L'Europa avrà mai il 6G? - Will Europe ever have 6G?

L'Europa avrà mai il 6G? - Will Europe ever have 6G?

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Pubblichiamo la trascrizione della puntata del podcast TuttoConnesso.

Potete ascoltare il podcast sul web: www.tuttoconnesso.it

o su tutte le piattaforme podcast.

Trascrizione

Lorenzo Paletti Io sono Lorenzo Paletti, con me c’è Luca Dell’Anna e questo è Tutto Connesso, un podcast del Politecnico di Milano. In questi mesi verrà normato l’utilizzo delle frequenze per il 6G, ma chi si occupa di definire quali frequenze saranno utilizzate? E perché? Questo potrebbe creare problemi nell’uniformare l’uso dello spettro a livello globale? Ne parliamo con Antonio Capone, docente di telecomunicazioni al Politecnico di Milano. Ciao Antonio.

Antonio Capone Ciao Lorenzo, ben trovato.

Lorenzo Paletti E con noi c’è anche Luca Dell’Anna, esperto di reti di telecomunicazione. Ciao Luca.

Luca Dell’Anna Ciao Lorenzo, ciao Antonio.

Lorenzo Paletti Antonio, nelle scorse puntate abbiamo spiegato che lo spettro radio è una risorsa pubblica organizzata e gestita a livello internazionale e regionale. Fuori dalla “bolla” degli addetti ai lavori, però, non è sempre semplice capire come funzioni. Partiamo dalle basi: ricordiamo cos’è lo spettro, chi prende le decisioni e perché la scelta delle bande è così importante per il 6G.

Antonio Capone Come definizione di base, lo spettro radio è l’insieme delle frequenze alle quali può oscillare il campo elettromagnetico. Da quando esistono applicazioni umane che usano le onde elettromagnetiche, è stato necessario regolamentarne l’uso: le onde, propagandosi, possono interferire tra loro. Se io uso una certa frequenza per un sistema di comunicazione e qualcun altro la usa per un altro sistema o per scopi diversi, i segnali interferiscono. Questa esigenza ha portato a definire regole che consentono la coesistenza di sistemi diversi. A livello pratico, le esigenze tecnologiche si intrecciano con la sovranità degli Stati nel decidere come usare lo spettro sul proprio territorio. In linea di principio un Paese può stabilire gli usi interni, ma le onde non si fermano ai confini: servono quindi accordi tra Paesi per regolarne l’uso internazionale. I problemi riguardano non solo le interferenze transfrontaliere o verso lo spazio (come per i satelliti), ma anche gli standard tecnologici: i produttori e gli organismi di standardizzazione definiscono le caratteristiche dei sistemi in base agli accordi internazionali sullo spettro. Per questo esiste l’ITU, International Telecommunication Union, agenzia delle Nazioni Unite a cui aderiscono quasi tutti i Paesi ONU, che regola l’uso delle frequenze tramite accordi e trattati. L’ITU organizza ogni quattro anni la World Radiocommunication Conference (WRC)—l’ultima nel 2023, la prossima nel 2027—dove i rappresentanti dei Paesi definiscono le regole per l’uso dello spettro. L’ITU divide il mondo in tre regioni con regole in parte indipendenti, poi armonizzate. L’Europa è nella Regione 1, insieme ad altri Paesi dell’area euro-afro-asiatica. All’interno della Regione 1, in Europa, operano anche organismi sovranazionali: l’Unione Europea si coordina con gli altri Paesi europei nel CEPT, e ha un organo consultivo, l’RSPG(Radio Spectrum Policy Group), che orienta l’armonizzazione dello spettro tra gli Stati membri. La sovranità è condivisa tra UE e Stati, e questa ripartizione di competenze ha spesso complicato l’adozione di politiche davvero uniformi—lo si è visto col 5G, dove, nonostante bande “comuni”, licenze e usi sono stati disomogenei. Ora, per il 6G sta partendo la standardizzazione nel 3GPP, come avvenne per il 5G, e si torna a discutere di politiche di spettro. Già alla WRC-23 si sono avviati i posizionamenti per capire quali porzioni di spettro le diverse regioni potranno usare per il 6G.

Lorenzo Paletti In Europa molte bande hanno vincoli importanti. Guardando ai prossimi sviluppi, la banda sopra i 6 GHz sembra promettente; però negli Stati Uniti parte di quella banda è già destinata ad altri usi. Rispetto ad altre opzioni, cosa comporta usare la banda sopra i 6 GHz in termini di copertura, capacità e servizi? E pensi sia possibile armonizzare il 6G tra Europa e Stati Uniti considerando queste differenze?

Antonio Capone La banda intorno ai 6 GHz è molto ampia: circa 1,2 GHz di spettro, più di quanto finora impiegato per molti sistemi di comunicazione. Non è “nuova” in senso stretto: è già stata resa disponibile per vari usi anni fa, quindi sfruttabile dal 5G e, a maggior ragione, dal 6G. Si divide in due porzioni: la Lower 6 GHz (circa 5,9–6,425 GHz) e la parte subito sopra fino a 7,125 GHz. Queste due metà hanno avuto storie diverse perché sono state tra le prime candidate per le reti locali (Wi-Fi). La porzione bassa, in Europa e negli Stati Uniti, è già destinata alle reti locali—il Wi-Fi 6E la utilizza. Negli Stati Uniti, nel 2022, la FCC ha allocato anche la parte alta per usi non licenziati, così il Wi-Fi può potenzialmente usare tutti i 1,2 GHz disponibili. In Europa, invece, sulla parte alta la decisione finale non è stata ancora presa: si discute tra uso mobile e uso per reti locali; restano da definire regole e condizioni. Se ne discute molto perché altre frequenze potenzialmente utili al 6G, in Europa, presentano difficoltà.

Luca Dell’Anna Antonio, diverse bande candidate per il 6G sono già usate da sistemi di comunicazione per la difesa o dalla pubblica amministrazione. In passato si è trovato un compromesso, per esempio imponendo limiti di emissione e creando zone di esclusione. Oggi però il clima geopolitico è più teso. Quali sono i vincoli più critici per la condivisione dello spettro tra applicazioni così diverse? Si può immaginare un meccanismo di sharing che funzioni senza compromettere sicurezza e sviluppo del 6G?

Antonio Capone Questo è il punto chiave. Le generazioni successive delle reti mobili hanno sempre ottenuto nuove allocazioni di spettro: i meccanismi internazionali richiedono ordine nella gestione e, nel tempo, si è assegnato più spettro sia per la crescita del traffico sia per separare le generazioni. Per il 6G si è delineato un intervallo ampio, il FR3 (Frequency Range 3), circa 7–15/16 GHz: più alto delle bande finora usate per il radiomobile, con maggiori problemi di propagazione e penetrazione indoor su cui la ricerca sta lavorando. Il nodo è che le porzioni specifiche di FR3 candidate al 6G per la Regione 1 (Europa) sono—per molte—di uso militare, in particolare NATO. In passato bande militari sono state riassegnate o condivise con il civile, spostando sistemi o definendo aree di interdizione. Oggi, con la guerra in Ucraina e l’attenzione alla sicurezza, spostare i sistemi militari pare quasi impossibile. Il rischio per l’Europa è enorme: Stati Uniti e Cina potrebbero standardizzare il 6G su frequenze per loro non critiche, mentre l’Europa rischia di non avere spettro adeguato. Ecco perché è importante preservare, ad esempio, la parte alta dei 6 GHz per uso radiomobile: tra 4–5 anni potremmo avere standard e apparati pronti, ma nessuna strategia chiara di spettro in Europa. Ciò aggraverebbe il gap competitivo con Stati Uniti e Cina.

Luca Dell’Anna Restando su questo tema: i nostri operatori hanno lanciato il 5G con qualche difficoltà. Con il passaggio al 6G, dovranno sostenere costi per nuove bande e capacità di rete. Quali soluzioni possono garantire una diffusione reale e la sostenibilità economica delle reti?

Antonio Capone In Europa la situazione economica degli operatori è critica: faticano a trasformare il progresso tecnologico in crescita dei ricavi, riducendo la capacità d’investimento. In Paesi come l’Italia hanno pagato molto per le licenze 5G, erodendo ulteriormente le risorse. Inoltre, in vari Paesi europei (Italia inclusa) alcune licenze storiche scadranno nel 2029: c’è il timore che i governi, in difficoltà di finanza pubblica, “facciano cassa” facendo pagare caro sia i rinnovi sia le nuove licenze. Per questo gli operatori sono prudenti nel chiedere nuove bande: temono che l’interesse venga usato come pretesto per aumentare gli oneri. È comprensibile dal loro punto di vista; meno comprensibile è l’esitazione degli organismi europei nel prendere decisioni di medio periodo. Se nei prossimi 4–5 anni non si definiscono scelte di spettro chiare e comuni, il gap competitivo rischia di aumentare. Bisogna “inventare” qualcosa: politiche comuni che riducano barriere e costi, e strumenti che permettano a chi opera sul mercato di investire in nuove tecnologie. Non è detto che lo scenario peggiore si avveri, ma è una possibilità concreta: potremmo scoprire che l’uso civile è incompatibile con i sistemi militari su porzioni chiave di spettro.

Lorenzo Paletti Questo è il momento in cui il 3GPP definisce le caratteristiche del 6G: nei prossimi mesi si prenderanno decisioni che influenzeranno le reti per anni. Quale strada può seguire l’Europa? E quali rischi corriamo se arriviamo tardi sulle decisioni di spettro? Il rischio è di non poter sviluppare un’infrastruttura che risulterebbe cruciale per lo sviluppo digitale.

Antonio Capone Il rapporto Draghi ha mostrato chiaramente che il gap di competitività e produttività con gli Stati Uniti è dovuto in gran parte ai servizi digitali. Le infrastrutture abilitanti vanno quindi trattate come priorità di policy e investimento pubblico. Con il 5G l’Europa non ha brillato: niente vera politica comune, licenze molto costose in alcuni Paesi e molto meno in altri, con disparità tra operatori. Serve una politica di spettro comune per abbassare le barriere che oggi impediscono un mercato unico europeo delle telecomunicazioni—tema messo bene a fuoco anche nel rapporto Letta. Mercato unico significa norme condivise e stesse bande con stesse regole in tutti i Paesi: così un operatore può lavorare su più mercati e i costruttori possono offrire soluzioni valide ovunque, cosa che oggi col 5G spesso non avviene. Sul fronte tecnologico, invece, si parla molto di spectrum sharing. Finora le sperimentazioni (per esempio lo spettro condiviso per reti private 5G negli USA) si sono basate soprattutto su separazioni geografiche: utili, ma non rivoluzionarie. Ora la ricerca punta a meccanismi intrinseci nella tecnologia per gestire dinamicamente lo spettro tra sistemi diversi, evitando l’uso esclusivo a un solo operatore. Non è banale “confinare” le onde, ma è possibile, ad esempio, con sistemi di antenna capaci di cancellazione d’interferenza, rendendo compatibili scenari che oggi non lo sono. Anche al Politecnico di Milano stiamo lavorando in questa direzione, sfruttando sistemi multi-antenna (massive MIMO)in ottica di condivisione dello spettro. È una strada promettente, che differenzia le reti mobili da tecnologie più economiche come il Wi-Fi: sulle reti mobili ha senso investire in antenne sofisticate, su un access point Wi-Fi no. Perché funzioni, però, serve un mix di soluzioni tecnologiche e strategie politiche e commerciali allineate. È fondamentale più consapevolezza nei decisori: fissati alcuni paletti sull’uso dello spettro, la ricerca saprà trovare soluzioni adeguate.

Lorenzo Paletti Grazie mille ad Antonio Capone, docente di telecomunicazioni al Politecnico di Milano, e grazie a te, Luca.

Antonio Capone Grazie a te, Lorenzo. A presto.

Lorenzo Paletti Potete inviarci domande o suggerimenti all’indirizzo indicato nelle note dell’episodio. Ci sentiamo la prossima settimana con Tutto Connesso.


Transcript

Lorenzo Paletti I am Lorenzo Paletti, with me is Luca Dell’Anna, and this is Tutto Connesso, a podcast from the Politecnico di Milano. In the coming months, the use of frequencies for 6G will be regulated. But who decides which frequencies will be used? And why? Could this create problems in harmonizing spectrum usage globally? We’ll discuss it with Antonio Capone, professor of telecommunications at the Politecnico di Milano. Hi Antonio.

Antonio Capone Hi Lorenzo, good to be here.

Lorenzo Paletti And with us is also Luca Dell’Anna, expert in telecommunication networks. Hi Luca.

Luca Dell’Anna Hi Lorenzo, hi Antonio.

Lorenzo Paletti Antonio, in past episodes we explained that the radio spectrum is a public resource, organized and managed at international and regional levels. But outside the “bubble” of insiders, it’s not always easy to understand how it works. Let’s start with the basics: let’s recall what the spectrum is, who makes the decisions, and why the choice of bands is so crucial for 6G.

Antonio Capone As a basic definition, the radio spectrum is the set of frequencies at which the electromagnetic field can oscillate. Since the first human applications using electromagnetic waves, it has been necessary to regulate their use: waves propagate and can interfere with one another. If I use a certain frequency for a communication system and someone else uses it for another system or for different purposes, the signals interfere.

This need led to the creation of rules that allow different systems to coexist. In practice, technological requirements intertwine with the sovereignty of States in deciding how to use spectrum on their territory. In principle, a country can set internal uses, but waves don’t stop at borders: international agreements are therefore needed to regulate cross-border usage.

The issues involve not only cross-border or satellite interference, but also technological standards: manufacturers and standardization bodies define system characteristics based on international spectrum agreements.

That’s why the ITU, the International Telecommunication Union, exists— a United Nations agency with nearly all UN countries as members. It regulates frequency use through agreements and treaties. The ITU organizes the World Radiocommunication Conference (WRC) every four years— the last one was in 2023, the next will be in 2027— where country representatives define spectrum usage rules.

The ITU divides the world into three regions with partly independent, later harmonized, rules. Europe is in Region 1, together with other countries in the Euro-Afro-Asian area. Within Region 1, in Europe, supranational bodies also operate: the European Union coordinates with other European countries within CEPT, and has an advisory body, the RSPG (Radio Spectrum Policy Group), which guides spectrum harmonization among Member States. Sovereignty is shared between the EU and States, and this division of powers has often complicated truly uniform policies— as seen with 5G, where, despite “common” bands, licenses and uses varied significantly.

Now, for 6G, standardization is starting within 3GPP, as it did for 5G, and spectrum policies are back on the table. Already at WRC-23, positioning began to determine which spectrum portions the different regions could use for 6G.

Lorenzo Paletti In Europe, many bands have strong constraints. Looking ahead, the band above 6 GHz seems promising; however, in the United States part of that band is already assigned to other uses. Compared to other options, what does using the band above 6 GHz entail in terms of coverage, capacity, and services? And do you think it’s possible to harmonize 6G between Europe and the United States given these differences?

Antonio Capone The band around 6 GHz is very wide: about 1.2 GHz of spectrum, more than what many communication systems have used so far. It’s not “new” strictly speaking: it was made available for various uses years ago, so it can already be exploited by 5G and even more by 6G.

It’s divided into two parts: the Lower 6 GHz (about 5.9–6.425 GHz) and the portion immediately above up to 7.125 GHz. These two halves have had different histories because they were early candidates for local networks (Wi-Fi). The lower portion, in both Europe and the US, is already allocated to local networks— Wi-Fi 6E uses it. In the US, in 2022, the FCC also allocated the upper part for unlicensed uses, so Wi-Fi can potentially use the full 1.2 GHz available.

In Europe, instead, the final decision on the upper part has not yet been taken: there’s an ongoing debate between mobile use and local networks; rules and conditions are still to be defined. The discussion is intense because other frequencies potentially useful for 6G, in Europe, face major difficulties.

Luca Dell’Anna Antonio, several candidate bands for 6G are already used by defense systems or public administration. In the past, compromises were reached, for instance by imposing emission limits or creating exclusion zones. But today the geopolitical climate is more tense. What are the most critical constraints for spectrum sharing among such different applications? Can we imagine a sharing mechanism that works without undermining security and 6G development?

Antonio Capone That’s the key issue. Each successive mobile generation has always been granted new spectrum allocations: international mechanisms require order, and over time more spectrum has been assigned both for traffic growth and to separate generations.

For 6G, a broad range has been identified, FR3 (Frequency Range 3), roughly 7–15/16 GHz: higher than the bands used so far for mobile, with more propagation and indoor penetration issues, which research is addressing.

The problem is that the specific FR3 portions proposed for 6G in Region 1 (Europe) are— for many of them— military bands, especially NATO. In the past, military bands were reassigned or shared with civilian use, moving systems or defining exclusion areas. Today, with the war in Ukraine and heightened security concerns, moving military systems seems almost impossible.

The risk for Europe is enormous: the US and China could standardize 6G on frequencies not critical for them, while Europe may lack suitable spectrum. This is why it’s so important to preserve, for example, the upper part of the 6 GHz band for mobile use: in 4–5 years we may have standards and equipment ready, but no clear spectrum strategy in Europe. That would widen the competitive gap with the US and China.

Luca Dell’Anna Staying on this topic: our operators launched 5G with some difficulties. With the move to 6G, they’ll face costs for new bands and network capacity. What solutions could ensure real deployment and the economic sustainability of networks?

Antonio Capone In Europe, operators’ economic situation is critical: they struggle to turn technological progress into revenue growth, which reduces investment capacity. In countries like Italy, they paid heavily for 5G licenses, further eroding resources.

Moreover, in several European countries (including Italy) some historical licenses will expire in 2029: there’s concern that governments, facing fiscal pressures, will “cash in” by charging heavily both for renewals and for new licenses. For this reason, operators are cautious in requesting new bands: they fear their interest will be used as a pretext to raise fees.

This is understandable from their perspective; less understandable is the hesitation of European bodies to take medium-term decisions. If clear, common spectrum policies aren’t defined in the next 4–5 years, the competitive gap risks widening. We need to “invent” something: common policies to reduce barriers and costs, and tools that allow market players to invest in new technologies. The worst-case scenario is not inevitable, but it’s a concrete possibility: we may find that civilian use is incompatible with military systems on key spectrum portions.

Lorenzo Paletti This is the moment when 3GPP is defining 6G specifications: in the coming months, decisions will be made that will shape networks for years. What path can Europe take? And what risks do we face if we’re late with spectrum decisions? The risk is being unable to develop an infrastructure that would be crucial for digital growth.

Antonio Capone The Draghi Report showed clearly that the competitiveness and productivity gap with the US is largely due to digital services. Enabling infrastructures must therefore be treated as policy and public investment priorities.

With 5G, Europe didn’t shine: no true common policy, very expensive licenses in some countries and much cheaper in others, with disparities among operators. A common spectrum policy is needed to lower the barriers that today prevent a genuine European single telecom market— a point well emphasized in the Letta Report.

A single market means shared rules and the same bands with the same regulations across all countries: then an operator can work across markets and vendors can offer solutions valid everywhere— something that, with 5G, often doesn’t happen.

On the technology side, spectrum sharing is being discussed widely. So far, experiments (like shared spectrum for private 5G networks in the US) have mainly been based on geographic separation: useful, but not revolutionary.

Now research focuses on intrinsic technological mechanisms to dynamically manage spectrum across different systems, avoiding exclusive use by a single operator. It’s not trivial to “confine” waves, but it’s possible, for example, with antenna systems capable of interference cancellation, making scenarios compatible that today are not.

At the Politecnico di Milano, we’re working in this direction too, leveraging multi-antenna systems (massive MIMO) for spectrum sharing. It’s a promising path that differentiates mobile networks from cheaper technologies like Wi-Fi: for mobile networks it makes sense to invest in sophisticated antennas, for a Wi-Fi access point it doesn’t.

For it to work, though, a mix of technological solutions and aligned political and commercial strategies is needed. Greater awareness among decision-makers is essential: once some boundaries for spectrum use are set, research will find suitable solutions.

Lorenzo Paletti Many thanks to Antonio Capone, professor of telecommunications at the Politecnico di Milano, and thank you too, Luca.

Antonio Capone Thank you, Lorenzo. See you soon.

Lorenzo Paletti You can send us questions or suggestions to the address listed in the episode notes. We’ll talk to you next week on Tutto Connesso.



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