rappresentazione di una superficie sopra un’ altra. 197 lori in funzione di u, v, tratti dalle corrispondenze (3), e ponendo per semplificare E —E'i—'X 4-2.F'^d- — 4-G l 1 \du) ' du du dv, du F, 3 u,du z pi du t dv, F , du,dv, ■ r , dv,dv, du dv dv du du dv dv du G = E' du l d v dv dv dv, dv ( 5 ) si trae l’altra + 2 ■F 1 du dv + 2 .F du dv + G (0 Ma la direzione 0 di una linea r rispetto alla v — cost. ( azimut ) è data (vedi Introduzione, § 6) da: F^ + F dv \j E.G—-F 2 ed intorno a ciascun punto dipende solo dal valore che prende il rapporto lungo la linea stessa: se dunque il rapporto (6) deve esser invariabile qualunque sieno le coordinate u, v e P azimut 9 si dovrà avere E F G t G — n 2 = cosi. ( 7 ) d’onde, tenendo conto delle (5), si traggono per le condizioni necessarie e sufficienti alla similitudine sopra considerata le tre equazioni a differenze parziali E \tìu) du ou = E.n 2 F , du , du, . f ,8 w, dv, du dv dv du r du dv^ du dv ( 8 ) r'feY + 2 .p^|t t + c'f|!iy = c.. \dvj dv dv \d v ) fra le due funzioni arbitrarie u,, v, di corrispondenza e le variabili indipendenti u, v. 198 Capitolo nono. Date dunque due superfìcie, non è possibile in generale stabilire delle corrispondenze fra i loro punti in modo da rappresentarne similmente una sull’altra; ma se si lascia indeterminata la natura di una di esse, l’integrazione delle equazioni (8) conduce a determinare una classe ben definita di superfìcie, che sono dette simili fra loro e simili alla superfìcie data. È chiaro che le condizioni di applicabilità di una superfìcie sopra un’altra si ottengono ponendo nelle (8) n — 1, giacché per n— 1 tanto gli elementi infinitesimi delle linee quanto quelli delle aree che si corrispondono riescono uguali. Per due superficie che possono essere applicate l’una sull’ altra sarà dunque, in ' generale E = E ( 9 ) quindi tutte le superficie, per cui le quantità E 1 , F z , G t possono essere espresse rispettivamente per mezzo delle stesse funzioni di u, v sono applicabili l’una sull’altra; inoltre se una superficie è simile ad un’ altra, anche le superficie applicabili delle due classi sono simili fra loro. Le condizioni (9) di applicabilità dimostrano poi come tutti gli enti geometrici ed analitici di una superficie (per la quale ds=^E.du 1 J {-2.F.du.dv-\-G.dv 2 ' rappresenta l’elemento lineare) che possono essere espressi in funzione di E, F, G, u, v e delle loro derivate soltanto, come sono gli angoli fra le linee, le geodetiche, le curvature integrali, ecc., quando la superficie viene applicata sopra un’altra, o, ciò che vale lo stesso, è considerata come un velo flessibile ed inestensibile e trasformata in un modo qualunque, conservano lo stesso significato e le stesse proprietà geometriche ed analitiche e le stesse equazioni rispetto alla nuova superficie cosi generata, quantunque considerati assolutamente nello spazio abbiano cambiato di natura. Così, per esempio, se si osserva che alla espressione analitica della misura di curvatura in un punto di una superficie qualunque può essere data la forma (34) dell’Introduzione (vedi voi. i.° pag. 33) si può concludere senz’altro che tale quantità è nulla per tutta le superficie applicabili sul piano, e che quindi per queste si deve avere [vedi formula (29) dell’Introduzione]: (io) che è appunto, come è noto, l’equazione differenziale caratteristica delle superficie sviluppabili. Della rappresentazione dì ima superficie sopra un’altra. 199 4 . Ma se data e la superficie rappresentante e la rappresentata è impossibile in generale di ottenere una rappresentazione simile, tale cioè che conservi contemporaneamente gli angoli ed un rapporto costante fra le aree che si corrispondono, si possono per altro determinare in un numero infinito di maniere le corrispondenze in guisa che l’una o l’altra di tali proprietà sia separatamente soddisfatta; si ottengono così due-classi distinte di rappresentazioni che, prese in complesso, rispondono a tutti i bisogni della geografia matematica considerata nei suoi rapporti colle scienze applicate, e che meritano per conseguenza di essere attentamente studiate. Le rappresentazioni che conservano gli angoli sono dette conformi (Gauss) se non si tratta particolarmente della rappresentazione dell’ellissoide 0 della sfera sul piano la quale prende una denominazione speciale (proiezione autogonale od ortomorfa), e sono tutte incluse nelle seguenti equazioni a differenze parziali 1 8aY +2 . f .| 5|i+G'(^ dui du du \ou jj= E -'K u , v) El du 1 du ± du 1 dv i du i dv, dv 1 dv x = du dv ^ dv du ^ du dv ^ du dv ' 00 du) dv , - 2 .F , dtp dv t dv dv + che si traggono dalle condizioni di similitudine (8) considerandovi n come una funzione finita e continua di u e v da determinare per modo che si abbia e 1 _f 1 _g ± E~F~G ’ Se consideriamo infatti sopra la superficie S(E, F, G) un triangolo elementare M M n di lati infinitamente piccoli, ed m m, m u è il triangolo che gli corrisponde sulla superficie S'(E', F', G'), il punto m corrispondendo ad M, e il punto m 1 al punto M t e le corrispondenze essendo scelte in guisa che le condizioni (11) sieno soddisfatte (lo che è evidentemente sempre possibile a causa della nuova incognita ^ introdotta), è chiaro che si avrà MM, M„ mm l m m It giacché, per le relazioni (n), \j che esprime il rapporto tra due elementi che si corrispondono, se questi partono da uno stesso punto 200 Capitolo nono , riesce indipendente dalla loro direzione. Passando dal punto M al punto infinitamente prossimo M l il suddetto rapporto varia di d\jty e siccome ha, per ipotesi, un valore finito ed è funzione continua di u, v, si potrà porre, secondo lo spirito del calcolo differenziale : M,M r m i m Il m I m ed i due triangoli elementari corrispondentisi potranno esser considerati come simili, in modo che l’angolo (finito) in M sarà eguale al suo corrispondente in m. Le rappresentazioni incluse nelle equazioni differenziali (n) sono dunque conformi e possono anche, con Gauss, esser dette simili nelle loro parti infinitesime. I] rapporto fra le aree elementari che si corrispondono varia poi in esse da punto a punto, di modo che le aree finite vengono ad essere più o meno deformate nella rappresentazione a seconda della posizione che occupano sulla superficie rappresentata, giacché si ha in generale per l’espressione dell’ area a' rappresentante l’integrale essendo esteso fra i limiti che comprendono l’area rappresentata a. Da ciò può prevedersi l’importante significato analitico che ha la funzione nella teoria delle rappresentazioni conformi. 5. La ricerca delle corrispondenze che danno le proiezioni conformi fra due superficie qualunque è dunque ridotta alla integrazione delle equazioni differenziali (n), la quale, se non si sa eseguire nel caso generalissimo di coordinate qualunque, riesce invece semplicissima se queste vengono scelte convenientemente. Se supponiamo infatti che sopra ambedue le superficie che si considerano sieno stati per doppii sistemi di linee di riferimento scelti dei doppii sistemi isotermi, per guisa che gli elementi lineari ds, ds z siano dati rispettivamente da ds = \J l(d od-\- d (i 2 ) , ds t — \j 1fidati -(- d [};), le equazioni generali (ii) danno: da z doL z da- dfi ( 12 ) Della rappresentazione di una superficie sopra un’altra. 201 da cui, rappresentando con fi il valore comune dei rapporti d«. ' da.’ gp'gp’ si trae e quindi, dacché Q non può essere una quantità immaginaria: dee. Per conseguenza della seconda delle (12) si deduce 0 ^. 0 ^. da. + d p a meno che non sia 0P. _ ga . . - n 0 x 8 p nel qual caso la precedente relazione si trae direttamente dalla prima delle (12) medesime. Ma le relazioni soprascritte non sono che le condizioni necessarie e sufficienti perchè il complesso + sia funzione del complesso a + i$: l’integrale generale delle (12) è quindi dato da a i ±J '-^= w ( a ±*-P)> ( 1 3) essendo W simbolo di funzione arbitraria, come del resto avevamo già trovato nell 'Introduzione (vedi voi. I, pag. 24). 6. È dunque sempre possibile di rappresentare conformemente una superficie sopra un’altra in un numero infinito di maniere, e ciascuna rappresentazione conforme corrisponde ad una forma particolare della funzione W, che perciò può esser detta complesso di conformità. Dalla (13) è facile vedere, ricordando le considerazioni del § 12 dell’Introduzione, che tutte le ora dette rappresentazioni conformi si ottengono facendo corrispondere linearmente tutti i sistemi isotermi di una delle due superficie con tutti i sistemi isotermi dell’altra: ma questa proposizione può essere anche dimostrata in modo diretto come segue. Sieno, come sopra, a e p i parametri coordinati isotermi della superficie 5 , e scegliamo per linee coordinate della superficie S’ le linee u 1> v j che rispettivamente corrispondono in un modo dato qualunque alle linee a e p. In tal caso le corrispondenze verranno necessariamente (vedi § 2) ad aver la forma: «,=/«, (*) ) , s (a) CO > 202 Capitolo nono. e quindi le condizioni (il) necessarie e sufficienti perchè la rappresentazione caratterizzata da queste ultime relazioni (a) sia conforme diverranno F = o G' = M0> P) per modo che l’elemento lineare della superficie S' sarà dato da Ora le corrispondenza (fl) mostrano come i coefficienti differenziali da d$ . . du'’ ~dff P ossono essere rispettivamente espressi per mezzo di funzioni della sola u i e della sola v J , quindi i parametri u J} v i corrispondono a linee isoterme della superficie 5', e si può formulare il seguente teorema : In ima rappresentazione conforme di una superficie sopra un altra ad un doppio sistema di linee isoterme corrisponde un doppio sistema di lìnee isoterme. Resta a dimostrare che ad un doppio sistema qualunque di linee isoterme di una superficie, si pub sempre far corrispondere un doppio sistema qualunque di linee isoterme di un altra superficie per modojda ottenere una rappresentazione conforme. Sieno per ciò ds = \j l(dal-\~d$ % ), ds== \/l^doii-\-d^i) gli elementi lineari delle due superficie date, espressi in coordinate isoterme a, (3 ed a J} e poniamo le relazioni arbitrarie 00 \ P,=/*(P) ) (*) per esprimere che, per ipotesi, la linea oq corrisponde alla linea a, e la P r alla |3 e ciò in un modo qualunque. Dalle equazioni fonda- mentali (ii) si ha allora per unica condizione di conformità (d^X_(djy \d a) \ b[i j ’ giacché la seconda delle (n) resta identicamente soddisfatta a causa delle ( b ) e di F’ = o, mentre ^ è simbolo di fuzione arbitraria. Della rappresentazione di una superficie sopra un’altra. 203. Ma < — L , —nf sono rispettivamente funzioni della sola a e della da. dp ( 3 , quindi la precedente equazione equivale a porre c.— costante. c l «- + K C .( a + *-P)+ C : «., + i. ossia c e c z rappresentando delle costanti arbitrarie, e c 2 potendo essere anche un complesso. Ponendo dunque: :+^l5 - — C iP + ^: si ottiene una rappresentazione conforme, e ciò dimostra l’ultimo teorema enunciato e la proposizione indicata al principio di questo paragrafo. 7 . Ritornando ora alla relazione generale (13), rappresentiamo separatamente con W, e con W 2 le due funzioni coniugate che corrispondono al complesso di conformità *F, ponendo a i+ i -P I = ' ir i Se si indicano inoltre con le derivate totali di V,, prese rispetto ai complessi di cui queste sono funzioni avremo d oq-}- i. d P,= (d a -j- i. d ( 3 ) Wj da i — i. d p,= {d a — i.df)W 2 e quindi il rapporto n = \J fra due elementi che si corrispondono in una rappresentazione conforme caratterizzata dal complesso T sarà dato da: 'kfida\ + d ( 3 ?) l(d a'fi-dp 2 ) Questa espressione di « è molto importante giacché, dato il complesso W, permette di risalire, come già abbiamo accennato, da un’area della superficie rappresentante a quella che gli corrisponde sulla superficie rappresentata e reciprocamente, e difgiudicare della deformazione che soffrono le aree elementari nella rappresentazione. La quantità n poi prende il nome di modulo di trasformazione ed è 204 Capitolo nono. considerata come uno degli enti fondamentali della rappresentazione cui corrisponde. Dalle (15) si trae ancora \ 2 / ( (17) _Vf \ v ' ' ■che sono le formule che danno direttamente a,, p r in funzione di a, [3 quando è stato individuato il complesso di conformità. 8. Sieno ora u, v i parametri coordinati di un doppio sistema di linee ortogonali qualunque di una superficie S sopra cui si abbia ds = \J E.du 2 -\- G.dv 2 , e supponiamo, come più sopra, che siano state scelte per linee coordinate di una seconda superficie S' delle linee u l , v corrispondenti conformemente alle linee u, v suddette: si avrà allora ^=A0) mentre, a causa della presupposta conformità, le funzioni arbitrarie In, I, debbono esser tali che restino soddisfatte le condizioni generali (11), e che sia perciò ds=\j E^du 2 ~\- G^dv 2 — n\j E,du 2 -\-G ,dv 2 , E = n 2 E, G=n 2 G, F== o. Ciò posto rappresentando con h u la curvatura geodetica della linea n, avremo [formule (43) del capitolo III] h = 1 “ 2 ,G\jE Su > ed analogamente per la curvatura geodetica h U) della linea u l che, per ipotesi, corrisponde alla linea u h 1 1 d(n.G ) 2.G l fE t Su 2 .n’.GsfÈ S » od anche: ol ^ _ 1 dG 1 dn__h„ n 1 2 .n.G\lE Su n 2 ^E^ u n \jEdu Se si osserva che lungo la linea v = costante si ha ds„=du\jE è fa- Della rappresentazione di una superficie sopra un altra. 205 die vedere che la precedente espressione di b„ t può anche essere scritta come segue K_ n d- n ds v ' (18) ma una linea qualunque s di una superficie può venir sempre considerata come appartenente ad un doppio sistema di linee coordinate ortogonali, quindi la relazione (18) può anche esser generalizzata e conduce al seguente elegantissimo teorema: La curvatura geodetica di una linea s 1 che, sopra una superficie,. corrisponde conformemente ad una linea qualunque s di un’ altra superficie è eguale al prodotto della curvatura geodetica di questa seconda linea per l’inversa del modulo di trasformazione meno la derivata dell’inversa del modulo di trasformazione presa nella direzione s r perpendicolare alla linea suddetta, per modo che si ha h = — 0 - n '07 09 ) Se poi si suppone che la linea rappresentata appartenga ad una famiglia di geodetiche s, e che la rappresentazione scelta sia tale che le linee s t corrispondenti alle geodetiche s risultino geodetiche della superficie rappresentante, nella (19) si deve porre h s = h Sl = o e perciò si ha 0 - n relazione che dimostra come la variazione del modulo di trasformazione lungo le traiettorie ortogonali alle geodetiche s sia nulla; potremo quindi concludere che se, in una rappresentazione conforme, ad un sistema dato di geodetiche della superficie rappresentata corrisponde un sistema di geodetiche della superficie rappresentante, il modulo di trasformazione è costante lungo le traiettorie ortogonali a queste curve, e reciprocamente, se lungo le traiettorie ortogonali ad un dato sistema di geodetiche di una delle due superficie il modulo di trasformazione è costante, le linee che corrispondono a queste geodetiche sono geodetiche dell’altra superficie. 9 . Se sopra una superficie di rivoluzione si scelgono per linee coordinate isoterme i meridiani ed i paralleli, e per parametri coor- Capitolo nono. 20 6 dinati la longitudine w e l’arco . Dalle espressioni generali della curvatura geodetica di uria linea coordinata [Capitolo III, formule (41)] si ottiene per altro 0(0 d g dr 1 2 r 2 d g ' r ’ quindi, sostituendo nella relazione precedente avremo /oo-m (21) c questa relazione mostra come sia funzione della sola g, e quindi costante lungo ciascuna delle linee che rappresentano i paralleli. Della rappresentazione di una superficie sopra un’ altra. 207 Ad un risultato analogo si giunge supponendo che nella rappresentazione conforme suddetta il sistema di linee a curvatura geodetica costante sulla superficie qualunque corrisponda ai paralleli piuttosto che ai meridiani, ed infatti ponendo e sostituendo ad h ? l’espressione in r più sopra indicata si trova l’equazione differenziale lineare di primo ordine 1 dr + 0 (c) = 0 da nr‘ da dr da da r 'j 0 (a). e - )i -.i,+/(o)j (21-) essendo / simbolo di funzione arbitraria. Da questa relazione si trae finalmente, indicando con /' (w) la derivata di /(«) : che dimostra come la curvatura geodetica delle linee che rappresentano i meridiani è costante lungo ciascuna di esse. Possiamo quindi stabilire il seguente teorema: se in una rappresentazione conforme di una superficie di rivoluzione sopra una superficie qualunque al sistema dei meridiani corrisponde un sistema di linee a curvatura geodetica costante anche il sistema dei paralleli vien rappresentato da un sistema di linee a curvatura geodetica costante, e reciprocamente. Del resto questo teorema poteva esser tratto immediatamente dal secondo di quelli dimostrati nel § 20 del Capitolo III, osservando che il doppio sistema di linee che corrisponde ai meridiani ed ai paralleli di una superficie di rivoluzione in una rappresentazione conforme costituisce necessariamente un doppio sistema di linee isoterme della superficie rappresentante (vedi § 6), e che perciò se uno dei due sistemi parziali che lo compongono è a curvatura geodetica costante, anche l’altro gode della stessa proprietà. Nel caso poi che la superficie rappresentante sia il piano, il teo- 208 Capitolo nono. rema precedente coincide col notissimo teorema di Lagrange, così formulato: Se nella rappresentazione conforme di una superficie di rivoluzione sul piano ai meridiani di quella corrispondono delle circonferenze su questo anche i paralleli sono rappresentati da circonferenze e reciprocamente, intendendo compresa fra le circonferenze anche la retta, considerata come una circonferenza di raggio infinitamente grande. 10. Ritorniamo ancora alle formule generali delle rappresentazioni conformi W (a + i (3) J e consideriamo sulla superficie S (oc, (3) un arco s di una linea caratterizzata dall’ equazione F(«,P) = o. L’equazione della linea s t corrispondente alla s si trova senza difficoltà sostituendo nella F—o ad oc e (3 i loro valori in funzione di oc i , tratti dalle corrispondenze ( 22 ). La lunghezza dell’arco r t corrispondente all’arco considerato s può esser poi calcolata da una delle relazioni j n -d^ 1 \ I +(^)\-Jd^ l ^ X ^\ I + (^)\ (nelle quali le quantità sotto gli integrali si suppongono espresse in funzione della variabile indipendente per mezzo delle corrispondenze e dell’equazione della linea s, ed od, ad', [3', [3" indicano i valori che prendono a e [3 agli estremi dell’arco 5 ) ovvero da una delle formule generali aJ Della rappresentazione di una superficie sopra un 3 altra. 209 se per l’integrazione conviene di più l’introdurre oq o come variabile indipendente. Naturalmente si passerebbe in modo analogo dall’arco s l al corrispondente arco s. L’elemento di area sulla superficie S (oc, |3) è dato da da = 'X .doc.dfi, e ad esso sulla superficie rappresentante S'(oc,, P 5 ) corrisponde l’elemento d v ) Vi =f vl (u, v). Per l’espressione dell’elemento de in funzione delle coordinate curvilinee u e v si ha (voi. I, pag. 17) d g = du .dv^ E G — F 2 , l’area elementare d e essendo compresa fra due linee u e due linee v infinitamente prossime. Ora, ritenendo le notazioni (5) del § 3, l’elemento lineare ds t che sulla superficie e i corrisponde all’elemento ds della superficie <7 è dato da ds t — \j E t du 2 2 ,F v du .dv -(- G : dv 2 , quindi l’area elementare de i corrispondente all’elemento de h.i evidentemente per espressione analitica de t = du.dv\jE, G i — F 2 . Sostituendo ad E,, G t , F I i loro valori in funzione di E', F', G' dati dalle (5) si ottiene dopo facili riduzioni dr = +(^L. llL—'àjt 1 1 \du dv du dv E' G' — F ' 2 du .dv, e quindi alla condizione (26) di equivalenza può esser data la forma : V E G'—F 2 j dv t dj\ du^ dv , \J EG _ F 2 I du dv du dv = costante. (27) Tale è l’equazione differenziale caratteristica delle rappresentazioni equivalenti, e dacché essa è sufficiente a caratterizzarle si conclude che non solo è sempre possibile di ottenere una rap- Della rappresentazione di una superficie sopra un’altra. 211 presentazione equivalente di una superficie sopra un’altra data, ma che ciò può farsi in un numero infinito di maniere, e che date le due superficie la sola condizione di equivalenza non basta per determinare la forma delle corrispondenze. 12 . Per integrare la (26) è dunque necessario di assoggettare arbitrariamente la rappresentazione equivalente cercata ad una seconda condizione, lo che può esser fatto senza togliere generalità col lasciare indeterminata una delle corrispondenze sotto forma di funzione arbitraria, e determinando poi successivamente questa nei singoli casi in modo che resti soddisfatta la seconda condizione prescelta. Consideriamo dunque come data la corrispondenza da cui si trarrà: dtp du :0(M, V), 'P> dtp dv (28) essendo p e q delle funzioni di u e di v che dobbiamo ritenere note. Ponendo per brevità c \J EG — F z _ v \/ E'G'—F ' 2 l’equazione differenziale (27) prenderà la forma TrP = v dv r ove V, per mezzo della (28), può essere espresso in funzione delle variabili v z , v ad u soltanto. È noto come l’integrale generale di questa ultima equazione a differenze parziali è dato da una funzione arbitraria delle due costanti arbitrarie provenienti dalle integrazioni di due delle seguenti equazioni a differenze totali Z. _L. = n JL_i_JL dv l du ’ dv t 'dv ’ du'dv Ora l’ultima di queste, posta sotto la forma p .du-\-q.dv = ^- L du dv=du,— o 7 du dv 1 è immediatamente integrabile e dà: u I —f U( (u, v) = k l =costante. (29) Oo) Questa relazione dovendo coesistere colla prima e la seconda delle (29) ci dà poi il mezzo di ridurre l’integrazione di queste a sem- 212 Capitolo nono. plici quadrature: ed infatti sostituendovi a V il suo valore se ne deduce : dv^F'G' — F ' 2 c.du\j FG — F 2 du I dv dv^\j E’G’ — F ,2 = c.dv^EG — F 2 du t du ove dai secondi membri si può eliminare rispettivamente v od it- per mezzo della Qo), e nelle integrazioni u i deve esser considerato come costafite. Cosi le variabili restano separate e si può scrivere jdv^E'G'— F 2 = Uj — cosi. ìc.dv . \j F v G „—FI cosi. gli indici u,v alle notazioni indicando la eliminazione di v o di u rispettivamente, fatta per mezzo della (30). Per combinare in modo arbitrario due a due le costanti di integrazione k ,, k 2 , basta evidentemente sostituire nelle relazioni soprascritte delle funzioni arbitrarie di k t in luogo di h 2 e k : così le corrispondenze generali delle rappresentazioni equivalenti saranno * = 9 ( 'u,v) d Uj= cosi. F'G '— F' 2 = <1 fu} +C c.du\]E„ G„ FI ( 3I ) J (du\ \ U ^ C0SL ovvero u = 6 ( u , v) i,/; - 1- 1 - or» ì— I ‘■àv'jE,Q,— Pl ( 4^1 \ou)„ ui=cost. ( 3 2 ) 0 ed n essendo simboli di funzioni arbitrarie. La ricerca delle relazioni fra le linee e fra gli angoli che si corrispondono nelle rappresentazioni equivalenti non è che un caso Della rappresentazione di ima superficie sopra un altra. 213 speciale dello studio delle rappresentazioni qualunque, al quale ora passiamo. 13 . Siano in generale ds = *J É :du 2 -{-2 .F. du.dvfi- G .dv 2 ds'= \jE f du\-\- 2F'du t dv,fi- G’dv\ gli elementi lineari di due superficie fra i cui punti si suppongono stabilite le corrispondenze qualunque «,=/-.(«» v ). ì V t =fv, (#,v): ) ( 33 ) se si ritengono le notazioni (5) del § 3 l’elemento ds l che sulla superficie S'(E',F', G) corrisponde all’elemento ds della superficie S {E, F, G) sarà dato da d r, = y E s du 2 -\- 2. F t du. dv + G^v 2 , e quindi avremo per l’espressione analitica del rapporto n — al quale seguiteremo a dare il nome di modulo di trasformazione: Rappresentando ancora con 0 l’angolo che la linea s qualunque della superficie S (E, F, G) fa colla linea coordinata v = costante, e con w l’angolo fra le linee coordinate si ha per altro [voi. I, pag. n, formule (16)]: sen (os —0) quindi sarà: j E s Gsen 2 (o — 0)+2 .F^EGsenti .sen(o — 0)4 -EGjetfti , . EGsen(iù —0) 4 - 2 . E\jE G senti .sen (w — 6 ) 4“ G E sen 2 ti È facile però constatare che nel secondo membro di questa rela zion e il denominatore, sostituendovi ad F il noto suo valore coso\jEG, si riduce semplicemente ad EGsen 2 o>: potremo dunque porre sen 0 sen (<•>—0)4~ sen 2 ( co— 0) 4 sen 2 in [È relazione molto importante nella teoria che ci occupa, giacché dà 214 Capitolo nono. la legge secondo cui varia n col variare della direzione 0 intorno a un punto qualunque (u, v ) della superficie rappresentata. Se nella (36) si considerano u, v e quindi co, E, F, G, E i , F t , G r come costanti, il secondo membro è una funzione finita e continua, di 0 che ammette due massimi e due minimi fra 0 = 0 e 0 = 2 7t, ed adottando l’unica notazione © per i corrispondenti quattro va- ] lori di 0, questi saranno dati dalle radici dell’equazione j c (V) l do comprese fra o e 21, ossia dalla relazione E 2 F Cj -j£ sen 2 (co — 0 ) -|- —==: sen (2 0 — co) — sen 2 0 = 0, y E Q © dalla quale si deduce E 2 .F sen 2 co- — - sen co E \J EG tang 20 - ■£ 2 .F G ’ ' COS 2 CO- - ( COS CO -)- -pr \jEG tang 2 0 od anche, per essere i:\] EG=cosm:F, e 2 .cos 2 tì i-j- cos2c ( 4 -*) sen 2 co I sen 2 co M , G, F r . (37) COS 2C0| —- + C0f2(0 + ^^ j? _ £i7 ^ Il secondo membro di questa relazione si presenta sotto forma indeterminata quando le coordinate u, v sono ortogonali; però a fare sparire l’indeterminazione basta esprimere sen 2co e cos 2co in funzione di E, F, G ponendo : sen 2co = 2 .sen co .cosa — cos 2 co = cos co — sen co = • 2 .F\jEG — F 2 EG 2 .F 2 —EG EG ed infatti in tal guisa si trova tang 2 0 = 2 \JEG — F* „ . V EG — E t G ’ 2.F+E - 1 - ( 38 ) E.F — EF, Della rappresentazione di una superficie sopra un’altra. 215 che, per F= 0, si riduce a: 2 .FfiEG tang 2 0 Efi — EG i (39) Nel caso poi in cui si abbia E F ~~ G ’ la formula (37) conduce, come potevamo prevedere, ad una indeterminazione assoluta, ed in realtà la rappresentazione essendo allora conforme, il modulo di trasformazione intorno a ciascun punto è invariabile. Le formule precedenti mostrano che intorno a ciascun punto le due direzioni lungo le quali il modulo di trasformazione è massimo sono opposte , e che la linea che le comprende taglia ortogonalmente quella lungo la quale in direzioni opposte il modulo suddetto è mìnimo. 14 . Sia ora 9 t l’angolo che nella rappresentazione corrisponde all’angolo 9 formato dalla linea qualunque r colla linea v = costante al quale daremo d’ora innanzi il nome di azimut della linea r considerata : se si osserva che ponendo l’elemento lineare della superficie rappresentante S' (E', F', G'~) sotto la solita forma ds = ^E l du 2 -\- 2 .F i du.dv- f- Gfv 2 la linea v = così. = k della superfìcie rappresentante viene a corrispondere alla linea v = cost. — k della superficie rappresentata si vede subito che si ha [vedi Introduzione formula (16 6 ”)] ^fi-E\ dv [formula (34)], y b ( E i G i — E fi sen 9 EfiG .sen(u>—fifiFf E .senQ ( 40 ) L’angolo 9J corrispondente all’azimut 90°-j-9 sarà quindi dato da: Ef E fi i — Ef) cos 9 Ef G. cos (w — 9) -\-F l y E. cos 9 2l6 Capitolo nono. d’onde si trae, con facile calcolo : tangO fiangO[= E(Efi—F*) seniO seni 6 .{E* G .cos 2o)-2F l E 1 \jEG. cos lù+FpE^+cos 2 0 . \2FEfiEG . sen oi-Ep G. seni wj Questa relazione dimostra come fra o e 2 - esistano sempre due valori di 0 tali che le due direzioni 0,, 0( corrispondenti alle due direzioni conjugate 0 e 0 + 90° sono ortogonali come le rappresentate. Siffatti valori sono quelli che soddisfanno alla condizione tang 0! tang 0J = — 1, e sono quindi dati dalle radici dell’ equazione 2 0 \Efi. cos 2 a —2. F t \J EG. cos co -f EG^ =cos 2 0 . \Efisen 2 w— 2 .F^EG. sen co} Ma questa non differisce dalla equazione che dà i valori di 0 corrispondenti ai massimi e minimi del modulo di trasformazione; si può dunque concludere che in una rappresentazione qualunque alle due direzioni ortogonali della superficie rappresentata lungo le quali il modulo di trasformazione è rispettivamente massimo e minimo, corrispondono due direzioni ortogonali della superficie rappresentante. Del resto a tale conclusione si poteva giungere immediatamente osservando che le corrispondenze poste fra le coordinate di due superficie contengono due rappresentazioni reciproche confuse in una sola, ed implicano la reciprocità delle espressioni analitiche degli enti della rappresentazione e la simmetria delle formule rispetto ad E, F, G da un lato e ad E 0 F 1 , G s dall’ altro. Così le due linee della superfìcie che abbiamo considerata come rappresentante, lungo le quali il modulo di trasformazione è massimo o minimo, nella rappresentazione reciproca di essa sulla superfìcie rappresentata, fatta cioè per mezzo delle stesse corrispondenze (33) risolute rispetto ad u, v, debbono essere ortogonali, e siccome due rappresentazioni reciproche in realtà conducono alla medesima corrispondenza di linee e di angoli, così evidentemente l’angolo fra le dette linee di massima o minima deformazione lineare degli elementi della superfìcie rappresentata corrisponde all’angolo fra le linee di massima o minima deformazione della superfìcie rappresentante. I successivi elementi lineari che corrispondono ad un massimo e ad un minimo del modulo di trasformazione vengono dunque a costituire sopra ciascuna delle due superfìcie considerate un doppio sistema di linee ortogonali che si mantengono tali nella Della rappresentazione di una superficie sopra un 3 altra. 217 rappresentazione, e che, per questa doppia proprietà che le caratterizza, sono dette linee principali. La loro equazione differenziale caratteristica si ottiene poi dalla relazione (38) sostituendovi a lang 2 0 il suo valore in funzione di m e », ossia ponendo in essa: 2 \J E G—E tang 2 0 EG + F Si trova per tal modo dopo un facile calcolo la relazione: (E t F — EFJdu 2 J r (E I G — EG s )dudv -j -(Ffi — FG I )dv 2 = o, (41) che integrata darebbe in coordinate qualunque l’equazione delle linee suddette. Nel caso in cui le coordinate u, v sieno isoterme l’ultima equazione soprascritta prende poi la forma semplicissima seguente G — E. do: E l d p 15. Cerchiamo ancora le espressioni analitiche dei massimi e minimi valori del modulo di trasformazione in funzione degli elementi caratteristici E, F, G, E 0 F 0 G 1 delle due superficie, e, perciò, riprendiamo le relazioni sen 2 ( co— 6) -j- sen 0. sen (co — 0) -(- sen 2 (co —0)ff sen (20 — co) sen 2 0 (43) delle quali la prima dà il modulo di trasformazione in generale, in funzione della direzione 0 cui esso si riferisce, e la seconda dà le direzioni 0 lungo le quali esso è massimo o minimo. Comprendendo sotto l’unica notazione N tanto i due massimi quanto i due minimi cercati è chiaro che questi sono rappresentati dalle radici N dell’equazione che si ottiene eliminando la direzione 0 fra le (43) e considerando n come incognita. La ora detta eliminazione si fa molto facilmente se si osserva che, per essere sen (2 0 — co) = sen (0— co-)- 0) = sen 0. cos (co — 0) — cos 0. sen (co — 0), 2Ic Capitolo nono. le (43) possono, per 9 = 0, venire anche scritte come segue: [E F ) N 2 sen 2 co = sen (co — 0) \-r~ sen (co — ©) + — sen 0 -j- [e y e G ' (G F ) -f -sen 0 sen 0 -f- - 7 -' 1 sen rito — 0l (G y EG / J ) (E F 1 o = cos (co — ©) ;m(co—©) -f- sen 1 Q F ) — eos@ \—F sen 0 -f- 1 . sen (co— 0) . (ri- \j E G ) Ed infatti queste, risolute rispetto alle quantità rinchiuse fra le parentesi grandi dei secondi membri, danno: G F N 2 sen (ù.cosC co — 0~) = sen 0 -f— —Fr sen (co— 0), J G sjEG v J E F N 2 sen co. cos 0 = sen (co — 0) -j- I sen 0, E \J EG d’onde, ricordando che si ha in generale senu.^G.dv C(w9== 4 = (' £ ^ + ds \JE\ ■ ds ' ds sema .y E.du , M 1 (^dv , ^dn senO ■■ sen (co — 0) = si trae : ds — ’ C0S ^~^ = ^g[ G 17 +F 1i) 2 ,du) ‘ dv L’eliminazione di 4^- dà quindi dv ^ ( dv) 1 1 dv N 2 \e~+f\ =E^~ +F,. in .71 1 \ 1 dv (G-G N 2 ) (. E-EN 2 ) - (F,-FA7= 0, (44) ossia N 4 (EG — F 2 ') — N 2 (Efi-\-EG- 2. FF,) + G.E-F^o, (45) equazione che ammette le quattro radici date dalla formola N= ± j Efi+EG-2.FF+\l(E i G-EG i y+ i (G l F-GFXE 1 F-ETp ) (46) V 2 (EG—F 2 ) Della rappresentazione di una superficie sopra un altra. 219 delle quali sono da considerare solo le due che corrispondono al segno del radicale grande. Una di queste dà i minimi, l’altra i massimi valori del modulo n : rappresentandoli rispettivamente con N l ed N 2 si ha poi : QV,y- m'JJMz: E G - )2 +ygf ~ G ^ (IfEgg[. (47) s1e&=f; V EG — F 2 Questi due moduli massimo e minimo, danno una idea completa della deformazione che in prossimità di un punto soffre la superficie rappresentata, così essi son detti moduli principali di trasformazione, e l’ultima delle (47) dimostra come in una rappresentazione qualunque il prodotto dei moduli principali di trasformazione b eguale al rapporto fra le aree elementari che si corrispondono, dacché queste sono date rispettivamente, come abbiamo già visto, da: da — dti.dv\jEG — E 2 , d 2 TV d 0 = 2 ~. * Il teorema non sarebbe più vero se per variabile indipendente non si assumesse l’azimut od una quantità proporzionale ad esso. 220 Capitolo nono. •Ora si ha in generale J n r /»2 7T senati.dti = ^- | (i— cos2ti)dti = %, .*2 7T jcm 2 (w f I sen 2 (ti — od)dti = 7r, senti.sen(a—ti') ,dti=sen w | seni).costi.dti—cos or | senti.dti— — n.cosca, )=senu> I senti.i quindi, ricordando la relazione (36), si trova \J0 J l '" 2 71 2 . rm w <*0 i (E l 2 F, - T===C0S(ù \ L \jEG +£). ■ed anche, esprimendo .tckw e corco in funzione di F, F, G, I w 2 . (55) e quindi le direzioni delle linee della superficie rappresentata, ad Della rappresentazione di una superficie sopra un’altra. 225 essi tangenti formano una coppia di direzioni coniugate della rappresentazione. Reciprocamente due direzioni coniugate qualunque si confondono sempre colle direzioni di una coppia di diametri coniugati dell’iperbole suddetta, perciò questa prende il nome di indicatrice azimutale della rappresentazione che si considera. Giova notare che se invece del piano tangente alla superficie rappresentata si vuol far uso del piano tangente alla superficie rappresentante basta considerare su questo un’ellisse ed un’iperbole che abbiano rispettivamente per assi le inverse degli assi dell’ ellisse e dell’ iperbole indicate nei paragrafi precedenti, per ottenere in modo analogo a quello sopra esposto la sintesi della deformazione lineare ed angolare e le coppie delle direzioni coniugate della rappresentazione. 18 . L’espressione analitica adatta al calcolo diretto della deformazione & == Qj— 9 sofferta dall’ angolo 0 nella rappresentazione si trae senza difficoltà dalla formula (50), che dà : (N,— Ni) tang 9 tang 5 = H - f -r -vr -— rr~ ■ N 2 -\- Nfang 9 (50 Di qui è facile, discutendo le radici dell’ equazione d tang S d 9 : = 0, vedere come col variare di 0 fra o° e 360° la deformazione § ammette due massimi e due minimi, e due soltanto, che corrispondono alle direzioni t date dalla relazione tang\ = -rf. ( 57 ) E questa dimostra a sua volta che i quattro azimut della superficie rappresentata che corrispondono ai due massimi ed ai due minimi di deformafiione azimutale non costituiscono che due uniche direzioni, le quali si confondono colle direzioni degli asintoti dell’ iperbole indicatrice. Sia ancora t [ l’angolo azimutale corrispondente ad una delle direzioni t di massima o di minima deformazione angolare, dimodoché si abbia (formula 50): N tangrg— jj- tangT. >s Pucci, Geodesìa. II. 226 Capitolo nono. Moltiplicando questa relazione membro a membro colla (57) avremo tangT i tangr = i, (58) da cui si conclude che i due angoli e v sono complementari. Per la deformazione D di un angolo caratterizzato dalle due direzioni 0', 9' 7 alle quali competono rispettivamente le deformazioni azimutali 8', 8" si trova poi : (N—N 2 )(tan gQ"—tang Q')lN 2 — Npngti'tangò"] g ( i V 2+ - i V i tó W pe')(iV 2 +iV i to^ 2 0 ) + (7V —NytangVtangV ' CAPITOLO X. RIDUZIONE DEI PROBLEMI DI GEODESIA ELLISSOIDICA ALLA SFERA. 1 . Fra le rappresentazioni conformi di una superficie sopra un altra merita, geodeticamente parlando, specialissima attenzione quella dell’ellisoide di rivoluzione sulla sfera, giacché, scelto convenientemente il complesso di conformità, dà il mezzo, a causa della piccolezza dell’eccentricità terrestre, di ridurre la soluzione dei principali problemi di geodesia ellissoidica, già direttamente trattati nei precedenti capitoli, a quella degli analoghi problemi sferici, che non presenta nè difficoltà analitiche, nè complicazione eccessiva di calcoli. Per applicare le formule generali delle rappresentazioni, conformi al caso in cui la superficie da rappresentare è un ellissoide di rivoluzione, è necessario anzitutto di porre l’elemento lineare di questa superficie, sotto la forma isoterma ds — ^\(da. 2 - j- dp 1 '), ed a ciò si giunge senza difficoltà, pur ritenendo per linee coordinate i meridiani ed i paralleli, col porre, nelle consuete notazioni degli elementi geodetici fondamentali, dv = £dy, (0 nel qual caso si trae: ds ==r\j dv 2 -\- doì 2 . (2) Dalla relazione (i) si ha poi, sostituendo a p ed r i loro valori in funzione della latitudine geografica 9, (1— e 2 )d^ , c cos 9(1 — e 2 . seti 2 9) ~ r s f£5L_4 Jcos 9 J coso, do — e z .sen 2 o -C, 228 Capitolo decimo. d’onde, osservando che è seti

    ^ dV 2 -\- da 2 , (4) essendo V = log . cotg ( 5 ) Ne segue che tutte le rappresentazioni conformi dell’ellissoide ( 2 ) Riduzione dei problemi di Geodesia Ellissoidica alla sfera. 229 sulla sfera (4) sono contenute (vedi Capitolo IX, §§507) nelle formule generali fi ± i. V = y F (co + i. v') R.cos e si distinguono fra di loro dalle varie forme particolari della funzione arbitraria >F. Quando la rappresentazione conforme che si vuole stabilire deve servire per la sopra accennata riduzione dei problemi di geodesia ellissoidica ai problemi analoghi sulla sfera è evidentemente utile di determinare il complesso di conformità l F per modo che ai meridiani ed ai paralleli ellissoidici corrispondano rispettivamente i meridiani ed i paralleli sferici, nel qual caso le corrispondenze sono necessariamente della forma n=/ 2 ( u ), V=f r (v), ed il modulo di trasformazione deve esser funzione della sola

    0 , i valori di £, Z, 4>, corrispondenti a questa. Riduzione dei problemi di Geodesia Ellissoidica alla sfera. 231 cl fi d 2 fi d y ti Ciò posto, indicando con -yy- , -jyj , —^. i valori delle derivate successive del modulo di trasformazione prese rispetto alla collatitudine £ sotto la latitudine normale, avremo evidentemente • +u °a? 0 +—I— aa + TT* ÌTT+-’ d’onde si vede che la deformazione lineare in prossimità al parallelo normale è tanto minore quanto più grande è il numero dei termini che nella serie soprascritta si possono rendere nulli col determinare convenientemente le tre costanti arbitrarie della rappresentazione; quindi i più convenienti valori di queste debbono esser tratti dalle tre condizioni coesistenti 1, dn dfn dtt — 0. ( 9 ) 5 . Dalla relazione (8), derivando rispetto a X,, si ottiene senza difficoltà dn __c .R icos Z d Z . - s (1 — e 1 ')cosX,.senZ\ dl~~ a [setil di * 1 ~* ' C ° S ~ senili — e 2 . cos 2 ~U ’ mentre la seconda della (7), messa sotto forma logaritmica e differenziata, dà dZ c.dZ, c.e 2 .sen'C.d'C ia 1< (1— e 2 ).c.dl senZ sen'Q 1— e\cos% senX,{\ — e 2 .cos 2 Xf)'‘ ossia dZ (1 — e 2 S )c. seti Z dt, senX,( 1— e\cos%y Quindi abbiamo dn c.RCi — e 2 ) seti Z , „ 77- =--, _ (c.cosZ — cos n, a.sen%\] !■ — e 2 .cos% relazione in cui il secondo membro non può divenir nullo in generale a meno che non sia: (io) (11) c.cosZ — cos'C — o. (12) Questa condizione determina quindi la costante c se si conosce il valore di Z a corrispondente al valore di £ 0 . Poniamo per brevità c.R(i — e 2 )senZ m- a. sen% \j 1 — e 2 . cos 2 "C ’ 232 Capitolo decimo. in modo che la (11) divenga = F(Z) ( c. cosZ — cos Z) : rappresentando con F' (£) la derivata totale di F (Z) presa rispetto a '( avremo: d 2 n d 7 •^r — F'(C)(c. cos Z—cos Z) — F(Z ) ( ’c . -jy seri Z—sen Z) : d’onde risulta che se la costante c è stata determinata per mezzo d 2 n della (12), affinchè si annulli è necessario e sufficiente che si abbia dZ „ r c.-Ty-senZ — seti-, =0, dZ giacché F' (£) non può essere in generale nè zero, nè infinitamente d Z grande. Sostituendo in questa ultima relazione a jy il suo valore (io) la condizione precedente prende poi la forma c 2 .sen 2 Z( 1—e 2 ) „ Y~? ~z 2y\ >5 -— 0. senl>{ 1 —e . cos Q (n) Se si introduce ancora come incognita la latitudine sferica 0 (od il suo complemento ZJ corrispondente alla latitudine normale

    o — — \/i— e 2 e 2 . cos 1 ' ip o l Finalmente, determinata la costante c e la latitudine normale sferica ' la latitudine e con Q' la longitudine dei punti sferici riferiti a queste nuove linee coordinate. Rispetto ad esse l’elemento lineare sferico è dato evidentemente da ds t — R \/ cos^Q’.dd ' 1 ; (21) ma è utile anche qui introdurre invece della latitudine geografica ' la latitudine isoterma V che corrisponde al nuovo sistema di coordinate fi', ', e che è legata alla latitudine geografica stessa dalla relazione [vedi § 2, formula (5)] F'=log.cotg 45 (22) nel qual caso la (21) si riduce (vedi § 2) alla forma isoterma ds = R.cos ' \J dF ,z -\- d(ì' 2 = R.cos ', ds- -^dF‘ 2 +dO ' 2 = R .cos'.dV e le (23) e (24) valgono qualunque sia la natura della linea r. Se si vuole esprimere che questa è una geodetica dell’ellissoide, come la quistione che trattiamo porta a supporre, si deve togliere il valore di dalla equazione delle geodetiche, che è in generale (voi. I, pagina 88). dE 8 F du 2 -f 2 du. dv -f- ^ dv 2 = 2 .ds ,d(E^- 4- F^-\ du du da \ ds 1 ds) e che, per la forma (24) dell’elemento lineare si riduce a: 8 cos 2 ' « 8 F Questa equazione, per essere „fcos 2 '!>' 2 cos ' cos ' n da \ 2 1 Jvj 8 V 11 si trasforma poi nella seguente : cos’ ti/‘ cos «J»' y 7 -^'JdV' 2 +do 2 = d\ 1 + /ha'V W'ì - ( 2 5) Indicando ancora con 0' l’azimut variabile che la linea s i corrispondente ad s fa coi nuovi meridiani sferici O — cost si ha per altro nella (25) do.' 2y-,=tangV> giacché R.cos'.dV, R .costi.do' sono gli elementi delle nuove linee coordinate cui è stata riferita la sfera : per conseguenza, sostituendo nella (25) stessa, avremo (cos’.costi'} cV dO'= senti', d (26) Capitolo decimo. 8 L’integrazione di questa equazione differenziale non si può eseguire in generale, ma nel caso particolare che studiamo la linea s : , come abbiamo mostrato nel paragrafo precedente, non si discosta che di pochissimo dal nuovo equatore sferico 5, e, per conseguenza, l’azimut 0' ha sempre un valore così prossimo a 90° che è evidentemente permesso, almeno in una prima approssimazione, di sostituire nella (26) al seno di 0' l’unità ed al coseno la cotangente, ponendo 'coste' .cotg fi' e quindi : ( 2 7) •ifi'-f- costante. J dV n Inoltre il valore della latitudine ' lungo la linea s t è sempre estremamente piccolo e, prossimamente, dell’ordine stesso di 90°—0'; perciò dentro l’approssimazione tenuta nella (27) si può introdurre in luogo di coste', dV in questa rispettivamente 1, dte’, dandole la forma seguente dte' coste' ’ -dO' costante. (28) Ciò posto, rappresentiamo con fi' 0 ed n : i valori che assumono 0' ed n nel punto A\ Afi'=o, O'=O' 0 ) origine dell’arco sferico di cerchio massimo S: dalla (28), fra i limiti fi' ed fi', avremo: n. cotg fi'„ ove le quantità n e k— debbono esser considerate come funzioni Riduzione dei problemi di Geodesia Ellissoidica alla sfera. 239 della sola Q', 1 ’ eliminazione dell’ altra variabile ' potendo teoreticamente esser fatta per mezzo dell’equazione in Q' della curva s t alla quale l’azimut 0 ' si riferisce. Indicando, per brevità, con A o il valore che prende la quantità 8- n ~ n dW nel punto QÓ, e ponendo in generale 8 - fi A -- n W r==A ° +1 ‘ An ' +K Afì,2 ' h ■ ■ n =«,(1-)- ;aAn'+p. 2 An' 2 -f...) i coefficienti X t , p. a ,... saranno quindi delle costanti e, per conseguenza, osservando che si ha i + [V aq'+ [V aq' 2 +... = i f*i-A n'— Qj. — p. 2 ) a n' 2 ed eseguendo l’integrazione accennata nella (29), si trarrà, con ovvie riduzioni : cotg%'=( 1 +fi ( AQ'+p. 2 AQ' 2 +,..) cotgK— A 0 AQ — AQ' 2 +... (31) 2 Questa è l’equazione che rappresenta approssimativamente la geodetica r dell’ellissoide considerata; per comparare il suo andamento con quello della curva che le corrisponde sulla sfera rappre- sentatrice è però necessario dedurre anche l’equazione di quest’ ultima linea, ed a ciò si riesce facilmente, dentro l’approssimazione tenuta nella (31), ricordando che si ha in generale dV'=d£l'.cotg§ , sostituendo a cotgft’ il suo valore tolto dalla (31) medesima ed integrando: per tal modo si ottiene: V'= |a Q'-f AQ' 2 -j-,.. 'jcotgQ'o— ^2 AQ' 2 — Q' 5 -f... (32) Agli estremi dell’arco s di geodetica ellissoidica corrispondono due punti della che appartengono altresì all’equatore sferico S e che perciò hanno latitudini isoterme e geografiche nulle rispetto a questo, mentre le longitudini sono poi QÓ ed QÓ+ 5 , almeno se si suppone l’arco 5 di cerchio massimo contato in angolo : la coppia 240 Capitolo decimo. di valori V'=o, Af l'=S deve dunque soddisfare all’equazione (32) e quindi si deve avere A a -)- X Pii 1 I ossia: cotg 9; = j |A o + | (2 . X f*. *„)+• • -J • (33) Il valore 9', di 9' che corrisponde all’ altro estremo della geodetica s si deduce poi dalla (31) introducendovi in luogo di A a' il relativo valore S e sostituendo a cotg 9J, l’espressione in S trovata sopra : in tal guisa si trova : * [ A o+ 6 (4-\+!V A o)+-- j Ciò posto sieno oq, a 2 gli azimut ellissoidici agli estremi della geodetica s : dacché la rappresentazione qui discussa è una rappresentazione conforme, gli stessi angoli rappresentano anche gli azimut sferici agli estremi della linea s i corrispondente ad r riferita agli antichi meridiani sferici 0 = costante; ed è facile vedere come, indicando con oq-j-Aaq ed q-f Aq gli azimut che nei suddetti punti fa con questi meridiani l’arco sferico di cerchio massimo S, si ha nelle prestabilite notazioni : A sq= 90 °—Gó, Ax 2 = 9 o°—91. Porremo adunque 5(5 tang A a = - |a o + j (2 .1 — p, \J +.. .J 5(5 tang A x 2 = — ~ A o+ g (4 • \+ P-. 0 + -- •! o più semplicemente, a causa della piccolezza dei valori di Aq, Aq (vedi paragrafo precedente): *o+z( 2 -V j A o+ ?(4 -\+Py'o) + « ( 35 ) Riduzione dei problemi di Geodesia Ellissoidica alla sfera. 241 Per far uso di queste formule e per renderne esplicito il significato analitico resta da esprimere A 0 , \ t , e (a in funzione dei dati diretti del problema, e per questo osserveremo anzitutto come, se si rappresentano con n 2 eA I i valori che prendono le funzioni n d- e — n T \—7 nel punto 0'= fió + S, 4 > ,= 0 ossia all’ estremo B della 0 geodetica s, si ottiene «2 n. d’onde si trae 7 « 1 "f [• y -,^+, a 2 ^ 2 +”-J 5| A 0+ * * Oj » 1 2(i + p,S+[, 2 5 2 +...)V er 5(7 + 7)^ = j| A o +1 (V+X 2 S 2 +.. 5 j(i +H.S+ P,S 2 +.. .)'/«, od anche, con ovvii sviluppi in serie : Confrontando queste colle (35) si vede che, dentro l’approssimazione quivi ritenuta, si può porre nelle quali relazioni non abbiamo più che da occuparci delle quantità A o e A„ giacché in luogo di S si può introdurre evidentemente j 1 il valore più che abbastanza approssimato __ , ed il valore del fi rapporto ^ può esser dedotto da formule generali già premesse, e del resto differisce si poco dall’unità che dentro l’approssimazione tenuta si può fare anche astrazione da tale differenza. Pucci, Geodesia. II. 16 242 Capitolo decimo. Il modulo di trasformazione n essendo nel caso nostro funzione della sola to, si ha per altro gì n d to' d 1 n d dto ' d ' ’ mentre d’altra parte, se si osserva che è d[- \n dto d d [n) di dZ di dZ’ d \nì di e si sostituiscono a —ed a * di “ 1Z * va ^ or * c ^ ie s * tra gg°no P er ta li derivate dalle relazioni (8) e (io), si trova Ì) _ a. sen l (c .cos Z — cos () dto c\R.sen 2 Z\ji—e\cos% per conseguenza, rappresentando con

    ,, e con

    Sto' dto’ c. cos sen

    ) ; W dto dto' ove gli indici alle parentesi degli ultimi membri indicano che i valori delle quantità rinchiuse in esse corrispondono rispettivamente agli estremi di s suddetti. Sieno ora, nella fig. 66, P il polo in cui s’intersecano i meridiani fondamentali fi = cost. della sfera rappresenta- trice, P' invece il polo in cui si intersecano i meridiani ausiliarii fi'= cost. e sia M un punto qualunque di coordinate , fi e to', Q' rispettivamente. Il triangolo sferico P'MP darà, indicando con Sì^ la Riduzione dei problemi di Geodesia Ellissoidica alla sfera. 243 longitudine di P rispetto ai meridiani ausiliari e con L la distanza angolare P P' compresa fra i due poli suddetti : seti = sen <ì>'cos L -f- cos $' sen L cos (Q', — O'). Derivando parzialmente rispetto a ' avremo quindi, in generale 8 cosft'cosL — sen'senL.cos(fl ' ]? — fi') ' cos<- I> però nel caso speciale che ci occupa si devono considerare soltanto dei valori della derivata parziale corrispondenti a punti situati sull’equatore ausiliario ’= o, e quindi sarà d _ cos L 0<1>' cor’ inoltre nel triangolo sferico sopra considerato il lato P'M diviene allora di 90°, e l’angolo PMP' nelle notazioni precedenti è a +A «,-90°, ovvero a 2 -f- A oq— 90° secondo che si considera l’uno o l’altro degli estremi dell’arco sferico 5 : si ha quindi ovvero e, riassumendo cosL = — cos sen (oq -|- A oq) cosL = — cos sen^u.^ Ak,), (^Ì =_5OT(a 2+ AK ^- Sostituendo nelle precedenti espressioni di A 0 e A, si trova A = O c.sen i — senr. p t c. cos , «#(«,+ Aoq) A = I c.sen<ì> 2 — sem p 2 c. cos 4 > 2 sen (oq+ Aoq), o, più semplicemente, a causa della estrema piccolezza delle correzioni A oq, Aoq: c.sen 1 —sen

    . sen oq j f c .sentii 2 — sem p. c. costo. sena.. ( 37 ) 244 Capitolo decimo. Queste sono le formole dalle quali possono essere calcolate le ausi- liarie A o eA . Lungo il parallelo normale della rappresentazione si ha esento — seny = o, quindi, come era da prevedere, i valori di A si annullano qualunque sia la direzione della geodetica s : in ogni altro punto poi A prende dei valori tanto più piccoli quanto più il punto è prossimo al parallelo suddetto. Se si pone in generale 7 = c.sen — sen 9 c. cos ( 38 ) e nella relazione (36) si trascurano i fattori \j~ come estremamente prossimi all’unità, si ha finalmente: A cq = A', V, 0 ', all’elemento da dell’ellissoide, corrispondente all’elemento d s= R . cos «!>' \jd V * -+- d < 1 2 della sfera rappresentatrice, per essere tangV = 7 7 -,, da' Z W’ può esser data la forma da = R cos 47. da' n. senti' dimodoché soide, si ha, in generale, per una curva qualunque dell’ ellis- f R cos '. da' n. senti' costante, ( 40 ) Riduzione dei problemi di Geodesia Ellissoidica alla sfera. 245 ove ', n, 0' s’intendono espressi in funzione di fi' per mezzo dell’equazione in <*>', fi' della curva considerata. Se si specifica P arco a colla condizione che esso si identifichi coll’arco r di geodetica ellissoidica, è poi da porre nella (4°); ri- tenendo le notazioni stabilite più sopra [formule (30)], n = », (1 + (a, . A fì'+ p- 2 ■ A n' 2 -f ...), e P integrale deve esser limitato fra i valori Cl' 0 ed fì' 0 -f- S della variabile Q' : inoltre si potrà, almeno in una prima approssimazione, introdurre l’unità in luogo di senft' e di cos', per modo che si avrà R s = ■a'o+^ dii' 1 . a n'-j-f i 2 . a a' 2 -)--... ’ U o da cui si trae facilmente: R.Sf 'V P-,S 2 Ma rappresentando ancora con n 2 il valore di n all’estremo della geodetica r ove è Q'= QÓ-fS, si ha per altro [formule (30)] \K « 2 « I V , i-rP I " S + IV 52 +--- = — t l J ; S 2 perciò l’espressione sopra ottenuta per s, limitando P approssimazione ai termini in S 2 , può anche essere scritta come segue R.S.sem" S\j oN .seni" , N — ■- = - - V - \.= --’ ( 4 i) v »,« 2 v w ,« 2 ove è stato aggiunto il fattore seni" affinchè r, come si suole, rimanga espresso in lunghezza. 9 . È facile vedere come le formule (39) e (41) danno in pratica un’approssimazione più che sufficiente anche per archi geodetici eccezionalmente lunghi e per distanze rilevanti dal parallelo normale della rappresentazione, come per esempio di sei o sette grad di latitudine. Dentro tali ampii limiti le correzioni A a negli azimut 246 Capitolo decimo. raggiungono appena qualche decimo di secondo, e la quantità r V?. N sen 1 che dà la correzione da farsi alla lunghezza s\J p.Nseni" dell’arco sferico di cerchio massimo S per passare al corrispondente arco s di geodetica, è una quantità così piccola che i termini inferiori di un ordine ad essa escono affatto dai limiti di precisione cui possiamo aspirare coi nostri mezzi di misura. La rappresentazione conforme precedentemente discussa dà in conseguenza un modo tanto semplice quanto elegante di risolvere per mezzo delle sole formule di trigonometria sferica i problemi di geodesia ellissoidica trattati nei Capitoli V e Vili. Supponiamo infatti che di una rete di triangoli geodetici siano noti dall’osservazione gli angoli (compensati) ed una base, non solo, ma anche la posizione geografica 9,, w, di uno degli estremi di questa ed il suo orientamento a, (azimut), ed immaginiamo la rappresentazione conforme dell’ellissoide sulla sfera, individuata dalle formule ricavate nel § 5 e qui sotto riassunte sen

    „— ° \ji — e 2 -j-e 2 .cos 4

    — sen © 1 c. cos /^.senx i +-z i .sen«. 3 . R. sen 1 Z 2 .senx 2 +-p r sen a, S .^pN.sen 1" ( 43 ) \l oN.seni" \j 1 — e 2 , seti 1 y a. sen

    ^1— e 2 , sen 2 cp ( 44 ) a. cos cp permettono inoltre di calcolare le coordinate sferiche ,, fi, del punto sferico corrispondente al punto ellissoidico dato cp,, &>,, e successivamente tutte quelle degli altri vertici sferici, giacché congiungendo gli estremi di ciascun arco (lato) sferico col polo della sfera rappre- sentatrice si ottiene un triangolo sferico in cui due lati sono i complementi delle latitudini sferiche, l’angolo nel polo è la differenza di longitudine sferica che separa i due estremi dell’arco suddetto, e gli altri angoli o sono gli azimut sferoidici relativi ai lati della rete geodetica considerata, o almeno si possono dedurre da questi per mezzo delle correzioni A a. calcolate colle formule (43). È però opportuno il notare come per lo più le usuali formule di trigono- 248 Capitolo decimo. metria sferica mal si convengono in pratica alla risoluzione di quri- sti triangoli, a causa della piccolezza dei iati della rete sferica, ed è quindi utile piuttosto anche qui ricorrere alle relazioni stabilite già nel § 11 del Capitolo Vili, per un caso analogo e che sono : „,ri-S, sm 45 0 -+ „,+ S, «*45°-+ 4- Afl rat 45 0 -+ cotg cotg (45) cotg V = seti ,„ tang A 0,„ sen 1 sen 90°— f S„sen(g I'— «„)( S z sen\" car’ri'i"— x m )\ A m L’angolo W è una ausiliaria di cui il significato geometrico è indicato nel sopracitato Capitolo, ed è necessario fare speciale attenzione alla grandezza dell’azimut di partenza k„, , per introdurre nelle formule W od il supplemento a 180 0 a seconda dei casi: l’indice m poi si riferisce al numero d’ordine che nella rete ha il lato' 5 , o piuttosto il suo estremo di partenza, quello cioè di cui si suppone che sia stata già precedentemente calcolata la posizione sferica. Invece delle ( 45 ) si possono con ugual facilità applicare anche le formule seguenti, nelle quali l’angolo 0 è una ausiliaria di cui è ovvio intendere il significato geometrico : tang 0 = cos v.,„ tang S,,, tang & O m = tang a.,,, sen 6 . sen („-j-0) tati (3 = sen x m sen Sjang (,„ -f- 0) 5 senp = sen y, S, 5 che debbono considerarsi come piccole, alla forma . „ f , Slsen 2 i'Wot M ) 0 == a„, 11 -]---j AQ .tangcc m | ~.sen 2 i"(i tang 2 c/.„ \ cos 2 ( -|-0)] cos (+ 0) ( p =S m sena. m tang(

    m -(-0)j | I. S m .seni" - sen cc n (47) . $.Ml m .seni" ò == r - cos (,„ -f 0) 2 - 0 - = *».+ P — y sotto la quale si introducono in calcolo. Ottenuti i valori delle coordinate sferiche per tutti i punti della rete rappresentante si potrebbe poi passare a quelle dei vertici della rete sferoidica per mezzo delle formule di corrispondenza (44). IO. Le formule (46) che sono date senza dimostrazione da Gauss * nello sviluppo della teoria qui esposta, si deducono molto semplicemente come Sia P (fig. 67) il polo della sfera rap- presentatrice, M il punto di coordinate i; fì * Uniersuchimgen ùber Gegenstànde der Hòheren Geoddsie. Erste Abhandlung. Gauss. Werke. Band. IV. 250 Capitolo decimo. dell’estremo N e l’azimut PNO=a. i , che la direzione positiva nell’arco S fa in N. Se si immagina il cerchio massimo R N che passando per tale estremo N, è perpendicolare in R al meridiano PM si viene a scindere il triangolo obliquangolo PMN in due triangoli rettangoli PRN, RNM, dei quali il secondo, indicando con 0 il lato RM, dà tang 0 = cos a .tang S, che è la prima delle (46), e tangRN — sen 0 . tang a (/c) senR N=sen S.sen a. ) Ora dal triangolo RPN, osservando che si ha PR = PM—RM=9 o°—4» —e, e rappresentando con p il complemento dell’angolo PNR, si trae : tangR N= tang\ n. sen [90°— ( -f- 0 )] tang{gj0 0 —( -f- 0 )] = sen R N. tang(g)o° — p) e quindi, tenendo conto delle precedenti relazioni (/e), avremo : tang A fi = tang a. senQ . sec ( -f 0) tang p = sen a. sen s . tang ( -\- 0). Se indichiamo ancora con 90°+y la somma dei due angoli RMN, RNM del triangolo rettangolo MRN, sarà poi PNO = x = 1 8o°— PNM — 9o°-f p = a -f- P — y, sen — — cos (90° -f- y) =— cos(RMN-j-RN M) = senxsenRNM — cos x.cosRNM. Ma dal già considerato triangolo rettangolo MR N si deduce ancora seni) senRN M— „ senò cos RNM= sen x.. cos 0 = senx.senò cosa, .tangS quindi avremo: Q ( 1 — cos 5 \ 0 ^ S sen v — sen a . sen 0 - 7 ,— = sen a .sentì. tang — ‘ \ sen S ' 2 Per dedurre finalmente la quinta delle (46) notiamo anzitutto Riduzione dei problemi di Geodesia Ellissoidica alla sfera. 251 come il significato geometrico della ausiliaria 8 resta perfettamente determinato della sesta delle (46) medesime, che mostra come 8 non sia altro che la differenza di latitudine fra i due punti R ed N della fig. 67, e come si abbia per conseguenza 8 = PN — PR. Ora dal triangolo rettangolo PNR, applicando le note analogie di Delambre si ricava 8 sen — 1 sen cos- 2 RN —— sen -5 àn 2 P 8 C0S 2 RN C0 ^ 2 MÌ C ° S 2 ’ COS - 2 e, da queste, moltiplicandole membro a membro: sen 8 - 2 .COS ,Ai! Per esprimere senRN in funzione di ( 3 , co e -|- 0 basta tornare al triangolo rettangolo PRN che dà v\t_ tan g$ sen RN — cos ( + 6) sen A fi, tang ( -f- 0) cos p e quindi, sostituendo nella precedente espressione di sen 8 si trova: sen 8 = tang ( 3 . tang — . cos ( + 6) come si voleva dimostrare. 11 . Il passaggio dalle latitudini sferoidiche alle latitudini sferiche corrispondenti per mezzo della seconda delle formule (44) condurrebbe a dei calcoli assai lunghi, mentre poi per il passaggio reciproco dalle latitudini sferiche alle corrispondenti latitudini ellissoidiche converrebbe ricorrere, con anche maggior complicazione, al metodo delle successive approssimazioni. Ma è facile vedere come i due passaggi ora indicati possano essere resi semplicissimi contando le differenze di latitudine sempre a partire dal parallelo normale sferoidico o sferico, a seconda dei casi, e trasformando 252 Capitolo decimo. convenientemente la seconda delle (44), in modo che essa dia la corrispondenza fra le differenze delle latitudini sferoidiche e sferiche invece della corrispondenza fra le latitudini assolute. Sia infatti da dedurre la latitudine sferica corrispondente ad una data latitudine sferoidica li> = lI> o+ A * indicando, come precedentemente, con

    o la corrispondente latitudine sferica: dacché la latitudine sferica qualunque <1* è una funzione nota di = A / (i \ A

    \ 1.2.3 U?7o’ + "'"’ ( 48 ) l’indice delle parentesi significando che i valori delle derivate successive rinchiuse in esse corrispondono al valore

    c( 1 — e 2 ) cos df cosf( 1— e 2 . sen 2 < p) ’ e quindi: d 2 c(l £ 2 )C05 di p 2 cos 2 io (1— e 2 seni p)' [c(i— ecsemi' — seny^i -f e 2 ( 2 —3rew 2 cp)]j. (49) Ricordando che, per una delle condizioni della rappresentazione qui considerata [§ 5 formule (14)] è c.sen o =sen(p 0 , queste ultime relazioni danno : (d\ _ c(i— -e 2 )cos^ 0 _ cosf n UWo - ^ToC 1- e 2 .senfj ~ c.cos o (d 2 \ 3.e 2 .c(i— e 2 ')cos o sen

    -\-i-\-sen 2 'p — \ d** c(i — e 2 )cos

    [i+eX2—i.sen 2 — cos 2 ( l>') — 3 . c. sen 9 seti $ -(- 2 . serie? -(- cos 2 < p. Ma per 0 - 1- 2 . serio o — 3. c .seti

    0 = o, e quindi dell’espressione precedente rimane cos 2 ( p 0 — c 2 .cos 2 0 = 1 — c 2 , quantità che, a causa della relazione (15), è eguale a e 2 . cos*o n 1 ■ Il valore di pertanto è dell’ordine di e. Eseguendo completamente l’eliminazione di c e di dalla parentesi grande della (51) per mezzo delle condizioni (14) e (15) del § 5, si trova, dopo facili riduzioni, [jj j o = c^i — eyce}^ { cos2( ?° cos 2 ?o+e 2 .sen \( 4 — 7 sen 2 ?o + 3 sen*

    (5 — 6. sen 2< P) -f- 5. sene? -(- serie? -j- -2—j—4 .seri -f- r( 1 — e 2 ) cos -(-3. c 2 (i— e 2 f sento j +2.e 2 (-2+4.sen 2 ) \ I ■—4— j.sen 2 (i-efen^y ) ] +^(- 8 + 4 -«« 2 ?+ 2 é.rm + 9 )+ 1 + -f - r 4 (— 3 è.seri e ?+88 .tm 4 ®—6 3 .serie?) -f e 2 (4 .sene ?— 1 j.serio —5 .seri 9) -j- -f ef24.senp —8o.r«7 3 9-f9i.rrw s 9— 1 7 .sen 7 ^)-\- \ -fe 6 (24.serio — 68.seriy-\-6<;.sen 7 2 7 .serie?) d’onde, trascurando i termini in e 6 , si trae 4 4 > iG.e 2 .sene?.cos*e? \d ( cos* 9- e 2 /49 — i6o.seri 2 3 .e .cor

    i 4 2 .e 2 .cos 3 , (f o sen^ o sen ì 1 io.reM 2 9„-|- -y- sen\ \ cos %~ e ' 3 . c 7 ( i — e 2 ycos 7

    , A9 si suppongono espressi in secondi. Questa forinola è molto conveniente al calcolo di A 4 >, giacché i coefficienti delle potenze di A 9 nel secondo membro non solo sono calcolabili assai speditamente, ma sono altresì delle costanti che possono supporsi calcolate insieme alle costanti della rappresentazione considerata. Per questo motivo sarebbe semplicissimo il tener anche conto dei termini dei primi ordini successivi al 6.°: ma già l’ultimo termine della (56) dà, come è facile verificare, una precisione spinta più che ad — delle lunghezze anche per A 9 eccezionalmente grande, per esempio, per A9= io 0 , precisione maggiore di quella cui possiamo aspirare coi nostri metodi di misura: d’altra parte è da notare che la rappresentazione qui studiata non si suppone estesa che ad una zona Riduzione dei problemi di Geodesia Ellissoidica alla sfera. 255 limitata in latitudine dentro una ventina di gradi, giacché se questo limite dovesse esser superato la risoluzione dei triangoli elementari della rete rappresentante più lontani dal parallelo normale condurrebbe a calcoli assai complicati, cosicché conviene piuttosto spezzar la zona in due o più parti e rappresentare poi ciascuna delle parti sopra una sfera speciale. 12 . Il problema reciproco a quello discusso nel paragrafo precedente si risolve in modo analogo con la stessa semplicità; ed infatti considerando

    si può porre ove i valori delle derivateci, C|, C-|-,... per il valore <1> della d d d 3 r 0 variabile indipendente si possono trarre da quelli delle derivate reciproche — d 'p note relazioni : d d 2 >ì> d ! d 'f ’ d

    d d 2

    d p d 9 ? d s 9 d¥ p di 4 d 4 > d 2 a 13 $ d 4 d (d 2 iA 2 d}<- 1> d 2 $> d 4 dYd s def'dep d (54) e (55) si trova per tal modo assai facilmente: f d_ 9 \ C.C0S o (£1 \ 3 -e 2 -cos? 0 - lo 1 ~ e sen'f o (£i\- W): . e c .cos © 0 car 0 (i— e 2 ) - jy \cos 2

    . —A 2 . —A4> 3 . ^r

    0 / /H 2 5 ié ' + + A«». ) cos , + , 3.« (.-« )■»?/» *„) I + 21 w? , + -f a ! 15 1 — —

    - I 1.2.3 ' ddn IQ + (C-OU d+n 1.2.3.4UC, +• Hy—— I Atp 5 (d y n\ A

    a . cos 2 ® \/1 — e 2 . seni p da cui ponendo, come nel paragrafo suddetto, _ (c.sen —seri a.cos f\ji — e 2 .seti 2 a e derivando rispetto a — sen ^ - + seno] d A n d

    0 = sen

    \ c.cos' I> , 2,2 2 n = -“C r —« +« 9o). \ d 9)o C0J 9o /W [^rJ = 3 - < .sen? 0 cos o(^) —cjen^j^j +seni I>\ (d z \ fd\ \dtf) *o=?o> Riduzione dei problemi di Geodesia Ellissoidica alla sfera. 259 ossia : ■Cosi per lo sviluppo (61) si trova, coll’approssimazione del quarto ordine inclusivo, e . . ,, n-—i - Xy’sen’i sen 2

    ; .seti’ 1 "sen2

    , come si rileva dalla (56) o dalla (60), è dell’ordine di e 2 . Il quinto ordine, trascurato nelle (66) e (67), si compone del termine in e 4 .A

    -io°. Solo nel caso (non pratico) in cui la rappresentazione sferica abbracciasse una zona estesa più di venti .gradi in latitudine sarebbe quindi da tenerne conto, lo che, del resto, non presenterebbe nè difficoltà analitiche, nè complicazione di -calcolo. CAPITOLO XI. RICERCA DELLE COSTANTI DELL’ ELLISSOIDE TERRESTRE. 1. È opinione invalsa in varii astronomi e geodeti, che per ellissoide terrestre si debba intendere quell’ellissoide a cui il geoide si ridurrebbe se la densità degli elementi terrestri non presentasse discontinuità, o, per meglio dire, se la materia attenuata di densità uniforme, dalla quale si vuol supporre originata la terra, e che si vuole ammettere come proveniente dalla rottura di uno degli anelli ellittici abbandonati dall’atmosfera solare nello spazio del nostro sistema planetario, si fosse condensata intorno ad un nucleo, rimanendo soggetta ad un raffreddamento equabile, e ad una rotazione intorno al nostro asse polare. Tuttavia questo ellissoide ideale, che non resta così che vagamente delineato, non è mai stato nettamente definito, ed entra nella discussione in modo diremmo quasi indiretto, per mezzo delle attrazioni locali, considerate come conseguenze della deviazione fra tale superficie e quella del geoide: invece è stato lungamente discusso, ed ancora si continua a discutere, se alla ricerca di queste attrazioni locali sia applicabile o no il metodo dei minimi quadrati, mentre, a causa delle ondulazioni continentali del geoide, le loro grandezze non possono essere distribuite in modo casuale. È chiaro per altro che simili discussioni mancano di ogni fondamento fino a che si parla dell’ellissoide terrestre sotto una forma assoluta senza prima togliere questa superficie dalla nebulosità di cui la si circonda; ed è in ciò affatto inutile il fermare l’attenzione sopra la probabilità e l’attendibilità delle ipotesi sulla origine della terra, dacché pure ammettendo queste ipotesi non per ciò l’ellissoide ideale suddetto resta meno indeterminato. Ed infatti per determinarlo non solo farebbe d’uopo di conoscere la densità Ricerca delle costanti dell’ ellissoide terrestre. 261 e lo stato fìsico di tutta la materia di quel globo ideale in un’ epoca dita ed avere la legge di raffreddamento successivo, ma bisognerebbe pur sempre considerare uno stato di equilibrio termico affatto arbitrario. È quindi impossibile, praticamente parlando, di farsi un concetto preciso dello sferoide ideale suddetto, e, per conseguenza, è pure impossibile di parlare di attrazioni locali in senso assoluto, e queste non acquistano un senso determinato che in relazione ad un ellissoide definito altrimenti, e scelto in guisa più o meno arbitraria. Questo concetto non anche formulato fin qui, è però già entrato nel campo delle ricerche scientifiche e spesso ora si fa uso non di un solo, ma di più ellissoidi come superficie di confronto e di riferimento, a seconda delle regioni terrestri che si hanno da considerare, cosicché ad uno stesso punto terrestre competono varii valori dell’attrazione locale a seconda dell’ellissoide al quale si riferisce. Per ellissoide terrestre va quindi inteso l’ellissoide di riferimento scelto in modo più o meno arbitrario a rappresentare l’intera superficie della terra. Ma se nella scelta che si fa di un ellissoide per riferire ad esso tutta la superficie del geoide od una sua regione, non è possibile rimuovere completamente l’arbitrarietà, tale scelta deve però esser fatta per modo che le due superficie nella regione considerata o nella loro totalità si discostino poco l’una dall’altra: quanto più piccole saranno le deviazioni, tanto meno le geodetiche del geoide e quelle dell’ellissoide differiranno le une dalle altre, e con tanta maggior precisione le figure tracciate sul geoide, e non risolvibili con regole matematiche definite, potranno essere risolute come ellis- soidiche. Rappresentando adunque con h l’altezza di un^punto qualunque del geoide al disopra (o al disotto) dell’ellissoide, contata lungo la normale a questo, si presenta spontaneamente l’idea di scegliere, per caratterizzare la minima deviazione fra le due superficie, la condizione 2 h — o, o l’altra 2 h h = minimum dentro la regione che si considera se si tratta di determinare un ellissoide secondario, o per tutta la superficie terrestre se si tratta di determinare l’ellissoide terrestre. Tuttavia i valori di h non sono conosciuti a priori, nè sono direttamente esprimibili in generale per mezzo di quantità osservabili : il confronto delle misure geodetiche colle osservazioni astronomiche dà invece in modo assai semplice le differenze fra le coordinate astronomiche dei punti del geoide, e le coordinate geografiche 262 Capitolo undicesimo. dei punti corrispondenti (vedi Capitolo I, § 6) dell’ ellissoide. Perciò si suole giudicare della prossimità delle due superficie non per mezzo delle distanze assolute fra i punti corrispondentisi, ma per mezzo della deviazione 9 delle normali che geodeticamente si corrispondono (attrazioni locali, vedi Capitolo I, § 6): è quindi logico e conveniente sostituire alla condizione assoluta \h h] = minimum sopra considerata, la condizione relativa [0 9] = minimum ( i ) che fino ad un certo punto le equivale. È sotto questo aspetto affatto speciale che alla ricerca delle costanti di un ellissoide parziale di riferimento, o dell’ellissoide terrestre definito come sopra è detto, è applicabile il calcolo dei minimi quadrati, e ciò indipendentemente dalla legge di distribuzione delle attrazioni locali, che non hanno nulla di comune con una classe di errori di osservazione, ma sono invece costanti determinabili con un errore probabile molto minore della loro grandezza. Sieno ora sulla cosiddetta sfera celeste (fig. 68) P un polo, EO l’equatore, PO il primo meridiano, Z lo zenit vero, Z' lo zenit el- lissoidico e quindi ZZ' l’attrazione locale di un punto qualunque del geoide, e rappresentiamo con E, = Z' R e con rt — ZR rispettivamente le componenti di questa attrazione locale nel senso del meridiano e del parallelo, e con l’azimut astronomico PZZ' del piano ZZ' in cui essa agisce indichiamo inoltre con / e 1 la latitudine e la longitudine astronomica, e con introducendo sotto forma esplicita anche l’errore / commesso nel trasportare l’azimut originale da un punto ad un altro, ossia nel calcolare a' per mezzo di una rete di triangoli interposta fra il punto B ed il suo centro di emanazione, ed in tal modo sostituisce alla nostra condizione (3) la condizione [5 5 ] + [«>■] + [/>//] = 0, F espressione analitica delle quantità / essendo dedotta dal confronto delle espressioni di ila e >i K , e p rappresentando il peso di /, scelta per unità di peso la determinazione di uno qualunque dei valori ?, ed n w . Ciò equivale in ultima analisi a considerare come esenti da errore le determinazioni di 11 fatte per mezzo della seconda delle nostre (4), ed a risolvere il problema qui discusso sotto il Ricerca delle costanti dell’ ellissoide terrestre. 265 È qui necessario di ricordare che le misure geodetiche sono fatte in realtà in punti non appartenenti nè al geoide, nè all’ellissoide, e che per il calcolo delle quantità ellissoidiche p ', co', a' è necessario invece supporre che le reti geodetiche giacciano sull’ellissoide stesso : bisognerebbe quindi anzitutto poter ridurre le misure fatte a quelle che si sarebbero ottenute nei punti corrispondenti di questa superficie. Per quanto si riferisce agli angoli azimutali ( differente di azimut) noi abbiamo discusso questo problema nel § 19 del Capitolo V, e mostrato come la correzione per ciascuna direzione sia data dalla quantità 6 .h .senty .sen 1", ove h rappresenta l’altezza angolare del punto osservato sull’orizzonte del punto di osservazione. Nella massima parte dei casi tale correzione riesce di molto inferiore agli errori di osservazione e per conseguenza non sarebbe da tenerne conto che in punti isolati e rarissimi delle triangolazioni, lo che sarebbe però possibile soltanto in una seconda approssimazione, dopo aver determinato i valori prossimi 6 delle attrazioni locali e le corrispondenti direzioni ò. È però da notare che in un angolo l’influenza dell’attrazione locale anche nei sopraindicati punti eccezionali è sempre molto inferiore all’attrazione locale stessa e che nella compensazione di una rete viene in parte corretta e distribuita anche negli altri angoli in proporzione del loro peso e della loro prossimità al punto influenzato, per lo che una nuova compensazione che si facesse tenendo conto, in una seconda approssimazione, anche delle correzioni dovute all’attrazione locale, condurrebbe a risultati poco diversi dalla prima; è quindi giustificato pienamente il principio accettato oggidì da tutti i geodeti di considerare gli angoli compensati di una rete come appartenenti all’ellissoide di riferimento. seguente punto di vista : « date le equazioni generate d'i + 4 i)'t = fl r v’ì-W'i *2+ • - - + A j &) ì 2=a 1 x l -\-b. i x 2 -{-... -f-/ 2 , _)'« “b A V„- (!n A'[ -j- 1>„ x 2 “p .. . f l,i, ove le quantità y sono da considerare come osservazioni indirette, ed i A_y conte errori residuali di osservazione, determinare i valori piu probabili degli x, compatibilmente colla condizione [yy~\ = minimo » accettando per soluzione la condizione [r r] -p [A y . A y'\ = minimo. 266 Capitolo undicesimo. Resta a parlare della riduzione che debbono subire le distanze, o, per meglio dire, le basi geodetiche, per essere trasportate dal geoide all’ellissoide. Sia perciò s' un arco di geodetica tracciata sul geoide ed s, l’arco corrispondente di geodetica ellissoidica, compreso cioè fra i piedi delle due normali abbassate sull’ ellissoide dalle estremità di s'. È facile vedere come, a meno di quantità infinitamente piccole di secondo ordine, la corrispondenza fra gli elementi di tali curve può esser stabilita scegliendo come variabile indipendente l’arco 5 contato lungo la s', proiettando normalmente l’elemento ds, sul piano osculatore della r, nel punto M corrispondente al considerato valore di r, e quindi conducendo per gli estremi di questa proiezione le normali alla curva s, che intercetteranno su di questa l’elemento ds,. Chiamando con p il raggio di curvatura della s, nel punto M, con n la distanza fra l’elemento ds, e la proiezione sopraindicata di ds, con y. l’angolo che la direzione di questa proiezione fa colla direzione di ds, e finalmente con 1 l’angolo che la direzione ds fa col piano osculatore del punto considerato M della s, si ha evidentemente ds. . ds —J cos u. . cos 1, -f h e le quantità y. e 1 debbono esser considerate come dell’ ordine delle attrazioni locali, ed h rappresenta prossimamente la distanza fra l’ellissoide e il geoide nel punto M, dimodoché - è in ogni caso una frazione molto piccola. Sviluppando in serie e ritenendo l’approssimazione del secondo ordine rispetto alle quantità suddette avremo pertanto ds,= ds BKTK). d’onde, integrando fra i limiti %ero ed s' di s si trova C'h.ds f s 'h 2 .ds C’y.ds f‘'l 2 .ds ! p J p" ~~ì H 2 Oio 0 0 (7) È facile constatare che nel secondo membro il solo primo termine ha un valore apprezzabile relativamente alla precisione con cui la base s' può supporsi misurata, ed infatti, sia partendo da considerazioni teoretiche, sia attenendoci ai risultati ottenuti fin’ ora, è da ammettere che i valori di y e di 1 non sorpassino pochi secondi; ora Ricerca delle costanti dell’ ellissoide terrestre. 267 anche ponendo come limite massimo 1' si ha < 0,000 OOO 04 .5 ~— < 0,000 000 04. s. In quanto al valore massimo di h, esso è estremamente piccolo quando si tratti di ellissoidi di riferimento parziali : nel caso dell’ellissoide generale le considerazioni puramente teoriche lo farebbero ascendere anche a qualche centinaio di metri, mentre i risultati esperimentali lo ridurrebbero a poche diecine: in ogni modo conviene ricordare che l’incertezza di qualche centinaio di metri rimane pur sempre nella determinazione degli assi dell’ellissoide stesso : ponendo come caso limite un chilometro si avrebbe pur sempre (• h 2 .ds —5—<0,00000003 . r; J P 0,00000003. r; 0 sarà dunque in ogni caso più che sufficiente porre ( 8 ) come già Bessel aveva dedotto per altra via* (e come più rigorosamente vedremo in altro luogo), o piuttosto, chiamando con h m il valore medio di h lungo la linea r e, al solito, con a il semiasse maggiore dell’ ellissoide di riferimento (od un suo qualsiasi valore approssimato) : Questa correzione non è in generale trascurabile, ma non può esser fatta che con certe riserve (vedi capitolo seguente) in una seconda approssimazione dopo che una prima approssimazione ha dato il valore di h m nel modo che sarà esposto in seguito. 3 . Ciò premesso, faremo ora astrazione dalle riduzioni sopra discusse e considereremo date delle reti ellissoidiche tracciate fra punti in cui astronomicamente sieno state determinate le latitudini, le longitudidi e gli azimut. Le distanze geodetiche fra * Asir. Nadir. Ueber den Einfluss der Unregelmàssigkeiten der Figur der Erde auf geodiilische Arbeiten, etc. 26 8 Capitolo undicesimo. tali punti, che diremo punti principali, possono supporsi determinate per mezzo delle triangolazioni suddette applicando i metodi altrove esposti od altri che indicheremo, per modo che siano formate sull’ellissoide una o più nuove reti principali che debbano servire alla sua determinazione. Si presentano allora due modi diversi di stabilire le equazioni fondamentali (4) e (5), il primo dei quali consiste nell’introdurre in esse le espressioni di 9', co' ed oc' in funzione dei valori che queste quantità assumono sopra un ellissoide arbitrario, e degli aumenti che le costanti fondamentali a ed e di questo ellissoide debbono subire per passare all’ellissoide cercato, ed il secondo nell’ introdurre le distanze medesime (o delle lunghezze loro equivalenti come ad esempio le distanze fra i paralleli corrispondenti ai loro estremi e gli archi di parallelo) invece delle latitudini, longitudini ed azimut suddetti. Noi esporremo successivamente questi due metodi, notando che il primo è il più generale, e che l’importanza del secondo consiste specialmente nell’ uso che ne è stato fatto nei lavori classici. Sieno in generale 9, co le coordinate geografiche (ellissoidi- che) di un punto B qualunque, riferite ad un ellissoide provvisorio di costanti a e dee calcolate per mezzo della distanza geodetica s che congiunge B ad un altro punto A, assumendo per dati di partenza la posizione astronomica l 0 — latitudine, \ — longitudine di questo e l’azimut A o osservato astronomicamente in A per s : rappresentiamo inoltre con S 9 o , 8 co o , § x 0 le attrazioni locali in latitudine, longitudine ed azimut nel punto di emanazione A per modo che si abbia in questo [equazioni (4) e (5)] r lo = 8 (o o cosl 0 = 8 x 0 cotgl 0 , ed indichiamo finalmente con 8 a, 8 e le differenze cercate fra le costanti dell’ellissoide definitivo di riferimento e quelle dell’ellissoide provvisorio adottato. Le espressioni di -9', co', «' necessarie a costituire le equazioni (4) e (5) relative al punto B si ottengono dalle formule (r6), (17), (18), (28), (30), (31) e (37) del Capitolo Vili, nelle quali però vanno aggiunti i termini di secondo ordine rispetto alla distanza geodetica s ed invece i termini che sono di secondo ordine rispetto alle variazioni S9 oJ Sa o , Sa, Se, o che contengono il fattore e 2 riescono in ogni caso affatto trascurabili in confronto alla approssimazione colla quale possono essere ottenuti i valori astronomici /, 1 ed A che compariscono direttamente nelle (io) Ricerca delle costanti dell’ ellissoide terrestre. 2 69 (4) e (5) medesime. Ed in realtà anche ponendo come limiti delle suddette variazioni, molto maggiori di quelli che si hanno in pratica, per S

    (cos 2 x — sen 2 x ) \ „ -1- 5 -- ò* \fl.c0r9 a .cos 9 ) s.senx a .cosy.sem 77 “T 2.s .senx.cosx.seny a? .cos 2 (a.seni' s.senx.sen 9 2.s .senx.cosx.setvy \a.cosf.seni" ' a 7 .cos'y.seni' s.senx , 2.S 2 .senx.cosx.seny\^ Sa \e.Se a.cos 9 a~.cos’ 9 s.cos.x.tangy s (cos 2 a — sen 2 x)(i-J-sen 2 f) à ^ a ' 2.a 2 .cos *9 ) s.senx.tangy s 2 .senx.cosx(i~\-sen 2 (f)\^^ a 2 .seni" ad .cos 2 y.seni" ) s.senx.tango.sen 2 ^ ^ s 2 .senx.cosx.sen 2 2 .sen(f.cosf.seni'")Sa $A(p e = [2. Acp(i — s / 2 sen 2 f )-f - 1 j 2 Aiù 2 . cosf. seti 3 (p .seni'' —3.Atp. 2 conp. sencp.seni''Je.Se SA(o ? =(Ao}.tangcp.seni"-j-Aoi.A(p.sec 2 f.sen 2 i")Sf ^Aoi ct =(Af.sec(p.seni"-j-A'i> z Jangf.sec'p.sen 2 i "— 1 / 2 Aoi 2 .senf .seni ")Sx $Ab) a = — (Am+Am. A $Ax a = (Acp.tangcp.seni" -{-'j 2 Af 2 (i -\-sen 2 cp)sec 2 f.sen 2 i" —'/ 2 A 2 .sen 2 i") Sa SAa a =—(Ató. 5 C« 9 +Aw.Ay. 5 eci.Ay.cos ì y.seni'^e.Se Ricerca delie costanti dell’ ellissoide terrestre. 271 l u ti e per conseguenza, ricordando le relazioni (io), per le espressioni analitiche delle coordinate 9', w', a' riferite all’ellissoide definitivo si ottiene: .senl 0 .seni".y ] o — ^ Sa i —(A9—'/ 2 Aoi 2 .sen l 0 .cos.l o seni')-fi I a \ -f- [2. Acp( 1 — 3 j 2 sen 2 lj -j- '\ 2 A(n 2 .cos l o sen 5 l 0 sen 1 "— 3. A9 2 .cos l o .senl a .sen 1 "jc.Sc ! (ù'=(o-{-(Ao>.tangl 0 -\-A.A(p.sec 2 l 0 senz"')seni" .q o -J- -f (1 -f- Ay.tangl o sen\’ -\-A>cf ,tang 2 l a sen 2 1 " — 1 \ 2 A(ù ,sen 2 l o sen 2 l’^seclr , o — — (Aoi-f A(ù.A z .sen 2 1 "); o —Aw .sen l o sen 1 ".r, o — —(A Sci —(Aw -f Aw. A (o.tang l o .sen 1 ' ’’)cos l. - — (Aw-hA0i.A9.faMo- l o .sen l’^cos l.sen 2 l 0 e.Se &.1 ** 272 Capitolo undicesimo. (« — A)cotg l -f (Aco-}- Aco. Ay.tang l 0 .sen 1 ' ~)cotg l.secljen i"? 0 + -\-{i J r Ay.tangl 0 seni"-\- 1 \ 2 ty 1 (A A se n 2 l 0 )sec 2 l o sen 2 i" — ’/ 2 Ao) 2 sen 1 i"J cotgl.tanglg <)(l — (Aco .sen / 0 -j- Aoj.Ai y.sec l Q sen 1 ") cotg l.~ - —(Aco .sen l o -\-Ao).Ae» 2 x"j-/i 0 —Ac ù.cos l 0 — — Aco ,cosl 0 sen 2 l a eAe (a— A)cotgl-\-A’ù.cosec l 0 sen 1 ' ( 1—A ®.cotg l o sen 1 ")? 0 -}- -j- [ 1 — Ad).cotgl o seni" -\-'\ 2 Ay 2 .cosec l o (i-\-cos 2 l^)sen 2 i'' —7 2 Aco 2 .rera 2 i"]n 0 — $ct —Ac ù.cos l 0 — - A<,i.senl o cosl 0 (_i — A a 4 S,. $ e fl'i 4 b\ $ó -f- c\ 4 -f f[ X a -j- g[ ci e sono le equazioni, di un punto B riferito al centro secondario A (có, 4 ), [hi provenendo dalla combinazione (6)], e et-2 4 b-i £ 0 4 ^0+ /s: d a 4 4 d e sono quelle del centro secondario A' rispetto al centro principale A(y, } 4), con delle semplici sostituzioni si avrebbero le relazioni 5 — tiifl b 1 a,-\-c t a2-\-(b,b J ~\-c l b-2')c,„-\-(b l c.,-\-c,cì)Tt„A~ \ 4~(/i4 b,f l -\-Cifi')b tz4(§ r i+^i4H~ c n?' 2 )^ e ) / a[-\-b ì a 1 -\-c i a l -\~(b i b ì -\-c i b^) q 0 4(^ù4 c i c -ì) 7 ìo4 ~ 4 (/!4 b'ifì-^-c'ifì) 5 a 44 b't gì 4 c '> 4 ) ^ e > ove nei secondi membri non compariscano che gli elementi 4,4 del centro di emanazione principale A, e che, per conseguenza, equivalgono alle equazioni del punto B riferito direttamente a questo centro. Tuttavia è conveniente di partire da un punto di vista più generale, considerando bensì le equazioni (14) come dedotte dalle (13) rispetto ad un centro secondario A', ma non facendo ipotesi Pucci, Geodesìa. 11. iS 274 Capitolo undicesimo. restrittive sulla posizione di questo rispetto al centro principale A, o, in altri termini, sviluppando anche le relazioni generali che permettono di stabilire le equazioni generate (4) e (5) per un punto qualunque dell’Ellissoide. Naturalmente queste equazioni sono più complicate ed assai meno comode delle (13), e debbono esser considerate come convenienti a stabilir soltanto le equazioni (14*") necessarie a passare dalle espressioni dei valori di £ ed r h relative ad un centro secondario, a quelle relative al centro principale. a. In questo nuovo sviluppo seguiremo assai da vicino l’analisi data dal sig. Helmert (Theorieen der Hohcren Geodàsie) come quella che, quantunque meno diretta, ci permette di stabilire alcune formule e di fare alcune considerazioni molto importanti per la Geodesia teoretica sull’ellissoide. Riterremo tutte le notazioni stabilite nei Capitoli III ed Vili, e partiremo dalla relazione fondamentale /% 9 s=aldQ\li — e\cos 2 u (16) Hi [vedi pag. 147, formula (63)], che lega l’arco di geodetica s alla sua immagine 0 sulla sfera ausiliaria Besseliana, per cercare le espressioni analitiche degli spostamenti elementari in latitudine, longitudine ed azimut, che uno degli estremi (vedi fig. 69) di j soffre se si suppone che la geodetica ruoti per un angolo infinitamente Fig. 69. piccolo intorno all’altro estremo considerato come fisso, ossia che l’azimut a, varii diSoq. Rappresentando con (S 6)* e (8 u) a le corrispondenti variazioni in 0 ed u, e differenziando la (16), l’arco s Ricerca delle costanti dell’ ellissoide terrestre. 275 ritenuto come costante, avremo : s—a 1 ! 1— e 2 .cos 2 (ii-\-hi') c?[0-J-(S0)„], fl i+(o' 9 i)z o = WJ$ti (^ 7 ) cosu.senu W (S «), dti ] ove si è posto, per semplificare JV=\]i — e'.cos’u, (18) ed ove resta ad esprimere le variazioni (S 0 )« e (Sm)«. per Sx t . Perciò ricordiamo che si ha [vedi Capitolo Vili formule (66) e (71)] sen u. cosu o =cosu i .senx i} senu=senti 0 costi > costi = sen u. nella seconda delle quali l’angolo 0, nel dedurre l’espressione di (&«)<*, deve esser considerato come costante col variare di a,, dacché è la variabile indipendente a cui si riferiscono le variazioni lungo la linea j : con semplici differenziazioni e con facili trasformazioni se ne ricava : (&«„)«= cosu i cosx r sen u --sen 9 .8 x. N cosu n . costi v senti costi.costi N =—±7—0O«=- 7ZTT. — Sx r ?• (* 9 ) cosu costi senti. cosii n , „ . . . (8 0 )* =——— (8uj a = cosbfotgu àct " senb sen u v OJ 1001 1 o La seconda delle (17), per conseguenza, dà aggiungendo e sottraendo W£lti^„ (*&,)«- (5a 0)»=- ^ j (W~W i )costicotgu 0 + r % [ ( 20 ) » | cos 2 ti.dti) l . ssn ®.J Jq7 -e .costi sena. ma dalla relazione generale senti 2 —senti i cos( 9 2 — 9 ,)ff -costi i sen(ti 2 — ti^cosx t , che si ricava dal triangolo sferico ausiliario Besseliano, si trae (8«J a = [[cosn l cos(ti t -ti t ')cosx—senu l sen(ti—ti 3 \ (8a0)«— — cos ti l sen(ti 2 — ti^senxjix ^, 276 Capitolo undicesimo. relazione cui, per essere, cosx 2 =^[senu 2 cos(d 2 —OJ — senujseeu/osec (9 2 —9,) = {cosu i cosx i cos(0 2 —9 ,)—sen u 2 sen(p^ —9,)] secu 2 , può esser data la forma seguente (S u z )«.=cosx 2 (8a 0) s .— senx 2 sen(0 2 — 9,)Sa,, ovvero, sostituendo a (SaO)* il suo valore ( 20 ) : Sa, ( W. I W 2 [cos 9 i cotgn o cosx 2 -\-senx 2 sen(iì 2 —0,)] - ^ ( -W l cosò l cotgu 0 cosx 2 -\-e 1 .cpsu 0 senu 0 cosx l seii^ l I -jp- (S u 2 )a-- Ora si ha cotgu 0 = —senti 3 tangx 2 , cofgu 0 cosx 2 =—senti z senx 2 , cosx 2 cos u 0 ——sen udenti 2 senxg } perciò, ponendo • 00 ^^■=1/Fpenti posti 2 —fFpenti postile 2 .sen 2 u o senti penti 2 J ( 22 ) Oi sara : s ]/ m.senx * cJF- Òa - ; 03) ed osservando quindi che dalle corrispondenze fra la latitudine ridotta e la geografica [vedi Capitolo Vili, formule (57)] si trae in generale (Se?)a=(Szf)a \l 1— e 2 si trova finalmente : -, \1m.(i — e 2 .sen 2 cpY- 2 „ \l m.senx (^> = - ~ ^- Sa,. 00 fl(i—e 2 ) Tale è l’espressione semplicissima dello spostamento in latitudine corrispondente alla variazione Sa, dell’azimut iniziale: per avere ora l’espressione dello spostamento elementare in longitudine ricordiamo che si ha cotg (0 2 —9,)«u u 1 —senu i cosx i -\-senx i cotg(w 2 —w,), e quindi : cos u i (^tsti') a .=sen 2 {ti—ti^{senii l senx—cosx i cotgS.w)hx l -{- , 5«za . fi- r? -1 (SA iu ) a sen (zu 2 — io,) v ) Ricerca delle costanti dell’ ellissoide terrestre. 277 d’onde si trae cosu I .sen 1 (w 2 —wq) \ ■tir l tv tv. i a v . » » f r . (ÒA«/)«=— a — a ^ e -— 0 -^- (ÒA9).-)-*«»(«/,-«/,) [cotgxfosiw-w^ - od anche, con facili trasformazioni: sena cos u -sen leseti (w 2 —, (Sa w)a.= -- (SA6)«-f^ K ( w 2 — tv I ')icotgx i cos(w 2 —11/J— COS —sen n x sen(w— w t )j Ssq. Introducendo x 2 in luogo di x t per mezzo della relazione cosx 2 =cos(w 2 — wi)cosx i — sen(iu 2 — w^)senv. i senu l si ha poi . senx , „ , cosxsenVw ,— -tu') „ (Sa io\= - 2 (Sa 9 )«H-2—^-2-S« = N ' meli N ' * cavi et 1 coste sen a = (SaO)*+ ^ ( 2 5 ) corzz,, ' " ' cosu 2 e se si sostituisce a (SA 0 ) a il suo valore (20) si ottiene: / IF 2 [ro53: 2 rOT(9 2 — 9 t )— cosH^cotg u o senx^\ -f- X* w)z~- Og cos 2 Q W,costi, )-\-Wcos§cotgu senx—e* .cosu semi jsenb senx, — ■ J9 ( * 2 2 p 1 1 IOO 2 O 0 I 2 | M/ | Ciò posto, ricordiamo che si ha in generale [vedi Capitolo Vili formula (80)] (ù 2 —w i = pWi— F.cos 2 u, c Wl d’onde, differenziando, (Su)«= W 2 (hv 2 )a.- PFtfiu^+e 2 Qnì) a cosu.senu dw (27) ove la variazione (Szz) a deve esser calcolata considerando w costante, dacché w è, in questo caso, la variabile indipendente. Ora dalla relazione cotg u o = cotg u. cos w si trae 278 Capitolo undicesimo. e quindi, sostituendo a (Sz£ 0 ) a il valore dato dalla prima delle (19), avremo : (8 k)«= sentì,seti* u cosw ,sen 2 u- Sa,. Per conseguenza alla (27) può esser data la forma seguente (Sco>= WlUwy-t ( W— WXS«'}*+ e 2 . 8 x t sen 0 senti f iv-i costi.seri u W.cosw dvu, nella quale relazione conviene cambiar di variabile indipendente sotto l’integrale, introducendo 0 in luogo di w, come nella (26). Osserviamo perciò che si ha tang 0 = tang w. cos n o , da cui, considerando w come funzione di 0 e differenziando, si ottiene * d ut cosw 2 A Cl'Jj COSW COS V. costi o e, per esprimere u per 0 sotto il segno di integrazione nella precedente espressione di (Sco) a , si ha tang a. cotgn 0 = cos w, cosu.sen’u.cosw ■ seti'u cos 2 0 : cos 2 tt . cos u o cos 2 t).sen n 0 quindi sarà : Cd 2/*nc 2 fì ( Sto) „. = fP 2 (S Are) -p ( W 2 — W i ')(?ìw l ') a .-}-e 2 .l)x i senQ l senu j I ~jp~ db. (28) Per esprimere tutte le variazioni, che compariscono nel secondo membro, in funzione di Sx, basta osservare che la relazione dà cosw= tang iifotg u o /• \x v tang 11. /■ v\ v senio, (0111,1=—V- 1 - (òiijtt, " sen u v e quindi, a causa della prima delle (19), .. tangu,.sen®, * tangucosti, * senti,*. cosfì, * (ow,)a= -—— - - 0 x ——-l Òa =—3—òa =- L òa . v tangu .senw sen u sen u senti sen 11 Ricerca delle costanti dell’ ellissoide terrestre. 279 Sostituendo nella (28) e tenendo conto della (26) avremo pertanto / ( (OS 0 cos u W 2 Jsen ( 9 2 — 9 ,)— costi jotg u 0 tang a 2 ' -— semi cos oc. N cosci $ . T „ ù costi cosu . (òco) a =--S oc, <- \-W\costi cotgu tangor. -'-- + v J cosa ‘l 1 cosujcosxg ■-(- e % .senti i sen z u l cos n 2 cos u a tang a 2 ) f >2 cos z -dti sen u cos oc. sen 11 ) Cros ti V -JT' relazione da cui, se si osserva che è cotg 2t o = — sen tijang a 2 , cosu 2 cotgu a senti 2 cosn 2 _ 1 semi sena.. cosx , si deduce : w\sen(ti 2 — 9 ,) -j- costi l senti 2 tang 2 K 2 ——^17— 2 ( + | cos a. . cos a 1 , (corQ.rrn 6, A , 2 ì , (òor) a =- -hoc <-i-W - — - - — costi senti tang a -f- v ' cos u 2 ‘j *( cos a 2 1 ) f. 2 , 2 /' c 2 r««9 \fVoR0 ; -f « .sentici u n | sen tijang a — )J -ttt- d ti cos'x.JJ W, (h e, finalmente, introducendo la notazione (22) : (S *>)« = - \!m . cosx. , \l m .cos oc, ■ ò r - Se ( 29 ) a.cosu 2 r 2 che è l’espressione dello spostamento in longitudine cercato, corrispondente alla variazione S oc, nell’ azimut. Resta ancora da determinare in funzione di Sa, la variazione elementare (Sa 2 ) a sofferta dall’azimut a 2 : ora, gli azimut a,-)-Sa,, a 2 -|-(Sa 2 ) a appartenendo ai due punti A 0 ,, a,+ S a,), B [> 2 + (S m 2 )« , a 2 + (S a 2 )«] , della geodetica r nella nuova posizione assunta dopo la rotazione, si ha per il teorema di Clairaut cos ujen (oc,+ S a,) = cos [u 2 -(- (S u 2 ) a ]sen [a 2 -f- (S a 2 ) a J e quindi (ò a J* =- '■ -- tang 11 tang a 2 (ò « J* , v 2 cos 11cos a ‘ 2 ù 2 v u 280 Capitolo undicesimo, od anche, sostituendo a (Sm 2 )* il suo valore (23): ' costifosa . r \Jm COS licosa. TIT tanau tanga ,sen a I § a. a. IV, 2 2 ( 3 °) Se si fa qui uso della seguente relazione (39) per eliminare il primo termine della parentesi del secondo membro avremo poi: (S a a )« -( d\]m \j m . cos ajang u. d s a. tV, 8 «, (30 ovvero, introducendo la latitudine geografica in luogo della ridotta, ld\l m , \] vi. tang © cos a,\ „ \-jt+- — r- (32) che è l’espressione analitica cercata. <>. L’ausiliaria m ha un notevole significato analitico che è ora facile di mettere in evidenza. Fig. 70. Siano infatti nella fig. 70 PB, B K rispettivamente il meridiano ed il parallelo dell’estremo B della geodetica r ruotante intorno all’origine A, nella sua posizione definita dall’ azimut oq, e sia A T la posizione di s quando l’azimut variabile oq è divenuto a 4 - S a . Conducendo il meri- I 1 I diano P' T del punto T si ottiene il triangolo di lati infinite simi BKT rettangolo in K, che può esser considerato come rettilineo. È facile vedere come in esso si abbia BK= r p 8 co= a. cosu 2 X w TK= —-p 2 S

    l . * In Germania a questa quantità è dato il nome di reiucirle Lànge (vedasi Helmert, Theorien der Hòheren Geodàsie). 28; .Capitolo undicesimo. Per rendere la (22) adatta al calcolo della quantità fondamentale.?» è necessario eseguire l’integrazione quivi accennata, e, perciò, conviene esprimere anzitutto nella espressione di W la latitudine ridotta in funzione dell’arco ausiliario sferico 0 . Ora si ha in generale [vedi Capitolo Vili, pag. 151, formule (71)] seti u = senu.pos 0, e quindi f ’ 5a cos 2 0 C 5a «u 2 0 . d 0 f Ja cos 0 C h cos 0. I *T====prf0= 1 - 2 — 2 — - J V 1 —e .cos u J V 1 —e .cos u — ». ». e 2 .sen 2 usen 2 ft ’ ovvero, introducendo, come già nel § 14 del Capitolo Vili, anche la latitudine geografica [Capitolo Vili, formule (58)]: 'Vos 2 0 t f» a J u 1 W dO-- 1 — e 2 .cos 2 u o cos 2 tì (1 — e 2 .rew 2

    0 + ...jcor40 +1 128 £+ ' 1 + • • •)cos 6 0 + '+. Di qui, eseguendo l’integrazione nel secondo membro, moltiplicando Ricerca delle costanti dell’ ellissoide terrestre. 283 tutto per e 2 .sen 2 a a ed osservando che le corrispondenze fondamentali del Capitolo Vili, § 12 [formule (57) e (58)] dànno si trova: sen 2 u n sen 2 o n \l 1 — e 2 — - = sen usen 0 = r ° - , yx —e xos u 0 1 — e.seno 0 2 2 r 9 we. ft e .rm —rrr- d 9 = ‘•f e 2 .sen 2 0 \J 1- 2^ i — e 2 .sen 2 |i +7 S e 2 . rcK 2

    c °su 2 (_j -(costi posA^ — senipsenA^,cosv.p)(hi^ ) ossia (&K 2 ) ? =coja 2 (&A0)?+ COjAw O w ,)? • Sostituendo a (Sa 9) ? , (Su,)? i loro valori (47) e (42) si trae (&0? =(cosAw+e 2 {... j ) So, (48) e, per conseguenza, tenendo conto della corrispondenza fra u 2 e

    ossia, ricordando la corrispondenza fra dw e dO e cambiando di variabile indipendente sotto l’integrale: (*“)?= ^«0?+(^ - hF) (ò\ yi ) ? +7.^» 0 1 S£ ™f^ d 0. Ricerco- delle costanti dell’ellissoide terrestre. 289 Per eseguire 1 ’ integrazione introdurremo anzitutto in luogo di (S«) P il suo valore (42), ponendo f ° 2 «. „ r<>» senu.(àu) ? jq W 2 .o^fosii o sena i cosh i dO.senu.cosb J W.cosu ~ \jTV 7 J cos 2 u. W = Oi ih sen u n y 1 —e W^fos u o cosB i senx j j tang 2 n.dB W svilupperemo quindi in serie W~' sotto l’integrale ed avremo: r<>2 rei rs 2 ,an ^- 1 euM _ 11 Ma in generale è cos u dw cos 11 cosu n quindi, cambiando ancora di variabile indipendente nell’ultimo degli integrali soprascritti, si trova tang 2 u.dD W -A6-f dw J cosu 0 +44 cos u ■(AD.cosu — Aw)+ 4 - •]> (50) e, per conseguenza, lasciando i termini in e 4 sarà: ;(àw) ? = IV 2 ( S A w ) ? +( — IV (^«4)3— e 2 .cotgti 0 cosQ I sena. i (AQ.cosu a —Aa;)^,, (51) Resta ad esprimere le variazioni (SAw) ? , (<*wj ? in funzione di So r , e, perciò, ricorriamo alle formule sewxfotg Aw=cotg AD.costi t —sen u 1 cosx i , sen u= — cotga.fotg w t , dalle quali si deduce (àA w) ? = \(senufotgAD+cos tifosa.^ (&q) ? + - S ^- (5a9) ? : ( 52 ) sen Aw.senti . N , costisen 2 A w -* (*«,)?+ 1 sena, sen A 9 sena.sen 2 A 9 sen 2 Al) (Sa 9 ) ? = sen a. = tangu 2 senAw.(Jhi^- senx„ cos n. (Sa6>, ( 52 “*) (++)? = tang xfos u^en 2 w 0 ui)f- sen 2 Q. cos n. tangxtfu-ùf , Pucci, Geodesia. II. *9 290 Capitolo undicesimo. od anche, sostituendo a (Sm,)?, (Sa 0 )? e W l — W 2 i loro valori (42), (47) e (45): (S;W)y = S

    i — H^)-\-cos u l cosx l sen(Jì 1 —OJ si trae per altro (*“.)•=-'- ccsu -( S4 «)- 2 mentre la nota relazione fra i tre lati e due angoli di un triangolo sferico dà in generale: —cos u. cosa=senu i sen (6—9 t ) —cos ufos a cos (6—9Q Quindi sarà (pu 2 ) a = (Sa Q\cos d’onde, sostituendo a (Sa 9)„ il suo valore ( 57 ), si trova s.Sa. cos»■ ( S *0«= 08 ) a 2 . seni"’ od anche, tenendo conto delle relazioni (57) e (58) del Capitolo Vili, (*?J. s. Sa .coso s. Sa. coso „ —57-—Sr( 1—e .«« (59) Analogamente per la longitudine, dalla relazione _ dw\j 1 — e 2 .cos 2 u si ricava (&>).= mentre la corrispondenza tang§=cos u o tang w dà: cos ll o .C0S 2 t) quindi, sostituendo e tenendo conto della (57), avremo: s .S a .sena, s. Sa. sena. (*“).= a .cosu, .seni a.r,. sen r (60) 292 Capitolo undicesimo. Finalmente dalla condizione si ottiene cos u 2 sen a 2 — costante (SaJ a = tanga 2 tangu 2 (S « 2 )„, d’onde, tenendo conto della (58), si trova ovvero, se si esprime u 2 in funzione di

    dalla i 66 ) si trova > con faciii tra_ sformazioni e riduzioni, A fi fr ’l ,).= W 2 (Sw 2 )~ IF (S «/,).-e. 8e J ~ Wì cos 2 u.dw W 2 f w *cosu.sen u(Su ) e J ìf e, di qui, ricordando che è in generale dQ .cosu„ dw- cos u cambiando di variabile indipendente negli integrali, e sostituendo a (Su'), il suo valore (64) si trae facilmente: (K).= w 2 (SAw) e +(w- wjcsw^- — e.S e .cosi è .S e .cos'amen u, f 02 tang 2 u. d 9 ) • ( 7 2 ) W (1— e 2 ) sen 2 u o ’J W In questa formula non rimane che da esprimere le variazioni ( ’Saw )„ e (Suq),, in funzione della variazione Se, giacché i valori delle quantità W, -w p- f : "A’ J W' J 02 d 9 fi 02 tang 2 u . d 9 W sono già stati trovati precedentemente [formule (45), (67) e (50)]. Ora è facile vedere come le relazioni differenziali (52*’*), cambiando 296 Capitolo undicesimo. nelle variazioni gli indici

    M a ,cosu 2 sen 1" ’ a ’ s.tango? 2 sen a 2 2 Ht- a.rcw 1 'A 0 .ren i".corz 2 (i— 'l 2 sen 2 0 ) — sen A^ .seni 0 — cosl [— ’j 2 senl. sen 2 $ a senA 9 .cos 2 9 ,„ e. Se sen 1"' In queste formule abbiamo introdotto la notazione <1> 0 in luogo di f a perchè sia a prima giunta visibile che tale quantità non è la latitudine geografica del centro di emanazione, ma la latitudine del parallelo che tocca la geodetica s nel punto che serve di origine ai- fi arco ausiliario 9 . Dalle (77) si ottengono senz’altro le espressioni cercate delle componenti dell’ attrazione locale nel punto qualunque B legato al punto di emanazione A dalla geodetica s, alla quale corrispondono A 9 e A w nel triangolo ausiliario Besseliano; tali espressioni sono le seguenti £ = ip — i-\-cos A iv. £ o — sen A 9 . sen x. tangl 0 . n 0 - s .cos x S a a.seni" a + [ A 9 .sen i".cos x (1 —’^rew 2 ^)— 'l 2 sen A 9 .cos 2 Q m sen 2 , l> o cosx — — cos Aw .senl o cosi o -{- seni .cosi e. Se sen 1" 7i w = (w— V) cosl-\-seni .sen Aw (1 + seni 0 . sen A 9 .cosx.secl) — y v ) 0 — cos l o s.senx Sa |A 9 .sen 1 ".sen 2 >t > 0 .cos2 %— 1 e.Se a.seni" a 3 "[—senAÙ .senl o senl^~-tangH l tangf) 2 )\ senI " ’ vio,— (a — A) cotg l -f- cosec l. sen A w. | 0 -f- cos A w. cosecl. senl 0 . yì 0 — s.senx. Sa Fa 9 .re/? i"(i — ’j 2 sen 2 0 )—senAO .senl o cosecl ----1- sen x a.seni" a L— ’ l 2 sen 2 ( l > 0 .'senA 9 ,cos2§ m Ricerca delle costanti dell’ ellissoide terrestre. 299 e sono complete nei termini di i.° ordine assoluto, qualunque sia cioè la distanza fra il punto B ed il suo centro di emanazione A. Sarebbe facilissirno tener conto anche del secondo ordine assoluto (ossia dei termini in e 2 ), calcolando dagli sviluppi dei paragrafi precedenti le quantità I, II, III, IV, V, VI, VII, IX, X, XI e XII che entrano nelle (76) e che abbiamo trascurate nel passare da queste alle (78) : osserviamo anzi in proposito come, a scapito della semplicità, tali sviluppi sieno qui stati condotti per modo da permettere di costruire con un semplice riepilogo le espressioni delle quantità suddette; ed infatti alle prime nove delle relazioni (76), fatta astrazione dai termini in e 2 , saremmo potuti giungere pressoché direttamente per mezzo della differenziazione delle formule di trigonometria sferica corrispondenti al triangolo ausiliario Besseliano. Ma abbiamo già a più riprese accennato come il valore dei termini di secondo ordine assoluto nelle (78) risulta in ogni caso molto più piccolo dell’ incertezza che si ha nelle misure dirette delle quantità astronomiche l, 1 ed A, ammesso, s’intende, che si parta da valori di a ed e sufficientemente approssimati: che se a calcoli fatti le correzioni Sa, Se determinate risultassero forti, converrebbe pur sempre, per non introdurre una troppo grande complicazione di formule, e, con questa, il pericolo di errori di calcolo, ricorrere ad una seconda approssimazione correggendo anzitutto per mezzo delle sei ultime delle (76) i varii valori di o, m, a, per ripetere il calcolo assumendo i nuovi valori di a ed e come dati di partenza. È inoltre da notare come quantunque le (78), nelle quali senza alterare l’approssimazione tenuta si può porre Au ed-7 rispet- tivamente in luogo di A w e di A 9 , sembrino a prima giunta semplici almeno quanto le (13), mentre presentano su di queste il vantaggio della generalità, tuttavia in pratica la loro costituzione richiede molto più lavoro di quella delle (13), perchè in queste non entrano che le differenze Am, A

    0 che debbono essere calcolate per mezzo degli azimut di partenza delle geodetiche r che congiungono i punti B col loro centro di emanazione A: in altri termini per applicare le (78) è necessario, o colla risoluzione di triangoli successivi crescenti (Capitolo V), se le- di'stanze non sono eccessivamente grandi, o indirettamente per mezzo- delie coordinate geografiche (Capitolo Vili, § 28), determinare anzitutto le coordinate geodetiche polari dei punti B, considerando A 300 Capitolo undicesimo. come il loro polo. Saranno quindi le formule (13) da applicare in generale, e le (78) non dovranno essere adoperate che per costituire le equazioni fondamentali (15) dei centri secondarii (vedi § 4), necessarie per passare dalle equazioni fondamentali dei punti B riferiti ad un centro secondario a quelle relative al centro principale. 12 . Trovate, applicando sia le (13), sia le (78), le due espressioni (r.u, r ia ) della componente vi dell’attrazione locale in un punto in cui e longitudine ed azimut sono stati determinati astronomicamente, è necessario, per mezzo della formula (6), combinare i due risultati in un unico valore tenendo conto dei loro pesi p a ,p a . La ricerca di questi pesi ha in sè qualche cosa di arbitrario, e deve esser fatta volta per volta discutendo i dati geodetici ed astronomici che hanno servito a costituire le due espressioni di vi suddette. Conviene per altro osservare come in ciò si possa far sempre astrazione dai pesi parziali delle determinazioni dei coefficienti delle incognite £ o , vi , Sa, Se delle equazioni fondamentali che danno r ia ed vu, perocché non è necessario conoscere tali coefficienti che con una approssimazione relativamente grossolana e molto minore di quella con cui le quantità che entrano nella loro costituzione sono geodeticamente determinate. Le uniche quantità che debbono esser dunque considerate conte sperimentali sono i sei elementi =ds. seri x, cos u . sen oc = costante si trova in questo caso : (ìs.cosy. (ìs.cosoc p 2 . sen 1 ' 8 s .senx. a. sen 1 8 s. sen or. rsen 1 a. cos

    a = (8 x) J(K = 8 s. sen a a .cosf .sen 1 8 r. tang cp . sen 77 + àx^sen ! .sen 1 a. sen 1 ' 8 a t . cos Aw. cos cp r COS 'p C 05 a (80) Da queste espressioni differenziali e dagli errori medii mi, m l m A di 'a, l ed A, che si devono considerare come dati, si può passare agli errori medii m a , m a ed ai pesi p a , pa. delle determinazioni r,„. ed colle regole già esposte nel Capitolo VII, considerando i ed x come funzioni note dei dati delle triangolazioni compensate; ma dacché è in ogni caso sufficiente avere per m a ed m a , dei valori approssimati, conviene in pratica considerare 8 s e Sa come indi- pendenti e calcolare i corrispondenti errori medii tenendo conto soltanto della distanza s e dell’errore medio chilometrico da una parte, e dall’altra del minimo numero degli angoli della rete che è necessario di combinare per ottenere x dall’azimut iniziale che ha servito per l’orientamento della rete. Ricordiamo però che qui l’errore medio corrispondente a Sa deve esser calcolato in base soltanto ai semplici errori delle osservazioni compensate della rete, giac- 302 Capitolo undicesimo. chè di quanto concerne le attrazioni locali è già stato tenuto conto in parte con la compensazione della rete stessa, e in parte nel costituire le formule fondamentali (13) e (78). Dalle (80) è facile vedere con un computo approssimativo, e partendo dagli errori medii unitarii limiti che si sogliono considerare quali tolleranze nei grandi lavori di geodesia I nelle ^ 0 & \ 100000 lunghezze, e 3'' nelle osservazioni singole di una direzionej, come, in generale, l’errore medio nelle determinazioni delle coordinate ellissoidiche co, q> è molto minore dell’ errore medio nella determinazione dell’azimut oc (in media '/ od 'j 6 ), e non sorpassa sensibilmente, se non per distanze geodetiche estremamente grandi, l’errore medio delle determinazioni astronomiche /, X ed A. Per ciò la maggior parte dei geodeti sogliono, in quanto si riferisce alla determinazione delle costanti terrestri e delle attrazioni locali, considerare le quantità 2i + G453 2 North Rona. 59 07 15T9 + 0,081 3 Great Stirling. 57 27 49,12 1 - 0,710 4 Kellie Law. 56 14 53,6o —• 1,089 i 5 Durham. 54 46 06,20 - E453 6 Clifton. 53 27 29,50 — 2,486 ■ 7 Arbury. 52 13 26,59 ~j“ I,l80 8 Greenwich. 51 28 38,30 + °>77 8 ; 9 Dunkirk. SI 02 08,41 — 1,252 10 Dunnose. 50 37 06,54 — 1,691 ; 11 Panthéon. 48 50 47,98 — 2,618 j 12 « Carcassonne. 43 12 54,3° — 1,228 1 13 Barcelona. 4i 22 47,9° + 0,573 14 Montjouy. 4i 21 44,96 + 3,927 | 15 Formentera. 38 39 53,H + 4,524 ! 16 Fuglenses. 70 40 11,23 + 0,029 17 Stuor-oivi. 68 40 58,40 —1,423 18 Tornea. 6 S 49 44,57 + 3,9H !9 Kilpi-maki. 62 38 05,25 00 1 20 Hogland. éo 05 09,84 — 0,422 21 Dorpat. 58 22 47,56 —1,483 22 Jacobstadt. 56 3° 04,97 + 2,247 23 Nemesch. 54 39 04,16 — 0,221 24 Belin. 52 02 42,16 + 0,108 25 Kremenetz. S° °S 49,95 — 2,232 26 Ssuprunkowzi. 48 4S 03,04 + 2,588 27 Wodolui. 47 01 24,98 +1,133 28 Staro Nekrassowka . . 45 20 02,94 - 2,973 29 Cotchesqui. + 0 02 31,22 + 0,586 30 Tarqui ... :. — 3 04 31,90 — 0,585 31 Cape Point. 34 21 06 26 — 0,161 32 Zwart Kop. 34 13 32,13 + 0,983 33 Royal Observatory . . 33 56 03,20 — 0,637 34 Heerenlogement.... 3 i 58 09,11 + 0,198 35 North End. 29 44 17 >66 1 00 : O i Pucci, Geodesia. II. 20 30 6 Capitolo undicesimo. N.® STAZIONI Lat. osserv. ? 36 Shahpur. 0 / 11 32 01 34,06 - 3/550 37 Khimnana. 30 22 11,78 + 0,141 38 Kaliana. 29 30 48,32 + 3,652 39 Garinda. 27 55 30,02 — I,9°4 40 Khamor. 25 45 10,93 + 1 ,99 3 41 Kalianpur. 24 07 10,79 - L392 42 Fikri. 22 01 03,77 — 2,949 43 Walwarl. 20 44 21,27 + 4,552 44 Damargida. 18 03 14,82 4 1,240 45 Darur. 16 09 46,13 + 4,362 46 Honur. h 55 21,51 — 3,684 47 Bangalore. 12 59 51,79 + 2,905 48 Patchapaliam. io 59 41,06 — 2,204 49 Kudankulam. 8 12 10,44 — 3- 1 38 N." STAZIONI Long, osserv. V? So Vizagapatam. 0 , 4-6 21 35.44 4 0,649 Si Hydrabad. + 1 35 28,29 + 2,121 52 Bombay. — 4 06 44,00 — 4,050 53 Mangalore. — 2 04 52,61 ! — 2,924 54 Bangalore. + 0 39 20,62 1 -0,303 55 Madras. + 3 19 08,26 1 + 4,499 56 Bellary.: 0 00 00.00 1 —0,050 Il sig. Clarke considerando questi valori di £ ed r, come delle deviazioni casuali ha trovato o, 285,763 56 + 8 ',645 per la differenza (errore), probabile fra una coordinata astronomica qualunque e la corrispondente coordinata ellissoidica, e Andrae (Problèmes de haute Geodesie. Copenhague, 1881) osserva in proposito che cette grandeur ne serait gu'ere moindre si elle avait seidemcnt été determinée par une triangulation isolée embrassant une étendue de pays relativement petite, où les déviations verticales proviennent exclu- sivement des petites ondulations partout présentes. Ricerca delle costanti dell’ ellissoide terrestre. 307 Per mostrare poi quanto piccola sia la deviazione fra il geoide e l’ellissoide corrispondente a questi risultati il signor Clarke * ha ricercato per tre dei più lunghi archi di meridiano compresi nelle misure sottoposte a calcolo, considerandoli come isolati, le curve che riproducono meglio le osservazioni, supponendo per due che tali curve debbano essere delle ellissi e per il terzo che la curva sia piana, ma data dalla relazione più generale p — A -f- 2 Bcos 2 cp -{- 2 Ccos 49, ove p è il raggio di curvatura,

    (84 'A9 . sem"(i — ’l 2 sen 2 0 ) — -sen AO . sen l o .cosec l-j 2 sen 2 0 sen A6 .cosiH, s.sena, tang iBa o _ {-sen x.tangl a.seni'' a A queste equazioni si suol dare un’ altra forma introducendo in luogo di ri il suo valore in funzione della longitudine w provvisoria (o della longitudine definitiva w', lo che vale lo stesso) dato Ricerca delle costanti dell’ellissoide terrestre. dalla seconda delle (13) o dalla seconda delle (78), secondo che si considera la (83) o la (84). Dalla (83) si ha in tal modo J .seni"(i-\-sen 2 l^) ■A — (w— X)senl-\-c, o . \os .seni".tangl. cotg l a .cos l 0 1 sen l . cos l 1 + cos 2 l : -f- e . § e. A w. A ©. cosH o .sen 1", e, da questa, ricordando che dentro l’approssimazione tenuta si può porre \ del punto C, potrebbe esser calcolato dallo sviluppo (47) del Capitolo Vili (Voi. II, pag. 139), dal quale si avrebbe, indicando con S il lato CB: S z . tang® Fig. 71. £>C = ^= 2 N (87) Il calcolo rigoroso di 4 > è per altro assai complicato, e, dacché 5 è in generale una correzione assai piccola, conviene introdurre in luogo di il suo valore prossimo calcolato dalle formule seguenti sena .„ sen a cos u. cos u 2 j cos U = sen (a 2 -f- t) cos u 2 ) , ' tang U \ ( 88 ) tang® nelle quali u x , u 2 ed U rappresentano le latitudini ridotte dei punti A, B, C e t è l’angolo in B proveniente dalla risoluzione del triangolo sferoidico CBA. È inutile il dire che in luogo delle latitudini geografiche dei punti B ed A nel calcolo delle (88) sono da introdurre le latitudini astronomiche osservate, e che la prima di tali formule diviene superflua ove l’azimut a 2 sia stato astronomicamente osservato. 3H Capitolo undicesimo. 16 . Anche lo sviluppo c = s. cos a - s 2 .seria, .tang? s l . seti x. seti 2a^ t n . .2 , e 2 .cos^?\ i "■ j 2.sai o r~ 2' ) | 2 N 12 N 2 .cos 2 o già dedotto nel Capitolo Vili [pag. 139, formula (47)] darebbe un altro modo di calcolare l’arco ) (94) La nota relazione fra le latitudini ridotte e gli azimut lungo una geodetica darà quindi cos 17 = cos i^sen A t , cos U 2 = cos u 2 sen A 2 , (95) dalle quali formule si calcoleranno i valori di U i ed U 2 , e da questi i valori cercati di L t ed L 2 per mezzo delle solite corrispondenze fra le latitudini ridotte e le geografiche. Questo metodo di calcolo è dovuto a Struve. 18. Il procedimento proposto ed adottato da Bessel nel suo classico lavoro Gradmessung in Ostpreussen è invece il seguente. Riteniamo le notazioni stabilite nel Capitolo Vili, e riprendiamo le formule fondamentali relative al triangolo sferico ausiliario Bes- seliano e .cos u sen upos 9 -j- cos u i cos otpen 9 semi che corrispondono all’ipotesi in cui l’origine dell’arco 9 sia nel punto r = 0, e dalle quali si ricava con ovvii sviluppi in serie : 7 S òh cos 4 n e .cos u -8 seti u senti, 4- Q .cosu,cosy .— ''A 2 .senu ,—'',9 i .cos usen a,4-... 1 i 1 1 1 '^ l'O 1 1 1 318 Capitolo undicesimo. Sostituendo nella prima di queste a cos 2 u il suo valore dedotto dalla seconda si trova rO s=a db- i— I j 2 e z .cos 2 u i — '; s e 4 . cos^u—... ) e 2 .b 2 -j- e 2 .0 .senupos upos oq- (senu I — cos 2 u i cos 2 x ^)-\-... 1 e quindi, integrando fra i limiti indicati, avremo: ’ i—7/. cos 2 u i —7/. cos*u ,— ... joi e 2 .b 2 , 2 [-(98) ^-|-7/ 3 -0 ■ senuposupos a ( - '—(sen 2 u i — cos 2 u pos 2 L’arco <1 di meridiano compreso fra i paralleli che limitano la geodetica r può ottenersi evidentemente dalla stessa formola (98) facendovi oq= o, nel qual caso, come si vede dalla seconda delle (96), si ha b—u — tq; potremo dunque porre: :=a(u —«,) a.e 2 (u —tq) è^^caslu, e*.cos*u i 8 a . e (zi al} *2 2 \ 1 cos upen tq---— (sen u l —cos uj -f-. Considerando per altro l’arco u come una funzione di 0 caratterizzata dalla seconda delle (9 6) si ha _ 3\db>) 0 ^ ove >■■■ rappresentano i valori che prendono le derivate totali successive di u rispetto a 0 per 0=o, e che si ricavano senza difficoltà dalla seconda delle formule (97), dalla quale si ottiene, in generale, du cosu I cosx i 6 . sen u l d 0 cos u cos u d 2 u cos zi sen u.cos a du 0 .senupenudu senu x db 2 cos 2 u db cos 2 u d b cos a ’ Ricerca delle costanti dell’ellissoide terrestre. 319 e per 0 = o ed u — u l : ( du\ _ w cos oc i , d 2 u d¥ Per conseguenza avremo ■ton?u,sen x . Ol l 0 2 u — u= 0 .cos x l — — tangu l sen 2 x i -\-..., ed alla (99) potremo dare la forma seguente: / e 2 .cos 2 u e*, cosati . e 2 J) I ' 1- L -0— L H- cos u seti u cos a,— 2 8 ' 2 iii e 2 .0 2 - 1 — ( i.seidu ,— sen 2 u cos 2 x. —2 .cos 2 u cos 2 x . I l I I 1/ I \ Paragonando questa relazione colla (98) e chiamando per un momento con fi la quantità che nella (98) stessa è racchiusa fra le parentesi grandi del secondo membro è facile vedere peraltro che si ha c 2 .0 2 (fi- sen 2 u^sen 2 oq-j- ...) 12 Lì quindi se si tiene P approssimazione del terzo ordine inclusivamente, e si osserva che 0 è dell’ordine di -, ed Q è della forma fi 4 -e 2 .m), a v 1 potremo scrivere : r. (u — zq) ! e 2 .0 1 2 ■ sen usen x (100) Questa formula è già molto notevole e può essere impiegata nel calcolo di a ove si voglia far uso di uno solo degli azimut estremi di r. Per introdurre in calcolo il secondo azimut « 2 reciproco dell’azimut x t si ricorre al teorema di Clairaut che dà cos n sen x = —■ cos usen x dimodoché la (100) può trasformarsi nella seguente s(u — u~) ( , e 2 . 0 2 sen 2 u,costi — - - 1 1 + — t-senxjen * 2 -f 0 V ‘ 12 cos u t e può quindi essere resa simmetrica rispetto alle quantità zq ed u 2 po- 320 Capitolo undicesimo. nendo con Bessel, nel termine di correzione, senu 2 in luogo del fattore seti ucos u , cos u. con che non resta alterata 1 ’ approssimazione della formula. Avremo dunque s(u — w,) / e 2 .® 2 semi sen ujsen xsen x .)» ( I01 ) ove per altro resta da esprimere ( u — u ,) in funzione di s. Ora dal triangolo ausiliario Besseliano si ha x 4 - a sen - -- „ u — u, tang -- = T^r' ans S’ sen ■ in modo che, sviluppando in serie le due tangenti, potremo porre (M _, 0+ (Ji=-Z + Oizi!OL . ^ 12 + 120 « 2 — a ; \ ^I2~I20 ' ) sen- d’onde, indicando, per semplificare, con V la quantità sen — -- ( 102 ) sen col solito metodo delle approssimazioni successive si trae, con facile calcolo, in una seconda approssimazione : Mi = 9 . F 2 ) + ^ (l - >F 2 ) (2 - 3 VF 2 ) + . . .J. , Sostituendo nella (ioi) avremo: / , 6 * 2 . , e 2 .() 2 c = 5. V F ; i H-(i—'F )-1- senusenusenxsenx.-\- \ 1 12 J 12 1 (103) Ma dalla (102) si ha 4 —(i-n(2-3^) + - 2 y. — a sen —- 1 — sen , a -t- a 1—*r 2 2 , a — a sen sen a sen sen Ricerca delle costanti dell’ ellissoide terrestre. e, d’altra parte, la quantità a 2 — a i non differisce da i8o° che della convergenza dei meridiani, dimodoché la quantità sen 2 ——— differisce dall’unità di una quantità piccola di secondo ordine rispetto a 0 ed S —-, dentro l’approssimazione tenuta nella (103) si può dunque scrivere ij=s . 4 ' 12 sen asserì « 2 (i — e 2 .sen udenti 2 ) - j- 9 4 240 sen ajen a 2 (2— 3 W 2 ) -f- ... (104) Il valore di 0 non entrando che in termini di correzione potrebbe esser tratto senza errore sensibile dalla formula (69) del Capitolo Vili, introducendo in calcolo una delle latitudini ridotte corrispondenti alle latitudini astronomiche degli estremi di s: però è molto più semplice ed elegante esprimere direttamente 9 per s, osservando che dalla precedente (98) si ha a. 9 = I— j 2 e 2 . cos z u i —•... od anche, partendo dalla latitudine ridotta u 2 del secondo estremo di s, a. 9 = r (1 -\-'\ z e 2 . cos 2 u 2 -\-...) ; e se si adotta la media geometrica dei due termini di correzione come valore più di ciascuno di essi prossimo al vero, si ottiene : a .0 = s(i-\- I l 2 e 2 . cosiifosu 2 -\-...), a'. 0 2 =s 2 (i-j- e 2 .cos iifosu 2 -\-...'). Eliminando 0 dalla (104) per mezzo di queste ultime relazioni e osservando che è (1— e 2 , senu^enuj (i-f- e 2 .cosufos u 2 ) = 1 -j- e 2 . e 4 .[... j avremo finalmente sen x 2+ a , L s G = S.- — — sen a^sen a 2 (i -f- e 2 , cos (u 2 -(- wjj -j- j jr _ OC / sen— - 1 f -I- sena. sena. (2 — 3 4‘ 2 ') 2 \ 240 .a’ ' 2 v J J » ( I0 5) formula che equivale a quella originale di Bessel, ed ove il termine in V è cosi piccolo che può essere sempre trascurato. Pucci, Geodesia. II. 21 322 Capitolo undicesimo. Dacché la quantità a 2 —« t non differisce da x8o° che per la convergenza dei meridiani, l’influenza delle attrazioni locali in azimut rijangl n r Ì2 tangl 2 nel divisore seti— in generale è di un ordine inferiore a quella che esse hanno nel fattore sen a ' , e quindi è facile vedere che 1* errore in a dovuto a tali attrazioni, dalle quali non è possibile correggere gli azimut se non in una seconda approssimazione, cioè dopo un calcolo approssimativo delle componenti m, è dato prossimamente da : S i \(ù sen i"—a .cosiiAcssen 1" . (107) L’approssimazione del risultato si ottiene facilmente per mezzo dello sviluppo (22) del Capitolo Vili, dal quale si trae $ = 1\\ o^sen 1"= s .sen oq-f- s 2 . tang'o t sen 2 oq 2TW. -j -ecc. (108) formula che, pure equivalendo alla (107), non conviene al calcolo di 3 - solo perchè l’approssimazione del terzo ordine in generale non è sufficiente, ed il termine di quarto ordine riuscirebbe molto complicato. Se si indicano con S 3 ? , 8 B a , e § 3 C gli errori corrispondenti in 3 alle variazioni Sa, S del punto D, dallo sviluppo (12) del Capitolo Vili, sviluppo che, protratto fino al 4. 0 ordine inclusiva- mente, dà in questo caso S 2 . tango?' 2.0 ,N,sen 1" S^.tang f t 24. a 4 , sen 1" (1 + 3 tang 2 )- (117) Analogamente si trova: ’sen 2 u o cos 2 0,„= sen 2 it o ( 1 -f- cor 2 0 m ) — 1 + cos 2 u a = \ | =2 sen 2 u m —1 — cosupos upenxpen x 2 -\- A 0 2 [... j -f-. ..= > (118) = senu„ —cor 2 77 m cor 2 a„,-)- A 0 2 {.. .j -f- • • • / Tenendo conto delle (117) e (118) alla (n6) si può dare la forma ^ r (1— I lp 2 (i-f-e 2 )sen 2 u m -j- 3 l s e 4 .sen 4 u m -{- j a. seti 1 '\ji —e 2 ( 1 1 ^ e 2 . a 9 \ [cor 2 a,„(4. sen 2 u m — 1 )—2 .seti 2 che si riduce facilmente a 11 T /*- 1,4 rnAì - A 0 = -» i 1 + I / 2 e 2 .cor 2 77 m +|' eCcos*u, n -\- ì —_f_1 a.seni" e ' S , jcor 2 a,„(4.rcw 2 77 OT — 1 )— 2sen 2 uJ + ...] v 24 .a ( ) ; s se si sviluppa in serie il fattore (1— c 2 ) _1/2 e si introduce — in luogo di A 0 nell’ultimo termine di correzione. Sostituendo nella (115) si deduce con facile calcolo A w = • r. sen «„ r T sen «,„ -1 2 , 2 -, , -5 1-;-« [cos a,„(4 sen u m — 1)+ 24. a [ cor 7« m v re/z u„ a. cos u m sen 1 sen 1920 .or cor rm a,„ j 9 cos 2 u m )' ■■ d’onde, esprimendo dentro la parentesi maggiore del secondo mem- Ricerca delle costanti dell’ellissoide terrestre. 33 1 A w bro la latitudine ridotta in funzione della geografica, si deduce , 2 r 2 r sen x, i 1 24.2vt.l_ 1 ' cos 2 (121) J.B =^-x-c 2 +- x- Xy x-c 4 + . 2 4 2 4 62 =lx- X -4 c 5 -f- 2 4 6 1 (122) si ha [vedi Capitolo II, formula (28)] 8.fl.(i— e 2 ). A, no. 1 <7 = - v ■ - lo. seti 1 — 2 . a seti A 9 . cos 2 o„,+ (I+Vi-O 3 1 ■ -f-( 3 /cn 2 A 9. cor 49»,—...], ) e, poiché, rappresentando con G la lunghezza del grado medio di meridiano, è [Capitolo II, formula (30)] 2.~.a.A(i — e 2 ) G: 45(1 + ^—O” (123) si può anche scrivere l80 . G , no IO . ) a =-A9. seti 1 — 2 fi'Sen Ao. cos 2 cp,„—f -p 2 sen 2 Acp. cos 4 1 5 sen A® — senAl — (i 2 —cos Al..., sen 2 A^— sen 2 Al — 2 ($ 2 — £,)cor2 A, cor 2

    « ( 2 S 3 ) 4- (?,-O 1- '-yrCOS Al ,C0S2l m -\ - '-2—C0S2Al.C0S^l m -\-...\ + ' v 2 iy ( sen 1" sen 1" ) (20 20 ) 4 - (£-f O -7- senAl .sen 2l m - 2 -sen 2 A l .sen 4/, „-j- •••+■•• • 2 " [seni 1 sen 1 ) Però il termine in Z, 2 -\- Ì z è dell’ordine di ti.e 2 . Al, giacché (3 ; è del- l’ordine di c che è dell’ordine di e 2 ; quindi, per le ragioni già altrove esposte, il termine suddetto può essere tralasciato, insieme al termine in (£ 2 —£ t )(3 2 , è dell’ordine di £.o + , e possiamo scrivere semplicemente avendo posto 2 0 \ — /,-}-/4- ~ r \; senAl.cos2l m — 2 1 sen 1 sen 1 g 1 \ 2 — sen 2 A l. cos 4L, + ... ( I2 5> r= 2 0 0 - 77 cos Al . COS 2 I-^77 COS 2 Al . COS A Z„,—f- ... (i 26} T ’ ’ 1 C Dì/t T ' sen i Le costanti G, (3 2 e J3, che compariscono nella precedente espressione di —£ appartengono all’ellissoide di riferimento cercato, e sono quindi funzioni di forma nota delle costanti incognite di questo. Perciò sieno ora G', V, (3',, (3, i valori analoghi a G, V, (3,,(3, ma relativi ad un ellissoide ausiliario (per esempio all’ellissoide di Capitolo undicesimo. Bessel ), di costanti a' ed e' note, e poniamo : G= G i+X , p,=p;(i+Y). ( I2 7 ) Le altre costanti P 2 , P 3 , P 4 ,--- possono esser considerate come delle funzioni di p t caratterizzate dalle relazioni (121), per modochè si ha in generale «■'kr+.-.-.C,*) WW+* r, , 2 , p; e, sostituendo nella (125), sviluppando in serie rispetto agli aumenti X, Y, e facendo, per semplificare, T 1 h 6 oo.n 2, , S ' 2 , \ \ L =77T I —7T, - L+ 1 ,+ -r .TOT A /. C 05 2 - -Sen 2 A l. C0r4 V \ G 21 i' i" j’ | D ^00. cr G'sem — ^2 pi mi A /. cos 2 l m — P'i sen 2 A /. cor 4..) j, (t2 9 ) ——— (2 Si cos A /. cos 2 l„ — pi COS 2 \ l .COS 4 l„ 4 - . . .V >en 1 \ ap, ) V sen : si trae £ 2 —£ i =Z,+jBX-(-(X.D-ì-C)F+ secondo ordine rispetto adXedY.{i 30) È però da notare che la quantità 3600. ' G' è dell’ordine delle attrazioni locali, mentre la costante ( 3 [ è dell’ordine di e 2 , cosicché il coefficiente LD è dell’ordine di e 4 e di e.t,, e può essere trascurato rispetto a C. Inoltre dalle (121) si trae e, da queste: e.=f £ '-7Ì c4 +' dfi 2 r " — 5 02 1 £2 or k ^,“T P, + 27 i+.:. V (! 3 i) Ricerca delle costanti dell’ellissoide terrestre. 335 Per conseguenza in luogo delle (129) si può porre 1 (3600 .a ” a ' T i r~G i I 3600.C -/,+ /,+ 2 ^\, sen A/. cos2 l m —( pf+ — $'f\sen 2\l. cosAl m +.. J seni \6 154 j ) V G' fi' l sen\l.cos2l m — ^ P! -f- ^-fiC^sen2 \l. cos^l „,-\-. . .| , e per l’espressione cercata della differenza dell’attrazione locale in latitudine avremo: E-l^BX+CY+L. ( 133 ) 24 . Analogamente sieno ed w i le longitudini ellissoidiche degli estremi di un arco 3- di parallelo dell’ ellissoide di riferimento cercato, e

    64 ^ 64 mentre, con ovvii sviluppi in serie, si ha \/i— e 2 .sen 2 l = 1 — 'j 2 e 2 .sen 2 l — 1 \ ! à.senH — l j l 6 e 6 .sen 6 l — ..., (1+ \ji-e 2 )= ì^i+l £ 2 +-L^+X/. + ...j ; quindi sarà : ( 1 3 5) ( 1 3 6) _11 — — (1 -f- 2 seti 2 1) — 4 —( 3— 8 sen 2 l-\- 8 senH')- A(i—e 2 )\ ji—e 2 .se?i 2 l i\ 4 J 64^ J (i+\/i-0 8 .- —?(5 — 6 sen 2 l — 8 sendl -f- 16 sen b T). ' 256 w ' Dalle (121) per altro si ricava e.- 3 -*- 4 -< 5 +•■•=k+ 1 4 (138) 1 2 16 8 16 1024 v ' ' e di qui, deducendo per successive approssimazioni il valore di e 2 , si ottiene coll’approssimazione dell’ordine di /, 1 sostituendo nel secondo membro della (137): 2 ( 1 + 2. sen 2 l) + (5 + 24. sen 2 l— 8. senH) A( 1 — e 2 ) V1— e 2 .sen 2 l 3 9 O+l/ 1 O ^(13 4-106.r«z 2 Z— 80,5 cm 4 / 4- ^2.serti) Ciò posto, rappresentiamo con A! e pi i valori che assumono ^4 e p, sull’ellissoide ausiliario di costanti a' ed e, e ricordiamo che nel paragrafo precedente è stato posto P = PÌ(i+7); la precedente relazione darà A( 1 — e 2 )\j 1 — e 2 .seni A'( 1 — e' 2 )\j 1 — e , 2 .sen 2 l 2 , . —-- J , - -—---P 0 7 , (139) (i+\/i— ej (i-f V 1 — e'J 3 Ricerca delle costanti dell’ellissoide terrestre. 337 essendo (140) (2=i+ 2 sen 2 l-\- — (5 -f- 24 jen 2 /—8 sen 4 l)-\~ , fi' 2 ( + ^(13 + 106 sen 2 l — 8 osenH + 32 sen 6 l ), ’ e tralasciati i termini in Y 2 e Y } come affatto trascurabili. Se si osserva che fra il grado medio G' dell’ellissoide provvisorio (grado medio che già abbiamo introdotto in calcolo nel paragrafo precedente) e il semiasse ausiliario a' si ha la relazione A\i — e’ 2 ) __ 45 ,G' + e’J e si ricorda che si è posto G-- ■ .a i+X’ dalla (134), per mezzo della (139), si deduce 4 - 3 \/i — e' 2 .sen 2 l ■•PI Q 77^ (l + X> a'.sen 1" .G' .seni' — M. seni.seni, seni" ■ 1— e' 2 .sen 2 l ’ e, di qui, indicando con N’ la gran normale dell’ellissoide provvisorio sotto la latitudine l, tenendo conto della (140), ponendo 3 \j 1 — e' 2 .sen 2 l a!. sen 1'' - A 7 .. cos l - N' .seni" ■Al. cosi. O. N'.sen 1" ’ E = -jj— 2 sen 2 l + — (5 +24 sen 2 l — 8 sen 4 l )— i^S.G'.seni" { 3 ^ J l - £ 2 F = Al. seni .seni" -.- 1 —e' 2 , seni’ (hO / e trascurando al solito i termini di secondo ordine rispetto alle correzioni X ed Y, avremo finalmente: +— n = D X +£T+ i+ + M. (142) E bene notare che teoreticamente il termine i+, almeno per archi di parallelo non troppo grandi, è inferiore di un ordine relativo ad ti 3 —74 ed agli altri termini del secondo membro della (142), e perciò i geodeti, nel dedurre formule analoghe alla (142) stessa, sogliono considerarlo come trascurabile. Però ciò non è corretto: ed in- Puccr, Geodesia. II, 22 33 § Capitolo undicesimo. vero per una differenza di longitudine un poco notevole, per esempio di 3 0 , nel caso in cui £ sia assai grande, per esempio di 20", il termine suddetto può raggiungere un valore anche superiore alla quantità cerrcata r, 2 —74 (nel caso indicato tale valore è maggiore di 1"). 25 . Se i varii archi di meridiano e di parallelo misurati fra paralleli o fra meridiani astronomicamente noti fossero isolati l’uno daU’altro, ciascuno di essi darebbe un’equazione della forma (133) o (142) indipendente dalle altre, e con una incognita che non comparirebbe nelle altre: non riescirebbe quindi possibile in verun modo avere le attrazioni locali dei punti geodetici principali, ma si potrebbero soltanto determinare le differenze r, 2 —r, t fra le componenti degli estremi di ciascun arco. E quindi da supporre che lungo ciascun meridiano e ciascun parallelo considerato siano stati misurati varii archi successivi, o per meglio dire, che lungo ciascun arco misurato geodeticamente sieno state fatte parecchie stazioni astronomiche, nel qual caso, scegliendo sopra un meridiano il punto principale qualunque £ o , r, o come origine di un arco di meridiano e di uno di parallelo e applicando le (133) e (142), si potranno costituire, o direttamente o per mezzo di sottrazioni successive, i due seguenti gruppi di equazioni Arco meridiano. ^1 = ^0+Ci Y-\~L t Z^to+B'X+CJ + L, 5=$ 0 +B J x+c J y+z } Arco di parallelo. V = vf ir X-r E' 7 + F' É 0 +M' vi" = r (o -(- D"XE" Y+F"c, 0 +M' Yi"=r, o + D m X+ E'" 7 + F"; 0 + M'" ove entrano conte nuove incognite da determinare col metodo dei minimi quadrati le componenti r. o , £ 0 dell’attrazione locale dell’ori- gine arbitraria suddetta. Se sì considera poi il reticolato di meridiani e di paralleli indicato schematicamente nella fig. 74 avremo il j >91 . r ‘in /io £//// -Ci 2 li il pii 'IL ,Sl 1 j r/J 1 ptn >au . r un ' 1-1 rd II *„/y pi/ /io **0 J ■di liti ■s— I Yl /y// —2 VAI < 1 ! r/d •>—2 ..un *\ —3 pilli Fig. 74- Ricerca delle costanti dell 1 ellissoide terrestre. 339 seguente quadro di equazioni da stabilire: Archi di meridiano. p — P So — -so Z = & + B\X-\-C\Y+L\ éì^ì+sìx+cìf+iì £=£ + 5iX-f CÌ7+L', Archi di parallelo. > / t i Ou — fi 0 1 r,I = 7Ì' +D\X+E{Y+F[% r/, = rZ< + D' 2 X+ Fi F+Fi + M\ ■Z =T,7"-f D't X+ E , F-f Fi + M' 3 Zl l =%;.+B'l ì X+C , l l Y+L'Z r/f^i+Dh'.X+F'i, F+F'l^ + M", =&' // // *Ao —'fio ' £7 =5i'+5:' X+Ci' F+Z7 rZ =r,i" +D7X+F7 F+P/ c„'"+M7 =5;'+#' X+Ci' F+Z7 77 =7Ì W +£);'X+Fi' F+Fi'5""+ M7 +BZX+C "i Y+L'li 7"i=7Ì -EDZX +F"i F+F"i?;+M "i É "i=&" +-8-IX+ CZ Y- f LZ 7"'=7Ì'-f2y"X-j-F"|F+F"&'+M"{ 4 ?i"=5'."4 -B't'X+C'i'Y+L'r 7' 1 “=77 ,, + j D! ;, x+£' 1 "F+f;"c7' ; +m"' ; ! nelle quali gli accenti alle notazioni distinguono le quantità che si riferiscono ai diversi meridiani considerati, e le varie coppie di componenti £ 0 , 7j 0 , che compariscono come incognite nei secondi membri oltre alle quantità X ed F, sono tante quanti sono tali meridiani. Ciò, se non si aggiungono altre condizioni, costituisce l’inferiorità di questo metodo di ricerca rispetto al metodo generale esposto nella prima parte del capitolo, giacché mentre là per ciascun gruppo di reti fra loro collegate basta scegliere arbitrariamente la sola attrazione locale di un punto affinchè tutte le attrazioni locali degli altri punti principali del gruppo rimangano determinate rispetto ad un ellissoide dato, in questo ultimo metodo si viene ad accrescere considerevolmente il numero delle incognite arbitrariamente aggiunte, che, in ultima analisi, rimangono arbitrariamente determinate qualunque sia il procedimento che si adotta per risolvere le equazioni generate (143). È facile riconoscere quale sia la causa matematica 340 Capitolo undicesimo. di tale disparità fra i due metodi : ed infatti nel primo i punti principali restano determinati per mezzo di un sistema di coordinate geodetiche polari, che deve esser considerato come indeformabile, ossia come tale che, dato il centro di emanazione o polo, e la direzione dell’asse polare, può essere adagiato in un’unica maniera sopra l’elis- soide cercato, e sopra il geoide; ma nel secondo metodo non restano determinate che le lunghezze delle linee di una rete di maglie quadrangolari, e la rete, data la posizione di un nodo e la direzione di una linea, può essere deformata ed adagiata successivamente sull’ ellissoide e sul geoide in un numero infinito di maniere senza alterare sensibilmente le lunghezze suddette. 26. Astrazione fatta dal maggior numero di incognite introdotte in calcolo, le equazioni (143) equivalgono alle (81) del primo metodo di compensazione, e sono da risolvere coi minimi quadrati, cogli avvertimenti indicati nel § 13. Ottenuti poi i valori più probabili delle correzioni X, Y, e quindi, dalle relazioni (127), i valori definitivi del grado medio G e della ausiliaria ,6,, restano da determinare le costanti a ed e dell’ellissoide di riferimento cercato. L’espressione diretta dell’eccentricità in funzione di {3, si deduce dalla (138) che, risoluta per successive approssimazioni, dà: e i =|p l (i-ìp l + 4 , 5 p 1 i -...]; (M4) però è di vantaggio dedurre direttamente anche la quantità \j 1 — e 2 in funzione dell’ausiliaria _ a — b _ 1 — \] 1 — e 2 a-\-b 1 — e 2 della quale si calcola il valore da quello di (3, per mezzo della relazione che proviene dalla sopra citata (138). Ottenuto poi il logaritmo di \j 1 — e 2 e l’eccentricità e 2 , si calcolano finalmente i semiassi a e b cercati dalle formule generali a 45( I + V I — 2 . A . ~ ( 1 — e 2 ) j , . 45(i+1/i- Q 3 G 2 045 ) Ricerca delle costanti dell’ ellissoide terrestre. 34i 27 . Il metodo sviluppato nell’ultima parte di questo capitolo è il metodo di Bessel generalizzato al caso in cui si abbia un numero qualunque di archi di meridiano e di parallelo geodetica- mente misurati (nel metodo di Bessel propriamente detto è tenuto conto dei soli archi di meridiano, e le attrazioni locali sono considerate come errori residuali di osservazione), ed abbiamo già veduto come presenti il grave inconveniente di introdurre in calcolo molte più incognite di quelle che il problema, matematicamente parlando, non comporti. Ma tale difetto sparisce completamente, e la precisione del metodo di Bessel può ridursi equivalente a quella del metodo generale sviluppato pel primo, se alle equazioni generate (143) se ne aggiungono altre che esprimano la indeformabilità delle maglie quadrangolari della rete dei meridiani e dei paralleli in ciascun gruppo di punti geodetici principali legati fra loro, o, in altre parole, che facciano dipendere le componenti arbitrarie £ 0 , 7) o dei varii meridiani di un gruppo da quelle di uno solo di essi scelto arbitrariamente. Siffatte nuove equazioni sono delle forme (13) o (78) e si costituiscono senza difficoltà applicando queste formule al caso dei punti (£!>', nò'), (£ò"’, nò"),... (vedi fìg. 74), considerati come uniti al centro di emanazione £ò > ’fió per mezzo delle reti geodetiche dalle quali gli archi del gruppo sono stati calcolati. Soltanto in tali formule è necessario esprimere S a e 8 e in funzione delle nuove incognite X, Y che loro equivalgono nelle equazioni (143), e, a tale scopo, basta osservare che dalla relazione generale 2~aA(i — e 2 ) 45 ( r +V 1 — c 2 y ’ ponendo per semplificare A (1— e') si trae G = ~ T = 27r(a'+dfl)F( e '+S4 ossia, trascurando al solito negli sviluppi in serie le quantità di secondo ordine rispetto alle correzioni X, da e Se, „ _2 .-.a'.F(e') ( Sa.2 .r:.F(e') , Se .2 .tc. a'. F' (e) I_ ‘ 45 .G' + + 45. G' • ’ relazione in cui F' (è) rappresenta la derivata di F(è) (presa rispetto 342 Capitolo undicesimo. ad è), e che si riduce semplicemente a v Sa Se.F'fV) x -~ir f(o • Ora sviluppando la F(e ) in serie si trova [vedi formule (135) e (136)]: * +^ t e +-)[ 1 + r 2 + T 6 e ^ T 6 e +-1 = quindi avremo F'(e) e F(e) - e per conseguenza : [ x 4 g2 256* 6 •••) ; 1 4-— e 2 -Y — e 4 4- * — 3 -*4--=-^j I+ Iv+£±, 4 6 4 x =-^+ > -¥{ 1 + 5 r '+ Ts ^+-)- (-40 Dalle relazioni (127) e (138) si ha peraltro Y = d e .Se 4 4 512 P! 1024 d’onde si trae 2 \ 2 _L e 4_ ì 64 -J’ ( I 47> che è una delle espressioni cercate Sostituendo poi nella precedente (146) e ricavando il valore di ^-7- avremo finalmente n' Sa e' 2 , y a' '4 ( i + g - e ' i + 4 ‘ ^+... . (148) Ma in tali espressioni i termini in e 6 , ed anche quelli in e 4 possono essere considerati come affatto trascurabili in ogni caso, e si può porre semplicemente a e 2 .Y ’ 4 (149) CAPITOLO XII. DEL GEOIDE. 1 . Estendiamo l’idea delle coordinate astronomiche al caso di una superficie qualunque col definire per collatitudine astronomica di un punto di una superficie l’angolo piano che la normale in tal punto fa con un asse fisso (asse polare), e per longitudine astronomica l’angolo diedro che il piano che contiene questa normale e una parallela all’asse fisso (piano meridiano) fa con un piano fisso che passi per l’asse, e cerchiamo le equazioni differenziali delle geodetiche della superficie in funzione di queste coordinate. Perciò immaginiamo anzitutto riferita la superficie ad una terna di assi cartesiani, di cui quello delle % coincida coll’asse fisso suddetto, e l’asse delle x sia parallelo al piano fisso scelto come origine delle longitudini ; gli angoli V x , F v , V„ che la normale in un punto M (x, y, f) qualunque della superficie forma cogli assi cartesiani sono dati allora in funzione della latitudine astronomica L e della longitudine A dalle note relazioni seguenti me V = me T me V \ cos L . sen A (0 come risulta dai due triangoli sferici M'OK, M'OR della seguente fig. 75, nella quale CM' rappresenta una retta condotta per l’origine delle coordinate, parallelamente alla direzione MV della normale considerata, e CO la traccia del piano ZCM' sul piano delle xy. Sia F( x >y,d = o (2) / 344 Capitolo dodicesimo. 1 ’ equazione della superficie considerata, e, per conseguenza siano dF_ dF_ d£ 8x __ dy di d*x d 2 y d 2 g ds 2 77 ds 2 le equazioni caratteristiche delle sue geodetiche; a ( 3 ) queste equazioni F'g- 7S- daremo altra forma ponendo W= nmmw e ricordando che si ha, nelle notazioni prestabilite, W. cos V x = = W. cos L. cos A 0 X I ( 4 ) W.cos V y = = W.cosL.sen A > ( 5 ) oy \ W.cos V z =^- = W.senL , di ì ove W ha i due segni, che caratterizzano, come è noto, le due direzioni della normale V, corrispondenti alle due faccie della superficie *. Se si considera, come qui faremo, la sola direzione rivolta verso lo Zenit astronomico (direzione che corrisponde sul geoide alla * Gauss, Ricerche generali sulle superficie curve. Del geoide. 345 faccia convesso-convessa), sono da tenere i segni negativi, e le equazioni (3) possono essere scritte come segue ds .cos V x =R.d ds .cos V y —R.d ds .cos V,-- O) indicando R una funzione di x, y, 3;, che si determina senza difficoltà elevando a quadrato e sommando membro a membro le (in). Si trova in tal modo 1 R = i/(£)'+(£)' + (£)‘ d’onde si vede che R è il raggio di curvatura delle geodetiche (ni). Rappresentando con s x , s y , s x gli angoli di direzione di queste curve, ed introducendo per V x , V y , V s i loro valori (1), le ( m ) si trasformano quindi nelle seguenti R . d(coss x ) -f- cosL .cos A .ds = o, ' R .d(coss y ) -f- cosL.sen \ ,ds = o,( R.d(coss x )-\-senL.ds = o, ; ( 6 ) che potevamo stabilire a priori, giacché esprimono la proprietà caratteristica delle geodetiche di avere la normale principale diretta secondo la normale alla superficie. Per esprimere in funzione delle coordinate astronomiche L e A anche i coseni di direzione delle curve torniamo alla precedente fig. 75, e conduciamo in essa per l’origine delle coordinate x, y, 1 la retta NS parallela alla direzione che nel punto M ha la sezione normale formata sulla superficie dal piano meridiano di questo punto*, direzione che, per analogia al caso del geoide, diremo cardinale Nord-Sud: il piano M'CN sarà parallelo al piano meridiano di Me conterrà evidentemente l’asse delle 3;, quindi l’angolo che * Per piano meridiano intendiamo il piano normale, parallelo all'asse fisso (polare), che serve a individuare la longitudine. 34-6 Capitolo dodicesimo. la C N fa coll’asse delle i sarà uguale alla latitudine L, e considerando la sola direzione Nord, ed indicando con N x , N„, N„ gli angoli che questa fa cogli assi coordinati, dai triangoli sferici NZK, NZR si avrà: cos N x = — cos A . seti L , cos N v = — seti A . seti L , cos N z — cos L. Analogamente indicando con E x , E y , E z gli angoli che fa cogli assi la direzione cardinale Est-Ovest, ossia la direzione che sulla superficie e perpendicolare alla Nord-Sud, ed osservando che essa è normale al piano meridiano del punto M, otterremo cosE^-s», A ' C 0 sE y = C 0 S A >. (S) cos E z = o J Ora la normale M V della superficie e le direzioni cardinali Nord-Sud ed Est-Ovest del punto M costituiscono una nuova terna di assi cartesiani eòi quali la direzione di di una linea della superficie stessa fa rispettivamente gli angoli 90°, A e 90° — A, essendo A l’azimut astronomico della linea : riferendo a tali assi anche gli assi delle x delle y e delle ^ e tenendo presenti le (7) e (8) si trova quindi : dx .. , ' coss x = -r- =cos I\ x cos A + cos t x senA — i ds i = — coi A .senL.cosA — sen\ .senA, dy coss„ — -A- = cos N v .cos A -f- cosE„sen A - ds ■ — sen A .senL. cos A -f- cos A . sen A , di coss ,= — — cos N.cosAA- cos E z sen A = ds ( 9 ) = cos L. cos A. Sostituendo nelle (6) ed eseguendo le differenziazioni lungo la linea s avremo pertanto come equazioni differenziali delle geo- Del geoide. 347 detiche della superficie cos L.cos A ,d s = cos L.cos A . f? . —(sen L. seri \.cos.A — cos A . sen A) R . d s A — (reti L. cor A . seti A — sen A . cos A)R. d s A, cosL .sen A.ds = cosL. sen A .cos A. R. d,L + (rc;z Z,. cos A .cos A + sen A .sen A) R. d s — (seti L. sen \ .sen A-{-cos A .cosA)R.d s A, senL ,ds = senL.cosA.R.d s L -j- cosL.sen A.R.d,A, e queste, prima sommate membro a membro dopo essere state moltiplicate rispettivamente per cosL. cos A, cosL . sen A, senL, e, successivamente, coll’eliminazione di ir fra le prime due, danna ds — R.cosA.d s L -\-R.senA .cosL d,A = sen L.d.A. ) (io) Queste elegantissime forme delle equazioni difFerenziali delle geodetiche in funzione delle coordinate astronomiche di una superficie, qualunque sono dovute a Bessel. * 2. Per integrare tali equazioni è necessario anzitutto esprimere in funzione delle coordinate le Ae della differenziale ds della variabile indipendente le variazioni infinitesime B S L, S,A che evidentemente non dipendono dalla natura della curva r. Perciò partiama dalle relazioni O r TT7" T \ — = He.cosL.cos A, i Si V* ' A v W. cos L. sen A (n) djd d i = W. spi L, * Uéber den Einfluss der Unregelmdssigkeiten der Figar der Erde auf geodd— fische Arheiten, eie. Astr. Nach. 14. 348 Capitolo dodicesimo. (vedi pag. 344) che, differenziate nella direzione s , danno : dF d S 7r—=cosL.cos A . d s W — W.senL . cos A . d s L — W.cosL .sen A .fi, A, 0 x d F f d s ^—~cosL.sen A . d s W — W.senL .sen A. d s L-{-W.cos L.cos A . d s A, } . (12) 0 y d s d ^=sen L. d s W+ W'. cosL.d s L. 01 1 Da queste formule moltiplicate rispettivamente per cos L.cos A , cos L. sen A, senL, e sommate membro a membro, si trae orrz T . , di 7 , r . , 2-F . r I dF , . fi, W= cos L.cos à .d s71 -fi cori . sen A. a s ^-f L .d s ^— ; (13) •eliminando invece fil, fra la prima c la seconda si ottiene $ F 3 F — W. cosL . fi, a = senh. .d,-^ - cos A. fi, tt- , (14) dx dy •e, sostituendo finalmente nella terza a d s W la sua espressione (13), si ha r T , dF , dF dF . . W ,d s L= — sen L. cos A. o, =- senL.senh.d s ~-fi rat -L. fiTr— ,(15) CX (7 3 ' 0 % relazioni, le (13), (14) e (15), nelle quali è da porre evidentemente: jdF (d 2 F dx , d 2 F dy , d 2 F d^, \ s dx dx 2 ds dx.dy ds + dx.di ds) ’ j , dF ( d 2 F dx , 8 2 Fdy , d 2 F di\, ! s dy [dx.dy ds + dy 2 ds^dy.d^ds) ’ f ^ J dF ( d 2 F dx d 2 F dy , 2 35i Del geoide. Se si sostituisce a M—P W la sua espressione (21) si trova finalmente: N_ _ (i_ I I— COS 2 20. I / I I 2 . sen 2 fi 2 \R J R 2 seni Q. (22) 4. Alle equazioni generali (18) si può dare anche un’altra forma molto notevole immaginando riferita la superficie F(x,y,g) = o alla già considerata terna di assi cartesiani composta dalle rette condotte per l’origine delle x,y, z parallelamente alla normale del punto ed alle direzioni cardinali Nord-Sud ed Est-Ovest di questo punto. Se indichiamo con (, c e 3- rispettivamente le nuove coordinate, le formule di trasformazione saranno della forma x — a i n -|- b I 3 + c t '(, y=*s-\-h*-+ c £, K. — -f- cy, ; ora dall’equazione della superfìcie si trae dF = dFd_x^ d_Fdy d£dz_ (onà V1— e . sen'L 1 v et (1 e ) sen L . t 1 7 t l = —=====-h £. a. cos L -j- h. sen L, \ji — e 2 .sen 2 L formule queste che rappresentano le corrispondenze fra le coordinate cartesiane del geoide, e le coordinate astronomiche Le A, giacché 35 ^ Capitolo dodicesimo. le quantità h, ed ti debbono essere considerate come delle funzioni sperimentalmente determinabili di L e A. Ora derivando totalmente le (29) rispetto all’arco s di una curva geoidica qualunque, caratterizzata dai valori che prende l’azimut astronomico A lungo di essa, ricordando le relazioni (9) e ponendo per semplificare e 2 , sen 2 L) 3 ' 2 e 2 .sen 2 L si trova : dX T A A -7- ~ — cosA. sen L.cos A — seti A. seti A — d s — (—R sen L.cos A—\. a. cos L. cos A — h.senL .cosA) -f- ds v 1 •fi. a. cosA—h .cosL. sen A) (— R 2 cosL .sen A-f- \. a.senL .sen A cos L.cos A a.sen A -f- a.senL. cos A -f- = — sen A. sen L. cos A cos A. sen A = ds — —R senL.sen A — \. a. cos L. sen A — h .senL .senti) + ds ' + — (R cosL. cosA — Z.a.senL. cosA—n . a. sen A -f- h. cos L. cos A) H c v 2 cosL. sen A a. cos A a.senL.sen A-\- cosL.cosA T .UH T a. cos L -f- -j- sen L fòcosL — % .a.senL-\-h.cosL)-\- Risolvendo queste equazioni rispetto a U — e a e tenendo conto delle (30) coll’avvertenza che, dentro l’approssimazione tenuta, nei 357 termini in £ ed n si può porre tan gL-senA s - (32) cotgL.dA- senA.y 1 — e 2 .sen 2 L ds — dn — senA.ds -f-£.z?a, dA = seti L . d A, delle quali la penultima proviene dall’eliminazione di dA fra la seconda e la quarta. Indichiamo, come nel capitolo precedente, con senA.\J 1— e 2 , seti 2 L , , , , , , , . , » , -1-=- ds = d(ù 4- e a 5cctp .do -f- so ree© . da , a.cosL sen A ,\ji — e 2 , sen 2 L a.cotgL d s = da' -f- Zo.tang^’ .d Se si sommano membro a membro queste relazioni dopo averle rispettivamente moltiplicate per cosa e per sena sen tp si trae cos a', d s ? — So sena.' .da'+sen a'.sen (47) sen 9'= cos y sen cpd -f senycos 9Ó cos ai -f- e j... j, 90 ed aó essendo, come abbiamo già supposto, i valori che prendono 9' ed a' all’origine della geodetica ^ e quindi per x^ 0 - Avremo pertanto sen sen 'y.dY sen ( 3 . cos 9» cos aó dX y C , v cosate, • cosi .dì - —r J A cos COSACI COS 2 sxó seny.dY , sen (fi f C0S 2 pj' ■Jseny. dY- r aó f , v J cosy.dY, V = 3 H Capitolo dodicesimo. e, sostituendo nelle (39) e (43) si otterrà: cor 2 (3 .Zf = seti a!(seti pi cos pi cos ai— seti re» a'. sen - 0 u "3 1 —sen od na =--A — X si trova ( 53 ) come avevamo già dimostrato sommariamente nel precedente capitolo, giacché l’azimut ellissoidico a o , cui si riferisce la seconda delle (53), differisce già per ipotesi dall’azimut geoidico iniziale A 0 della geodetica s per la quantità : n 0 tangy 0 , che rappresenta l’attrazione locale in azimut. 11. È utile notare che tutte le precedenti relazioni in pratica non sono applicabili che al caso in cui la geodetica geoidica r sia stata misurata direttamente, giacché i grandi archi di geodetica non possono essere che calcolati per mezzo di una rete di triangoli, compensati e risoluti come ellissoidici e come se ad un ellissoide la geodetica appartenesse, e così rimane soltanto da tener conto delle correzioni da farsi alle basi geoidiche per ridurle all’ellissoide di riferimento che si considera. Dal confronto fra le basi geodetiche fatto per mezzo delle triangolazioni interposte scaturisce un forte argomento contro la conclusione cui, come vedremo, condurrebbero i calcoli delle onde geoidi- che fatti colla teorica dell’ attrazione Newtoniana, immaginando che le densità terrestri nell’ interno della terra siano distribuite equabilmente, e tenendo conto soltanto delle scabrosità visibili della crosta e degli avvallamenti marini. Infatti le differenze fra i valori Del geoide. 371 continentali di h, così calcolati, e quelli marini raggiungono parecchie centinaia di metri, perlochè le discordanze che si dovrebbero avere fra le basi geodetiche misurate sulle coste e quelle misurate nelle parti centrali dei continenti paragonandole fra loro per mezzo delle triangolazioni congiungenti, dovrebbero essere assai maggiori delle massime che sono fin qui state constatate. Cosi per due basi relative a due regioni per le quali l’altitudine ellissoidica h differisse in media di 200 metri la discordanza dovrebbe essere maggiore di - delle lunghezze, grandezza che supera di molto queila considerata come tolleranza nel trasporto di una lunghezza, mentre le discordanze fra le basi sono sempre minori di questa tolleranza. Tornando poi alle relazioni (53), si deve notare che l’errore di trasporto degli azimut è di un ordine superiore a quello del trasporto delle latitudini e delle longitudini, e dipende non solo dalla altitudine h dei punti geoidici sull’ellissoide, ma anche dalla deviazione fra i piani osculatori della geodetica geoidica e quelli della geodetica ellissoidica corrispondenti, giacché questa deviazione è in ciascun punto prossimamente misurata dalla componente 8 V dell’attrazione locale relativa all’azimut 90°-}-a. Ed infatti siano (fig. 76) N, la normale ellissoidica ed N\ la verticale di un punto geoi- dico qualunque, OS la direzione di un elemento della geodetica Fig. 76. ellissoidica s, ed OK la traccia del piano N e ON s sul piano tangente all’ellissoide, e cerchiamo l’espressione analitica dell’angolo diedro p. che il piano SO N e fa col piano SO N s : nel triangolo sferico ABC , corrispondente al triedro N, N s S, si ha evidentemente c = %,b — 90°, 372 Capitolo dodicesimo. C = y. e l’angolo in Ab la differenza fra l’azimut ^ del piano AO K nel quale agisce l’attrazione locale, e l’azimut a della geodetica; avremo pertanto tang y. — tang 6 . sen (4< — «), o, trascurando i termini in 0 5 , p=0.rr«(^ — a), (54) ed è facile vedere come l’angolo y. dentro l’approssimazione delle (53) rappresenta appunto la deviazione fra i piani osculatori corrispondenti sopraddetti. Esprimendo successivamente nella (54) l’attrazione complessiva 0 in funzione delle sue componenti nelle direzioni j e v si ottiene : 0 s =p..co#(^ —«), 0v = y, come era da dimostrare. 12 . L’ azimut geoidico iniziale A a che abbiamo considerato nei paragrafi precedenti e che caratterizza la geodetica s se è data la sua origine, non può essere direttamente osservato : come è noto, in sua vece si considera l’azimut nel punto s = o. della sezione verticale corrispondente ad r, ossia che passa per l’altro estremo di quest’ arco, e si calcola quindi la differenza fra tale azimut ed A 0 per mezzo delle formule che abbiamo date nel Cap. Ili (voi. I, pag. 100), o di quelle più rigorose del Capitolo Vili (voi. II, pag. 187), considerando la terra come ellissoidica. * Ma ove si tenga conto delle irregolarità del geoide questa correzione rigorosamente parlando non è più sufficiente, ed ai termini ellissoidici andrebbero aggiunti quelli che dipendono dalle attrazioni locali e dalle ondulazioni geoidiche; bisogna quindi almeno dimostrare che questi ultimi dentro l’approssimazione geodetica già sopra definita sono trascurabili. In pratica gli azimut osservati direttamente si riferiscono sempre, è vero, a punti cosi prossimi fra loro, che si può ammettere senz’altro che la geodetica che li riunisce si confonda coll’arco di sezione normale corrispondente, ma la quistione posta di sopra non è per questo meno importante, giacché la correzione da discutere serve altresì per ridurre gli angoli azimutali astronomici agli angoli fra geodetiche. * Nel capitolo terzo abbiamo date anche le formule di riduzione degli azimut pel caso di una superficie qualunque, ma in esse compariscono i raggi principali di curvatura della superficie, i quali nel geoide a priori sono ignoti, e che, nelle piccole ondulazioni locali, variano rapidamente da un punto all altro. Del geoide. 373 —t --- Sia pertanto A(x o , y o , g o ) un punto geoidico qualunque di latitudine l o , da cui partano la geodetica AB = s sotto l’azimut A a e la corrispondente sezione verticale (normale al geoide nel punto A) sotto l’azimut A 0 -\-' 8 A = A I ; l’equazione del piano verticale in A che passa per B sarà della forma M . (*o-X) + M£y-Y) + M 5 fc- Z) =o, (55) essendo X, Y, Z le coordinate correnti (che debbono potersi identificare colle coordinate del punto B ) ed i coefficienti angolari del piano, che sono proporzionali ai coseni degli angoli formati cogli assi da una perpendicolare al piano stesso. L’origine delle longitudini essendo arbitraria, supponiamo che esse vengano contate a partire dal piano meridiano di A, e siano sulla cosiddetta sfera celeste (rappresentata in proiezione dalla fig. 77) O lo zenit del punto A, e P, M, E, K rispettivamente i punti che individuano le direzioni degli assi coordinati delle g, x, y e la direzione di una perpendicolare al piano verticale AB, rappresentato sulla sfera dal cerchio massimo OT; avremo evidentemente arcoOM=l o , arcoO K — yo°, arcoOE—yo°, angolo P 0 K=^o°-\-A 1 , angolo E O K= A I} ed i tre archi MK, EK, PK rappresenteranno gli angoli K x , K y ,K x che la perpendicolare suddetta K fa cogli assi coordinati. Ora i triangoli sferici MOK, POK, EOK danno cos K x — sen l 0 sen A t , cos Ky= cos A t , cos K z = — cos l o sen A t , dimodoché dalla precedente equazione (55) si trae la relazione o = sen l o sen A, ( x— *,) + cos Afo—y,)—cos l a sen Afa—tf (56) che determina Per introdurre in luogo delle coordinate cartesiane le coordinate astronomiche dei punti A(l 0 , 6 ) e B(L l , A ; ) torniamo alle M F'g- 77- 374 Capitolo dodicesimo. (p.y') che, dentro l’approssimazione tenuta nei capitoli precedenti, possono anche scriversi come segue: a -j- h T y T x— . cos L. cos A — c,.a .senL.cos A — n .a.sett A, y i — e 2 .sen 2 L a —|— h T y T . y — , cos L. seti A — K.a.senL. seti A 4- ti . a. cos A , \Ji—e 2 .sen 2 L (a-f-h)(i— e') T j. r T z — ■ ■■■ ■ setiL 4- q. a. cosL -f vi. sai; ^i—e 2 .sen 2 L sostituendo nella (56) ad x 0 , y o , g a , x t , y t , i loro valori dati da queste relazioni, e trascurando al solito i termini di secondo ordine rispetto ad h, £ ed n (compresi quelli che contengono tali quantità moltiplicate per e 2 ) si trova dividendo per (a -(- /;) e dopo facili riduzioni . ( , r T 1 2 , , \/1 — e 2 .seti 2 L) senA seni cos L cos A—senLcosli 1—e ) — e .seni cosi . .. — + ( y 1 — « . seti l o ) -f- cos A^cosL^en A l -\- E, a senA l — -n o cos A l — — £ t (setil 0 sencos Apen A ,-f- sen L t sen A i cos A t -\- cosl o cos L t sen A t ~) — — 7\ l (senl o senApenA l — cosAposA : ~) — 0 , ove E ed vi rappresentano le componenti dell’attrazione locale del punto B. La parte di questa equazione che dipende dalle attrazioni locali si riduce a forma semplicissima se si osserva che, trattandosi di una correzione dell’ordine di £ e di vi, dentro la solita approssimazione vi si può porre cos L, sen A[ — costante — cos l 0 cosA 0 , A, essendo l’azimut in B della geodetica 5, e ciò equivale a calcolare i coefficienti di l l ed vi, nella (57) come se il geoide fosse una sfera e, quindi, come se gli elementi 90°— L x , 90°— 1 0 , A 0 ed A\ (o invece di A 0 e di A[ gli azimut della sezione verticale corrispondenti) appartenessero ad un triangolo sferico. Nella (57) P os “ siamo porre pertanto cos A I sen IpenApen L x -\- cos A sen Apen L r f cos l 0 sen Apos L,= = senL (penipen Apos Aj-j- cosApen A t ) -f- sen A\ cos 2 L l = = sen'Lpang L posi pen A^-\- sen Ai cos 2 L~ — sen A\ setfL^A sen A[ cos 2 L l — sen A [, cosApos A x — sen l a sen Apen Ap= cos A [, 375 Del geoide. cosicché la relazione che determina 1 ’ azimut A t della sezione verticale in A fra i punti A e B dati per mezzo delle loro coordinate astronomiche sarà e 2 . sen 2 L ) , } e 2 ) — e 2 .sen l o cosl t senA j \sen l^osLfos A,— smLfoslJ^ i e 2 , seni 0 ) > (58) I i O 'I I 0\ / ’ OO. /- 2 -r \ V1 — e .seni < -f- cos A i cosL ì senA 1 — X,sen A' + X 0 sen A^ n^os A' t — t\ 0 cos A = 0, che, se si divide per — e 2 .cos 2 U 1 — e z .cos z (J 0 ’ si riduce con facile trasformazioni a senA i {senU o cosU i cos .\ i — sen U^cos C 7 o -j- e 2 .cosU o (senU l — senUJ j -f- -f- cos Afos U t sen — e 2 , cos 2 U a — X^en A\ -f- X 0 sen A vi x cos A\ — > (59) — ■n 0 cosA = o ] introducendo le latitudini ridotte U a ed U l corrispondenti alle latitudini astronomiche l 0 , L, e definite dalla solita relazione tangJJ = V 1 — c z tang L. 13 . La formula analoga alla (59) ma che dà invece l’azimut geoidico A 0 si deduce dalla- equazione della geodetica geoidica s che congiunge sul geoide i due punti A e B, equazione che, nelle notazioni dei precedenti paragrafi, si ottiene senza difficoltà dalla (60) cos lì!. sen a! = costante (che lungo la già considerata geodetica ellissoidica s lega l’azimut ellissoidico a' alla latitudine ridotta u' corrispondente alla latitudine ellissoidica » o 1 o o 1 y Del geoide. 377 — e — cos 2 u o cos x o cos usseri w -f- e 2 , cos u o sen x 0 (sen u i — sen u o ~) — — £. senA[ -f- ^jenA^-n .cosA\ — t 0 cos A== o, e, facendo uso delle relazioni fra gli elementi del triangolo sferico ausiliario, e notando che in luogo di sen(A o — A ,) e di cos(A 0 — A) si può rispettivamente sostituire A a — A== — <)A e l’unità, si riduce a: <3 A ,seny^ = 2 ^senApen 2 j -\--t\tang l 0 seny — ; senA[ ~\-'ncosA[ -f- -\--f\ Q secl 0 cosupos A' t — vi O cos A t — z°9 I- 54 . 7 I J- 54,47 + 15,38 - 0,24 s 3 » 0.32,64 0.38,45 00 crv 6 + 5,77 - 0,04 Si » Sy 0.59,39 1.11,75 1.10,96 + +57 — 0,79 h » $8 0.26,75 0.33,30 0.32,55 + 5 , 8 o — o ,75 Uguale e forse anzi maggiore concordanza fra le attrazioni locali calcolate ed osservate trovò per sei stazioni nelle vicinanze di Kla- genfurt, ed anche abbastanza soddisfacente gli riuscì l’applicazione delle sue formule al caso di punti relativamente assai distanti, cioè Innsbruck e Klagenfurt (diff. di latitudine circa 39')-** Ciò serve senza dubbio a far vedere come i valori a priori delle attrazioni locali, dedotti cioè dai dati geognostici che possiamo avere, possono essere, in certi casi speciali e dentro limiti molto ristretti, di grande * Die Abweichung der Lothlinie. Wien, 1863. ** Die Abweichung der Lothlinie. Wien, 1865. Del geoide. 383 importanza per la discussione dei risultati ottenuti col confronto fra le osservazioni astronomiche e le misure geodetiche, specialmente poi ove si tratti delle interpolazioni necessarie alla determinazione delle ondulazioni geoidicbe. E infatti i semplici dati geodetici, che per lo più si riferiscono a punti notevolmente lontani, di rado sono sufficienti a dare la legge di variazione delle attrazioni, giacché (e un semplice sguardo ai risultati del signor Pechmann, od a quelli dei dintorni di Mosca basta a mostrarlo) le variazioni relative a piccole distanze superano spesso i valori assoluti dell’attrazione stessa. Ma per le ondulazioni continentali la cosa è ben diversa, ed i calcoli a priori delle attrazioni locali nella maggior parte dei casi hanno condotto a risultati che sono in piena contraddizione coi fatti. Per gettare una grande sfiducia sopra simili determinazioni a priori basterebbe invero il lavoro intorno a Mosca, ove già una variazione di 15" nell’attrazione locale si verifica per una distanza di pochi chilometri in una località nella quale, per la regolare conformazione fisica del terreno, meno poteva sospettarsi. Cosi pure il sig. Fischer teoreticamente ascrive alle coste dei continenti delle attrazioni locali di qualche diecina di secondi, ma in pratica non si verificano, e l’arcidiacono Pratt, dopo varii pentimenti che mostrano le difficoltà e le arbitrarietà di un tal genere di calcoli*, fissa per i tre punti * Philosophical Transactions, voi. 145, 149 e 151. In una prima memoria, tenendo conto soltanto dell’ influenza della catena deU’Himrmlaya, ottenne i seguenti valori della componente 5: per Kaliana » Kalianpur » Damaragidda 27 7 >853 6, 908.. Nella seconda memoria, con una revisipne dei dati geognostici trovò invece per Kaliana . . » Kalianpur . » Damaragidda 27,978 12,047 6,790 ma in un poscritto, valendosi dei dati del maggiore Strachey’s sulla geografia fisica dell’Himmalaya, ridusse di molto tali valori ponendo: per Kaliana . . » Kalianpur . » Damaragidda 19 ,3 5 In una terza memoria per altro tornò ad accrescere i soprascritti risultati introdu- 3 8 4 Capitolo dodicesimo. fondamentali dell’arco indiano, Kaliana, Kalianpur e Damaragidda, ì seguenti valori a priori della componente £ £,= 34V6, l zi" ,06, l 17,23 mentre dal paragone fra le misure geodetiche e le osservazioni astronomiche si ha : 5,24, É,= + 3">79- Abbiamo riportati questi valori a preferenza di molti altri, che accertano analoghe discordanze, perchè gli sforzi del Pratt a spiegare l’anomalia sopra indicata lo condussero per via indiretta a dimostrare chiaramente quanto sia da andar guardinghi nell’ emettere delle ipotesi sulle densità sconosciute delle parti inaccessibili della terra. Dopo i primi risultati dei suoi calcoli Airy* fece osservare come le discordanze fra i valori a priori delle attrazioni locali e gli sperimentali non debbano recar nessuna maraviglia, e sostenne che, in generale, le attrazioni locali effettive hanno sempre da essere molto minori di quelle dovute alle prominenze visibili del nostro pianeta, emettendo un’ ipotesi sulle densità dell’ interno della terra, che la maggior parte degli astronomi e dei geodeti non hanno accettata. Egli considera l’effetto della pressione che una grande catena di montagne deve esercitare sulla crosta terrestre, cui assegna uno spessore di pochi chilometri (dieci miglia inglesi nei calcoli che acclude, e solo accenna di volo che anche con cento miglia le conseguenze che trae, quantunque ridotte, sarebbero ancora vere), dimostrando come al disotto della catena la crosta dovrebbe deformarsi abbassandosi verso il centro della terra, e producendo cosi, in cendo in calcolo l’influenza dell’Oceano, ed ottenne 26",03 19",28 H '.73- per Kaliana. . » Kalianpur . » Damaragidda Finalmente in una quarta memoria abbandonando i risultati ottenuti coi dati dello Strachey’s e modificando di nuovo gli antichi valori corretti per l’influenza del- 1’ Oceano ritenne definitivamente le attrazioni locali indicate nel testo. * Fhil Transactions, voi. 145, anno 1855, pag. 101. Del geoide. 385 contrapposto alla prominenza esterna A (vedi fig. 79), una prominenza interna B nella parte fluida o viscosa centrale, alla quale ascrive, anche in prossimità della crosta, una densità notevolmente maggiore di quella della crosta stessa. In tal caso lo spazio B, prima occupato dal fluido interno, sarebbe ora riempito dalla materia solida della crosta, materia meno densa del detto fluido, per modo che in un punto esterno M l’attrazione della prominenza A verrebbe in parte ad essere compensata. L’arcidiacono Prati nel combattere questa teoria (che fra le altre cose poggia sul postulato del nucleo terrestre fluido, tenuto ormai come inammissibile o almeno come molto dubbio*) emette un’altra ipotesi che riportiamo testualmente: « At thè time when thè earth had just ceased to be wholly « fluid, thè form must have been a perfect spheroid, with no moun- « tains and valleys nor ocean-hollows. As thè crust formed, and « grew continually thicker, contractions and expansions may have « taken place in any of its parts, so as to depress and elevate thè « corresponding portions of thè surface. If these changes took place « chiefly in a vertical direction, then at any epoch a vertical line « drawn down at a sufficient depth from any place in thè surface « will pass through a mass of matter which has remained thè same a in amount all through thè changes. By thè process of expansion « thè mountains have been forced up, and thè mass thus raised « above thè level has produced a corresponding attenuation of mat- « ter below. This attenuation is most likely very trifling as it pro- « bably exists trough a great depth. Whether this cause will pro- * Thomson and Tait, Naturai Philosophy. Cambridge, 1883, voi. I. Parte II, pag. 422 e seguente. — Pini. Trans. 1863, May, pag. 573. — On thè rigidily of thè Earth 1882. — On thè Slresses caused in thè interior of thè Earih, etc. Pucci, Geodesia. II. *5 386 Capitolo dodicesimo. « duce a sufficìent amount of compensation can be determined only « by submitting it to calculation. » * Ecco ora i risultati dei calcoli fatti dal Pratt in appoggio della sua ipotesi : Kaliana Ivalianpur Damaragidda Attrazione dell’Himmalaya nel senso del meridiano il 27,98 li 12,05 6 i 79 » della stessa massa distribuita in )) uno spessore di 100 miglia .... 26,44 12,II 6,86 )) O O C*"\ 21,1 X n.68 6,87 » » )) 500 » .... 17,07 9,62 6,67 » » » IOOO » .... I 1,20 7-39 1 5,22 Da tali risultati deduce quindi le seguenti correzioni da fare alle differenze di latitudine astronomica Kaliana-Kalianpur, Kalianpur-Da- maragidda: I. IL III. IV. V. A? A? Non tenendo conto dell’ipotesi . i sm ", 5,26 Nell’ ipotesi di un’ attenuazione dello spessore di 100 miglia 1,60 0,00 )) » » O O » 6,50 0,45 » » * » 500 » 8,49 2,31 » )> )> 1000 )) 12,12 3,09 Finalmente ricavando da questi dati i valori dell’ellitticità meri- * « Quando la terra aveva appena cessato di essere completamente fluida « la sua figura deve essere stata quella di uno sferoide perfetto (?) senza monte tagne o vallate, e senza cavità oceaniche. A misura che si formava la crosta « e cresceva continuamente in spessore possono essersi prodotte contrazioni ed « espansioni in ciascuna delle sue parti, in modo da elevare o deprimere le cornee spondenti porzioni della superficie. Se questi cambiamenti si verificarono princi- ee palmente in una direzione verticale, in ogni epoca ciascuna verticale prolungata ee in basso fino ad una sufficiente profondità deve aver traversato una quantità di ee materia che, in complesso, è rimasta la stessa, nonostante i cambiamenti suddetti. «A causa dell’espansione le montagne furono spinte in alto, e la massa in tal «guisa elevata sopra il livello (primitivo) produsse una corrispondente attenua- « zione di materia al disotto ; è da credere che questa attenuazione influisca pochis- ?< simo, poiché probabilmente si estende a gran profondità. Se tal causa può « produrre o no una sufficiente compensazione è solo dai risultati del calcolo «che si può giudicare.» Philos. Trans. Voi. 149, pag. 747, 759, 760. Del geoide. 387 diana s corrispondenti ai diversi casi sopraindicati ottiene: nell’ ipotesi I.s = — 421 » II.e = -4 216 » III.£ = 4- 280 » IV. £ = — 286 » V.e = — 355 Nessuno dei valori di concordando coi corrispondenti valori osservati, non è qui da discutere l’attendibilità dell’ ipotesi del Prati, la quale, come quella di Airy, resta affatto arbitraria; ma i risultati ottenuti per l’elliticità meridiana nei varii casi considerati sono molto importanti perchè mostrano quanto la distribuzione delle densità nell’interno della terra può influire sulle direzioni delle verticali, e come i dati geognostici raccolti alla superfìcie terrestre sieno insufficienti per calcolare le attrazioni, se non si tratta di differenze di attrazione affatto locali. 17. Faye in un recente scritto sulla costituzione della crosta terrestre * emette idee analoghe a quelle del Prati, appoggiandole con delle importanti considerazioni fisiche e con dati esperimentali, che crediamo utile di riassumere qui brevemente. Anzitutto discutendo i risultati delle misure di gravità che si trovano riportati dal Clarke nel suo trattato di Geodesia, dà le seguenti due tabelle di anomalie osservate nel numero giornaliero delle oscillazioni di un pendolo invariabile, rispetto al numero teoretico (corrispondente cioè all’ellissoide di rivoluzione terrestre): * Comptes rendus de T Acadtmie des Sciences, t. CII e Association scientifique de France, Bulletins Hebdomadaires, n. 1 309 e 310. 388 Capitolo dodicesimo. Isole. STAZIONI Latitudini Anomalie STAZIONI Latitudini Anomalie Spitzberg. 0 6 00 + 3.09 Schetland .... 63. s. O CT\ {V\ 1 T Portobello .... io. N. + 3>85 Minicoy. 8. N. + 3>49 Galapagos .... 8 . S. + 2 >43 Mowi. 21. N. + 4>8 o S. Tommaso . . 0. + 6,86 I. di Francia . . 20. S. + 7 V& + 4)53 + 8,22 Falkland. 52. S. 27. N. — 3>8S + 11.79 Fernando de N. 4. s. I Bonin. Ascensione. . . . 8. S. + 6,15 Guam. 13. N. 4- 4.88 S. Elena. I. Staten. 16. S. SS- s - + 9.32 + 2,90 Ualan. SN. + 9,93 Mout a gn a. 1 STAZIONI j Latitudini Anomalie STAZIONI Latitudini Anomalie Morè. Mussoorie .... Dehra. Nojli. Kaliana. Pahargarh .... 3°3- N. 30. N. 30. N. 30. N. 29-72 N. 25. N. — 22,08 — 6,09 — 9,3» — 4,82 — 4,09 — 3,54 ? Ahmadpur .... Damargidda . . . Bangalore N. . . Bangalore S. . . Mallapatti .... Punnae. 24. N. 18. N. 13. N. 13. N. 9. N. 8. N. — 2,33 — 4,43 — 3,32 — 3,82 — 1,65 — 0,33 Nei valori della seconda tabella è stato tenuto conto dell’attrazione delle masse montagnose circostanti e dell’elevazione continentale. Già il Clarice, notando che se le osservazioni indiane non fossero state corrette dall’ attrazione delle masse montagnose circostanti sarebbero pressoché da per tutto concordanti coll’ipotesi della terra ellissoidica, aveva concluso che « there exists some unknown cause, or distribution of matter which counteracts thè attraction of thè visible mountain masses » * ; ma un semplice sguardo alle due tabelle precedenti mostra inoltre chiaramente che l’accelerazione della gravità è minore della teoretica nelle regioni montagnose e maggiore * Vi ha qualche sconosciuta causa o distribuzione di materia che compensa l’attrazione delle masse montagnose visibili. Clarke, Geodesy, pag. 351. 389 Del geoide. nelle regioni oceaniche, e quindi che sotto le prime la media densità terrestre è più piccola che non sotto le seconde, come anche il confronto fra le misure astronomiche e geodetiche porta a far supporre. Per spiegare questo fatto sperimentalmente stabilito Faye parte da un concetto essenzialmente diverso da quelli di Airy e di Pratt , notando che, anche sotto la stessa latitudine, alla stessa distanza dal centro terrestre * la temperatura interna della crosta nelle regioni marine deve essere estremamente diversa da quella delle regioni montagnose, e che, per conseguenza, le superficie isoterme dell’interno della terra devono essere ondulate con onde di curvatura molto sentita, come indica schematicamente la fig. 80, giacche nelle grandi Superficie i s Strato (jùOcenfricq^^ Fig. 80. profondità oceaniche le temperature osservate tendono a zero, mentre sotto i continenti alla stessa profondità è pressoché certo che la temperatura raggiunge qualche centinaio di gradi. Perciò se la natura fisica della materia è la stessa nelle varie regioni, al disotto dei mari gli strati geocentrici debbono essere molto più densi che non sotto i continenti, e la legge di distribuzione della materia lungo i varii raggi vettori si deve accostare a quella immaginata dal Pratt. Inoltre Faye, tenendo come certa la perdita secolare del calore terrestre, osserva che, a causa del rinnovamento continuo dell’acqua fredda in contatto col fondo dell’Oceano, il raffreddamento terrestre non può essere equabile nelle diverse regioni, ma deve riuscire molto minore nelle regioni emerse del pianeta e nei mari meno profondi.** 18 . I geodeti sono pertanto contrarii ad ammettere le grandi deviazioni fra il geoide e l’ellissoide, ed a qualunque altra conclusione che non discenda direttamente dalle misure astronomico- * Faye, ammette come cosa indiscutibile la fluidità del nucleo terrestre, ma le sue conclusioni non sono incompatibili col caso del nucleo solido. ** Non facciamo qui parola delle altre conclusioni del Faye sulle oscillazioni lente del suolo, e sopra altre questioni geologiche, rimandando il lettore alle già citate pubblicazioni. 3?o Capitolo dodicesimo. geodetiche. Le attrazioni locali geodeticamente calcolate non sono, è vero, assolute, sono invece determinate a meno di alcune costanti, ma ciò non toglie che si possa, come se fossero assolute, costruire per parti la superficie del geoide, almeno ove esse sieno in tal numero da permettere, come abbiamo già detto, l’interpolazione senza incertezze: solo restano fino ad un certo punto indeterminate le posizioni delle parti della superficie rispetto all’ ellissoide di riferimento considerato. L’interpolazione delle componenti \ ed :n per i punti geoidici non principali si riduce naturalmente al caso della determinazione di curve o di funzioni empiriche corrispondenti ad un dato sistema di valori sperimentali affetti da errore, e non può quindi esser fatta senza arbitrarietà. L’uso di formule analitiche non toglie nè limita che in apparenza tale arbitrarietà, ne è meno incerto dell’uso delle curve interpolatrici descritte a mano libera in modo da rendere continuo il fenomeno osservato (come si conviene in questo caso, la direzione della normale lungo una superficie di livello essendo, come è noto, una funzione finita e continua delle coordinate dei punti della superficie); ed invero l’arbitrarietà entra allora nella scelta della forma interpolatrice, giacché è chiaro che con un numero finito di termini varie forme interpolatrici a coefficienti empirici devono condurre a valori diversi della quantità interpolata. Di consueto se nel fenomeno che si ha da rappresentare non si prevedono periodi, per forma interpolatrice si sceglie la forma parabolica, ponendo y = A-\- Bx -f- Cx 2 -\-Dx ì + • • • ovvero Z = A 0 +A[x + Bj-\- A 2 x 2 +C 2 xy + Bj 2 + j + ^ 3 x J + D J ^ + £ 3 x/-f5 3 y+... ) secondo che esso dipende da una sola o da due variabili (elementi costitutivi di un momento fisico); il caso di un numero maggiore di variabili non si presenta che raramente e non ha che fare colla questione che qui trattiamo. Se poi si sa a priori che il fenomeno è almeno in parte periodico, si ricorre alla nota doppia serie trigonometrica ^ — A 0 -{-A 1 senx-\-A 2 seti2 x -{-A^sen^ x ) -f- B^osx -\-B 2 cos2x-\-B ì cos 3 x-\~... \ considerando i coefficienti come delle costanti da determinare quando la variabile è una sola, o come delle variabili da rappresentare per ( 64 ) ( 65 ) Del geoide. 391 mezzo di serie analoghe alla (66), ma in funzione della seconda variabile se sono due. Nella rappresentazione analitica del geoide teoreticamente parlando sarà da attenersi alla interpolazione parabolica o alla doppia serie trigonometrica secondochè si tratta di interpolare i valori di £, di : n e di h per campi molto ristretti del- l’ellissoide di riferimento, o per campi assai estesi come sono per esempio quelli corrispondenti ad una intera regione geografica. L’interpolazione grafica presenta qui un grande vantaggio sulla analitica, quantunque, rigorosamente parlando, non sia applicabile senza restrizione; ed invero nella prima, tenendo sott’occhio una carta altimetrica a curve orizzontali della regione da studiare, è molto facile il tener conto approssimativamente delle influenze dei monti e delle vallate, influenze che, come abbiamo mostrato riportando alcuni dei risultati del Pecimann , sono tutt’ altro che trascurabili. Ma il metodo non è ripetiamo, nè generale, nè rigoroso, giacché in ultima analisi si vengono a determinare cosi due superficie ? = £(?,«), vi = r, (a, oj ) , considerandole indipendenti l’una dall’altra, mentre le funzioni £ ed r, teoreticamente sono legate fra loro dalla condizione cui debbono soddisfare le direzioni di un sistema di rette (le verticali) affinchè possano identificarsi colle normali ad un’unica superficie (il geoide). Tuttavia, in pratica, se i punti cui si riferiscono le componenti E, ed vi geodeticamente calcolate sono molto numerosi e prossimi l’uno all’altro, per modo che le interpolazioni possano esser fatte senza incertezza, la condizione suddetta deve rimanere di per sè prossimamente soddisfatta anche senza assoggettare ad essa col calcolo le incognite del problema, e quindi per usare legittimamente la determinazione grafica basta avere dei metodi di controllo, da cui si possa inferire se la densità dei punti geodetici principali è o no sufficiente. L’interpolazione analitica riesce meno arbitraria, giacché nello stabilire le formule interpolatrici si possono a priori assoggettare le loro costanti alla condizione sopra indicata; ma nella maggior parte dei casi, oltre alla difficoltà di tener conto delle attrazioni delle accidentalità del terreno, presenta l’altro inconveniente di richiedere calcoli molto lunghi e laboriosi, giacché per la natura stessa del problema, ossia per le numerose ondulazioni parziali del geoide, è sempre molto grande il numero dei termini da ritenere negli sviluppi (65) e (66), e, anzi, nel caso di regioni piut- 392 Capitolo dodicesimo. tosto estese, sorpassa senz’altro i limiti compatibili con un calcolo pratico. Ma il caso di regioni molto estese è qui da escludere affatto perocché non si vede quale sarebbe lo scopo di avere in una unica formula rappresentata una grande porzione di una superficie così irregolare come deve essere quella del geoide, mentre non si toglie generalità allo studio di questo raffigurandolo geometricamente od analiticamente parte a parte per piccole zone. 19 . Il metodo più semplice e più naturale per acquistare una chiara idea delle ondulazioni di una porzione del geoide è senza dubbio il metodo per cosi dire topografico, che consiste nel rappresentare sopra un piano insieme ai meridiani ed ai paralleli el- lissoidici anche le curve costituite dai punti geoidici egualmente elevati o depressi rispetto all’ellissoide di riferimento. Conviene in tal caso che la rappresentazione geografica della parte della regione ellissoidica che si vuol considerare sia più simile che è possibile a questa, in modo cioè che le alterazioni degli angoli e delle aree riescano minime, facendo parte alle une come alle altre; ciò posto se accanto all’immagine di ciascun punto geodetico principale si indicano i valori delle relative componenti £ ed vi calcolate geodeticamente, col metodo stesso con cui si tracciano in topografia le cosiddette linee di livello di un piano quotato, ammesso che i punti geodetici principali siano abbastanza densi si potranno tracciare delle curve £ = costante, r t — costante, per modo che nel piano rappresentante si abbia un reticolato di linee appartenenti alle due famiglie £ ed vi, in ciascuna famiglia tanto prossime quanto si vuole. Ora lungo la sezione formata sul geoide dal piano di un meridiano ellissoidico or = cost (sezione che resta rappresentata sulla carta dal meridiano di questa corrispondente a quel dato valore di m senny .senmx 2 2 A'„ tm sennx .cosmy - f- n —1 nt= 1 m=i «z=i I n=oo tn —oc n—oo tn=oo + 2 y, B„ :m senmy .cosnx£ 2 B'„ im cosny. cosmx, 11= i tn=i «=^r m =1 (74) 399 Del geoide. indicando con n ed m dei numeri intieri e con x ed y delle quantità proporzionali alla longitudine ed alla latitudine del punto cui si riferisce l’altitudine h, o, meglio, proporzionali alle differenze fra queste coordinate e quelle di un punto scelto arbitrariamente, al quale si attribuisce un’altitudine arbitraria h o . I varii coefficienti A e B, fatta eccezione per A o , rappresentano le costanti ignote da determinare coi minimi quadrati per mezzo dei valori calcolati per le componenti £ ed 7] dei punti geodetici principali, e con un metodo analogo a quello esposto nel paragrafo precedente pel caso del- l’interpolazione parabolica; A o è invece da considerare come una funzione lineare di x e di y ponendo A n =Mx + Ny-\-C, giacché se si supponesse costante, nel derivare la (74) rispetto ad x ed y per ottenere le espressioni analitiche delle componenti £ ed d (vedi sopra, pag. 396) queste verrebbero a mancare del termine costante. Sul numero dei termini da ritenere nella (74) si può dire soltanto che deve essere molto grande. Ciò rende questa forma analitica inapplicabile, od applicabile tutt’ al più semplificata col sistema dei profili già precedentemente indicato (pag. 398), non crediamo quindi dovere entrare in maggiori particolarità sopra un sistema di calcolo che non uscirà probabilmente dal campo delle astrazioni. 23 . Abbiamo visto come l’attrazione locale spesso varii con grande rapidità, quantunque sempre per legge continua; perciò nei lavori fin qui eseguiti, eccezione fatta per alcuni studii parziali, come sono quello sopra discusso dei dintorni di Mosca e quelli nella regione dell ’Har% e del Thuringerwald *, i punti geodetici principali sono per lo più troppo distanti rispetto all’ampiezza probabile delle onde geoidiche parziali per dare con qualche precisione l’andamento dell’attrazione locale dentro i limiti di ciacun’onda, e le interpolazioni grafiche od analitiche delle componenti £ ed r, e la determinazione delle altitudini ellissoidiche h fatta coi metodi esposti nei paragrafi precedenti non possono che riuscire assai difettose e forse anche illusorie. In molti luoghi non basterebbe neppure che ciascun vertice trigonometrico di primo ordine fosse un punto geodetico principale; è quindi molto lontano il tempo in cui nelle re- * Vedi Aslronomisch-geodàtische Arbeiten in den ]ahren i8yg-i88o e Astro- nomisch-geoddtische Orisbestimmungen in Har\ ini Jahre 1881 nelle pubblicazioni dell’Istituto geodetico prussiano. 400 Capitolo dodicesimo. gioni triangolate sparirà il difetto di stazioni astronomiche, mentre, scientificamente parlando, ogni giorni più cresce l’importanza di conoscere almeno l’entità delle onde geoidiche, ossia le distanze relative fpa il geoide e l’ellissoide di riferimento per qualche punto principale. Ora queste distanze possono essere determinate (quantunque con precisione assai scarsa) anche indipendentemente da qualsiasi interpolazione se i punti geodetici principali che si vogliono considerare sono collegati due a due tra loro per mezzo della doppia livellazione trigonometrica e di precisione. Infatti colla livellazione geometrica o di precisione si ottengono (come è noto) le altitudini assolute dei punti al disopra di una superficie di livello equipotenziale al geoide, giacché dentro i limiti di altezza delle montagne terrestri si può fare astrazione dal non parallelismo delle superficie di livello equipotenziali: basta pertanto che si possano calcolare per mezzo dei dati astronomico-geodetici sperimentali anche le altitudini ellissoidiche degli stessi punti perchè resti in pari tempo per ciascuno di questi determinata a meno di una costante la distanza corrispondente fra l’ellissoide e il geoide. Ciò posto sulla cosiddetta sfera celeste, rappresentata in proiezione nella fig. Si, sia in generale Z lo zenit vero, Z' lo zenit el- lissoidico di un punto terrestre M, P il suo polo elevato, B il punto che individua la direzione rispetto ad M di un oggetto terrestre N, e poniamo, nelle consuete notazioni geodetiche: BZ=Z, PZ=90°— /, ZZ' = 0, PZB = A, BZ'—‘C; nel triangolo sferico BPZ, rappresentando con 8 la distanza polare di B e con V l’angolo in P, si ha Fig. Si , cosZ = cos8.senl-{- sen8.cosi. cos W ( 75 > Se il punto Z si cambia in Z' tutti gli elementi del triangolo suddetto cambiano meno la distanza polare 8 ; la variazione che subisce l non è altro che -)- e quella dell’angolo BPZ è l’attrazione locale in longitudine n .secl, ma con segno cambiato*; indicando * Il cambiamento del segno dipende dal modo con cui abbiamo contato le attrazioni locali in latitudine, longitudine ed azimut, scegliendo il segno positivo nel passare dal geoide all’ellissoide-. 40i Del geoide. con A ( P attrazione locale in distanza zenitale, ossia la differenza fra '( e Z, avremo pertanto cos {Z. -j- A () == cos 8 . sen (J c) -|- sen § . cos (l -f- £). cos ('F — •/),. sec /), d’onde si deduce sviluppando, e ritenendo al solito la sola appros-; simazione del primo ordine rispetto a £ ed vi, A T,.senZ=% 1 ( sen8.seni, cos — cosi.cos 5) — ti. sen8.sen W, ossia a( =— %.cosA — ri ,senA = —0 a (76) essendo la componente dell’attrazione locale nell’azimut A. Sottraendo quindi questa quantità dalla distanza zenitale astronomica Z si ottiene la distanza zenitale ellissoidica ’( per mezzo della quale può esser calcolata la differenza di altezza ellissoidica fra il punto di osservazione M e il punto osservato N applicando le formule della livellazione trigonometrica (Capitolo VI, §§ 3 e 4). Questo metodo di calcolare le altitudini ellissoidiche relative dei punti del geoide, proposto da Villarceau ,* non è ancora stato sperimentato e da molti è considerato come diffettoso perchè la precisione della livellazione trigonometrica non è paragonabile a quella della livellazione geometrica e per punti due a due molto distanti come sono di solito i punti geodetici principali riesce molto scarsa a causa dell’ incertezza del cosiddetto coefficiente di refrazione (Capitolo VI, § 6). Tuttavia facendo uso di distanze zenitali reciproche e contemporanee misurate reiteratamente in ore adatte e in diverse circostanze di tempo il dubbio nei risultati altimetrici anche per punti distanti parecchie centinaia di chilometri dall’origine delle altezze (in questo caso in ciascuna regione da studiare l’origine deve essere evidentemente una sola) si riduce a qualche metro ossia ad una frazione relativamente piccola delle massime altezze ellis- lissoidiche che si possono verificare in un’onda geoidica continentale. Crediamo quindi sia da deplorare che nessun lavoro sia fin qui stato fatto nel senso indicato da Villarceau, per le regioni già geodeticamente studiate. * Vedi Journal de Mathématiques pures et appliquées publié par I. Liouville. Anno 1873. FINE DELL’OPERA. jM'f?*' ‘ite':" 6 .5-i^V;’ ■ili? ,f4 te« %' **? .. a 1A ,J V. tf ìtei- _;V ^ v . 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