SAGGIO SULLA COSTITUZIONE FISICA DELL’ETNA DEL SOCIO LETTO SELLA SEDUTA ORDINARIA DEL 18 MARZO 1847. Estratta dal voi. Ili Ser . IL degli Atti dell 1 Accademia Gioenia. CATANIA I)AÌ TIPI DELL’ ACCADEMIA GIOENIA PRESSO F. SCIUTO 1847. m?ymm»»??wy y y y y y my m y ? i y mmmmmi»iymm y y S' è tanto detto dell’Etna dagli antichi e moderni nazionali ed esteri scrittori: ci siamo noi stessi tante volte occupati di questo celebre vulcano, che pare non dovere restar oramai cosa alcuna a dire di nuovo su di esso; ed esser anzi tempo di compilarne una storia assoluta. Eppure non siamo in questo caso; molto resta a dire ancora su’ pretesi sollevamenti di taluni punti de’fianchi dell’ Etna: molto sulla natura e giacitura de’ suoi materiali, ed assai poco ne è stata trattata la parte geologica, vale a dire i’unicità o pluralità del suo focolare; il rapporto del terreno nettunico col vulcanico; le diverse età di questi terreni... A meno poi delle poche idee da me avanzate (l) sull’epoca della prima apparizione dell’Etna presso la costa del terreno sottomarino, che fu nel seguito de’ tempi Sicilia appellato, nessuno ha toccalo mai un tale argomento. E’ perciò eh’ io ho scritto il saggio che vado a sommettere a questo illulre assem- (1) Descrizione d’una nuova tavola geologica della Sicilia ec. Giornale Letterario per la Sicilia tom. 6 bramento; nel quale, tornando a dare uno sguardo alla fisica struttura della nostra montagna, tenterò di stabilire alcun che di positivo su’ pretesi sollevamenti: spero di provare con fatti lucidissimi la unicità della sua gola : tratterò de’ rapporti che essa mantiene coi terreni nettunici e basaltici, non che dell’epoche alle quali possono riferirsi; e sopra i dati che l’Etna stessa ci presta cercherò di indagare in qual’epoca delle formazioni successive della crosta terrestre si accese il primo focolare di questo vulcano. Se a quanto mi son proposto non sarà per corrispondere il mio lavoro, esso sarà sempre utile alla scienza , perchè servir può bene ad aprire un vasto campo a nuove osservazioni, delle quali noq può aspettarsi che schiarimenti la teoria de’ vulcani» JU* area, racchiusa dalla gran curva ellittica di piccole montagne ed alti colli, la quale cominciando da quelle di Tauromina gira per le altre di Malvagna, di Placa, di Gentorbe, di Judica, di Ramacca, di Mi- litello, di Francofonte, di Lentini e finisce appianandosi al Capo di Santacroce, è occupata per metà dalla piana di Catania e dal golfo dello stesso nome, e per l’altra da basse colline di gres ed argilla, sopra le quali con una base di 93 miglia giganteggia il massimo Etna, che, conico e solo, sdegnando, al dir di Bembo (1), la vicinanza di altre montagne si trattiene ne’ suoi confini, e s’innalza a due miglia e mezzo nelle linee dell’ atmosfera. (I) Coelcbs degit, et millius montis (Ugnata conjugium, caste intra suos lerminos continelur. m 7 La forma della massa di questo vulcano, benché presa insieme si accosta alla figura di un cono, ha tuttavolta tali scavamenti e tali elevazioni nella sua superfìcie, che nel disegnarla da qual siasi lato, non darà mai esatta quella figura ; e riducesi più tosto ad un ammasso di monlicelli, di balzi, di piani inclinati, di creste e di rupi, che sostengono infine un alto dorso di montagna terminata nella sua vetta da un cono troncato. Dalla parte che guarda l’oriente poi una immensa vallata scema di una sesta parte circa la massa del gran corpo della montagna, e costituisce un irregolarissimo terreno. Vasto numero di crateri di eruzioni, già successe, si eleva a cono rovescio ne’fianchi del vulcano; ma il solo, aperto alle perenni sue esplosioni, è quello che costituisce l’apice della montagna, il sommo ver- ti.e dell’Etna. Cominciando ad osservarne la superficie dalla parte di mezzogiorno, determinata dal quarto di cerchio che comincia da Paterno, e termina al Capo dei Molini, si trova, che le lave dell’ Etna cuoprono parte del terreno di gres ed argilla, termine delle colline di quella formazione che fan seguito a ’poggi di Adorno. Sopra di questo appajono taluni piccoli vulcani idroargillosi detti salinelle , e molte acque minerali han quivi la loro scaturigine. Una rupe di lave quasi interamente prismatiche costituisce la Bocca di Paterno , sopra la quale stanno la chiesa madre, i Cappuccini e la torre normanna con altre abitazioni. Queste lave prismatiche sono di una tessitura compatta, e molto si avvicinano al basalto. Dalla parte di ponente della rupe molti blocchi di queste stesse lave, ma più cellulari, sono impregnati di petroleo, e le cellule lo contengono nello stalo liquido. i 8 La collina argillosa serve di base in seguito alle carriere di lave basaltiche che occupano tutte le alture del feudo della Scala e di s. Biagio ; e poi a tramontana quelle di Acqua rossa. Scoverta alquanto mostrasi nel feudo di Vaicorrente, ove le ultime lave di quel lato dell’ Etna veggonsi soprastarvi, e si van rompendo in blocchi nel loro margine, allorché il terreno argilloso che le sosteneva va mancando. Un gruppo di basalti globulari apparisce in mezzo alla collinetta argillosa, presso i molini di Valcorrenle, e da lì in poi la formazione terziaria di gres ed argilla resta allo scoperto, e forma i colli della Motta e delle Terreforti di Catania. Alla Motta un’ altra rupe di lave basaltiche si alza isolata, in mezzo alla cennata formazione terziaria e sembra non avere rapporto alcuno colle lave dell’ Etna, avendo tutta 1* apparenza di un vulcano indipendente dal gran focolare; essa conserva tutt’ora i vestigli di un cratere, e di un piccolo corso di lava che da quello dovette provvenire. Dalle Terreforti avvicinandosi verso Catania nessuna lava si incontra a riserba di un braccio di quella del 1669: ma tosto antiche correnti occupano le colline argillose de’ contorni della città per ponente, e Catania è fabbricata in parte sulle lave, ed in parte sulle colline argillose e sulla spiaggia del mare. Lave e poi lave costituiscono tutta la falda che da Catania si estende sino ad Aci-castello: si va non ostante scoprendo la sottopposta formazione terziaria a Cifali, al Fasano, a s. Paolo, alla Leucatìa, al Cana* licchio, a Nunziatella, e poi ne’poggi di Aci-castello e Trezza. La rupe di Aci-castello è tutta di basalto globulare e peperino color lionato. Una quantità di gruppi 9 di vero basalto sorge per tutto il tratto di que’colli, e porzione di esso forma, non che la sponda del mare, ma si bene i famosi Scogli de ’ Ciclopi. La superficie della sezione del cono che ha per base il quarto di cerchio indicato, e termina coll’apice nel vertice dell’ Etna, è tutta di terreno vulcanico, di lave di varie epoche addossate una all'altra, e che a quando a quando sono coverte di varii campi di arene vulcaniche, e di monticeli! di eruzioni co’ loro spenti crateri. Una gran parte è già coltivata a vìgile ed oliveti, ed è sparsa di ameni villaggi; la porzione più alta è stata fin’ ora coperta di boschi, che formavano un collare di verzura, al dir di Buffon, al capo sterile e canuto di quel magno vulcano. Dal Capo de molimi sino a Piemonte, altro quarto di cerchio, entro cui contiensi la parte orientale dei- fi Etna, il suolo è vulcanico: ma è oltre a ciò il più interessante di tutto il resto del suolo etneo. Presso Aci-reale, e propriamente alla scalazza, la costa marittima presenta una scoscesa tagliala quasi a picco nella quale ben possonsi noverare sette strati diversi di lave, di natura pressoché simile, di cui talune nella struttura sono quasi le stesse di quelle basaltiche; cellulari però e piene di bei cristalli acicolari di arragonile. A fianchi del piccolo scalo di Aci una lava, che non è delle più antiche, offre alia sponda del mare una grotta di lave prismatiche che per basalti si prenderebbero a prima giunta, e dà un’idea in miniatura della grotta di Fingai: i prismi però oltre di non essere articolati, per avere gli spigoli assai taglienti e per terminare al di sopra in massa di lava che confondesi con quella di tutta la costa, sino al poz - zillo fan conoscere che la loro forma è dovuta al parti- colar modo di raffreddamento della corrente vulcanica. Sieguono le lave fin presso la Torre degli Arcu- 2 1 ° rafi, ove un terreno di trasporto di ciottoli e materiali vulcanici in una specie di breccia, fa parte del 1 ilio - raie. Una estesa pianura ed amenissimi colli costituiscono il feudo e la piana di Nascali sino a Piemonte, ove la vegetazione e la coltura sono al massimo grado di floridezza e di perfezione. In questa sezione di cono s’incontrano i fenomeni geologici più interessanti che l’Etna presenta ne’suoi fianchi. Sopra i colli di Zafarana, di Milo, di Annunziata e di Gerrita, si apre il vasto avvallamento detto valle del bove ; ha esso per limite meridionale la schiena deW asino, le serre del salfizio , li monti di Calanua e Cassone; per settentrionale le concazze e le finaile, per ponente il balzo del Trifoglielto, la montagnuola, il piano del Lago, ed il vert ice del - 1’ Etna, e per levante i colli di fiori di Cosimo e del Milo. Cinque miglia all’incirca è la sua larghezza, sette la lunghezza ; ed ancorché più d’ una volta mi toccherà far qui cenno di questa valle, non posso trasandar di darne ora una succinta descrizione. Il piano inclinato che dal principio delia regione discoperta tende verso la cima della montagna, dalla parte di mezzogiorno, dalle boccarelle del fuoco del 1766, cioè, sino al piano della Calvarina si eleva verso la schiena dell’ asino] la quale, lungi di continuare verso la cima dell’Etna, come sembra essere stato il caso una volta, viene tagliata dalla valle del Trifoglielto che da quel sito comincia a sprofondarsi; e quella schiena ridotta ad una serie d’incavature e di rialti, che corre per S. E. va ad unirsi ad altra serie di creste e di portelle dette serre del salfizio , che sono anch’ esse il termine del piano inclinato da Calvarina sino all ' Arcimisa. Le colline poi di Cassone e di Sarro servono di base a’ monti di Calanna. n Questo seguito così di alture che sono in vario modo tagliate e scavate tutte da piccoli alvei di torrenti diretti, per lo più, alla plaga meridionale, forma il parete di mezzogiorno e scirocco della valle del bove; la quale giunta allo zoccolavo si apre, anche più approfondandosi, in altra valle quasi circolare, delta di Calanna; e più basso in un’ altra minore delta di s. Giacomo. Il parete settentrionale assai più alto del già menzionato, e meno tagliente nell’orlo, comincia dal margine di altra valle quasi trasversale, cui fu dato in antichi tempi il nome di valle del leone\ e poscia si continua per le concazze e fmalte di Garrita , di cui il piano inclinato settentrionale forma parte del dorso dell' Etna verso M. Caldera, M. Nero, e Collebasso. Di parete occidentale serve alla gran valle Tallissimo balzo del Trifogiielto, che può riguardarsi come la sezione del corpo della montagna. Dalla parte di levante non v’ ha parete elevato: ed è aperta, per così dire, sino al mare dei Riposto; se non che molti mon- ticeili, torrenti, colli, vallate, lave ed aspro e selvaggio terreno si trovano in mezzo ; di modo che le acque de’torrenti nell’inverno non iscendono direttamente dal Trifoglietto, dalla valle del bue, da’ Zappinelli e da tutto il fondo in somma della gran valle verso Za- farana, Milo, s. Giovanni e Giarre, ma trovando urto in M. Caliato, M. Finocchio e fiori di Cosimo , esse dividonsi in varii torrenti, i quali per direzioni diverse scendono giù pe’ fianchi della montagna, ruinosi talvolta e formidabili alle coltivate terre de’ contorni. Entro questi limiti la valle del bove offre al geologo non poco da osservare e riflettere. Risalendo dalla valle di s. Giacomo verso il piano del Trifo- glietlo, s’incotrano in prima le antiche materie vulcaniche di che son costituiti que’colli, formanti il ter- 12 mine cannato della serie delle creste de’monli di Cassone e Calanna, tutte nello stato di fatiscenza, e di una tessitura stala già compatta, ed abbondante di antibole in una pasta di felspalo e pirossene. La valle di Calanna, che viene in seguito, si appresenta a guisa di un’anfiteatro con altissimi pareti ne’quali si possono bene numerare ventidue strati di lave, interrotti spesso da materiali più sciolti e scoriformi. Questi strati sono alquanto inclinati da Nord a Sud, e da Ovest ad Est, guardando i diversi lati della valle, talché non v’ è occhio di esercitato geologo che non vi scoprisse la stratificazione a mantello , cioè la successiva sovrapposizione di lave sopra lave intorno il nucleo conico dell’ Etna: e nella valle stessa non ravvisi lo sprofondamento del suolo che lasciolla in tal guisa tagliata e disposta. Risalendo ancora più in alto per giungere al piano superiore della valle, si passano lave recenti asprissime e crude, addossate sopra altre lave; ed arrivati appiè del monte di Calanna un’altro ancor più grande anfiteatro presentano le serre del salfìzio, la schiena dell’asino, il balzo del Trifoglietto, il salto del cor- bo, Giannicola, il margine della valle del leone e delle concazze. Il monte Zoccolaro, a sinistra, e la rocca di Musarra con quella della capra a destra formano il termine del piano superiore della valle di cui il suolo è tutto ingombro di lave recenti, fra le quali si eleva il picciol cono di s. Simone della eruzione del 1811 . Fra tanto materiale moderno però non lasciano le antiche rocce di farsi vedere: i pareti sono di lave felspatiche per Io più, e la loro antichità è palese se si guarda allo stato di disfacimento in che sono. Veg- gonsi a quando a quando verticalmente tagliate da 13 filoni di lave pirosseniche, di varia doppiezza, e a diversa distanza gli uni dagli altri ; ma quel che è più rimarchevole si è che questi filoni, o dighe riguardati nella loro direzione par che tendono a conservare delle linee che convergono verso il balzo dei Trifbglietto. Guardando in talune delle spaccature delle serre del salfizio, si vede benissimo che queste elevazioni sono formate anch’esse di strati di lave; eòi materiali vulcanici sciolti, e questi strali presentano una inclinazione di 25 gr. e talvolta anche più ; e da questa osservazione si sono tirale tante conseguenze, di che non lasceremo di far parola. I materiali che mancano di questo avvallamento si vede facilmente che sono giù trascinati da’colli del Milo sino al mare del Riposto; ed è perciò che misti a quelle de! sistema felspatico le rocce pirosseniche rinvengosi per tuttto quel tratto di suolo. Il mineralogista che ama raccogliere i varii esemplari di rocce vulcaniche, che a dovizia l’Etna presenta, è sicuro di arricchirsi di estesa collezione salendo da Giarre verso la valle del bove. il quarto di cerchio di tramontana, che da Piemonte termina a Brente, nella base del cono etneo, mostra il vario rappporto del terreno nettunie© colle lave del vulcano. Verso Castiglione il suolo secondario di arenaria micacea con ligniti, e più a S. E. le colline di Miloscio di calcario arenario e gres terziario, manifeslansi non occupati da materiali vulcanici , se si tolga la corrente di lava che da Pietra marina lungo il letto del fiume Onobola, fiancheg-. giando il calcario terziario pettinifero di Caltabiano, si estende sino alla punta di Schisò, ultimo termine orientale dell’ impero dell’ Etna. u Da Piemonte per Lingunglossa e Ran (lazzo il suolo è tutto vulcanico. Da Randazzo a Maletto il terreno netlunico torna a scoprirsi, secondario in molti siti, e terziario in altri. Ma da Bronte sino ad Adernò e poscia sino a Paterno , che è il rimanente del cerchio per ponente, le correnti di lave prismatiche formano d margine della falda dell’Etna che il Simeto circoscrive per quel lato, e che spesso taglia per mezzo, lasciandone parte non poca al di là dell’opposta riviera, come a Garcaci, ad Aragona e fin sotto la pianura orientale di Gentorbe. Sotto Adernò Biancavilla e Licodia, le lave prismatiche poggiano sulle colline terziarie di gres ed argilla : superbe sono le carriere prismatiche presso Scila , e a Licodia (1), e benché interrotte da correnti di lave di epoca posteriore si scorge benissimo, come sono esse in continuazione con quelle già menzionate della Scala e Vaicorrente. Tutta la parte nemorosa, e deserta di questa metà della massa etnea è costituita e coperta di correnti vulcaniche del sistema pirossenico, più o meno antiche, quindi più o meno coperta di vegetazione. La regione scoperta poi tutta intiera, acclive soltanto e men ripida dalla parte di mezzogiorno, è meno inclinata e più scoscesa dalla parte di ponente e tramontana, e quivi s’innalza il gobbo dorso di questo vulcano, asprissimo per le tetre lave che il ricuoprono, e pressoché impraticabile. Dalla parte di levante, come si è detto, è scavata dalla valle del bove: e non resta così che un tratto di arene del piano del Lago a far base non ripida ed accessibile all’ultimo cono del cratere dell’ Etna. (1) Mem. sulle lave prismatiche di Licodia ec. Atti Gioen, voi. xx. 1. serie. 15 Dopo questa succinta topografica descrizione fa d’uopo ritornar con occhio geologico ad osservare quel che presenta la base dell'Etna, nell’interessante oggetto di indagare il vero rapporto del vulcano col terreno netlunieo. Si è potuto conoscere, da quanto si è da noi detto di sopra, ed in altre memorie, che le colline di gres ed argilla, della formazione d q poggi di Adernò e delle Terreforti di Catania circondano nella base la massa vulcanica dell’Etna; e che essa colle sue eruzioni ha occupato in massima parte, e lasciatele io parte scoperte. Ricominciando infatti da Paterno la stessa rocca s’ innalza sopra un suolo terziario di gres ed argilla, che forma il piano e la parte opposta della vallata entro la quale scorre più basso il Simeto. Quel suolo contiene pure un calcario terziario, che più manifesto nel pendio opposto della valle è limitrofo ad una roccia di gesso; ciò che fa riferire questo tratto di suolo alla gran formazione dell’argilla blu di Sicilia('l), di cui si è altrove tante volte parlato. Questo gesso è tanto conosciuto nel distretto di Catania ed altrove, per l’uso che se ne fa io architettura ; ed il calcario menzionato che gli sta a fianco viene tagliato in mezzo dal fiume nel sito di• Costantina* d’onde passa* ad internarsi nelle colline di Paterno ; esso si sostiene a guisa di scoglio nel mezzo del letto del fiume con minori laterali appendici, ma nelle colline di Paterno e della beala resta coperto da quella formazione, nè più si » manifesta allo scoperto. Il terreno della Scala, di Vaicorrente e dell’ac- (1) Daubeny Sketlh ofthe Geology of Sicily. p. 17. Elementi di Geologia ad uso della Università di Catania p. 133 ec. 16 qua rossa è coverto da un pavimento di lave basaltiche, le quali se sono delle più antiche dell’Etna, o se al suolo basaltico si appartenessero bisogna ora esaminare, co’dati stessi che il suolo ci presta. Guardando la rupe di Paterno, e confrontandola con quella della Motta, pare non essere improbabile essere entrambe estinti vulcani, indipendenti dall’Etna, come per quella della Motta mi trovo aver detto (1). Esse infatti sorgono dal suolo nettunie© sole, e senza appendici che all’ Etna le congiungano. Un cratere mostrano entrambe alla superficie ed un corso di lava è venuto fuori da quello, che si versa, cioè in quella di Paterno verso S. E. ed in quella della Motta verso Ovest. Pare così che il materiale vulcanico dell’ una e dell’ altra rupe si sia fatto strada in mezzo alla formazione nettunica, quando non era stata logorata e tratta giù dal ritiro delle acque, e dagli scavamenti prodotti in seguito dalle acque de’torrenti; e ciò forse allora che l’Etna, distante da que’siti lavorava ad accrescere la sua massa, sviscerando materiali dal suo> focolare, e vestendosi a grado a grado di loro a guisa di sovraimposti mantelli. Potevano benissimo queste due rupi, questi due estinti vulcani aver avuto comunicazione forse col focolare dell’ Etna, ma dovette esser certo di poca durata, finché la gola perenne del vulcano non si stabilì ove si è mantenuta d’allora in poi. Resta tuit’o- ra ne’ contorni di Paterno una traccia di quell’ antica azione vulcanica, che operava più potentemente una volta ; e si osserva ne’ vulcaniti idroargillosi* nelle acque acidole, di cui talune si spogliano di nafta, (1) Mem. sulle condizioni Geolog. dell’Etna. Alti del- 1’ accad. Gioeu. voi. 1. serie 1. 17 e nelle esalazioni di gas-acido carbonico tanto comuni nelle vicinanze di Vaicorrente, di acqua rossa e dello stesso Paterno. In quanto però al suolo di lave basaltiche di cui si tratta, a meno che non si provasse che abbian esse una profonda radice, e da’ rapporti col terreno nettunico conoscersi potesse che vi sia venuto dopo e si fosse cumulato intorno al suolo basaltico, dal- •]’ attuale apparenza non altro si ravvisa che una carriera di lave prismatiche, la quale copre la sottoposta collina, e che esse cadono in blocchi ed in pezzi, come il materiale della collina vien meno per le acque che ne scavano la base e la fanno cadere in frane. Per tutto il tratto in effetto del margine della base dell’ Etna di sopra descritto, simile fenomeno si osserva tutto giorno, nella costa di Licodia, di Scila, di Biancaviila, e poscia da Aragona sino presso a Brente; sebbene in taluni siti interrotta da qualche più recente lava dell’ Etna. Aggiungi altra più irrefragabile prova della posteriore venuta delle lave prismatiche. quella cioè delfargilla, appartenente alla sottoposta collina, bruciata e ridotta in molti punti quasi a termantide, dal calore della corrente che nello stato d’ignea fusione vi si è posata sopra. Ciò non ostante non manca nel limitrofo terreno di Vaicorrente un tratto di vero suolo basaltico. Io intendo parlare de basalti globulari a superficie se- mivetrosa, simili a quelli della rupe di Aci-casteflo, e de’vulcani estinti del Val di Noto. Questo fatto, benché addimostri il basalto attaccalo nuovamente da un fuoco, qual’ è il vulcanico, e rotto nelle articolazioni primitive, rimescolato nel focolare e quindi rigettato dalla gola di un cratere, non lascia però di far conoscere essere la prima volta che il basalto 3 18 avesse servilo di materiale attaccabile nel focolare del vulcano ; e si può dire che, come ne’ contorni di Paterno, indipendenti svenlatoi vulcanici dalla gola dell’Etna, formarono la rupe, ed in oggi debolmente manifestano la non per anche estinta del tutto loro azione nelle menzionate acque minerali e ne’ vuloa- netti idroargillosi, così que’basalti globulari di Vaicorrente si debbono ad una delle prime eruzioni che verifìcavansi nella sottoposta carriera balsatica ; nel- 1’ epoca stessa forse che si formava quella di Aci- castello in mezzo a quei gruppi di basalti. Ed in vero, non poteva altro avvenire la prima volta che aprivasi uno spiraglio al fuoco sotterraneo attraverso di una carriera basaltica, che il disartico- mento de’ prismi, la fusione, e la triturazione delle parti più minule, che spinte per una nuova apertura di suolo venivano a cadere accanto de’ basalti stessi, divenuti globulari, per gii scantonati spigoli ed angoli solidi, e rivestiti di tunica semivetrosa, a cui la forza della fusione riduceva i materiali basaltici ; da una parte così ammontavasi il peperino da un’altra l’ammassamento de’ basalti globulari, come mi trovo di avere in altre memorie provato (!). Ma piccolo, o di poca forza quel primo cratere sottomarino, cessò da lì a poco ; ed anche perchè forse più esteso focolare agiva più in là nel centro dell’ Etna ; e questo assai più vasto e potente potea non solo attaccare e fondere il basalto che incontrava, ma con tale intensità di calore poteva investirlo da ridurlo ad una massa tutta liquida obliterandone i prismi, che spinta in alto per l’ampia gola del vulcano riversava sul suolo nella (1) Mem. sul Basalto ec. Alti Gioenii voi. 2. serie i. d. sul confine marittimo dell’Etna. Atti Gioen. voi. 4. ser. 1. 19 forma di corrente. Se non che, fuso per la prima volta il basalto non giungeva a perdere intieramente la naturai disposizione delle sue molecole, di riunirsi, cioè, in modo che restringendosi e ad avvicinandosi per la perdita del calore riprendessero 1’ antica forma prismatica. E quindi può benessimo darsi che il suolo di lave basaltiche della scala e di acqua rossa sia proveniente da eruzione di cratere aperto sull’ antica formazione basaltica che formava, sebbene intrusa, forse parte della scorza del Globo in questa parte di Sicilia ove l’Etna stabiliva il suo focolare. Ma queste lave basaltiche sono provenute dal cratere stesso che ha formalo l’Etna, o sono corse da vulcani parziali ed indipendenti come li teste menzionati di Paterno e di Motta? Potrebbero, a dir vero, appartenere all’uno o agli altri; nè si potrebbe dir cosa con asseveranza a favore o in contrario. Ma poco ciò rileva: perchè finalmente ancorché da altri crateri che dalla gola dell’Etna siano essi provenienti, fatto sta che unico ed immenso focolare si stabilì nelle profonde radici di questo grandioso vulcano, se tanto potè egli ingrandire in seguito la sua massa. Rivenendo alla formazione terziaria de’contorni dell’ Etna, essa da Yalcorrente, come si è detto, per tutti i colli di Motta e terreforti di Catania è allo scoperto e non occupata dalle correnti vulcaniche. INon così presso Catania, ove sono tanto spesse le lave ; ed appena nel poggelto di Cifali, negli orti di Gitali di s. M. dì Gesù , s. Domenico , s. Salvadore e rinac - cio ì all’ acquicella , sotto le antiche mura della città ivi appresso, poi al Fasano e Leucatia, e più alto a s. Paolo, vi va scoprendo il terreno nettunico in mezzo e sotto le lave. Andando più verso levante, al cana - licchio ì Nunziatella, e nelle vicinanze di Lognina, se 20 ne va scorgendo qualche traccia, finche si giunge alle colline che sovrastano Aci-castello, Trezza e capo de Molimi, ove il suo rapporto co’gruppi del terreno basaltico è ben manifesto ; merita non per tanto questo luogo che se ne tenga particolar conto, benché non poco se ne sia detto da me e da altri in separate memorie (1). La rupe di Aci-castello, co’ suoi basalti globulari e col peperino, addimostra un’epoca posteriore, come quella di Valeorrente, a gruppi di basalti prismatici de’vicini colli di Catanzaro e di rose , che per tutti i caratteri si possono riferire a quel basalto, roccia pirogenica venuta attraverso della scorza terrestre come il porfido ed il granito, vai tanto dire non da fo- colare vulcanico ma da sotterranea espansione di fuoco che spinse la fusa roccia da sotto in sopra, senza il concorso dal vapore, agente principale de vulcani. Le catastrofi geologiche avvenute qui, come da per tutto, separarono i gruppi basaltici che formano in oggi gli scogli de Ciclopi da quelli della opposta collina, collo sprofondamento di parte di essa ; e la fati- scenza e l’alterazione della superficie e de’fianchi degli stessi basalti avea prodotto una specie di argilla, la quale, prima forse delle menzionate catastrofi, erasi ragunata in forma di melma sopra porzione di quel terreno ; ed in oggi trovasi indurita in forma di roccia sopra l’isola de’ Ciclopi e sullo scoglio maggiore; e perchè abbia un nome questa roccia particolare è stata da me detta ciclopile (2). Questa roccia si vede, nella menzionata isoletta (1) Mena, sul basalto cit. <1. sul terreno della Trezza di Pompeo Interlandi. Atti Gioenii voi. xv. 1. ser. d. sul basalto decomposto dell’Isola de’ciclopi. Atti Gioenii voi. 2. ser. 2. (2) Mem. cit. sul basalto decomposto ec. 21 appoggiata ad altra, che costituita principalmente di anaicime vetrosa e tritume basaltico, è stata anche da me chiamata analcimite. Ne’suoi lati di ponente e tramontana si osserva che 1’ analcimite è introdotta a guisa di filoni nella sovrapposta cidopite, e questa a contatto della prima è divenuta più compatta e più solida: segno evidente che 1'analcimite si è introdotta posteriormente, e nello stato di ignea fusione nella massa della ciclopite, e l’ha forse alquanto elevata ; benché su di ciò mi resta non poco dubbio, attesoché nessun segno di resto organico marino la ciclopite contiene; nè sarebbe stato questo il caso se fosse stata essa una volta sottomarina. Tutto questo terreno basaltico intanto nella massima parte è in mezzo a quello terziario di che si tratta, e si direbbe a prima giunta che il basalto 1’ avesse traversalo, venendo da sotto in sopra : ma molti sono i fatti che provano il contrario. E prima di tutto, nessuna sensibile alterazione può scoprirsi nel terreno terziario colà dove viene esso a contatto col basalto nelle menzionate colline; e sebbene esso non appalesasse nessuna stratificazione, per mezzo di cui scoprir meglio potrebbesi un segno qualunque d’indispensabile sollevamento, tuttavia nulla di disordinato si scopre o sopra o ne’lìanchi di questi gruppi basaltici. Inoltre nessuna altra roccia si trova sopra, o ne’lati, o nei contorni di que’gruppi, che seco innalzar dovevano, se da sopra in sotto vennero spinti dopo che il terreno terziario si depositò nel mare, il fondo del quale doveva di altra roccia esser formato: questa idea io desidero che si abbia presente tutte le volte che toccherà parlare di sollevamenti ; i quali, a meno che non si verificassero che sino alla superficie stessa della roccia che li produce, questa dovrebbe sempre mettere al- 22 lo scoperto tutte quelle che avrà dovuto traversare. 11 terreno terziario, addippiù, a contatto de’basalti non mostra segno alcuno di alterazione che una roccia nello stato d’ ignea fusione dee certamente produrre: e finalmente non si scopre in nessun punto che la massa basaltica si fosse introdotta nell’ altro terreno in forma di filoni o di dighe, o che in altro modo qualunque coropenetrato lo avesse, come Panai- cimite ha fatto nella menzionata ciclopi te. Per tutte queste ragioni quindi con qualche sicurezza può credersi che il terreno basaltico era già bello e formato prima che il gres ed argilla della terziaria formazione fossero venuti a coprirlo nel seno del mare. E trattandosi di aver detto alcun che sulla roccia di basalto alterato, da me detta ciclopite, non ostante che una apposita memoria ne ho già scritto ( I), tuttavia non laseerò di qui farne menzione or che del terreno basaltico si lien discorso. Questa roccia fu detta per lungo tempo marna, ma essa era ben lungi di averne i caratteri ; si disse anche argilla, ma nè anche a questa poteva assomigliarsi. Il sig. Brocchi non era lontano dal crederla una cenere vulcanica ammassata, nè saprei dire sopra quali dati poteva appoggiare questa opinione; il sig. Fr. Hofìmann la riguardava come un banco di argilla alterata dal fuoco vulcanico. Io non poteva ammettere nè 1’ una nè l’altra opinione, e mi persuadeva che da altro essa non dipendeva che da una decomposizione, o alterazione del basalto, essendo che una specie di argilla quasi analoga alla natura della ciclopite io osservava ne’ basalti globulari fatiscenti del vai di Noto. A questa decomposizione del basalto, (1) Mem. cit. sul basalto decomposto ec. 23 che ne metteva in libertà gli elementi, io riferiva la origine di tanti minerali cristallizzali che si trovano in quel terreno basaltico, e la stessa roccia di anal- cimite, riguardata in allora da me come roccia ricomposta (1). Nuove osservazioni però e più attenta disamina m’hau fatto riflettere, che, ricomposta o nò, 1’ analcimite, chiaro si scorge che essa è venuta in uno stalo d’ignea fusione attraverso della ciclopite, e vi si è introdotta in filoni, in vene ed in tutti i sensi, riducendo a roccia più solida, ad una specie di ler- mantide, quella parie che vi sta a contatto ; i crepacci inoltre ove il materiale analcimitico non è giunto, sono tapezzati di minuti e bellissimi cristalli di analcime, che la sublimazione dell’analcime vetrosa della massa infocata poteva sola produrre. Prove evidenti che la ciclopite preesisteva alla venuta dell’ anal- camite nello stato d’ ignea fusione. Replicando le mie osservazioni sopra i gruppi de’ basalti della collina della Trezza, ivi prossima, mi venne fatto di rinvenire la graduale alterazione del basalto, che da compatto qual’è di sua natura e pesante passa per gradi a divenir, nè più nè meno una roccia, diremo argillosa, che in nulla differisce dalla ciclopite, dando ambedue all’analisi gli stessi resultati cioè « Silicato di allumina e di ferro, massima quantità » Cloruro di sodio, carbonato e solfato calcare piccola quantità» materia organica qualche traccia». Nacque pertanto in me naturale il conchiudere che la superficie, o i fianchi della carriera basaltica, emersi dalla superficie delle acque, scomposti o alterati, e ridotti a materiale tenue e friabile, fosse stato trascinato nel fondo degli avvallamenti, ed avesse formato (1) Mem. sul Basalto. Alti Gioenii voi. 2. serie 1. 24 un banco di melma, sotto del quale spinta in seguito l ’analcimite nello stato di ignea fusione vi avesse prodotti i fenomeni di sopra enunciati; e ciò mollo tempo prima della venuta della terziaria formazione di gres ed argilla, e dello sprofondamento del suolo basaltico, pel quale restarono isolati gli scogli e l’iso- letta de’ Ciclopi. La ciclopite poi non appartiene alla terziaria formazione, non rassomigliando a roccia alcuna de’con- torni. Importantissima circostanza si è questa per dimostrare la sua indipendenza dal terreno suddetto, e la preesistenza de’gruppi basaltici alla venuta di quello; e resterà ciò poi dell’inlutto provato se si considera che i gruppi basaltici de*contorni, non che quelli stessi de’scogli de’Ciclopi, sono privi affatto di qualunque miscuglio che indicar potesse la coevità, delle due rocce, o la preesistenza di quella terziaria; e nella ciclopite dell’isoletta de’Ciclopi nessun segno di resto organico si rinviene, mentre ne ribocca tutta la terziaria formazione vicina. Per lo contrario ne’ siti de’ vulcani estinti del Val di Noto, sia ne’luoghi ove le lave basaltiche si son fatta strada attraverso le rocce calcaree, sia ove le lave suddette si sono alternate colla formazione del calcario terziario, ivi i materiali calcarei e vulcanici sono misti insieme, ed in un punto si trova una breccia vulcanica piena di pezzi di calcario o di tritume di esso e di conchiglie marine; in un altro le brecce calcaree che imprigionano frantumi vulcanici; colà una lava venata di calcario; qui un calcario con filoni di lava; tutto in somma addimostra la reciproca mistione delle due rocce. Niente di tutto ciò si può rinvenire ne’ gruppi basaltici delle colline di Aci-castello ■e di Trezza: e le due formazioni, indipendenti una 25 dall’ altra giacciono a contatto fra loro, ma in modo da far con evidenza conoscere che la basaltica era bella e formata non solo, ma decrepita e fatiscente quando la terziaria venne a circondarla e coprirla. In quanto all' antichità di questo terreno basaltico è da riflettere, che se la rupe di Paterno e quella della Motta si sono riguardate come eruzioni vulcaniche indipendenti dal gran focolare stabilito sotto la gola dell’ Etna, per più forte ragione indipendenti sono quelle de’ basalti globulari di Vaicorrente e di Aci- castello, che dimostrano il basalto attaccato per la prima volta da un fuoco vulcanico . Indipendentissimi poi ne sono al certo i gruppi del basalto prismatico delle colline di Aci-castello e Trezza, non che gli scogli de’Ciclopi, ne’quali non già eruzione vulcanica, ma innalzamento riguardar debbesi di fuso materiale della scorza del Globo per sola effervescenza ed espansione di fuoco. Ciò basta per ora intorno ai fenomeni che presenta in questo lato la base dell’Etna ; torniamo al rapporto della formazione terziaria colle lave del vulcano. Dacché la collina argillosa abbandona i gruppi basaltici, si appalesa sola sopra la Trezza e smiri, sino alle pietrazze, e gira per il lato de’ molini della Reitana e s. Venera, sostenendo sopra la superiore superficie le antiche correnti dell’ Etna, le quali non molto diverse nella composizione appariscono di quelle delle colline del Fasano e Leucatia presso Catania; e al pari di quelle, si precipitano giù in blocchi di grossa mole, come la collina argillosa che le sostiene va mancando, per frane e per graduale faliscenza. Da quel punto la formazione terziaria non si scopre che di raro, ed in limitata estensione sotto Je correnti delle lave, sopra Aci-catena, d’onde scaturiscono le abbon- 4 26 danti acque che inaffìano i fertili campi sottoposti. Sopra Mascali, andando verso Piemonte se ne scopre pure qualche tratto, d’ onde si ricava un’ argilla blù di buona qualità: ma in generale può dirsi che dai Molini sino a Piemonte non presentansi nella plaga orientale dell’ Etna che lave sopra lave. La formazione terziaria in effetto di cui è circondata la base dell’ Etna, e eh’ è un seguito di quella de’ poggi di Aderoò, non poteva perfettamente circondar questa montagna, venendo essa da Ovest ad investirla ; la massa stessa del vulcano, benché non molto vasta, le era di ostacolo, e poche porzioni po- tea depositarsene nella parte orientale. Ma siamo già alla plaga piu interessante dell’ Etna. Io ho considerato sempre questa montagna come appartenente a due epoche (1), o almeno come quella che presenta una porzione della sua massa di materiali più antichi dell’altra; ed ho assegnato per limiti alla parte antica una linea, che da Aci salendo per la timpa delle cannelle e per la schiena dell’ asino giunge al cratere per mezzogiorno; da un’altra che scendendo dal cratere racchiudesse la valle del leone, le concazze , la Cerrita sino a Piemonte per tramontana, ed il mare per levante. Quest’area triangolare è quella appunto che oltre all’ antichità della gran parte del suolo, presenta i fenomi geologici più importanti, come si è potuto scoprire dalla succinta descrizione che ne ab- biam qui data da principio. Cominciando dalla base che offre al mare, e tralasciando que’ siti che le moderne lave hanno coperto o sfigurato, la costa di Aci nel petto del balzo della scalazza offre sette strati di lava ; chè così possono (1) Atti Gioenii tom. \. Sul tratto terrestre dell’Etna. 27 ben dirsi sette correnti vulcaniche di solidissima roccia, divise fra loro da materiali sciolti vulcanici, e da quelli di alluvione o di sedimento che si frappongono alle solide masse, che compariscono così stratificate. Queste correnti, che cadono a perpendicolo sul mare, e che indicano per conseguente essere stata rotta la loro continuazione, e sprofondata negli abissi del mare, non potevano venire sopra una collina argillosa, come in tutto il resto della base meridionale dell’ Etna: perchè, se così fosse stato porzione della collina stessa avrebbe dovuto scoprirsi come altrove. Nè si può dire che Y avessero coperto in punto più indietroggiato, perchè ove essa è in parte scoperta, verso la superiore collina di Aci-catena, si vede che è soprapposta ad antiche correnti, e coverta da altre più moderne: oltreché essa è ad un livello superiore di molto allo balzo di Aci. Le lave quindi da quella costa sono corse in mare senza ostacolo, e si sono orizzontalmente disposte una sopra l’altra nel seno delle onde, per un gran tratto, che oggi non può scorgersi coverto di lave moderne; ma che per la direzione di s. Tecla certamente estendevasi per tramontana, e formava quel gigantesco scaglione sopra di cui sono in oggi i villaggi di s. Matteo, s. Ve- nerina, Macchia, ec. Talché tutto questo tratto, anche tralasciando di includervi quanto all’azione dell’Etna moderno è dovuto, vale a dire alle lave di epoca più vicina che sono corse al Pozzillo e Stazzo, e poi verso il littorale del Riposto, è tutto di solido ed integro materiale vulcanico antico, e forse stato già sottomarino, come qualche conchiglia fra uno strato e l’altro rinvenuta, come assicurasi, potrebbe attestare. Questo scaglione ha servito di base a quelle porzioni della formazione di gres ed argilla che si sono 28 depositate sino a quel punto che lo permetteva la massa dell’Etna che lor opponeva un’ostacolo: e se fosse vero che il materiale terziario non si estendesse più. in là della collina di s. Antonio per tramontana, e che non ricominciasse che sopra Mascali, come ven- ghiam di dire, e come non è poi improbabile che così realmente si fosse, allora noi avressimo la misura esatta del diametro della massa dell’Etna, coniti era allorché venne ad attorniarne la base la terziaria formazione ; imperocché egli è certo che una liquida corrente che urta contro una massa non può circondarne che soli tre lati, dovendone restar ùbero il lato opposto al corso del liquido. Or se la formazione terziaria di gres ed argilla spinta in avanti da una corrente sottomarina veniva dalla parte occidentale dell’ isola contro la massa dell’ Etna, essa non avrà potuto mai coprirne la parte orientale; e quindi lo spazio che separa il materiale terziario di s. Antonio da quello di Mascali sarà approssimativamente la misura dell’ antica massa del- V Etna. Ciò è a dire che il diametro che aveva essa in allora era di nove miglia, mentre oggi è di presso a ventisette, cioè due terzi di più . Ma se la formazione giurassica, o secondaria almeno, forma un gran semicerchio intorno all’ attuale base dell’ Etna: e se quella terziaria venne a circondar questo vulcano, e riposare sulla secondaria da Francavilla, anzi da Caltabiano sino alla Placa, e poi sopra i terreni di Centorbe, e quindi si estese, come ab- biam detto per tutta la plaga meriodionale dell’ Etna, lasciando che tutto lo spazio di mare da quel punto sino a Torcisi, a Paiagonia, a’ colli di Castellana di Primosole, venisse in seguito occupato da depositi diluviali ed alluviali, è forza conchiudere che prima 29 della comparsa dell’ Etna e della venuta della formazione terziaria tutto il semicerchio, di che si parla, era un golfo sottomarino occupato dal mare Ionio, in oggi emerso; ma ristretto per metà dall’ Etna e dal terreno di gres ed argilla, e per metà dal terreno ailuviale della gran pianura di Catania. Si è dimostrato intanto che la formazione terziaria è posteriore a’ basalti non solo ma al corpo del» 1’ Etna ; per conseguenza dunque 1’ Etna spuntò nel foco settentrionale del sopramenzionato golfo, e fu sottomarino anch’ esso per lungo tempo. Elevossi poscia avvia di sovrapposti materiali, che sviscerava dal suo focolare e si andava esso addossando, in corpo di grande vulcano, a fianchi, o forse sopra, di una carriera basaltica, prima che le formazioni terziarie di Sicilia si fossero depositate nel mare. Epoca remota era ben questa: e se cessate erano pure le intrusioni di fuse rocee attraverso della scori ficata scorza terrestre, come il granito il porfido il basalto ec. era quel tempo appunto in cui dalla infocala sottoposta superfìcie del nucleo del Globo, per l’accesso dell’ acqua e per la formazione istantanea del vapore, si alzavano in forma di esplosioni i materiali fusi, ed i vulcani propriamente delti apparivano. Sottomarini per molto tempo, non lasciavano perciò di dar segni di loro azione al di sopra del livello del mare, finché addossando torrenti di lave sopra lave, e materiali sciolti e scoriformi sopra simili materiali, comparivano già al di sopra della superficie delle acque in forma di piccoli coni, e di crateri ; da’ quali sgorgando sempre nuove correnti infocate, e per tutti i lati stendendosi intorno, si cominciavano a stabilire isole intere vulcaniche. 30 L’ Etna era uno di questi nuovi vulcani che affac- eiavasi già nel mezzo del mare, il quale copriva ancora non poca parte di nostra Isola: e grado grado si elargava nella base a via di lave: e di queste stesse addossandosi innalza vasi sempre più. La sua azione esser doveva violentissima ne’ primi tempi: essendo probabilmente meno doppia la scorza terrestre, e più abbondante il materiale fuso che l’incandescente nucleo sottoposto gli prestava. Le eruzioni quindi dovevan essere più grandiose e più frequenti. Per lo che non dovette scorrer mollo tempo a formarsi una spaziosa isola vulcanica alla superficie del mare; e per quanto oso supporre essa doveva aver già una circonferenza di 28 miglia, eh’ è per 1’ appunto la base dell’ Etna eh’ io chiamo antico, allorché depositavasi in mare, sopra il terreno secondario e sulle prime correnti del- l’Etna, la formazione terziaria di gres ed argilla che la circondò per tre lati, servendo di ostacolo , come abbiam di sopra provato, l’Etna stesso, a venirne occupato il lato orientale. Ma qual’era la roccia sulla quale i fuochi sotterranei agivano ne’primi tempi dell’Etna? Ciò può dedursi dalla natura di quelle che costituiscono la parte sua più antica. Da queste chiaro si scorge che il sistema felspatico è predominante; e per conseguenza le rocce che abbondano ed hanno per base questo minerale dovettero fornire i primi elementi all’Etna nascente, finché il focolare non si estese ad attaccare la roccia basaltica, dalla quale nello scorrer de’tempi ebbero origine tutte le lave ed i materiali del sistema pirossenico. 11 granito, il protogino, la sienite, la eurite, il porfido ec. sono tutte rocce felspatiche, le quali attaccate dal fuoco vulcanico potevano convertirsi in roc- 31 eia felspatica pireterotica, e poteano formare del pari la Irachite che qualunque altra lava felspatica ; e quindi non è indispensabile che dalla sola Irachite provenissero i materiali felspatici che 1’ Etna antica presenta. Mi pare anzi che prima che una vera trachite si formasse in questo vulcano, esso versar poteva lave felspatiche in abbondanza, tratte da taluna delle sopramenzionate rocce, nel tempo che era sottomarino e prima che si elevasse sopra il livello del mare. Le eruzioni trachitiche infatti in nulla differiscono dalle pirosseniche, se se ne toglie la forma di cupola di taluni loro crateri, e la quantità delle sostanze vetrose che accompagnano gli altri materiali felspatici. Questi mancano nell’Etna; e se non intieramente sono almeno in tale sparuta quantità da mettere in dubbio tutt’ ora la presenza della trachite, anche nelle parti ove più abbondano i materiali felspatici dell’ Etna antico. Se si stà poi a’caratteri chimici della roccia, vai tanto dire che quella sola è trachite, di cui il felspato è la specie che Riacolite o felspato di soda si appella, allora si debbono istituire nuove analisi per provare formalmente se tale roccia non si è sin’ ora trovata nell’Etna, essendo generalmente il felspato delle sue roccie quella specie che Labrador , o felspato di potassa si chiama (1). Dopo le prime sottomarine eruzioni, dopo gli antichi corsi di lave felspatiche, dopo che esaurite eran forse nel focolare le rocce di felspato, o che rivolto si fosse il fuoco sotterraneo a più vasta formazione, qual’era la basaltica, dalla quale provenivan pure tutti (1) Diario del vti Congresso degli scienziati italiani in Napoli p. 35.—-25 settembre. Su’rapporti che passano fra le rocce dell’Etna, del prof. Maravigna—Nap. 1845. 32 i vulcani estinti del Val di Noto, e di altri siti, il basalto potè apprestare abboodante materiale al vulcano etneo: ed esso cominciò a vestirsi ed accrescere la vasta sua mole colle lave basaltiche. Ma, quanti strali di lava, quanti materiali di sviscerata fusa materia si richiedevano per innalzare un vulcano, qual’è l’Etna, anche all’altezza dell’attuale iimpa delle cannelle , ossia a 5,000 piedi sul livello del mare? Sette ne presenta la costa di Aci in un’ altezza di 400 piedi: ventidue se ne contano nella valle di Galanna in un altezza di 500 piedi: undici nella cisterna del piano del Lago in un’ altezza di 200 piedi circa; volendo prendere un medio, anche abbondevole in altezza degli strati delle lave, daremo tre strati ogni cento piedi di altezza. Or, essendo la timpa delle cannelle a 5,000 piedi sul livello del mare; avran dovuto ammontarsi 150 corsi di lave, per tutti i lati del cono, onde giungere a quell’altezza; e per conseguenza, continuando nella stessa proporzione, per giungere all’altezza di 10484 piedi, attuale elevazione dell’Etna, vi avran voluto 314 strati di lave o materiali vulcanici, considerati sempre a tre per ogni cento piedi. Ciò non vuol dir però che un tal ristretto numero di eruzioni vi avrà voluto per formar 1’ enorme massa dell’ Etna, esse sono state senza dubbio più del centuplo. Imperocché un corso di lava, il maggiore ed il più esteso che si conosca, non è più di sei in sette miglia quadrate : a formar quindi un sol mantello al gran cono dell’Etna, molte e molte lave vi avran voluto sin da che esso cominciava ad avere una base anche di 24 miglia: ed han dovuto richiedersene sempre più come la massa del cono ingrandivasi. Ma lasciamo questo calcolo che resta tanto lon- 33 fano da ogni approssimazione, quante volte si considera che lo ingrandimento del cono dell’ Etna non è stato uniforme e regolare : che anzi tutte le ineguaglianze della sua superficie, tutti gli avvallamenti e le elevazioni che scabro ed alpestre ne costituiscono il suolo, dimostrano che le correnti vulcaniche non sono state addossate sempre le une sulle altre in tutti i fianchi della montagna: che ciò si è verificato nella parte elevata della regione scoperta, è vero, ma non son poche quelle che sole sono restate e scoperte, prolungandosi verso le falde di questa montagna. Ad ogni modo grandissimo è stato il numero delle correnti e de’ materiali sciolti pirogenici, che è bisognato a formare il corpo di questo magno vulcano. Per non istancar forse la mente nel concepire un lunghissimo corso di tempo che è bisognato all’ ingrandimento dell’ Etna, si è tentato di alzarne di un colpo la massa principale; e si pretende (1) che essa presenti un evidente sollevamento in quella parte che costituisce l’attuale suo busto, il di cui petto è formato dal balzo del Trifogliello, salto del corvo e Giannicola, ed il dorso da quella parte della regione scoperta che s’innalza alquanto curvo a ponente, da Monte rosso e M. s. Maria sino alla base dell’ultimo cono. I dati cui appoggiasi questa opinione sono i seguenti. La valle del leone e le alture delle concazze mostrano una inclinazione di strati da S.OaN.E; in dietro del cono del cratere altre elevazioni inclinano da S. a N. Il petto stesso della montagnola, nelle parli non coperte da arene della eruzione del 1766, (1) Recherches sur la strutture et sur l’origine du Mont AItna. Par 31.L. Elie de lleaumont.—Memoires pour servir a une descripfion geologique de la France x. voi. 4. 3 34 inclina da N. a S. La massa centralo attorniata da queste elevazioni pare cosi che stesse in mezzo ad un cratere di sollevamento , prodotto quindi dal sollevamento suo stesso; vale a dire che innalzandosi il corpo dell’attuale parte scoperta dell’Etna, fece inclinare in varii sensi gli strati delle lave che vi stavan sopra. Dippiù, gli strali delle lave nella valle di Ca- lanna, nella Cisterna ec. conservano tal parallelismo nelle loro masse che non si rassomiglia in nulla alle correnti ordinarie, piano di strangolamenti, di rigonfiamenti, e di grande irregolarità di superficie. Gli strati finalmente delle materie sciolte che coprono le lave inclinate, non avrebbero potuto conservar parallelismo alcuno con esse, dovendo cedere al peso loro stesso e rotolarsi alla base. 3Non pare a me che cosi vada la cosa. E prima di tutto vi è tale distanza dalla valle del leone alla Montagnola, e da questa alle piccole alture dietro il cono del cratere, che non vi si può per modo alcuno stabilire un’antico rapporto: inoltre dalla parte di ponente il dorso della montagna, quello stesso che si pretende sollevato, non ha intorno alcun segno di antico terreno di lave che si fosse sollevato, come quei pretesi punti di sopra menzionati; ed all’incontro esso non resulta che di scorze di lave addossate una sul- 1’altra , e tutte del sistema pirossenico, ossia della parte moderna dell’Etna (1). Di piu, nessuno strato delle lave nel petto del balzo del Trifoglietto è di lava interamente felspatica; ed all’incontro sono esse per lo più pirosseniche, come quelle della parte moderna dell’ Etna. La inclinazione poi degli strati di lave non (1) Mem. sulle condizioni geologiche dell’Etna Att. Gio. voi. i. 35 è tale da non potersi riguardare come prodotta dal naturai corso di una corrente sopra la superfìcie di un cono, il quale informe per quanto si voglia non lascia però di esser sempre acclive: quindi una lava nella parte scoperta dell’ Etna non si troverà mai orizzontale, ma seguirà il grado di acclività del sottoposto terreno; e se si verificherà una sezione longitudinale di varii strati di lave si troverà che essi sono sempre inclinati; come deve esserlo la struttura di una stratificazione a mantello quando verrebbe tagliata nel senso di sua lunghezza. Si crede che le correnti di lave non possono fluire in continuazione al di sopra di un’angolo di 16 gradi ; trovando però ne’ menzionati luoghi che le stratificazioni inclinano sopra un’ angolo di 25 gradi, si vuol conchiudere non poter ciò avvenire se non per via di un sollevamento. Confesso che tanta inclinazione di strati non è stata mai da me osservata ; e gli strali della valle del leone, e quelli del salfizio, e più basso presso lo zoccolavo non sono più inclinati di gradi 20 ; e correnti con simile inclinazione ne abbiamo non poche nel tratto della lava del 1792, a cassone presso l’Arcimisa, e presso ZafTarana, non che in altre correnti, sul dorso appunto dell’ Etna nella parte che guarda Bronte, Maletto e Bandazzo. Ma supposto che non fossero della cennata inclinazione di gradi 25, ciò sarà perchè come fluide correnti non possono verificare il loro corso sopra più ripido declivio, o più tosto che i luoghi ove son corse non ne offrivano uno di un’ angolo più ottuso ? Questo secondo caso non ci potrebbe a nulla servire di prova, in quanto al poter la lava scorrere sopra un pendìo più ripido di 25 gradi ; bisogna fermarci dunque al modo con che progredisce la lava, per potere esaminare se essa possa mantenersi in corrente anche so» 36 pra un suolo che fosse inclinato al di là di 25 gradi. La lava che vien fuori dal nuovo cratere nel fianco del vulcano, con quale rapidità essa corra non so chi possa dirlo, perchè non vi è persona al mondo che star se ne possa nel sito ove si apre il suolo per dare sfogo ad una eruzione vulcanica. Le continue scosse di tremuoto, lo sbalzo ed il saltar in aria della parte del terreno sotto di cui si fa strada l’infuocato torrente, non sono fenomeni che spregiar si possono da qualunque intrepido mortale. La violenza in somma delle prime convulsioni di una eruzione si può ben da lungi contemplare, non già da vicino. Si giudica quindi della rapidità della corrente ne’ suoi primi periodi dal tratto di suolo che percorre in un dato tempo: ma questa stessa misura è incerta ; poiché dipende moltissimo la detta rapidità dalla maggiore o minore ripida discesa del terreno. Dacché però la esplosione delle scorie e delle arene è alquanto diminuita d’intensità, ed il piceiol cono di eruzione è giunto ad una bastante mole, e lascia che uom si avvicini ad esso sopra vento, si vede scorrere la lava a guisa di liquefatto metallo, e posso francamente dire, con una certa lentezza; di modo che, a non più di cinquanta passi di distanza dalla origine, la lava diviene scoriforme ed annerita nella superficie; e l’intenso vivo color del fuoco non si scorge che nelle fenditure e ne’ crepacci. La liquida lava sottoposta trascina seco la scorificata superficie, e la rovescia innanzi alla sua fronte ed a’lati come va progredendo: talché può dirsi che essa scorre per lo più sopra i proprii materiali, e questi saran sempre in maggior quantità quanto minore è la celerità del corso di essa, crescendo la scorificazione della superficie in ragione inversa della celerità, la quale quanto più rallenta tanto più tempo concede al raffreddamento della superficie. 37 Supponghiamo ora che la fava scorre incontro un pendìo di 35 gradi d’ inclinazione ; cosa dovrà succedere allora? Se ciò avviene vicino alla sorgente, allora la lava fluida piu che altrove vi si adatterà perfettamente, come qualunque altro liquido, che avesse però una certa consistenza (1), e sempre della stessa altezza, finche al fronte non troverà ostacolo alcuno, o finché il raffreddamento della porzione corsa la prima non farà urto a quella che continua a fluire, obbligandola ad ammontarvisi sopra, o a cangiar di direzione. Quando finalmente la eruzione va a cedere, si vedrà la corrente rimaner ferma sul pendìo, perchè il graduai raffreddamento non permetterà che si stacchi in pezzi, e si disgiunga la massa della corrente ; per cui colla stessa doppiezza rimarrà a guisa di strato sul declivio del pendìo. Se poi la lava incontrerà un tal pendìo quando essa scorre lentamente, allora prima che la parte fluida vi scorra, la superficie scorificata vi verrà rovesciata sopra, e la lava infuocata lentamente calandovi non disgiungerassi per certo nella massa, perchè la pressione che riceve da quella porzione che vien dietro ad ogni istante, la mantiene in una continuità stabile, ajutata dalla resistenza che il raffreddamento della fronte le va opponendo. Non sarebbe impossibile quindi il cono di una lava in un pendìo di 35 gradi, molto meno in uno di 30, e così via via sino a quello di gradi 25, che è il massimo della pretesa inclinazione degli strati nella valle del leone ec. ec. Questa inclinazione di strati poi si osserva nel- (1) Io spero che non si vorrà considerare la lava che scorre, sotto le stesse leggi che segue l’acqua, o altro fluido: perchè allora tutti gli argomenti verrebbero a formarsi sopra principii mal fondati o faisi. 38 1’ Etna nella parte elevata della regione scoperta, là dove per l’appunto la forma conica di questo vulcano è alquanto più manifesta, e non già nella ragione nemorosa e piemontese, dove la montagna offre delle spianate e delle colline che fan perdere ogni idea di forma conica. Ciò importa che la stratificazione a mantello è più marcata e sensibilmente inclinata sopra una superficie conica; e quindi quella della valle del leone, delle serre del salfìzio ec. che è tanto inclinata , lo è perchè non rappresenta che la sezione delle tuniche di lave di cui è vestito il cono dell’ Etna. E per quanto sarebbe giovevole alla teoria de’sollevamenti che si vogliono nel- 1’ Etna, il trovarsi strati inclinati di lava al grado 25, nella regione nemorosa, e più basso ancora, dove la stratificazione a mantello dev’ esser pochissimo inclinata, perchè lontana dalla parte conica di questo vulcano, tanto più s’ è contrario il trovarsi nell’ alta regione ove il vulcano è più conico, comeabbiam detto, ed ove per conseguenza la sezione verticale delle tuniche, della stratificazione a mantello, dee presentarle molto inclinate. Ma finalmente ammettendo anche che le stratificazioni di cui si parla siano in effetto più inclinate di quanto per regolar corso di lave esser potrebbero, ne nasce perciò che un sollevamento di suolo le abbia dovuto produrre? Non poteva, all’incontro, lo sprofondamento di suolo che produsse la valle del bove esserne la vera cagione? Esaminiamo le circostanze, che accompagnar devono ognuna di queste due cause. Si suppone, come si è di sopra accennalo, che il corpo della montagna dalla regione nemorosa in sù si fosse sollevato; perchè dal dolce pendìo delle falde di essa sino alla regione nemorosa, quel vasto 30 corpo exabruplo s’innalza con una inclinazione ripi. da più del doppio del rimanente. Qui non si tratta di un sollevamento di una massa montagnosa, che spinta da una più potente massa sottoposta ha rotto la continuazione de’ suoi strati ed ha dovuto piegare da un lato ed all’ altro, per dar uscita a quella che ne ha vinto la forza e vi si è stabilita in mezzo; ma bensì di sollevare un immenso cilindro di lave ammontate le une sopra le altre, senza sconcertarne il livello, e quel che è più, senza disturbar per nulla il cammino interno della gola del vulcano, la quale è rimasta nel sito stesso inalterata e perenne. Non potrò mai piegarmi ad ammettere questa opinione, riflettendo che un tal sollevamento non poteva aver luogo senza un grandioso disordine e sconvolgimento di tutto il terreno che lo attorniava (1). Trattavasi non meno di una massa di circa cinque miglia di diametro, e di una altezza di 6000 piedi almeno, che veniva sollevata da sotto un terreno di lave vulcaniche non solo, ma che aveva e colline e montagne vicine, fi risentimento quindi del circondante terreno doveva estendersi a ben molte miglia intorno: e la superficie del cono doveva assumere una forma di suolo scavato da avvallamenti, che corrispondessero alle aperture del terreno ; e questo, secondo il linguaggio moderno, doveva divenire stellato di larghe fenditure che aprivansi attorno della massa sollevata (2). Ma nulla di tutto ciò si osserva ne’ fianchi dell’Etna; ed in mancanza di prove di tal genere si sono andati cercando gli strati inclinali della valle del leone e delle serre del salfizio quali prove di (1) Mem. cit. di Beaumont. p. 194. e seg. (2) Su’crateri di sollevamento e di eruzione. Mem. Atti Giocn. voi. 3. serie 2. 40 sollevamenti in miniatura! Del rimanente, se togli il grande abbassamento di suolo, o avvallamento comunque si fosse, detto valle del bove, tutto il resto del corpo dell’ Etna non offre tratto di suolo che possa far supporre esservi stala una volta una fenditura o un rivolgimento qualunque di terreno. Dippiù, il petto del balzo del Trifoglietto, cbe appalesa il taglio di tante stratificazioni di lave, presenta un livello tale in esse, che se mai questo corpo di montagna avesse avuto origine da un sollevamento esso dovette venir sù placidissimamente, senza disordinare per nulla gli strati superiori, e conservandoli nella loro quasi ori- zontalità sino ad un* altezza di 900 piedi ! Questa supposizione però sarebbe contraria a quell’altra che alla fòrza del sollevamento attribuisce i pareti della valle del bove, i quali se sono stali sbalzali a tanta distanza uno dall’ altro il sollevamento avrà dovuto essere subitaneo o di una incalcolabile potenza : per 1’ appunto poi nel sito anzidetto non si vede roccia alcuna, alla quale si potesse attribuire la causa del disordine de’pareti della cennata valle del bove; mentre colà dove si vuole innalzato il corpo dell’Etnadi- sordine alcuno non regna. Cosa si risponderebbe poi se si dimandasse come mai fra tanti materiali, pretesi sollevati, nessun bocciolo s’incontri di roccia o neltunica o sedimentaria, che avesse potuto venire in rapporto co’ materiali vulcanici, nel tempo che i lavori dell’ Etna erano sottomarini? E della stessa roccia felspatica, d’onde il vulcano ha dovuto trarre il materiale di tante lave, riferibili a quel sistema, come mai nessuna traccia ne sia venuta fuori in tempo che un tanto sollevamento operavasi nel centro dell’ Etna? Per quel che riguarda poi la ineguaglianza delle u superficie e della massa delle lave moderne, confrontata con quella delle lave che si scoprono nella valle di Galanna, nel balzo del Trifoglietto ec. ove assumono esse una tal qual regolari là di superficie e di doppiezza, sebbene non cosi chiara come si pretende, io non vorrei affaticarmi a ricercarne la cagione, perchè sarebbe lo stesso che presentare delle opinioni più o meno probabili, nulla potendo asserirsi di certo. Ma d’ altronde io non so quanto questa struttura, nelle auzidette correnti, possa militare a favore di un sol- levamento ? Perchè, o questa regolarità di struttura si debbe a sottomarino corso di lava, ed allora, io replico, è pressoché impossibile che non dovesse ella manifestare indizio alcuno di marino deposito, interposto fra uno strato e 1’ altro, come 1’ offrono tutte le correnti de vulcani estinti del vai di Noto ; o si debbe a parlicolar modo di fluire della lava, e forse per la vicinanza alla sua origine, e questo poteva avvenire in ogni tempo ; nè vi è maggior ragione di creder questo tempo remotissimo anziché moderno. Per altro noi non abbiamo una sezione di ammassi di lave recenti, di tanta estensione, per potere asserire, che esiste nel confronto marcatissima differenza fra esse e quelle delle alte regioni dell’Etna; nè tutte le superficie delle lave presentano sempre quelle scabrosità, quelle ineguaglianze, que’rovesciamenti, quelle cavità ec. ec. che in talune di esse si osservano (1). Abbiamo bensì nella naturai sezione di un corso della stessa lava, o in quella che artificialmente si è fatta per uso di trarne i materiali da fabbrica, che là dove essa per replicate volte si è ammontata so- (1) Vedi la Meni, sulla varietà di superficie delle lave ec. Atti Gioen. voi. xix. 6 42 pra se stessa assume una forma di stratificazione, appunto ov’ è poca la doppiezza della scorifìcata superfìcie, e la massa solida presenta un certo parallelismo. Pare così che dipenda non poco dalla varietà di superficie delle lave, il loro più o meno marcato parallelismo ; per cui vi saranno sovrapponimenti di lave che rassomigliano ad una stratificazione; mentre degli altri saranno pieni di strangolature e di rigonfiamenti, come si osserva in quelli della costa di Aci. Finalmente in quanto alle ceneri alle arene a’materiali sciolti che vi si voglion rappresentare come uno strato parallelo alla massa delle lave che coprono, mentre in realtà tale assertiva è stata dall’essersi ciò osservato da lontano (1), bisogna essere stati presenti all’andamento delle esplosioni vulcaniche, per restar persuasi come que’ materiali vengono a cadere intorno a’ coni delle eruzioni e fermarvisi in doppiezza presso che uguale, qualunque sj fosse l’ acclività di quelli, senza obbedir sempre alla legge, che lor si vorrebbe imporre; di cedere, cioè, al proprio peso e rotolare o scorrere verso la base. Ma basta il riflettere che que’ materiali vengon fuori pressoché bagnati in mezzo alle ceneri alle arene ed a’ rapilli umidi di vapore e di efflorescenze saline, servendo, quasi direi, di leggiero cemento a’ più grossi materiali, e capace di trattenerli nel sito ove cadono ; a tale che spesso le varie tuniche formate ne’coni de’vulcani da questi materiali, eruttati a riprese, divengon solide, e si chiamano perciò tufi vulcanici. Coll’ andar del tempo poi divenuti aridi e meno tenaci possono dagli agenti raeteologici o dalla mano dell’uomo esser (1) Or avec quelque soin que j’aie promenè ma lunette sur les millias d’assises de laveec. Recherches ec. voi. 4. p. 185. 43 ridotte a materiale sciolto, ed è allora che ubbidendo essi alla legge, tendono a precipitarsi verso la base del cono. Ma basta così per ora sopra un’ argomento al quale saremo obbligati forse di tornare con più minuto esame altra volta. Cerchiamo piuttosto di rispondere alla domanda che aspettiamo ci venga fatta; cioè « chi ha prodotto dunque tutti que’ rivolgimenti di terreno nel gran tratto dell’Etna antico? Uno sprofondamento di un sesto circa della massa superficiale di questa montagna. Vediamolo. Tanto materiale lavico venuto fuori dalla gola del vulcano, e sviscerato da’contorni dell’infuocato focolare ha dovuto lasciar per certo un voto significante nella base dell’Etna. Una violenta e grandiosa eruzione scuotendone potentemente la massa poteva facilmente produrre la caduta delle sotterranee volte, c far sprofondare quella porzione del cono che vi stava sopra, e scomporre non poca parte del prossimo fianco della montagna. Noi possiamo ciò provare con esempli di avvenimenti successi in tempi della nostra vita negli ultimi anni del secolo passato. Durante la eruzione del 1792 un’abbassamento di suolo, di un quinto di miglio circa in diametro, si avverò nel piano del lago presso la-montagnola, profondo 200 piedi circa, detto in seguito cisterna dalla forma circolare e cilindrica; e questo appalesò la struttura di quel corpo della montagna che corrisponde al balzo del Tri- foglietto: e lo stratificazioni delle lave in quel baratro corrispondono aneli’ esse esattamente con quelle del cennato balzo, al quanto però più alte; di modo che chiara comparisce la discesa delio lave venute dall’alto cratere. La valle di Calanno, in più grande scala, ha gli stessisimi caratteri della menzionala cisterna ; nè poteva in altro modo formarsi che per sprofondamento di suolo, attesa la circolar forma, ed il suo sconscen- dimenlo murale. Del modo stesso pertanto tutta la valle del bove sia a riprese sia in una sola volta dovette per sprofondamenti formarsi. Rotta e precipitata in profonde voragini la parte del cono che venne giù, non potea non formare un terreno rivoltato, ed in tutti i modi tormentato; e quindi rupi isolate, creste di colline, scoscese, suole ammontato in una parte, infossato in un’ altro, materiali mescolati e confusi, stratificazioni di lave rotte, inclinate ed anche verticalmente a giacere ridotte ; tutto quel disordine in somma che facilmente si apprende, e che difficile riesce ad esprimersi. Le lunghe età corse da quell’epoca, gli effetti degli agenti meteorologici, le convulsioni vulcaniche, le lave corse sopra le arene, le scorie, e poi il rui- noso passaggio de’torrenti prodotti dalle dirotte piogge, hanno anch’ essi contribuito a rendere più sfigurata, e più difficile a comprendersi a prima giunta la struttura della parte antica dell’ Etna. Ma quando senza preoccupazione di spirito si cominciano a considerare i fenomeni di un vulcano che spunta dal mare e gradatamente va ingrandendosi; quando non si trascurano quelle osservazioni che dar possono ajuto ai tentativo di spiegar que’ fenomeni; quando il vulcano si studia diligentemente la prima, la seconda, la terza e la quarta volta, non riuscirà molto difficile allora il dar ragione dell’attuale aspetto dell’Etna, e far valere que’principii geologici che illustrar possono la teoria de’ vulcani ; teoria che per nulla è disgiunta da quella della formazione stessa della crosta del globo. Se la crosta della terra infatti non è altro che 45 una scoria del nucleo incandescente di essa: se questa scoria è divenuta sempre più doppia e profonda, come è andata essa raffreddandosi, i vulcani possono considerarsi come sventatoj del fuoco sotterraneo, che può in oggi manifestarsi con minore energia de’tempi andati ed in pochi punti soltanto; attesoché resistenza maggiore ritrova nella ingrossata scorza terrestre, e chiuse non poche vie diedero uscita una volta a’materiali degli estinti vulcani; ed è soltanto colfaju- to de vapori, generalmente, che può manifestarsi per le accese gole de’ superstiti vulcani ; mentre le rarissime volte al dì d’ oggi per sola effervescenza può il fuoco sotterraneo spingere le fuse materie sino alla bocca de’ crateri , come si è osservato nel principio della eruzione del 1838, senza l’ajuto del vapore. Ne’ tempi però ne’ quali la scorza terrestre era meno doppia e più facile ad esser penetrata o respinta dai fuochi sotterranei si formarono allora le intrusioni del granito, de’ gruppi di porfido e del basalto. Pare in somma non esser altro i vulcani che i punti pe quali i fuochi sotterranei si manifestano attraverso della crosta del globo ; essi a seconda della doppiezza di quella sono stati più numerosi ed attivi ne tempi andati : ed in oggi, per la massima parte, spenti si osservano ; e que’ che sono in attività, bisogna pur confessarlo, che non manifestano quella energìa, che da quanto si vede ne’resultamenti, mostrano aver avuto una volta. Ed in vero, se noi maturamente esaminiamo quanta superficie dell’ Etna è stata coperta di lave nuove sin da’tempi storici, possiamo ad evidenza provare che essa non ha formato che appena forse una sola tunica alla sua massa, colle varie correnti, che in tutti i sensi e per tutte le sue falde ha versato ; eccettuali- 46 done soltanto quelle che nella valle del bove si sono una sull’ altra ammoniate per non aver potuto prendere altra direzione confinate entro i pareti di quella vallata. Maggiore di gran lunga doveva esser dunque la sua energìa, se potè a tanto innalzarsi ed ingrandir la sua mole, a via di sovrapponimenti di lave, prima de’tempi storici! Diamo ora uno sguardo all’Etna nascente, ed accompagniamola nelle sue operazioni vulcaniche prima de’ tempi storici, e cenniamo di volo quel che ci ha conservato la tradizione, riguardante il nostro vulcano. Noi abbiamo quasi provato che il mare, prima della terziaria formazione, occupava l’area di un gran semicerchio di colli, in allora di secondaria formazione, da Tauromina ad Agosta. Nel foco settentrionale di questo ellittico spazio il mare cominciò, in quell’epoca, a gorgogliare a spumare a riscaldarsi ad innalzarsi in grossi cavalloni, e ad evaporare parte delle sue acque. Dal fondo immense bolle d’aria o di gas venivano istante per istante crescendo sempre in numero ed in frequenza, e dal loro scoppio a contatto dell’atmosfera una quantità di vapore, in forma di fumo si alzava; finche ollramodo cresciuto lo sviluppo de’ gas, tutto il dintorno si copriva di fumo denso vaporoso che a poco a poco di minuta cenere impa* stavasi ed in voluminosi turbini s’ innalzava, avviluppandosi e rotolandosi sopra se stesso. Un romoreg- giar, cupo da principio, aecrescevasi gradatamente, finche a fragorosi scoppii giungeva, che unito a quello de’tuoni, faceva ribombar l’aria d’intorno. Infuocate materie venivan fuori a riprese mescolandosi col fumo, e tutto era sconvolgimento nel mare Ionio di allora. La superficie ne era imbrattata di galleggianti scorie pumicee e sparsa di cenere veniva pure brut- 47 tata da immensa quantità di pesci e di molluschi morti, e galleggianti. Era il vulcano, che per la prima volta squarciava quella parie della scorza terrestre, coperta dal mare presso la costa dell’ Isola che Sicilia fu della ne’ tempi posteriori. I vapori, i gas, e le materie sciolte che potevano esser con essi trasportate, veni- van fuori dalla superfìcie delle acque; la sostanza fusa, però della lava non poteva con esse sollevarsi, e versavasi appena spinta dalla nuova gola del vulcano sopra il fondo del mare, che colla sua pressione obbligavala a prendere una forma depressa ed estesa con una superfìcie pressoché ondeggiante. Ma tosto veniva essa coperta da’ materiali sciolti eruttati, che in parte mescolati coll’ acqua, in parte spinti al di sopra della sua superficie, venivan sempre a cadere, a guisa di sedimento, sopra lo strato di lava nuovamente corsa; e formavano insieme intorno alla gola del vulcano il principio di un cono di eruzione, che dal ripetuto fenomeno stesso ingrandivasi a poco a poco, ma sempre sottomarino ancora. Massima esser doveva 1’ energìa del nuovo Etna ne’suoi primi tempi: e non dovette tardar molto a crescer tanto sott’ acqua da cominciare, coll’apice del suo cono, a farsi vedere sporgente dalla superficie del mare. Il corso di questi fenomeni non è imaginario o ipotetico. E questo per l’appunto l’andamento di quello che osservansi al dì d’ oggi in un vulcano che spunta dal mare: e questi sono stati quelli del vulcano che afiacciossi nel mare africano presso Sciacca nel 1831 (1). Stabilita la gola e formalo il corso le eruzioni divennero tutte subaeree; e nell’immenso Golfo della (1) Su’fenomeni del nuovo vulcano ec. Cat. 1831. 48 costa siciliana una isolelta vulcanica, accanto agli scogli basaltici, apici di gruppi e della carriera sottomarina, lavorava ad estendere sempre più la sua periferia, versando dal cratere torrenti di lava per tutti i sensi nel seno delle acque. Chi sa quante migliaja ne erano corse, ammontandosi una sull’altra, prima che la terziaria formazione venisse a circondarla per tre lati! E questa trascinata dalla forza di una corrente marina a cui 1’ Etna, come si è detto, faceva ostacolo, in due braccia la divise a mezzogiorno ed a settentrione, cumulandone la massa maggiore a ponente, ove veniva ad urlar coll’ Etna. Questa formazione infatti si osserva assai più potente ad ovest dell’ Etna che nel termine delle due braccia, al capo de’ Molini ed alla piana di Caltabiano, come il corso de’ fiumi ben lo addimostra. Fiancheggiata da questa formazione 1’ Etna non versava tutte le sue lave come prima in fondo al mare, ma sopra del nuovo suolo estendevale, occupandole a grado a grado ; fuorché dalla parte di levante, ove seguivano a correre in mare. Ecco perchè la costa di Aci lave sopra lave appresenta senza terreno terziario che le sostenga ; ed ecco perchè sono esse più pirosseniche delle altre che sopra la collina argillosa che questa plaga son corse : imperciocché nei mentre che una corrente del sistema felspatico occupava il suolo terziario 1’ altra coeva e di ugual natura si immergeva nel mare e scompariva, di modo che quelle che sono sopra 1’ attuale livello del mare corrispondono ad altre superiori di molto alle prime corse sopra il terreno terziario. Il mare abbassavasi per 1’ ultima volta. La formazione terziaria appariva allo scoperto: le lave del- 1’ Etna le fucevan corona in mollissimi punti: la sola 49 costa di Àci, assai più estesa però di come oggi si vede, come s’ è fatto riflettere, prosentava la massa vulcanica integra ed umiforme dal livello del mare sino alla cima dell’ Etna, che alla già più di un miglio esser doveva a quell’ epoca. Intorno a quel tempo, o prima, i basalti globulari si fecero strada attraverso la collina, forse sottomarina ancora in gran parte, che avea abbracciato e coverto la carriera de’gruppi di basalto prismatico; e questa avea forse prestato i materiali al nuovo focolare ehe sotto la rupe di Àci-castello accendevasi. Perchè infatti que’basalti globulari non sono che prismi disarticolati e rimescolati nella fusa roccia piros- senica, che a guisa di una tunica semivetrosa investiva! i, e cosi rotondati e vestiti venivano alla eruzione cacciati in alto; ma cadendo poi sopra se stessi si cumulavano intorno alla gola di quel sottomarino cratere, nella forma in che in oggi si osservano. Intorno a quel tempo col ritiro del mare il termine della formazione si franò dalla parte di mezzogiorno in mezzo a’gruppi della cennata basaltica carriera, e lasciò isolati gli scogli de’ Ciclopi e la rupe di Aci-castello. Intorno a quell’epoca l’analcimile venne sopra introducendosi e sollevando la cumulata massa del basalto decomposto che formava la ciclopite. Intorno a quel tempo, o prima, dovette aver finalmente luogo lo* abbassamento del suolo della valle del bove nel Trifoglietto e poi nella valle di Calanna. Welle convulsioni delle sue eruzioni il vulcano colle scosse de’tremuoli apriva interne fenditure, corrispondenti alla gola da dove innalzavansi le fuse materie laviche; e per mezzo di queste fenditure lo sgorgo delle correnti infuocate facevasi lateralmente e pe’fianchi della montagna. Aprivansi allora i laterali crateri 50 e i monlicelli dei loro coni s’innalzavano sopra il corpo dell’Etna. Gessala la eruzione le fissure resta- van piene del raffreddato materiale di lava ed in forma di dighe traversava la stratificazione a mantello del cono dell’Etna. Spiegasi così facilmente, come in mezzo ad un suolo vulcanico del sistema felspatico, si .trovano tali dighe appartenenti al sistema pirossenico. Uno sprofondamento di suolo poteva tanto appalesare: avvegnaché senza di .questo si sarebbe credulo che i crateri de’ monticelli, i quali s’innalzano sui fianchi della montagna, direttamente provenissero dal gran focolare. Ma la gola del vulcano fu ed è stata sempre una; senza di ciò non sarebbe mai giunto a tanta altezza: e lungi di vedersi nell’Etna una sola montagna conica, un gruppo di monti vulcanici si sarebbe stabilito, o almeno molti centri vulcanici; e .contato avrebbe questo suolo, come que’ tanti da me noverati nel terreno de’ vulcani estinti del vai di Noto (1). Le eruzioni ,del vulcano, come tuttora si segue ad osservare, non eran sempre di lave. L’impeto del vapore, che dal focolare si sviluppa, riduce talvolta a minime parlicelie le infuocale lave che innalzansi nella gola del vulcano: ed in effetto noi veggiamo che ne’ primi istanti di una eruzione, allorché la sua violenza è maggiore, le ceneri in prima, poscia le minute arene, indi le più grossolane, e mano mano il rapillo e le scorie, in seguito poi la lava comincia a sgorgare: che se nel corso della eruzione nuova violenza essa acquista, accrescer nuovamente si vedono le esplosioni e li getti di arene minute, altrimenti (1) Mem. sopra i vulcani estinti del vai di Noto. AltiGioen,. voi. 3. serie 1. 51 comparendo la lava esse diminuiscono sensibilmente, e l’uscita della infuocata corrente è accompagnata da getti di sole scorie e rapillo. Che le arene ed il minuto rapillo siano porzioni della stessa lava che vien fuori infuocata non è da mettere in dubbio ; imperocché si trova, che se la lava è abbondante di piros- sene cristallizzalo, questi cristalli si rinvengono in grandissima quantità mescolati all’arena, come quella dei monti rossi presso JNicolosi: se la lava è felspatica ed- abbondante de’cristalli di quel minerale, essi trove- ransi in copia isolati e misti all’arena, come nel M. Pilieri presso Nicolosi; talché a seconda della maggiore o minore violenza si avranno eruzioni di soli materiali sciolti, o sovrabbondanti almeno, o di correnti di lave con poche materie sciolte. L’ Etna pertanto ha dovuto avere delle prime non poche eruzioni. La schiena dell’asino, le serre del salfizio, i monti di Calanna, Cassone, le cannelle , e poi \e concazze, le finaite di Cerrila ec. più che di lave di materiali sciolti sono costituiti. E di sciolti materiali formata esser doveva ugualmente la parte occidentale del dorso dell’Etna; da dove trascinati giù dalle acque e da altre meteore han lasciato acclive troppo quella parte, che presso a 20 gradi sta inclinata: inclinazione che ha fatto supporre a taluni non aver potuto aver luogo che per sollevamento di quel corpo dell’Etna conica, più di quanto non è in oggi questa montagna una volta, e prima che si sprofondasse la valle del bove: coperta di elevazioni di sciolti materiali, di coni e crateri laterali di eruzioni, doveva presentare una forma più regolare e più integra. Ma la violenza di grandiosa e straordinaria eruzione scuotendone tutta la massa, crollar fece giù negli abissi dei suo focolare la volta che sosteneva la parte orien- \ 52 tale del gran cono, e la valle del bove e del Trifo- glietto in prima e poscia quella di Galanna nacquero f una dopo 1’ altra dallo sprofondamento di quel lato. Si è accennato di sopra quel che accader doveva da tale abbassamento di suolo; quali restarono i pareti; come si scoperse da ciò la struttura dei corpo della montagna; come attraverso delle sovrapposte lave e materiali sciolti apparvero le dighe, che lateralmente eransi introdotte nelle fissure prodotte dagli scuotimenti del terreno nelle violente eruzioni; e dalla direzione di queste di che ben si fé’ chiaro, che, a guisa di tanti raggi, tutte dalla gola del vulcano provenivano, e per tutti i punti della periferia scoperta dirigevansi. Quasi parti di parete orientale dello sprofondamento restarono verso il N.E, la rocca della capra e quella altissima in allora di Musarra ; e verso mezzogiorno lo zoccolaro era in continuazione della linea del parete. Questa gran valle inoltre fece eonoseere come meno abbondante era il sistema felspatico nella massa dell’ Etna; perchè ne’ soli contorni di essa valle pote- vasi scorgere soltanto : e tolta la sezione di sopra annunziata tutto il resto della montagna non presenta che materiali appartenenti al sistema pirossenico. L’abbassamento del suolo per la parte orientale dell’Etna, d’onde le sopra menzionate valli ebbero origine ; le concazze ed altri crateri di laterali eruzioni, fra’ quali i monti Avoltojo, Manfrè, Sona, e tanti altri di simil natura, che nella regione nemorosa e scoperta torreggiano, erano avvenimenti anteriori di molte e molte età a qualunque epoca storica. L’isola nostra sconosciuta anche a* Greci per tanti secoli non fece scriver nulla di se e del vulcauo che vi bruciava sino a’ tempi della venuta delle loro colonie prime j e ha- 53 sta a provar ciò il silenzio di Omero sull’ Etna, che non avrebbe trascuralo certo di rammentare fra’ primi di que’che Orazio chiamava speciosa miracnla. Da’Greci qui giunti si comincia a sapere per tradizioni che oltre agli indigeni e forse favolosi Ciclopi, popoli stranieri, cacciati dalle loro sedi, o giuntivi a caso scorrendo i mari per traffico, vennero ad occupare questa isola, di cui il clima beato ed il suolo ferace dove- van bene invitarli a fermarvi la loro dimora. Eran questi Fenicii, i Trojani ed i Sicani, di cui lo stesso Tucidide poco può riferire; benché negar non potesse elle alla prima venuta delle greche colonie i Sicani ne erano abitatori e molte città ne aveano fondato (1). Si disse che i fuochi dell’Etna (2), o più tosto le ultime eruzioni db’vulcani estinti del vai di Noto (3) fecero loro abbandonare le contrade dell’isola esposte ad oriente e ritiraronsi alle parti occidentali. I Sicoli, altri popoli venuti d’Italia si impadronirono de’ luoghi abbandonati da’Sicani. Eglino furono perciò abitatori delle falde dell’Etna, e molte città vi fabbricarono; segno evidente che questo vulcano non era in quel tempo ardente di continuo, o se lo era le sue eruzioni eran limitate, ed interrotte. I Greci, che da Calcale vennero a stabilire le loro colonie nella plaga orientale dell’Etna, fondarono Nasso, e poscia unironsi a’ Sicoli di Catania, ed a greca città la ridussero. Poco intanto, sino a quell’epoca, si conosceva dell’Etna. I poeti vi favoleggiaron sopra senza certe notizie, e nulla può da essi rilevarsi che alla storia, o alla topografìa del vulcano potesse giovare. Tucidide stesso delle prime eruzioni dell’Etna, che erano a sua (1) Tucid. lib. vi. (2) Diodor. lib. 5. c. T. (3) Mcm. su’ vulcani estimi del vai di Noto—cit. 54 - notizia non altro ci ha lasciato scritto, se non che dalla undecima olimpiade ( 734 av. G.C.) sino alla ot- tanlesimottava ( 425 av. GiC. ) l’Etna mandò torrenti di fuoco in tre tempi distinti (1).- Eusebio riferisce la prima di queste eruzioni all’anno 565 av. G.G. La seconda, per Tucidide, avvenne nella 65 olim. (477 av. G.G.) nel tempo che Xantippo era Arconte in Atene, nell’ anno stesso della vittoria de’Greci sopra Mardonio presso Platea. Questa eruzione è quella appunto de’Fratelli pii, che furono eternati nelle medaglie di Catania. Il mio carissimo fratello, Mario Gem- mellaro, è stato il primo a credere che la origine di questa laterale eruzione era presso Mascalcia e s. Pie- tro-clarenza, nel sito detto Pampio, corrotto forse da Catnpopio , ossia carneo de Fratelli pii: ed invero, se non la origine, il luogo almeno circondato da due braccia di lava non distante molto da Catania ci fa con molta probabilità inclinati a questo parere. La lava corse verso Catania, per s. Giovanni di Gaiermo, coprì in parte la collina di Cifali, in parte lasciò scoperta; giunse sino alle alture de’Benedettini, poi verso il Fortino per ponente e sino alla spiaggja antica del mare ove seno oggi le acque de canali. E questa una delle più antiche lave che siano giunte in questa città. La, terza ed ultima eruzione, menzionata da Tucidide,. accadde nella 88 olimp. (425av. C.G.). Questa sij è creduto per mollo tempo esser derivata dal monte deb Mojo, a tramontana dell’Etna, ma più accurate osservazioni ne han fatto riconoscere la origine neL sito detto Pietramarina sopra Castiglione: percorse essa buon tratto della falda della montagna per quei latoj ma poscia si diresse nella valle, ove scor- (I) Tucid. cit. f 55 reva l’Onobola, e giunse sino a Nasso, estendendo così sino a quel punto l’impero del nostro vulcano. Noi non anderemo ora noverando le varie eruzioni successe a’ tempi storici, che ben lungo lavoro ne è stato già compilato da non pochi nostri colleghi (1), e senza di questo la superfìcie stessa del- 1’ Etna appalesa abbastanza di quante recenti lave è ella aspra a ribocco, e come la sovrapposizione di queste le une alle altre avessero manifestamente accresciuto la sua mole. Le sóle di epoca certa giungono simoggi a 68, e queste si sono sparse per tutti i fianchi della montagna. Noi faremo soltanto menzione di talune che per particolari circostanze meritano le nostre osservazioni. Al riferire di Orosio, sotto i consoli Cecidio Metello e Quinto Flaminio il monte Etna più del solito bruciò, e co’ torrenti del suo fuoco oppresse Catania e i suoi contorni, a segno di restarne bruciati i tetti delle case dalle calde ceneri e sprofondati dal peso; ad alleviare il qual disastro il senato ed il popolo romano alleviaronla per anni dieci dagl’ imposti ret- ligali. Quale si fosse stata questa eruzione tanto vicina a Catania da rovinarne i tetti colle ceneri ancor calde e col doro peso, non si può ben dire. Crede taluno essere stata quella de’monti arsi presso Treme- stieri(2): ma si sa da tutti che que’crateri si riferiscono alla eruzione del 1381. Altri ih a supposto essere avvenuta nell’ altura stessa di Catania, ov’è la casa di Recupero, e l’ospedale di s. Marta: ma nè (1) Ferrara cav. Francesco. Maravigna =cav. Carmelo. Alessi canon, cav. Giuseppe. (2) Meni, sopra l’eruzione dell’Etna segnata da Orosio.. Atti Gioen. voi. x. serie prima. 156 anche questa è opinione ammissibile, appoggiata essendo a non altro che al rinvenimento di scorie e rapido in quel sito; e noi abbiamo altrove fatto conoscere non esser ciò sicuso indizio di cratere (1); e per altro è provato quasi che quella lava dee riferirsi alla eruzione de’Fratelli pii; inoltre l’altura di Catania è intieramente di gres ed argilla: e quella lava vi è soltanto corsa di sopra, alterandone in qualche sito i materiali componenti, e convertendoli in ler- mantide, e in ghiaja rossa. A me pare che il voler tanto avvicinare a Catania questa eruzione nasce dal modo di interpetrare il passo di Orosio. Questi a dir vero non di Catania soltanto ma de’suoi contorni devastati dallo incendio favella: « lorrenlibus igneis super fusis lateque circumfluenlibus Caimani iirbem fì- nesque ejus oppressil (2). » Le case bruciate quindi dalle calde ceneri potevan, più naturalmente, esser quelle de’contoni, e non già quelle di Catania; ad opprimer la quale era bastante il torrente della lava. L’averla il senato romano esentata dalla prestazione de’ veltigali per anni dieci, non toglie che fatto lo avesse pe’ danni avvenuti alle vicine campagne, dalle quali traevano i Catanesi non poca porzione di loro sussistenza. Ma lasciamo le interpetrazioni degli scrittori, e riflettiamo più tosto, che una eruzione dell’ Etna non può aver luogo che in que’ siti de’ suoi fianchi che sono costituiti di correnti di lave o di materiali vulcanici da capo a fondo. Imperocché, replicando quanto le mille volte ci è toccato di dire, il focolare dell’Etna non ha che una sola gola aperta: da questa, nel (1) Sulla varietà di superfìcie delle lave ec. Atti Giuen. voi. xix. serie prima. (2) Orosio lib. 5. c. 43. 57 tempo che la infuocata lava vi si innalza, per aperti meati per fìssure o per sotterranee gallerie la fusa materia si fa strada pe’fianchi della montagna e viene a scaturire al di fuori. Ove però il terreno vulcanico finisce e le nettuniche formazioni sono stabilite, ivi non può succedere il filtramento di fusa lava dalla gola centrale ; e può ciò soltanto verificarsi in altro modo, quando cioè dal focolare vulcanico un’ altra gola si aprisse lontana da quella centrale; ed allora indipendente da essa verrebbe a formare un isolato vulcano indipendente dall’Etna, come la rupe di Paterno, e quella della Motta. Ma tali apparenze non presenta per nulla la collina di Catania, come di sopra si è detto. Quale si fosse poi la vera origine della lava di cui Orosio fa menzione è difficile poter dire ; ma nulla di più facile che un’altra eruzione l’avesse coperto co’ suoi materiali : nè mancano intorno a Catania correnti antiche di lava che fossero giunte nell’ abitato ; non si fabbrica anzi al dì d’oggi edifìzio, i di cui fondamenti non si appoggino a corsi di lave coverte di terra e di rottami di fabbriche. Nell’ istes- so modo tutto quel tratto di suolo lavico che da Catania estendesi senza interruzione sino ad Aci-castel- lo, e che forma un littorale di nere lave, si vede bene esser formato da varie correnti, che son venute da’fianchi dell’Etna. Ma quali ne sono i crateri? Si guardi un poco verso la zona nemorosa ove una corona di crateri estinti in forma di conici monticelli, ne attornia il fianco, e si vedrà' come da questi appunto, ancorché al presente verdeggianti di rigogliosa vegetazione avran dovuto scaturire tante correnti e di non poca estensione, se essa corrisponder debbe alla durata della eruzione, e se questa durata è facile a riconoscersi dalla massa del materiale rigettato in 8 58 forma di arene di rapido e di scorie, che costituiscono i monticelli conici de’ crateri ora spenti. Come per la parte di mezzogiorno, così per tutto il tratto delle falde dell’ Etna, si scorgono crateri di cui le eruzioni non si conoscono, perchè o non rammentate dalla storia, o perchè non se ne è indicato il sito. Eppure que’ monticelli, e non son pochi, sono l’infallibile testimonianza di eruzioni significantissime, e quindi di correnti di lava venute fuori in epoche distinte. Nel 1381 da’monti arsi presso Mascalucia e Tre- mestieri una eruzione ebbe luogo ; e la lava che ne scaturì si ammontò sopra di quella che seppellì il Porto Ulisse, e vi esiste attualmente quasi del tutto sgombra e priva di vegetazione, sotto il nome di scia- ra del Crocifisso di Lognina. In questa eruzione più che in altra si rese evidente il sotterraneo corso della lava, la quale dalla gola centrale del vulcano per laterale fissura scendeva sotto il fianco della montagna. Risalendo infatti dai monti arsi verso l’alta regione dell’Etna una fenditura del suolo per qualche miglio di lunghezza vedesi aperta. Tale fenditura si aprì nel tempo di quella eruzione mandando arene e scorie in alto, nel tempo che la fusa corrente andava a scaturire a piedi dei monti arsi, che formavansi da’ continui getti de’ materiali sciolti. I pareti sin’ ora veggonsi incrostati di scorificata lava, quasi che avessero essi sofferto una semivitrificazione, a causa dell’intenso calore della scorrente lava infuocata. Questa grande fenditura, al presente poco profonda, a causa de’materiali cadutivi entro, si appella li Cavoli. Più di un fatto poco dissimile da questo rapporta il mio sullodato fratello (1), che a confermar vale sempre più la sua idea, cioè, che tutte le lave nell’Etna dal focolare ascendono per la gola del vulcano, e per laterali meati s’introducono ne’ fianchi della montagna, e vengon fuori formando nuovi crateri. Nei 1536 con fenomeni non ordinari e con violenza terribile 1’ Etna mandò fuochi pel lato orientale ed occidentale; da questa parte una spaziosa lava minacciava la totale rovina di Bronte ed Àdernò, e fra le due città, ingombrando vasta estensione di terreno boschivo, discese sino al fiume Simeto, ne interruppe il corso e passò ad occupare buon tratto di terreno di Spanò e di Carcaci. In questa lava è rimarchevole il passaggio che il fiume vi si è fatto, ripigliando sopra di esso il suo corso, e lasciandone buona porzione ne’ menzionati siti di Spanò e di Carcaci. Quivi, come il Reno pel tratto di Via mala, il Simeto scorre in istruissimo letto tutto di lava, ora solidissima, ora in grosse masse ammontata. Ne’siti della prima il letto del fiume oltre ad esser ristretto di mollo, presenta una superficie levigatissima: ove però abbondano le masse, ivi il letto è spazioso e sparso di scogli e blocchi isolati di varia dimensione, finche giunto al termine del fianco della corrente, le acque si precipitano con una caduta di ben cento piedi circa, e quel sito si chiama salto dì Pulicello. Questo fenomeno, benché non ordinario, è facile a comprendersi da chicchesia: eppure è stata materia di discussione a’geologi, i quali dal logoramento del letto de’ fiumi ricavano resultamenti di grande importanza. Certo che a guardare il letto del Simeto dal ponte di Carcaci in poi, quasi intieramente scavato (1) Mem. sulla Eruzione del 1809—Nota 8. Messina 1810. 60 nella lava dà a dubitare che nel corso di soli Ire secoli si fosse potuto formare. Se si riflette però alle operazioni che avran dovuto eseguire le acque, prima di ridursi al corso attuale, non farà più meraviglia il vederle ristrette in cosi augusto letto. Tagliato infatti il loro corso ed obbligate a fermarsi, per l’argine opposto ad esse dal fianco della nuova lava, cu- mulavansi alzando mano a mano il loro livello, finche giunsero a superar quello della superfìcie della corrente etnea. Quivi cominciarono esse a scorrere urtando contro quell’ asprissima superficie, ed ora ne rompevano e ne staccavano le masse, ora precipita- vansi fra le cave e le fissure della lava, ora ne allagavano le parti piu basse, ora sormontavano le alture, finche giunsero a precipitarsi dal lato opposto della lava. Quivi cominciò il lavoro del logoramento di essa lava: e trascinando giù tutte le rocce mobili del margine un primo avvallamento formossi d’ onde con empito precipitavansi le acque. Verificatasi tale rotta era necessaria conseguenza che andasse sempre allungandosi indietroggiando: e quanto più dall’attrito continuo di aspri materiali infossavasi l’avvallamento, tanto più rapide vi venivano a scorrere le acque. Queste accresciute poi ne’ tempi piovosi, maggior quantità di materiale lavico trascinavano in giù, che passando a strisciare sulla solida lava la solcavano, profonda tanto più quanto maggiore ne era la quantità, e più spesso il passaggio, finché giunte al corpo solido della lava ne fecero il suolo del loro letto le acque del Simeto: e forse non si sarebbero tanto addentrate nella lava se mancato avessero i materiali che mescolati con essi strisciavano sul suolo del letto: ma questi non potevano venir meno dal pendìo di una montagna formata di lave di scorie e di sciolti ma- 61 leriali. I tributari]’ torrenti del Simeto che provengono da’ fianchi dell Ftna non han mancato mai di trascinarvi quanto han potuto strappare dal terreno che percorrono, epperò mai interroto è stalo lo strascico delle pietre sulla lava che ha servito di letto al Simeto per tre secoli. Ciò basta, cred’ io, perchè non si metta più difficoltà di mezzo a concedere che quel corso di anni era sufficiente a ridurre nello stato attuale la corrente del 1536 traversata dal Simeto. JNel 1669 non mancavano diligenti osservatori, e scrittori accurati. La eruzione di quell’anno rinomata per la sua grandiosità e pe’ danni recati a tanti Comuni ed a Catania stessa, rimase però celebre per le tante notizie che se ne scrissero da nazionali ed esteri. I varii fenomeni che 1’ accompagnarono meriterebbero particolar menzione: ma già troppo se ne è detto; ed io mi limito a rammentare che in essa altre prove si ebbero della laterale intrusione della lava infuocata, dalla gola del vulcano, attraverso i fianchi della montagna. Prima che sboccasse ella presso INicolosi, per una linea di cinque miglia circa in sopra, circa dodici sventatoi eruttanti fumo arene e scorie cominciando dalla regione deserta aprironsi in successione accanto al M. Pinirello, la Sona, e dietro la Fusara. In quest’ultimo sito se ne possono ben osservare tre, in una più antica lava, appartenente al mio fratello Carmelo Gemmellaro, ed altre due più in là: e finalmente la fossa delle colombe colle sue tre gallerie, profonda 130 piedi, è uno de’maggiori sven- taloi di che si parla. La estensione di paese ingombrato da questa lava è vastissima: e la potenza dello strato della lava è d’una altezza media di piedi 60. Quella parte sola che occupa il lato meridionale del contorno di Catania 26 fa meraviglia per la sua asprezza e vastità; eppure essa non è certo la centesima parte di tutta quella formidabile corrente. Giunta essa alle mura di Catania passò a fiancheggiarle, e le superò in varii punti. Se ne vedono in oggi i rapporti nel così detto pozzo di vela, dacché fu appianata quella parte della corrente che circondalo aveva il Castello Orsino, in oggi Forte Ferdinando. Io non so sotto qual punto di vista sia stato riguardalo da molti geologi stranieri il rapporto della lava colla muraglia delle città, nel detto pozzo di vela. Quel che si osserva si è un resto di fianco della lava, composto di otto strati apparenti, i quali appoggiansi alla muraglia sino a sei delle stratificazioni, mentre le due ultime avendola superato si versano entro la città: non può dirsi sino a quale distanza, perchè in oggi tutto quel contorno è ingombro di fabbriche. La muraglia è intatta: il cemento che trattiene i grossi pezzi da taglio di iava non è per nulla alteralo, molto meno Io sono i pezzi stessi, e la stessa fabbrica del Castello Orsino, a contatto del potente strato di lava, che vi si era addossato, non era nè anche alterata. Quel che altri da questi fatti possa rilevare di particolare io non so dire: per me altro in ciò non veggo se non che una corrente di lava che urta di fianco una muraglia col primo suo strato, al quale vien sopra il secondo, che versa in prima le scorie della sua superficie sopra quella del primo strato e vi si stabilisce in seguito: il terzo in ugual modo si ammonta sul secondo, e così via via sino al settimo, il quale trovando li sottoposti strati già a iivello della muraglia, scorre sopra gli uni e f altra e si versa dentro la città. Farebbe meraviglia come dal contatto di una 63 massa tale di lava infuocata, nessuna alterazione risentissero le fabbriche, se poi il gres, l’argilla ed i materiali del terreno terziario ove la stessa corrente è passata sono rimasti alteratissimi, come di sopra si è detto. Ma non è la stessa la circostanza della fabbrica che la lava viene a toccare colle parti sue scori- fìcate, non già colla massa fusa, e che ammette per conseguenza una corrente d’ aria fra essa massa e la muraglia, e la circostanza di un terreno attorniato e coverto da tutta la massa della lava infuocata. Ed a questa corrente d’ aria fra la massa della lava e la fabbrica si deve il nessun danno sofferto dal monastero de’ Benedettini invaso per due lati da questa stessa lava del 1669. La eruzione del 1838 ebbe di particolare il placido innalzamento della fusa lava nella gola del vulcano, la mancanza delle scosse di tremuoto che accompagna le ordinarie eruzioni, quella de’ novoloni di arene che precedono ed accompagnano lo sgorgo della lava, la pesantezza de’ materiali rigettati, superiore a qualunque delle scorie ordinarie, ed il lento proceder della corrente. Tutti questi fenomeni indi cavano che poca parte avea la forza del vapore in questa eruzione, e che la lava veniva sopra per semplice effervescenza del suo infuocato materiale. Per lo che, in una mia memoria(l), io veniva a conchiudere che i fenomeni rumorosi delle eruzioni sono effetti de’ vapori che svolgonsi dal bruciante focolare, per lo accesso delle acque che in mille modi può avervi luogo; che la lava non s’innalza per la sola forza de’ vapori e de’ gas, ma che può anche sollevarsi sino al cratere, (1) Meni, sulla Eruz. del 1838 letta alle presenza di Febdihawdo ii— Catania 1838. 64 - per propria effervescenza ed espansione; e che non è oramai difficile il concepire lo innalzamento delle rocce pirogeniche attraverso di altri terreni senza esplosioni e senza formazion di cratere. Ma tempo è di raccorre, da quanto si vien di osservare, un resultamento che darci possa 1' idea di quel che può conchiudersi geologicamente intorno alla costituzione fisica del nostro Etna. Dacché, sotto l’impero delle acque, i terreni secondarii di Sicilia addossavansi al gruppo del terreno talcoso da una parte, estendevansi dall’ altra verso la parte meridionale, il basalto spuntava attraverso di quel terreno, ancor sottomarino, nel vai di Noto e negli scogli de’Ciclopi. I fuochi sotterranei si fecero strada in seguito nel seno di questa roccia, e vulcani sottomarini alternarono le loro correnti colle antiche formazioni del calcario ibleo nel vai di Noto. Nello spazio intanto che avea per limite la carriera basaltica de’ Ciclopi a mezzogiorno e la secondaria formazione a tramontana e ad occidente un vulcano sottomarino si apriva, quasi embrione dell’Etna. Il suo focolare toccava due formazioni di rocce; le felspatiche a nord, le basaltiche a sud, ed a seconda del lato ove più agivano i fuochi, le correnti del nuovo Etna erano ora felspatiche, ora basaltiche. Ingrandivasi egli sottomarino, finché ingrossando grado grado la sua mole, venne ad alzare il suo cratere fuori delle acque ed in forma d’isola vulcanica apparve quasi nel centro di un gran semicerchio di colline secondarie, che il ritiro delle acque cominciava a scoprire. Una corrente di materiali strappati da’ già formati terreni veniva dalla parte occidentale, ossia dalla massa principale della isola, e stabiliva intorno all’Etna la formazione terziaria di gres ed argilla, la quale 65 non prima manifestassi, che le acque per la seconda volta non si ritirassero; ma lasciarono scoperto però il lato orientale dell’ Etna, non avendo potuto per intero circondarla, per l’ostacolo che alla loro corrente opponeva la massa stessa del nuovo vulcano. Questa formazione servì di base e di suolo al corso delle continue lave che da quel cratere provenivano : ed al totale ritiro delle acque, fino all’ attuale loro livello si vide una montagna vulcanica che si elevava sopra le proprie rocce non solo, ma che andava occupando un terreno nettunico, il quale perire lati l’avea circondata: la carriera basaltica de’ Ciclopi ne era stata abbracciata e coverta, nel tempo stesso che coeve formazioni terziarie, benché calcaree quasi tutte, fa- cevan lo stesso nelle rocce basaltiche del vai di Noto, cominciando dall’Agnone. I materiali appartenenti al sistema felspatico furono più abbondanti nella parte orientale dell’ Etna, per quanto può osservarsi. Ma nel resto è predominante il pirossenico sistema. 11 primo inoltre è così sconcertato e travolto, che in pochi punti se ne può seguire la traccia. Imperocché, per una tragrande convulsione vulcanica, un sesto circa del cono dell’ Etna sprofondò e produsse una immensa vallata piena di rupi rovesciate, o inclinate, o isolate, o unite a ben altre; e gli stessi pareli scoscesi e diruti furono in modo lasciati da far credere essere stati effetto di ben altri fenomeni. Ma questa stessa vallata, avendo scoperto la struttura del corpo della montagna, non ha lasciato più dubbio a conchiudere, che essa si è tanto ingrandita, sviscerando materiali dal suo focolare, e versandoli intorno alla sua gola in forma di mantelli, i quali addossati uno sull’ altro, a guisa di tante tuniche, hanno via via accresciuta la mole di questa colossale vulcanica montagna.