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Lavoro, partecipazione e FUTURO:
un’indagine sui giovani in Lombardia
Il rapporto è stato realizzato da:
Umberto Bettarini, Mauro di Giacomo, Clemente Tartaglione (ricercatori ARES 2.0) in stretta collaborazione con la
CGIL Lombardia che ha visto l’Impegno in qualità di responsabile del progetto Giacinto Botti (Responsabile Settore
artigianato) e di coordinamento delle attività Franco Fedele (Coordinatore Dipartimento Artigianato)
Finito di scrivere
03 Agosto 2015
SOMMARIO
Prefazione
1. Introduzione
1.1 L’indagine: obiettivi, metodologia e struttura del campione
2. Giovani e lavoro
2.1 Gli occupati: tra desiderio di autorealizzazione e la paura della precarietà
2.2 Una generazione alla ricerca disperata di lavoro
3. Partecipazione, fiducia nelle istituzioni e prospettive future: una generazione
apatica e sfiduciata?
3.1 La partecipazione dei giovani lombardi alla vita sociale
3.2 Il difficile rapporto tra i giovani e le istituzioni
3.3 Giovani e futuro: ritratto di una generazione sfiduciata
4. I giovani e il sindacato: tra pragmatismo e rivendicazioni collettive
5. Conclusioni
APPENDICE
Il questionario rivolto ai giovani 17-34 anni
pag. 4
pag. 6
pag. 10
pag. 18
pag. 23
pag. 27
pag. 31
pag. 38
pag. 46
pag. 49
PREFAZIONE
IlDipartimentoArtigianatodellaCGILLombardiaèdadiversianniimpegnatoinunpercorsodiricercaediapprofondimento
sulle principali direttrici di cambiamento del mercato del lavoro nel settore artigiano.
Si tratta di un lavoro ambizioso di inchiesta e di riflessione politica, finalizzato a migliorare le nostre capacità negoziali
e di rappresentanza, dando voce ai bisogni e alle nuove richieste che provengono dalle lavoratrici e dai lavoratori di
questo particolare e complesso settore.
Inquest’ottica,dopolapubblicazionede“L’ArtigianatoinLombardia:lavoratorieimpresenellasfidadelcambiamento”
e dell’Indagine sulla bilateralità in Lombardia: un approfondimento nel settore artigiano”, abbiamo voluto allargare
il nostro orizzonte e mettere a disposizione la nostra esperienza per sviluppare un tema che va ben oltre i confini
dell’artigianato: il rapporto tra le giovani generazioni e il mondo del lavoro e dei diritti.
Mai come in questa difficile fase abbiamo chiara la consapevolezza che i giovani sono la vera speranza per ridare futuro
all’Italia e una prospettiva alla nostra CGIL. Solo grazie al loro entusiasmo, alla loro capacità innovatrice e alla loro
preparazione, sarà possibile uno slancio per uscire dalla crisi e porre le basi per una effettiva riunificazione del mondo
del lavoro e un futuro migliore al nostro paese.
Eppure, nonostante questo immenso potenziale, da ormai due decenni le giovani generazioni sperimentano sulla
propria pelle condizioni di vera e propria emarginazione ed esclusione sociale. Si tratta, infatti, di una generazione che
in buona parte non ha mai conosciuto le tutele previste dai contratti collettivi, e che vive il proprio rapporto di lavoro in
completa solitudine, sempre sotto il possibile ricatto datoriale.
Quella dei giovani, infatti, è una generazione che troppo spesso, pur in presenza di livelli di scolarità elevati, è
intrappolata in una condizione di precarietà lavorativa che si traduce nella totale incertezza verso il futuro.
Dare voce al mondo dei più giovani, perciò, non significa soltanto contribuire a un necessario rinnovamento, ma anche
e soprattutto a lottare contro una delle più grandi forme di discriminazione e di esclusione sociale che questo paese
perpetua da troppi anni.
Alla luce di ciò, la CGIL Lombardia ha deciso di scendere in campo per mettere a disposizione delle nuove generazioni
luoghi di partecipazione, strumenti di tutela efficaci e servizi utili alla loro integrazione nel mercato del lavoro. Si tratta
di un percorso che non può chiudersi su se stesso ma deve coinvolgere tutta l’organizzazione, che deve interrogarsi
sulle prassi e sui contenuti necessari per intercettare i nuovi bisogni e interagire efficacemente con i giovani, per
assicurare, insieme a loro, il valore della solidarietà, l’uguaglianza delle opportunità e i diritti universali.
In quest’ottica lo strumento della ricerca ci appare il più adeguato per conoscere, raccogliere e interpretare le tante
domande che ci vengono indirizzate da questa generazione e renderla, così, parte integrante della nostra attività
ordinaria. Rappresentare i nuovi bisogni e le nuove istanze, infatti, significa mantenere una visione aperta sul mondo
e sulle sue trasformazioni. In pratica, saper interpretare i cambiamenti nel mercato del lavoro e leggere la complessità
e le molteplici condizioni che lo contraddistinguono.
Pensiamo che partendo da queste considerazioni si possa sviluppare un lavoro che spinga l’organizzazione a ripensarsi
e a mettere in campo azioni efficaci per consentire il riscatto sociale a un’intera generazione che nutre ancora fiducia
nel sindacato e che ha bisogno di trovare un “luogo” dove partecipare, riconoscersi e organizzarsi collettivamente, per
agire nuove sfide e rivendicazioni con lo sguardo rivolto al futuro.
Giacinto Botti Franco Fedele
Responsabile Settore artigianato Coordinatore Dipartimento Artigianato
CGIL Lombardia CGIL Lombardia
5
6
1. Introduzione
1.1 L’indagine: obiettivi, metodologia e struttura del campione
Giovani, Lavoro, Partecipazione sociale, Lombardia sono le parole chiave su cui fonda questa indagine che attraverso
lo strumento dell’intervista proverà a dare voce a una generazione che troppo spesso appare abbandonata e poco
ascoltata. Con questo progetto di ricerca, è stato infatti chiesto a oltre mille giovani di età compresa tra 17 e 34 anni,
residenti in Lombardia, di raccontare le loro esperienze e il loro modo di immaginare il futuro. Si tratta di una fascia
d’età piuttosto ampia ed eterogenea, che ci permette di studiare le percezioni dei giovani nelle diverse fasi della loro
vita e nel processo di transazione dalla scuola al lavoro, in un contesto regionale di primaria importanza per l’economia
italiana come la Lombardia. Per cui, senza la pretesa di generalizzare i nostri risultati all’intera popolazione italiana,
ma soffermandoci all’interno di un quadro locale con le sue specificità, attraverso questo lavoro vogliamo restituire
un’immagine articolata della condizione occupazionale di questi giovani lombardi, delle loro attitudini e delle loro
percezioni rispetto al futuro.
Per dare sostanza ai nostri propositi di ricerca, abbiamo realizzato un questionario a risposta multipla, somministrato
tra Febbraio e Marzo 2015, attraverso un sistema CAWI (Computer-Assisted Web Interviewing). In pratica, si tratta di
un metodo che, attraverso una piattaforma on-line, consente ai partecipanti all’inchiesta di rispondere alle domande
direttamente dai propri dispositivi e in autonomia. La diffusione del questionario è avvenuta attraverso campagne di
comunicazione sui social network, in particolare Facebook, con alcune sperimentazioni su Twitter: due piazze che come
noto sono frequentate dalla quasi totalità della coorte oggetto di questa nostra indagine
Per quanto riguarda i contenuti, abbiamo optato per una raccolta dati su due livelli. Il primo finalizzato a ricostruire il
profilo socio-occupazionale dell’intervistato, allo scopo di contestualizzare meglio il suo punto di vista. Ci riferiamo in
particolar modo, allo status occupazionale, alla tipologia contrattuale, al genere, al titolo di studio e, più in generale,
a tutte quelle variabili che incidono sulla condizione materiale degli individui. Dall’altro, abbiamo voluto raccogliere
informazioni rispetto alle percezioni, alla fiducia e agli interessi delle nuove generazioni. Da questo punto di vista,
abbiamo lasciato ampio spazio alla raccolta di informazioni rispetto a ciò che viene ritenuto importante per il futuro
lavorativo, al rapporto con il sindacato e al tema della partecipazione sociale e politica. Si tratta di elementi che,
attraversol’analisi,hannolafunzionedirestituireunanarrazionearticolataeapprofonditasulleansie,lepreoccupazione
e i bisogni di chi ha partecipato e che mirano, inoltre, a tratteggiare il rapporto tra questi, le principali istituzioni e le
organizzazioni sindacali.
L’utilizzodiquestametodologiacihapermessodicollezionareben1018questionarivalidi,chedisegnanouncampione
piuttosto bilanciato rispetto a quanto emerge dalle principali fonti statistiche ufficiali. Si tratta di un dato sicuramente
importante che conferma la validità della metodologia utilizzata.
Entrandonelmeritodeidatiraccolti,perquantoriguardalacomposizionedigenere,siriscontraunaleggerapreponderanza
della popolazione femminile, la quale si attesta al 60% rispetto al 40% di quella maschile. Rispetto all’età, i giovani
si distribuiscono in modo abbastanza equilibrato tra le classi individuate, con una leggera sovrarappresentazione degli
individui tra i 20 e i 22 anni. Tra i nostri intervistati, i cittadini italiani sono l’85%, gli stranieri comunitari l’8% e gli
stranieri extracomunitari il 7%. Il titolo di studio cattura una popolazione con un buon livello di istruzione formale in
cui si ferma a poco più del 19% la quota di chi non ha superato la licenza media, mentre si attesta al 24% quella
componente di giovani che dichiara un livello di istruzione universitario. Infine, il questionario presenta una buona
diffusione territoriale che in parte rispecchia la struttura relativa delle popolazione nelle diverse provincie lombarde.
Scendendo sempre più verso il tema centrale della nostra analisi “il rapporto dei giovani con il mondo del lavoro“
possiamo notare come nel nostro campione meno di un terzo degli intervistati (31,5%) si dichiari occupato, circa
7
la metà dei rispondenti (47,4%) è attualmente alla ricerca di un’occupazione1, mentre la restante parte può essere
inquadrata tra gli studenti, che ovviamente corrisponde alla maggioranza dei giovani nelle fasce di età più basse.
Tab. 1 -Distribuzione dei giovani intervistati rispetto alle principali variabili anagrafiche e di istruzione
(totale intervistati per macro variabile = 100)
Fonte: ARES 2.0
1. Va precisato che la scarsa percentuale di persone che si sono dichiarate NEET (meno dell’1% del campione) ci ha indotto a inglobare questo gruppo sociale
nella più vasta categoria delle persone non occupate. Tuttavia, nel nostro caso specifico questa coincide quasi interamente con le persone in cerca di occupazione.
Per semplicità, perciò, nel proseguo del lavoro ci riferiremo indistintamente alla categoria delle persone in cerca di occupazione, pur tenendo in considerazione
che una parte molto piccola di questo gruppo non è attualmente alla ricerca di lavoro.
8
Fig.1 - Distribuzione dei giovani intervistati per provincia di residenza
(totale Lombardia = 100)
Fonte: ARES 2.0
Tab.2 - Situazione lavorativa dei giovani intervistati
Fonte: ARES 2.0
Nel corso dei prossimi capitoli andremo ad analizzare come i nostri 1018 giovani rispondenti al questionario raccontino
la propria condizione, quali siano i loro bisogni e quale siano le loro percezioni rispetto al futuro. Come abbiamo potuto
constatare attraverso questa prima rapida ricostruzione, si tratta di un campione coerente con la struttura anagrafica
e lavorativa della popolazione giovanile della Lombardia, un dato questo che consente senza dubbio di attribuire ai
risultati della survey una valenza universalistica rispetto alla coorte di indagine all’interno del contesto di riferimento.
Milano; 33,9
Brescia; 15,5
Varese; 12,8
Monza e Brianza;
11,1
Bergamo; 10,8 Pavia; 5,6
Mantova; 2,8
Como; 2,7
Cremona; 2,7
Altre province; 2,3
9
10
2. Giovani e lavoro
2.1Glioccupati:tradesideriodiautorealizzazioneelapauradellaprecarietà
QuestoparagrafovuoleraccontareilmododellavoroinLombardiavistodagliocchideigiovani.Nelcorsodelleprossime
pagine, perciò, forniremo una breve ricostruzione delle caratteristiche d’impiego dei nostri intervistati. In particolare,
proveremo a restituire un ritratto della condizione lavorativa del nostro campione e delle sue aspirazioni sulla base
di due distinti indicatori: il reddito dichiarato e il grado di soddisfazione lavorativo espresso. Si tratta di due elementi
molto differenti, anche se strettamente intrecciati tra loro. Il primo, infatti, misura la condizione materiale dei nostri
intervistati, ovvero, l’elemento dal quale dipendono in maniera sostanziale le loro prospettive future e la possibilità
di sviluppare un proprio percorso di vita autonomo. Il secondo, invece, mette in luce diversi aspetti connessi alla
sfera soggettiva. Ci riferiamo, ad esempio, al prestigio sociale, ai rapporti con i colleghi, allo sviluppo di competenze,
all’autonomia professionale: variabili che compongono il nostro indice di soddisfazione lavorativa e ci permettono di
valutare le condizioni di lavoro dei giovani in termini di autorealizzazione personale.
Propedeuticoaunaletturacorrettadeirisultatiècertamenteun’analisisullecaratteristichedell’impiegodichiharisposto
al questionario. Rispetto a ciò, i dati raccolti restituiscono l’immagine di una generazione che fatica a inquadrarsi nelle
categorie occupazionali tradizionali, che vive in un contesto in cui l’intermediazione della famiglia gioca ancora un ruolo
chiave nell’accesso all’impiego, che è costretta a cambiare spesso occupazione, che lavora in contesti multi settoriali e
chesperimentauna condizione contrattuale non stabile.Inparticolare,inquestaricostruzionecisoffermiamosuquattro
aspetti principali: le condizioni contrattuali dei nostri intervistati; il turnover lavorativo; il settore d’impiego; le modalità
di collocamento lavorativo.
Occorre subito evidenziare che dei giovani intervistati che si dichiarano occupati, solo una piccola parte (19,5%) è
collocato in imprese medio grandi. Prevale, invece, la quota di chi sta svolgendo la sua esperienza lavorativa in realtà
che hanno una dimensione inferiore a 15 addetti.
Fig. 2 - Classe dimensionale dell’azienda in cui è occupato
Fonte: ARES 2.0
Meno di 15
addetti
43,9
16-50 addetti
16,5
51-250 addetti
20,1
Più di 250 addetti
19,5
11
Fatta questa premessa, per quanto riguarda le condizioni contrattuali, occorre segnalare che anche nel nostro campione
si registra quel processo di costante riduzione dei confini del contratto a tempo indeterminato. I dati, infatti, ci mostrano
che più della metà dei nostri intervistati (54,9%) sono assunti attraverso una pletora di contratti atipici di diversa
natura. Tempo determinato, partita iva, apprendistato, collaborazione occasionale e tutte le alte più diverse formule
contrattuali.
Oltre al contratto a tempo indeterminato, va segnalato che anche il lavoro a tempo pieno mostra una certa erosione a
vantaggio del part time. Tra i nostri intervistati, infatti, oltre il 31% lavora meno di 35 ore alla settimana: un dato che
raggiunge il suo apice tra le donne (36,4%).
Sempre i nostri dati confermano un certo dualismo di genere. Le donne, infatti, lavorano prevalentemente con contratti
atipici e per un numero di ore settimanali minore di quelle degli uomini. Si tratta, tuttavia, di uno svantaggio delle
donne che tende a svanire se si inserisce la variabile dell’istruzione.
Da evidenziare è anche che il nostro campione mostra un tasso di turnover lavorativo elevatissimo. Solo il 34,1% degli
intervistati, infatti, dichiara di non aver mai cambiato lavoro negli ultimi 5 anni. Tra questi, come potevamo aspettarci,
sono i giovani impiegati con contratto atipico quelli a subire in maniera più preponderate il fenomeno del turnover. Si
tratta di un dato preoccupante, che evidenzia i rischi connessi alla cosiddetta “spirale delle precarietà”, in cui il contratto
atipico perde la sua natura di strumento di transizione, per diventare una condizione strutturale e perenne.
Fig. 3 - Tipologia contrattuale dei giovani intervistati in condizione di occupato
(tot.per genere=100)
Fonte: ARES 2.0
45,1 47,7 42,6
20,1
20,8
19,3
34,8 31,5
38,1
TOTALE MASCHI FEMMINE
Tempo indeterminato Tempo determinato Altre forme atipiche
12
Fig. 4 - Distribuzione tipologia contrattuale per classe dimensionale d’impresa
(tot. per classe = 100)
Fonte: ARES 2.0
Fig.5 - Numero di lavori cambiati negli ultimi 5 anni
Infine, per quanto riguarda i canali di accesso all’impiego, si riscontra che il contatto diretto con i datori di lavoro, sia
attraverso la risposta ad annunci che all’auto candidatura, rappresenta lo strumento principale di collocamento. Se
questo dato appare abbastanza ovvio, a colpire è, invece, il ruolo dell’intermediazione di amici, parenti e conoscenti
che risulta essere ancora oggi uno strumento chiave per ottenere un posto di lavoro (27,4%). Si tratta di un dato molto
interessante, che si presta a un’interpretazione bifronte. Da un lato, infatti, il ricorso alla famiglia e ai conoscenti è un
elementotipicodiunastrutturasocio-economicatradizionale,chefaticaascomparireechecristallizzaledisuguaglianze
sociali. Dall’altro potrebbe essere interpretato come il frutto di un’economia a rete di stampo moderno, in cui il network
personale diventa un valore aggiunto imprescindibile. Se questa seconda interpretazione fosse prevalente, dovremmo
aspettarci che l’intermediazione dei conoscenti sia più forte per quelle figure professionali più dinamiche e meno
39,4%
38,0%
60,7%
57,6%
14,4%
26,0%
16,4%
23,7%
46,2%
36,0%
23,0%
18,6%
Meno di 15 addetti
16-50 addetti
51-250 addetti
Più di 250 addetti
Tempo Indeterminato Tempo determinato Contratto atipico
Nessuno
34,1
Meno di tre volte
31,2
Da tre a quattro
volte
24,4
Cinque o più volte
10,3
Fonte: ARES 2.0
13
strutturate come le partite IVA o altre forme contrattuali atipiche, che si basano in gran parte sulla relazione con
diversi soggetti. Tuttavia, incrociando i dati della tipologia contrattuale con una variabile dicotomica sull’aiuto di amici
e parenti, questa correlazione non emerge affatto in quanto tutte le tipologie contrattuali mostrano un andamento
simile. Ciò ci porta a sostenere che nel contesto socio-economico in cui vivono i nostri intervistati, tende a prevalere
ancora un sistema familistico-tradizionale di reclutamento al lavoro. Una condizione che possiamo far discendere da
ragioni culturali ma anche da una infrastruttura di inserimento al lavoro probabilmente non adeguata alle esigenze di
questo mercato del lavoro. Ne è una prova la quota particolarmente bassa di chi dichiara di essere entrato nel mondo
del lavoro attraverso il centro per l’impiego pubblico o privato (8,5%)
Fig. 5 - Modalità di accesso all’impiego (quota % sul totale)
Fonte: ARES 2.0
Tutti questi elementi appena sintetizzati hanno delle evidenti ripercussioni sulle condizioni di lavoro sperimentate dai
nostri intervistati e, inevitabilmente, influenzano i due indicatori oggetto della nostra analisi: il reddito e l’indice di
soddisfazione lavorativa.
Per quanto riguarda la condizione materiale, i nostri dati ci raccontano di una generazione fortemente eterogenea
rispetto al reddito percepito. Se, infatti, il nostro campione guadagna in media 1.297 euro al mese, vi è una forte
polarizzazione tra chi percepisce una retribuzione inferiore ai 600 euro (11,5%) e chi guadagna oltre 1500 euro
(18,4%).
Da questo punto di vista, diversi sono gli elementi che contribuiscono a determinare l’enorme eterogeneità nei redditi
del nostro campione. Tra questi, genere, età, classe dimensionale e titolo di studio possono aiutarci a spiegare alcune
delle differenze di fondo. Ci riferiamo in particolar modo alla chiara tendenza alla crescita del salario all’aumentare
dell’età e del titolo di studio evidenziata dalle nostre interviste, a una certa disuguaglianza di genere e al fatto che gli
addetti nella media e nella grande impresa percepiscano mediamente di più dei loro colleghi delle realtà artigiane e
delle piccole e piccolissime imprese dell’industria.
Tuttavia, ciò che emerge con maggior forza dalle nostre interviste è che, se tradizionalmente le differenze salariali
potevano essere interpretate principalmente in termini di status occupazionale, oggi questa distinzione sembra svanire
per essere sostituita dalla tipologia contrattuale.
Tra i redditi dei nostri intervistati, infatti, permangono delle differenze significative tra imprenditori e lavoratori
3,8
5,3
7,2 8,5
10,4
27,4
37,4
Concorso
Aseguitodiprecedente
tirocinio/stage
Segnalazionedella
scuola/Università
Attraversoilcentroper
l’impiego/agenziainterinale
Altraformadiiserimento
Intermediazionedi
Parenti/Amici/conoscenti
Rispostadirettaadannunci/Rivolto
direttamentealdatore
14
subordinati, mentre spariscono completamente le diseguaglianze tra colletti bianchi e tute blu. All’interno del variegato
mondo del lavoro subordinato, infatti, è l’effetto congiunto della tipologia contrattuale e del forte ricorso al lavoro part
time a spiegare in maniera preponderante la polarizzazione salariale. Si pensi, infatti, che un lavoratore atipico che
mediamente lavora un’ ora a settimana in più dei propri colleghi a tempo indeterminato, percepisce una retribuzione
media di quasi 400 euro in meno, ovvero del 30% inferiore.
Questi elementi ci suggeriscono che per i nostri intervistati il rischio della precarietà rappresenta un problema
estremamente attuale e pericoloso. Come abbiamo visto, infatti, quella che spesso viene definita come flessibilità
dell’impiego, nel nostro campione si configura come vera e propria precarietà delle condizioni di vita e di lavoro: una
piaga persistente nel tempo, che determina salari mediamente al di sotto dei 1000 euro mensili.
In questo contesto, perciò, a preoccupare è la condizione della fascia meno retribuita della popolazione. Dai dati, infatti,
emerge chiaramente che per una porzione consistente dei nostri intervistati (27%), l’espressione “generazione mille
euro” che comunemente è stata utilizzata per descrivere la difficile situazione lavorativa dei giovani italiani, in realtà,
più che rappresentare un elemento descrittivo si configura come un auspicio.
Fig.6 - Retribuzione netta mensile dichiarata (quota %)
Inquest’ottica,permoltideinostriintervistati,immaginarestilidivitadignitosieunfuturoautonomodiventaun’impresa
estremamente ardua. Ci riferiamo in particolar modo a quella porzione della popolazione ingabbiata nella “trappola
della precarietà”, con un livello di istruzione medio-basso. Per i laureati, invece, la situazione appare leggermente più
confortante. Se, infatti, questa fascia della popolazione tende a essere percentualmente più esposta alla contrattazione
atipica, nella maggior parte dei casi ciò non si traduce in uno svantaggio reddituale.
Fonte: ARES 2.0
meno di 600 €
11,5
601-1000 €
25,7
1001-1500 €
44,4
Oltre i 1500 €
18,4
15
Tab.3 - Valori in euro della retribuzione media tra diversi gruppi
Fonte: ARES 2.0
Se finora abbiamo tratteggiato un quadro piuttosto negativo rispetto alla condizione materiale dei giovani lombardi,
l’analisi della soddisfazione lavorativa tende in parte a riequilibrare la nostra ricostruzione. Da questo punto di vista, i
dati raccolti e riportati nella tabella che segue ci restituiscono l’immagine di una generazione che, nonostante le tante
difficoltà, dimostra un certo apprezzamento per la propria condizione di lavoro.
Nonostante la scarsa valutazione di buona parte del nostro campione rispetto ad aspetti chiave come la retribuzione,
la stabilità dell’impiego e la possibilità di far carriera interna, i risultati sono sorprendentemente alti. Appare, perciò,
evidente che per buona parte di questa generazione, la dimensione del salario e della stabilità dell’impiego non
rappresenti l’unico elemento importante della propria vita lavorativa. In pratica, per i nostri intervistati, i guadagni non
sempre adeguati, vengono spesso compensati dal piacere di svolgere un lavoro coerente con le proprie aspirazioni e
che dia loro la possibilità di acquisire competenze.
In particolare, il dato più significativo che emerge è l’atteggiamento positivo mostrato dalla gran parte dei rispondenti
rispetto al proprio ruolo e alle proprie mansioni interne all’azienda (il 41,5% degli intervistati si considera soddisfatto).
Questo elemento è in stretta connessione con una certa soddisfazione sulla possibilità di acquisire competenze
lavorando (31,4%), con un pieno apprezzamento per il proprio rapporto con i colleghi (42,2 %) e con l’autonomia
organizzativa (36,2%).
Coerentemente con questo aspetto, i giovani che lavorano nelle micro-imprese dell’industria e dell’artigianato mostrano
livelli di soddisfazione più alti rispetto ai loro colleghi delle altre classi dimensionali. Anche in questo caso a prevalere
16
è l’elemento umano e professionale. I dati, infatti, ci mostrano che a incidere maggiormente sono i rapporti con i
colleghi e con i superiori e il modo in cui è organizzato il lavoro. La micro-impresa, quindi, viene rappresentata dai
nostriintervistaticomeunluogoincuil’organizzazionedellavoroeirapportiinterpersonalipermettonodifarcoincidere
meglio le aspettative individuali e lasciare un certo grado di autonomia.
Per quanto riguarda l’inquadramento professionale, va registrato che il lavoro operaio presenta livelli medi di
soddisfazione più bassi di quello impiegatizio e questo non lo si può far discendere da differenze retributive bensì
dalle condizioni di lavoro. I nostri intervistati descrivono infatti la vita in fabbrica come caratterizzata da rapporti
interpersonali gerarchizzati e da una minore autonomia nello svolgimento delle proprie mansioni, condizione questa
che sembrerebbe incidere negativamente sul livello di soddisfazione.
In base a quanto analizzato, perciò, possiamo trarre la conclusione che per i nostri intervistati il lavoro si caratterizza
non solo come soluzione alla condizione materiale della vita, che comunque rimane una variabile di particolare rilievo,
ma anche come elemento di autorealizzazione personale.
Tab.4 - Grado di soddisfazione sulla base di 15 indicatori descritti del lavoro
Fonte: ARES 2.0
17
Tab.5 - Differenze nella soddisfazione lavorativa tra diversi gruppi
Daquestabrevericostruzione,perciò,emergonochiaramentedueaspettichiave:daunlatoilricorsoallacontrattazione
atipica e alla flessibilità oraria, crea quella spirale della precarietà che incide pesantemente sul reddito di una fascia
consistente dei giovani. Si tratta di un elemento che si ripercuote non solo sulla condizione materiale di questa giovane
generazione, ma anche sulla sua percezione di sicurezza e sul suo grado di soddisfazione per il proprio impiego.
Dall’altro, i nostri dati fanno emergere una dimensione umana connessa al mondo del lavoro. Le nuove generazioni,
infatti, al di là della loro condizione economica, dimostrano di avere a cuore il clima aziendale, l’organizzazione del
proprio lavoro e la possibilità di svolgere le proprie mansioni con una certa autonomia. Siamo, perciò, di fronte a una
generazione che considera il proprio lavoro non solo come un mero strumento economico, ma anche un elemento
chiave per la propria autorealizzazione personale e professionale.
NB: l’indice generale di soddisfazione lavorativa è stato costruite sommando tutte le risposte alle batterie di domande sulla soddisfazione. L’indice
presenta un punteggio massimo teorico di 60 e minimo teorico di 15. Per semplificarne la lettura è stato standardizzato da 0 a 1, dove 0 è indica un
livello di soddisfazione lavorativa minimo e 1 massimo.
Fonte: ARES 2.0
18
2.2 Una generazione alla ricerca disperata di lavoro
Se l’analisi fin qui svolta ci ha mostrato l’immagine di una generazione caratterizzata da una forte stratificazione
sociale e salariale tra gli occupati, dobbiamo ora volgere lo sguardo a quella fascia della popolazione che è in cerca
di lavoro. In questo paragrafo, perciò, investigheremo le caratteristiche principali dei giovani disoccupati lombardi,
studiando come questa condizione incida sulle prospettive future dei nostri intervistati e provando a capire se anche
all’interno di questo gruppo sociale si riscontri una certa stratificazione sociale.
Ancheinquestocaso,propedeuticoaunaletturacorrettadeirisultati,èun’analisiesplorativasulleprincipalicaratteristiche
dei rispondenti che si sono definiti disoccupati e sulle modalità con cui viene ricercato l’impiego.
Partendo da queste premesse, occorre rilevare che tra chi si dichiara in cerca di un’occupazione solo la metà (51%)
può essere definita propriamente disoccupata, in quanto in passato ha svolto un’attività lavorativa non saltuaria ed è
impegnata in un’azione di ricollocamento. Parallelamente, una parte più residuale (10%) è in cerca della sua prima
occupazione,mentre,il39%hagiàsvoltoattivitàlavorativeinpassato,maditipoprettamenteoccasionale.Bunaparte
di questi, infatti, ha dichiarato di aver lavorato senza contratto (20,4%) o di aver prestato la propria opera in contesti
caratterizzati da una forte flessibilità contrattuale. Siamo, perciò, in presenza di un campione di disoccupati che si
suddivideametàtrachisidevericollocarenelmercatodellavoroechidifattoèincercadiunaprimaoccupazionestabile.
Tab. 6 - Disoccupati rispetto all’esperienza lavorativa nel passato (Hai mai svolto un attività lavorativa in
passato?)
Entrando più nel merito dell’analisi, i dati descrivono i nostri disoccupati come persone flessibili e fortemente motivate
a cercare un impiego; che affrontano le sfide connesse alla ricerca del lavoro con livelli di istruzione mediamente più
bassi dei loro coetanei attualmente occupati; che vedono, specialmente per i giovani che si affacciano al mercato del
lavoro per la prima volta, la propria condizione occupazionale protrarsi nel tempo.
Quella rappresentata dalla nostra indagine è una generazione che, pur di uscire dalla propria condizione, è disponibile
a lavorare in qualsiasi settore e ad accettare un’offerta di lavoro anche al di fuori della propria città. Da questo punto
di vista, l’immagine di una generazione “Choosy” che vuole il posto fisso senza far fatica, molto in voga nel dibattuto
pubblico, sembra essere del tutto smentita dai nostri dati. Si pensi, infatti, che più della metà dei rispondenti (54%)
Fonte: ARES 2.0
19
è alla ricerca attiva di un qualsiasi impiego, indipendentemente dal settore produttivo. Inoltre, solo il 22,5% sta
svolgendo attività di ricerca esclusivamente nel proprio comune di residenza, mentre tutti gli altri, volgono lo sguardo
a bacini sempre più ampi, fino a contemplare anche la possibilità di trasferirsi all’estero.
Fig.7 - Dove stai cercando lavoro? (totale intervistati = 100)
Quella che abbiamo intervistato è una generazione ben informata, che cerca di sfruttare al meglio tutti i canali per
la ricerca del lavoro. Ci riferiamo in particolar modo a internet (32,6%) e alla risposta ad annunci (42,9%), le quali
si rivelano le modalità più utilizzate per la ricerca del lavoro. Tuttavia, anche i centri per l’impiego rappresentano uno
strumento importante per questa generazione: ben il 63% è stato o è tuttora iscritto ad un CPI e solo il 4,9% dichiara
di non conoscere le opportunità offerte da questi mezzi per l’incontro tra domanda e offerta di lavoro.
Fig.8 - Modalità di ricerca lavoro
22,5%
46,7%
13,2%
5,7%
1,8%
10,1%
Nella città/comune di residenza
Vicino alla città/comune di residenza
Nella regione di residenza
In qualsiasi parte d’Italia
All’estero
Ovunque
Concorso Pubblico
1,8%
Ricerche per avviare
una attività
autonoma
1,8%
Amici, conoscenti,
sindacati
7,6%
Centro per
l’impiego/ Agenzia
interinale
13,4%
Internet
32,6%
Consegna curriculum
a privati/ risposta ad
annunci
42,9%
Fonte: ARES 2.0
Fonte: ARES 2.0
20
Va ribadito che nel nostro campione i disoccupati presentano un livello di istruzione formale nettamente inferiore a
quello dei loro coetanei occupati. Questi ultimi, infatti, si caratterizzano per una percentuale di laureati che si attesta al
38,4%, mentre tra chi è alla ricerca di un’occupazione questo dato crolla al 16,3%. Si tratta di un divario enorme, che
dimostra ulteriormente quanto l’istruzione universitaria rappresenti ancora oggi un vantaggio competitivo nel mondo
del lavoro e un argine contro la disoccupazione.
Fig.9 - Confronto tra occupati e disoccupati per titolo di studio
Fonte: ARES 2.0
Infine,comepotevamoaspettarci,idaticimostranoinpienoledifficoltàchequestagenerazioneincontranell’inserimento
e nel ricollocamento nel mercato del lavoro. Oltre la metà dei nostri rispondenti (51,8%), dichiara di essere in cerca di
un’occupazione da più di sei mesi. Si tratta di un dato sulla disoccupazione di lungo periodo abbastanza elevato, che
si accentua tra i giovani in cerca di prima occupazione (57,6%) e tra le donne (54,5%).
Fig.9 - Durata disoccupazione (Da quanto tempo stai cercando un lavoro)
Fonte: ARES 2.0
0,6
9,1 8,2
43,7
38,4
2,8
19,1
20,6
41,3
16,3
Fino alla licenza
elementare
Licenza media Qualifica
professionale
Diploma superiore Laurea o superiore
Occupato Disoccupato
Meno di un mese;
11,4%
Da 1 a 6 mesi;
36,8%
Da 6 mesi ad un
anno; 19,5%
Più di un anno;
32,3%
21
Sulla scorta di questa analisi esplorativa, a emergere è un quadro in cui la disoccupazione di lungo periodo risulta una
condizione strutturale per una parte consistente del nostro campione. In questo contesto, particolarmente preoccupante
è la situazione di quella fascia di età compresa tra i 25 e i 34 anni, che non ha mai svolto attività lavorativa in passato
(3,1%) o che ha svolto solo impieghi saltuari (35,8%). Si tratta di un gruppo sociale consistente, composto per il
59,6% da giovani con titolo di studio equivalente o inferiore al diploma superiore. Se, perciò, si escludono i laureati (e
in parte i laureandi), i quali possono non essere pienamente avviati nel percorso di transizione all’età adulta in quanto
hanno utilizzato il tempo per portare a termine un percorso di formazione, questa fascia della popolazione è quella
maggiormente esposta ai rischi connessi all’esclusione sociale. Si tratta, di un sottoinsieme del nostro campione, non
più giovanissimo, che vede nella disoccupazione una condizione naturale e perenne e che fatica a trovare opportunità
lavorative credibili.
Infine, i nostri dati mettono in luce la scarsa adeguatezza dei canali di collegamento tra la scuola e il mondo delle
imprese, ed in modo particolare delle piccole realtà dell’industria e dell’artigianato. Solo un terzo dei rispondenti
(29,8%) dichiara di aver ricevuto un’adeguata formazione scolastica su come si cerca un lavoro, mente tutti gli altri
hanno dovuto arrangiarsi in maniera autonoma o sono ricorsi al consueto aiuto degli amici e dei parenti.
Questo elemento, unito alle considerazioni del paragrafo precedente, rispetto alla quota residuale di chi è riuscito
a entrare nel mondo del lavoro attraverso il centro per l’impiego, evidenziano a pieno tutte le difficoltà del sistema
istituzionale di inserimento al lavoro. Si tratta di un problema particolarmente serio, al quale occorrerà porre rimedio
per dare una risposta concreta al consistente fenomeno della disoccupazione giovanile di lungo periodo e ai bisogni di
quelle fasce sociali meno istruite e quindi più deboli sul mercato del lavoro.
Per concludere, l’analisi sui giovani occupati e disoccupati della Lombardia, condotta nel corso di questo capitolo, ci
mostra una fotografia del mondo delle nuove generazioni caratterizzata da una forte polarizzazione e stratificazione
sociale. Se, infatti, come abbiamo visto nel paragrafo precedente, tra gli occupati coesistono condizioni salariali e
lavorative estremamente eterogenee, anche all’interno del variegato mondo dei disoccupati si possono rilevare profili
e situazioni divergenti. In particolare, se tra gli occupati preoccupa il cosiddetto fenomeno dei working poors, ovvero,
di quei lavoratori che pur avendo un impiego vivono in condizioni di povertà, per quanto riguarda la popolazione in
cerca di occupazione appare drammatica la situazione di quella fascia della popolazione in età non più giovanissima
(oltre i venticinque anni), caratterizzata da un livello di istruzione basso e che non ha mai svolto attività lavorative in
precedenza.Sitrattadiuninsiemedipersonechesperimentaquotidianamentesullapropriapelleidisagidell’esclusione
socialeechenecessitadiinterventiimmediatidapartedell’attorepubblicoperprovareaimmaginarsiunfuturomigliore.
22
23
3. Partecipazione, fiducia nelle istituzioni e prospettive future:
una generazione apatica e sfiduciata?
Finoraabbiamodelineatoalcunecaratteristichedelmondodeigiovanilombardiattraversol’analisidellalorosituazione
occupazionale. Si tratta di una prima ricostruzione fondamentale, che ci permette di studiare la condizione materiale
del nostro campione, i suoi diversi stili di vita e le sue reali possibilità. Tuttavia, un’analisi ancorata alla sola dimensione
economico-lavorativa non ci consentirebbe di capire a fondo questa generazione e di ricostruire in maniera esauriente
i suoi tratti principali.
In particolare, se lo scopo ultimo di questo lavoro è quello di tratteggiare le ansie, le aspettative e le speranze dei nostri
intervistati, dobbiamo tenere presente che oltre alla condizione materiale anche altri fattori concorrono in maniera
determinante a influenzare la percezione dei giovani rispetto al proprio futuro. Ci riferiamo in particolar modo alla
dimensione della partecipazione alla vita pubblica e al livello di fiducia nelle principali istituzioni. Si tratta, infatti, di due
dimensioni chiave che incidono sul cosiddetto capitale sociale, ovvero su quella risorsa in termini relazionali (reti sociali,
cooperazione e norme di reciprocità) che consente di ampliare i propri orizzonti, contribuendo a migliorare la propria
performance economica e il proprio benessere sociale. Nel corso di questo capitolo, perciò, proveremo a ricostruire il
grado e le modalità di partecipazione dei nostri intervistati alla vita pubblica e il livello di fiducia che questi hanno nei
confronti delle principali istituzioni. A conclusione di questa ricostruzione, analizzeremo come questi due elementi,
uniti ad alcune delle principali variabili considerate nei capitoli precedenti, incidano sulla percezione che i nostri giovani
intervistati hanno del proprio futuro.
3.1 La partecipazione dei giovani lombardi alla vita sociale
La letteratura, i media e il dibattito pubblico, descrivono spesso i giovani come una generazione poco attiva dal
punto di vista politico-sociale, individualista e scarsamente incline all’azione collettiva. Tuttavia, non manca chi
nell’analisi empirica ha provato a ribaltare questa convinzione diffusa, facendo emergere come i giovani non mostrino
comportamenti sociali diversi dal resto della popolazione (Freeman e Diamond 2003) o come questi partecipino in
egual misura alla vita pubblica, ma attraverso forme più dirette come i movimenti sociali (Dalla Porta e Mosca 2003).
Nel corso di questo paragrafo ci addentreremo in questo dibattito, per raccontare le modalità di partecipazione più
diffuse tra i nostri giovani intervistati e capire qual è il loro grado di coinvolgimento nella vita sociale.
In questo contesto, una semplice analisi esplorativa delle principali caratteristiche del nostro campione, risulta utile, ma
non completamente sufficiente. Per questa ragione, dopo aver descritto i canali principali di partecipazione e il grado di
coinvolgimento nella vita pubblica dei rispondenti all’indagine, proveremo a estrapolare alcune informazioni aggiuntive
sulle variabili che influenzano l’attivismo politico-sociale dei giovani.
A tal fine, cruciale per l’analisi è la costruzione di un indicatore sintetico che ci permetta di misurare con una certa
precisioneillivellodipartecipazionedeinostriintervistatiedicomparareinmanierapuntualeicomportamentiindividuali.
Sulla base di queste premesse abbiamo, perciò, calcolato un indice di partecipazione politica standardizzato. Si tratta di
un indicatore che varia da 0 a 1, dove 0 indica nessuna partecipazione e 1 un totale assorbimento individuale nella vita
pubblica. L’indice è costruito come la sommatoria di tutte le variabili descritte nelle tabelle riportate in questo paragrafo,
ponderato in maniera tale da dare a tutte le dimensioni la stessa importanza.
Da una prima analisi dei dati, emerge che i nostri intervistati dichiarano livelli di attivismo medio-bassi, con l’indice
24
di partecipazione standardizzato che si attesta attorno a un valore complessivo di 0,27. Si tratta di un dato medio
piuttosto contenuto, che però varia molto tra i diversi gruppi sociali: elemento questo che ci impedisce di dire che questa
generazione sia nella sua interezza estranea alla politica e all’azione collettiva. Resta, comunque, evidente che più
della metà dei nostri intervistati si posiziona rispetto al nostro indice di partecipazione ad un livello inferiore allo 0,25.
Tab.7 - Indice di partecipazione politica e differenze tra diversi gruppi
Fig.9 - Distribuzione della popolazione rispetto all’indice di partecipazione
Fonte: ARES 2.0
Partecipazione bassa
(indice inferiore a
0,25)
58,1%
Partecipazione
Medio-bassa (indice
tra 0,25 fino a 0,50)
30,2%
Partecipazione
Medio-alta (indice
superiore a 0,50 fino
a 0,75)
8,2%
Partecipazione Alta
(indice superiore a
0,75)
3,4%
Fonte: ARES 2.0
25
Provando ad andare più in profondità, il campione descrive una coorte di giovani che, solo per una quota abbastanza
limitata, partecipa in maniera diretta al variegato mondo dell’associazionismo. Tuttavia, guardando al suo insieme, i
dati ci mostrano un affresco dei giovani in cui prevale una partecipazione di tipo passivo. Se, infatti, considerassimo
l’attività politico-sociale come un bene di consumo, potremmo notare che solo una piccola parte dei nostri intervistati
risulta totalmente esclusa dalla sua fruizione, mente la maggioranza dimostra una certa propensione al suo utilizzo.
Ci riferiamo indubbiamente al dato sull’ascolto dei dibattiti politici (40,2%), alla tendenza a discutere frequentemente
con i propri coetanei di politica (36,1%), ma anche alla lettura dei quotidiani, i quali vengono consultati tutti i giorni
dal 38,2% degli intervistati. Si tratta un’insieme di azioni prettamente di consumo, in cui l’individuo non è chiamato a
prendere parte alla produzione del bene in questione, ma solo alla sua fruizione.
Ad emergere è, quindi, l’immagine di una generazione che mostra un certo interesse per la dimensione politica: un
interesse di tipo passivo, che tende a svanire nel passaggio dal consumo all’azione diretta. Se guardiamo, infatti, ai
dati sulle attività tradizionali della politica, quali la partecipazione ai comizi o ai cortei, rispettivamente solo l’11,3% e
il 12% dei nostri intervistati dichiara di avervi preso parte negli ultimi 12 mesi.
Fig. 11 - Il valore dell’impegno diretto e la presenza del tema nel dibattito tra giovani
(in % sul totale intervistati)
Si tratta di un vero e proprio crollo della partecipazione che in parte si discosta con quanto dichiarato dai nostri
intervistati alla domanda “quanto ritieni sia utile impegnarsi in prima persona nella vita politica?”. Da questo punto di
vista, se i nostri intervistati mostrano la netta convinzione che l’impegno diretto rappresenti una questione importante,
lo scarso livello rilevato nella reale partecipazione alle attività politiche deve indurci ad alcune riflessioni.
Non possiamo, infatti, limitarci ad associare la discrepanza tra l’interesse dimostrato e l’attività realmente svolta a una
semplice questione di volontà o di scarsa attitudine dei giovani verso l’azione collettiva. Occorre tenere presente che,
in un contesto di crisi di legittimità della politica senza precedenti, i giovani sono quella fascia della popolazione più
colpita da questa sfiducia generalizzata e che quindi fatica a trovare dei canali di partecipazione adatti a rappresentare
in pieno i propri interessi. La poca fiducia nella politica, che analizzeremo meglio nel prossimo paragrafo, unita a una
scarsa capacità delle organizzazioni tradizionali di dare voce e tutela alle nuove generazioni, perciò, rappresentano una
valida alternativa per spiegare buona parte del crollo della partecipazione diretta dei giovani.
19%
29%
33%
19%
12%
52%
31%
6%
Per nulla Poco Abbastanza Molto Per nulla Poco Abbastanza Molto
Quanto ritieni sia utile impegnarsi in prima persona
nella politica
Ti capita mai di parlare di politica con i tuoi coetanei
Fonte: ARES 2.0
26
Tab.8 - Livello di partecipazione concreto
Fonte: ARES 2.0
All’interno di questa prospettiva, potremmo anche ipotizzare che maggiore sia il livello di marginalizzazione ed
esclusione sociale dei nostri giovani, maggiore sia la difficoltà con cui le organizzazioni politico-sociali sono capaci
di dare loro risposte in termini di rappresentanza. In quest’ottica, quindi, saremmo in presenza di una sfiducia nella
politica e di una conseguente minor partecipazione all’azione collettiva, che si abbatte con più forza sui gruppi sociali
più deboli e marginali.
Per validare questa ipotesi, perciò, appare opportuno analizzare brevemente l’andamento dell’indice di partecipazione
tra i nostri intervistati, per capire se la maggior apatia rappresenti un tratto distintivo degli individui più deboli, o se
questa si distribuisca casualmente tra i diversi strati sociali del nostro campione.
Da questo punto di vista, i dati ci mostrano un quadro abbastanza coerente a questa tesi. In primo luogo, gli occupati
e gli studenti sono le coorti che mostrano livelli di partecipazione nettamente più alti dei loro coetanei disoccupati. Si
tratta, quindi, di un elemento esplicativo che non vincola la partecipazione al tema della disponibilità di tempo, quanto
alla posizione sociale. In pratica, come si accennava in precedenza, sono le persone meno escluse socialmente a
mostrare livelli di partecipazione più ampi. Si pensi ad esempio, che i livelli più bassi di attivismo sociale sono attribuibili
proprio a quella fascia di popolazione non laureata, di età compresa tra i 25 e i 34 anni che non ha mai svolto un
lavoro stabile in precedenza. Inoltre, l’elemento che sembra determinare in maniera più significativa la partecipazione
è l’istruzione. Si tratta di un fattore chiave che incide sia sulla dimensione dell’inclusione sociale, confermando la nostra
27
ipotesi di partenza, sia sull’attitudine individuale alla partecipazione. Come è facilmente intuibile, infatti, la formazione
tende a rafforzare il senso civico e incrementare l’attitudine all’azione collettiva.
Questa evidenza ci porta a pensare che coesistano almeno due importanti elementi in grado di spiegare i livelli di
partecipazionedeigiovani.Daunlato,idaticisuggerisconocomequestagenerazioneabbialivellidiattitudineall’azione
collettiva non particolarmente elevati, che vengono convertiti in una partecipazione più ampia attraverso l’intervento
dell’istruzione, e quello della partecipazione lavorativa. Dall’altro, quella che emerge dalla nostra ricostruzione è una
generazione con un certo interesse per la politica che, molto spesso, non si trasforma un’azione diretta. Si tratta di
uno scarsa attitudine alla mobilitazione che, diminuendo all’aumentare dell’inclusione sociale, evidenzia l’esistenza
di un problema nella rappresentanza di alcune fasce più marginali del mondo dei giovani. Queste, infatti, essendo più
svantaggiate, percepiscono un maggiore senso di abbandono e di sfiducia che si trasforma in un minore interesse nella
partecipazione all’attività politica. Questo elemento trova piena conferma nei dati sulla fiducia che presenteremo nel
prossimo paragrafo.
3.2 Il difficile rapporto tra i giovani e le istituzioni
Partendodalleultimeconsiderazionidelparagrafoprecedente,ciconcentriamosullafiduciaesulruolochequestasvolge
nelle scelte dei nostri intervistati. Come abbiamo visto, infatti, la fiducia nelle istituzioni, oltre a essere un indicatore
che concorre a determinare il cosiddetto capitale sociale, influenza anche il livello di partecipazione dei giovani alla vita
pubblica e la visione del proprio futuro. Una generazione fortemente sfiduciata, infatti, sarà più propensa a emigrare
all’estero, sarà meno attiva nel campo sociale e avrà un’immagine del proprio futuro piuttosto scoraggiata.
In questo paragrafo ci limiteremo a descrivere come la fiducia nelle istituzioni sia distribuita tra i nostri giovani,
rimandando l’analisi sue implicazioni al paragrafo successivo. Anche in questo caso, l’analisi dei livelli di fiducia è
stata possibile grazie all’introduzione di un indice di sintesi delle principali dimensioni indagate dal nostro questionario.
Per semplificarne la lettura abbiamo standardizzato i valori facendo variare l’indice da 0 (minima fiducia) a 1 (piena
fiducia in tutte le istituzioni).
Va subito precisato che questo nuovo indicatore segue un andamento non particolarmente dissimile da quello sulla
partecipazione costruito nel paragrafo precedente. In particolare, a configurarsi come la dimensione più correlata con
l’indice di partecipazione è proprio quella della fiducia nella politica, la quale mostra i livelli più bassi. Si pensi, infatti,
che ben l’89,9% degli intervistai dichiara di fidarsi poco o per niente della politica. Si tratta di un’ulteriore conferma
della bontà delle argomentazioni sviluppate in precedenza sulla scarsa partecipazione dei gruppi sociali più marginali
per via della loro sfiducia e per via della difficoltà nel trovare adeguati canali di rappresentanza dei loro interessi: un
campanello d’allarme particolarmente preoccupante che necessita di essere studiato a fondo dalle varie organizzazioni
politiche e sociali.
Fatte queste precisazioni, i nostri dati ci restituiscono un quadro della fiducia dei giovani nelle istituzioni, più positivo
rispetto a quello della partecipazione. Il nostro campione di intervistati, infatti, presenta un livello di fiducia medio pari
a 0,43. Possiamo, perciò, dire che chi ha risposto al questionario percepisce le istituzioni come non particolarmente
vicine ai propri interessi e solo parzialmente degne di fiducia.
In questa panoramica, i giovani lombardi dimostrano una netta preferenza per il mondo della scienza, della sanità e
della scuola. Sempre scorrendo la classifica delle istituzioni maggiormente degne di fiducia, il sindacato si attesta in
una posizione intermedia, davanti alla chiesa e ai media. Infine, come abbiamo già detto, nettamente all’ultimo posto
si conferma la politica, che come ci si poteva aspettare, negli ultimi anni ha perso gran parte della sua credibilità agli
occhi dei più giovani.
28
Tab.9 - Distribuzione della popolazione rispetto al livello di fiducia per ciascuna istituzione e valore
dell’indice medio di fiducia per ciascuna istituzione.
Fonte: ARES 2.0
Guardando all’indice di fiducia nel suo insieme, possiamo osservare una certa variabilità basata su caratteristiche
individuali non ascrittive. Va, infatti, sottolineato che il genere e l’età non sembrano influenzare il giudizio dei nostri
intervistati rispetto alle diverse istituzioni. Anche in questo caso, invece, è il livello di istruzione a configurarsi come
uno dei principali elementi per spiegare le differenze tra i diversi gruppi sociali. Tuttavia, in questo specifico contesto,
la scolarizzazione non incide sulla fiducia in maniera lineare o, in altre parole, non si registra una crescita costante del
livello di fiducia all’aumentare del titolo di studio. I nostri dati, infatti, ci mostrano un andamento a “U” dell’indice,
dove le persone con licenza elementare o del tutto prive di educazione formale e le persone laureate mostrano i livelli
più elevati di fiducia nelle istituzioni, mentre tra gli intervistati mediamente istruiti (licenza media e diploma superiore)
si registra la maggiore sfiducia.
In aggiunta, a determinare il livello di fiducia istituzionale concorrono anche le condizioni materiali degli intervistati. Ci
riferiamo in particolar modo al reddito percepito. Le persone con salario inferiore ai 600 euro, mostrano infatti livelli di
fiducia decisamente più bassi dei loro coetanei. Infine, come abbiamo già visto, la fiducia nelle istituzioni è correlata
all’indice di partecipazione. Gli individui che partecipano di più alla vita sociale e politica, infatti, sono generalmente più
29
propensi a fidarsi delle istituzioni.
Nella nostra ricostruzione abbiamo lasciato per il momento da parte il sindacato. Si tratta, infatti, di un’istituzione
che per la sua centralità rispetto ai temi trattati in questo lavoro, merita un’analisi approfondita, che sarà oggetto
dell’ultimo capitolo. In questa fase, tuttavia, ci limitiamo a rilevare che la fiducia dei nostri intervistati nel sindacato si
attesta su livelli intermedi ma certamente superiori a quelli di altre istituzioni tradizionali come la Chiesa e la politica.
Piuttosto interessante è, inoltre, l’omogeneità con cui i diversi gruppi sociali hanno espresso la propria fiducia nelle
organizzazioni di rappresentanza del lavoro. Dai nostri dati, infatti, non emergono particolari fattori distintivi tra la
percezione dei diversi sottogruppi, fatta eccezione per la tipologia contrattuale e per la dimensione d’impresa. I
giovani con contratto atipico e quelli impiegati nelle imprese più piccole, infatti, mostrano livelli di fiducia nel sindacato
leggermente inferiori rispetto a quelli dei loro coetanei con contratto a tempo indeterminato delle grandi industrie. Si
tratta, tuttavia, di differenze non particolarmente significative in termini statistici che confermano la trasversalità nel
giudizio sulla fiducia nel sindacato.
Quello che emerge da questa ricostruzione è, perciò, una generazione che, nonostante in molti casi risulti a rischio di
esclusione sociale, presenta ancora un certo livello di fiducia in molte delle principali istituzioni tra cui la scienza, la
sanità e la scuola. L’immagine di quest’ultima rappresenta, senza dubbio, un elemento positivo che può dare speranza
sul futuro. Se, infatti, come abbiamo visto a più riprese, il titolo di studio sembra assolvere a una funzione di argine
nei confronti dell’esclusione sociale, garantendo condizioni di lavoro migliori, una maggiore probabilità di impiego e
livelli di partecipazione alla vita pubblica più alti, è proprio nella scolarizzazione di massa che risiede il segreto per una
società più equa. Da questo punto di vista, il fatto che per i giovani la scuola rappresenti una delle istituzioni più degne
di fiducia, può far presagire una certa attitudine di questa generazione nel continuare a investire nella propria istruzione
e in percorsi di formazione continua.
Infine, estremamente preoccupante è il divario tra i giovani e la politica. Se, infatti, nel paragrafo precedente emergeva
l’immagine di una generazione interessata ai temi politici ma poco propensa all’azione collettiva, i dati qui analizzati
mostrano come la voragine apertasi tra questo mondo e le organizzazioni politiche sembra a oggi incolmabile. Si
tratta di un elemento particolarmente grave che dovrà diventare oggetto di una riflessione dei diversi attori politico-
istituzionali. Senza adeguati canali di rappresentanza politica, infatti, vengono minate le fondamenta democratiche del
nostro paese e si determinano evidenti ripercussioni in termini di coesione sociale.
30
Tab.9 - Indice di fiducia e differenze tra i diversi gruppi social
Fonte: ARES 2.0
31
3.3 Giovani e futuro: ritratto di una generazione sfiduciata
Ciò che emergere dalla nostra ricostruzione è l’immagine di una generazione interessata alla vita pubblica ma poco
propensa all’azione diretta, scarsamente rappresentata dalle diverse organizzazioni socio-politiche, con un livello di
fiducia nelle istituzioni medio-basso. Si tratta, inoltre, di una generazione abbastanza eterogenea, che presenta una
diffusa percezione di esclusione sociale e un generale senso di abbandono da parte della politica. Ci riferiamo in
maniera particolare a quelle persone più deboli per condizioni materiali e istruzione, le quali si dimostrano anche le
meno attive nella vita pubblica e le più sfiduciate nei confronti delle istituzioni.
In questo contesto, ciò che resta da capire è se l’effetto congiunto della scarsa partecipazione dei giovani alla vita
pubblica, della loro moderata fiducia nelle istituzioni e della condizione materiale non sempre adeguata, possa
ripercuotersi sulla percezione che i nostri intervistati hanno del proprio futuro.
Da questo punto di vista, il questionario che abbiamo somministrato presenta due domande chiave che possono
fungere da indicatori per aiutarci nella nostra ricostruzione: la percentuale di persone che immagina di dover emigrare
all’estero e il giudizio su quanto l’intervistato si ritiene fiducioso/preoccupato per il proprio futuro. Il primo ci restituisce
una misura indiretta di come vengono percepite le opportunità lavorative e di vita offerte dal proprio contesto locale e
nazionale; il secondo, invece, ci consente di misurare in maniera più diretta le ansie e le aspettative sul futuro.
Rispetto al primo indicatore, va registrato che il 26,3% dei nostri intervistati immagina il proprio futuro all’estero,
mentre solo il 33,5% è convinto di poter continuare la propria vita nella città d’origine. Si tratta di un dato che
sottolinea una forte propensione all’emigrazione e che si presta ad alcune interpretazioni.
Innanzitutto, va detto che parte della popolazione che immagina di trasferirsi è attratta dalla voglia di maturare
esperienze e provare sfide nuove. Si pensi che all’interno del nostro campione ben il 34,9% dei giovani tra i 17 e i 19
anni dichiara di voler cercare fortuna al di fuori dei confini nazionali. Da questo punto di vista, quindi, è indubbio come
sperimentare percorsi di vita all’estero, anche grazie alle accresciute possibilità di mobilità, rappresenti un elemento
attrattivo in sé per le nuove generazioni. Possiamo, infatti, facilmente assumere che i più giovani, in virtù della loro
limitata esperienza, non basino le proprie convinzioni sui passati fallimenti nella ricerca dell’impiego, quanto su fattori
attitudinali e culturali.
Tuttavia, bollare il dato sulla propensione a emigrare come un semplice fenomeno di costume, sarebbe oltremodo
semplicista, sia per la sua profonda diffusione, sia per alcune caratteristiche che emergono analizzando in profondità i
nostri dati. Si pensi, ad esempio, che l’attitudine a immaginare il proprio futuro all’estero è associata al livello di sfiducia
nei confronti delle istituzioni, ad alcune condizioni materiali collegate all’impiego, quali salario e tipologia contrattuale
e a minori tassi di partecipazione alla vita pubblica. Si tratta di elementi che suggeriscono come l’emigrazione sia
un’opzioneperfarfronteallamancanzadiopportunitàlavorativeingradodioffrireall’individuounapienarealizzazione
in termini salariali e personali e che questa colpisca principalmente gli individui più sfiduciati e meno legati alla vita
pubblica.
Da questo punto di vista, al di là del possibile effetto moda, il fatto che poco più di un quarto del nostro campione
immagina un futuro all’estero, fa emergere le fragilità del nostro paese e la sua incapacità di fornire adeguate risposte
ai bisogni di una generazione. Si tratta, inoltre, di un dato che se dovesse essere portato alle sue estreme conseguenze,
rischierebbe di produrre una vera e propria diaspora generazionale con evidenti conseguenze sulle prospettive di
sviluppo del nostro paese.
Per questa ragione è, quindi, opportuno ricostruire il profilo delle persone che immaginano un futuro al di fuori
dell’Italia in maniera da assumere maggiore consapevolezza su questo fenomeno e incominciare a pensare a possibili
contromisure. In particolare, diventa fondamentale capire se l’attrazione verso l’estero rappresenti una tendenza che
32
colpisce principalmente i più istruiti - la cosiddetta “fuga di cervelli” - o se questa sia una caratteristica propria delle fasce
sociali più deboli. Si tratta, infatti, di due distinti gruppi sociali che sottendono a scenari completamente opposti: nel
primo caso la fuga di cervelli metterebbe in luce l’immagine di un paese incapace di offrire opportunità per quella fascia
di persone che ha maggiormente investito in percorsi di istruzione e potrebbe contribuire alla sua crescita in termini di
innovazione e sviluppo, nel secondo, invece, emergerebbe un problema di scarsa inclusione sociale e di incapacità nel
garantire condizioni dignitose per tutti.
In questo contesto, i nostri dati tendono a far prevalere il secondo scenario: quello dell’emigrazione come strumento
per combattere l’esclusione sociale. Siamo, infatti, in presenza di un campione in cui i disoccupati immaginano il
proprio futuro al di fuori dell’Italia in maniera nettamente più elevata (28,1%) rispetto agli occupati (18,5%). Inoltre,
anche all’interno di chi attualmente è occupato, sono proprio quelli con i contratti atipici (23,5%) a considerare più
diffusamente l’ipotesi di trasferirsi all’estero rispetto ai loro coetanei con contratto a tempo indeterminato (16%).
Infine, i dati ci mostrano una netta decrescita del tasso di chi immagina il proprio futuro all’estero al crescere del titolo
di studio. Questo dato, infatti, si attesta al 38,5% tra chi ha un titolo di studio equivalente o inferiore alla licenza
elementare, mentre scende fino al 19,5% tra i laureati.
Si tratta di un insieme di dati che ci mostrano come a determinare la propensione a emigrare siano principalmente le
difficili condizioni economiche di quei gruppi sociali più svantaggiati sul mercato del lavoro. Tuttavia, il fatto che ben
il 19,5% dei laureati immagini il proprio futuro in un altro paese, mostra come l’ipotesi della fuga dei cervelli non
rappresenti una mera assunzione teorica, bensì una condizione reale, anche se meno diffusa rispetto a un’emigrazione
causata dalle condizioni di marginalità nel mercato del lavoro.
Se quella che abbiamo appena descritto appare una situazione piuttosto preoccupante, guardano alla nostra seconda
dimensione oggetto di studio, il giudizio su quanto l’intervistato si ritiene fiducioso per il proprio futuro, il quadro si fa
ancora più cupo. Ben il 47,9% dei nostri intervistati, infatti, si dichiara molto preoccupato, mentre il 34,5% si ritiene
moderatamente preoccupato.
Si tratta di un dato inquietante, che mette a nudo tutte le fragilità di un sistema socio-economico che ha scaricato
sui più giovani i principali costi della crisi e che ci restituisce l’immagine di una generazione totalmente sfiduciata e
completamente priva di speranza. Quelli che stiamo analizzando, perciò, appaiono come individui che percepiscono
esclusione sociale e sperimentano sulla propria pelle un forte divario di opportunità rispetto alle coorti nate negli anni
precedenti. Si tratta, infatti, della prima generazione che dal dopoguerra a oggi subisce una condizione materiale
inferiore a quella dei propri genitori e non riesce a immaginarsi delle prospettive di vita in grado di colmare questo gap
nel tempo. Ci riferiamo alla contrattazione atipica che, come abbiamo visto, si configura come la modalità principale
di accesso al mercato del lavoro e spesso si trasforma in vera e propria precarietà, al tasso di disoccupazione che
raggiunge percentuali sopra il 40%, ai cambiamenti legislativi in corso: tutti elementi che incidono non solo sulle
condizioni materiali attuali, ma che avranno certamente ripercussioni nel tempo. Si pensi, ad esempio, al calcolo
pensionistico, alle possibilità di accesso al credito per l’acquisto di una casa e, più in generale, alla possibilità di
immaginare un futuro autonomo.
In questo contesto, sono proprio gli elementi appena citati a pesare come un macigno sulla percezione dei giovani e sul
loro modo di immaginare il futuro. Chi si dichiara poco o per nulla fiducioso, infatti, giustifica la sua ansia con i problemi
connessi alla ricerca dell’impiego e con l’impossibilità di trovare un’occupazione che garantisca stabilità. In pratica, i
nostri intervistati mostrano una chiara insofferenza verso una condizione di precarietà dalla quale non si vede alcuna
possibilità di uscita. Anche per questa ragione, ben il 45% dei rispondenti ha indicato come aspetto fondamentale
per il proprio lavoro del futuro la stabilità e la sicurezza. Si tratta di un dato che si distribuisce in egual misura, sia su
chi sta effettivamente sperimentando una condizione occupazionale atipica, sia su chi non è ancora occupato: una
condizione auspicata che supera di gran lunga altri elementi che generalmente vengono considerati fondamentali, quali
il guadagno (39,2%) e la possibilità di far carriera (23,9%).
33
Sulfronteopposto,invece,traipochichesisonodichiaratiabbastanzaomoltofiduciosiperilpropriofuturo,aprevalere
è la consapevolezza di avere un’idea chiara rispetto al proprio percorso e di poter contare su una buona preparazione
scolastica. Ancora una volta, a emergere è il ruolo dell’istruzione che, sia dal punto di vista oggettivo sia da come viene
percepita dai nostri intervistati, sembra essere la chiave per competere in maniera adeguata nel mercato del lavoro ed
evitare di entrare nella cosiddetta “spirale della precarietà”.
Fig.12 - La geografia del proprio futuro (Dove immagini il tuo futuro?)
Fonte: ARES 2.0
Fig.13 - Percezioni ed attese sul proprio futuro (Pensando al futuro ti senti?)
Fonte: ARES 2.0
Nella mia città
33,5
In Italia
40,3
All’estero
26,3
Molto preoccupato
47,9
Abbastanza
preoccupato
34,5
Abbastanza
fiducioso
14,7
Decisamente
fiducioso
2,9
34
Tab.10 - Elementi su cui poggiano gli atteggiamenti fiduciosi rispetto al futuro (Se hai affermato che ti senti
molto oppure abbastanza fiducioso, puoi dircene le ragioni?)
Fonte: ARES 2.0
Tab.11 - Elementi su cui poggiano gli atteggiamenti di sfiducia rispetto al futuro (Se ti senti preoccupato, puoi
dircene le ragioni?)
Fonte: ARES 2.0
35
Fig.14 - I valori e attese sul proprio lavoro
(Qual è secondo te l’aspetto più importante del tuo lavoro futuro?)
Per concludere, i dati presentati in questo capitolo ci mostrano come la difficile condizione giovanile analizzata nel corso
del nostro lavoro incida profondamente sulla percezione che i giovani hanno del proprio futuro. Quella che emerge
da questa ricostruzione, infatti, appare come una generazione profondamente sfiduciata e in buona parte orientata a
sperimentare dei percorsi di vita all’estero.
In particolare, a incidere direttamente sulla percezione di fiducia nel futuro sono proprio tutte le variabili che abbiamo
analizzato nel corso di questa nostra ricostruzione. Ci riferiamo alla situazione occupazionale, al livello di fiducia nelle
istituzioni, al grado di partecipazione alla vita pubblica e al titolo di studio.
Tutte queste dimensioni sono riassunte nella tabella qui sotto. Per facilitarne la lettura abbiamo ripetuto l’esercizio di
elaborare un indice sintetico della percezione dei giovani sul futuro con valori compresi tra 0 e 1, dove uno rappresenta
l’espressione decisamente fiducioso e zero l’espressione molto preoccupato. Come si può vedere, gli individui che
mostrano un livello di fiducia più alto sono gli occupati, con un titolo di studio superiore, più attivi nella vita pubblica e
che in conseguenza di ciò si mostrano più fiduciosi nei confronti delle istituzioni. In estrema sintesi, perciò, possiamo
concludere che la fiducia nel futuro è strettamente associata al livello di inclusione sociale e che i dati negativi presentati
in questo capitolo sono il frutto diretto di una condizione materiale e sociale generalmente poco adeguata.
5%
7%
12%
16%
17%
22%
23%
24%
24%
38%
39%
45%
Prestigio sociale
Flessibilità
Rapporto con i colleghi
Ambiente di lavoro
Orari e tempi di lavoro
Autonomia
Coerenza con le mie aspirazioni
Carriera
Coerenza con le mie competenze
Crescita professionale
Guadagni
Stabilità/sicurezza
Fonte: ARES 2.0
36
Tab.12 - Differenze nella fiducia sul futuro tra i diversi gruppi
Fonte: ARES 2.0
37
38
4. I giovani e il sindacato:
tra pragmatismo e rivendicazioni collettive
In un contesto in cui prevale la stratificazione sociale; dove le condizioni di lavoro sono estremamente diseguali e
troppo spesso insufficienti; in cui il livello di inclusione nella vita pubblica non sempre appare adeguato e nel quale la
sfiducia verso il futuro emerge come il tratto peculiare di un’intera generazione, risulta evidente che le istituzioni e le
organizzazioni di rappresentanza non sono ancora riuscite a dare delle risposte concrete alle tante esigenze e bisogni
di questa fascia della popolazione.
Intaleprospettiva,ilruolodelsindacatoapparequantomaicentraleefondamentale,siaperlasuaposizionestrategica,
che per la totale sfiducia di cui gode la politica. Innanzitutto, va sottolineato che il sindacato è uno strumento in grado
di mettere in connessione i luoghi di lavoro con le istituzioni. Si tratta, infatti, dell’organizzazione più prossima ai
bisogni delle persone: un’organizzazione che ha come elemento costitutivo la risoluzione delle controversie di lavoro e
il miglioramento della condizione materiale dei lavoratori attraverso l’azione collettiva. Inoltre, proprio per il suo ruolo
chiave all’interno delle aziende, il sindacato è potenzialmente in grado di intercettare i nuovi bisogni della forza lavoro,
aggregandoli in una proposta complessiva spendibile per far pressione sui vari livelli istituzionali. In questa prospettiva,
quindi, a fronte dei cambiamenti strutturali del mercato del lavoro, il sindacato risulta in una posizione avvantaggiata
per comprendere i processi di trasformazione e tradurli all’interno di una piattaforma di rivendicazioni ampia e inclusiva.
In secondo luogo, in un contesto in cui i corpi intermedi della società versano in condizioni di grave difficoltà, il
sindacato sembra aver mantenuto, se pur con evidenti problematicità, un grado di fiducia maggiore rispetto ad altre
organizzazioni.Ci riferiamo al dato che abbiamopresentatonelcapitoloprecedenteincuiil31,6%deinostriintervistati
dichiara di fidarsi almeno in parte dell’organizzazione dei lavoratori a fronte del 10,1% che crede nella politica. Si
tratta di un dato tutt’altro che idilliaco che, tuttavia, all’interno della crisi di rappresentanza in atto, evidenzia come il
sindacato rimanga uno dei pochi soggetti dotati di un livello di legittimità adeguato a mobilitare le persone e porsi come
strumento di cambiamento sociale nella società.
Tuttavia, nonostante queste potenzialità, i dati ufficiali sulla sindacalizzazione nei paesi industrializzati, raccolti nel
databasedell’universitàdiAmsterdam(Visser2013),parlanodiunafasediriduzionedelleiscrizionialleorganizzazioni
di rappresentanza del lavoro, particolarmente diffusa tra i più giovani. Si pensi, infatti, che in tutti i paesi occidentali
il tasso di iscrizione dei lavoratori sotto i trent’anni si attesta a circa un terzo rispetto al dato sull’intera forza lavoro.
Si tratta di un elemento abbastanza significativo, che mostra un certo cambiamento nelle attitudini di chi si affaccia
per la prima volta nel mercato del lavoro e che senza un’adeguata risposta, rischia di ridurre fortemente le capacità
organizzative e il livello di legittimità del sindacato.
Da questo punto di vista, la letteratura ha suggerito almeno quattro principali determinanti per spiegare questa minor
propensione dei più giovani all’iscrizione sindacale. Tre di queste afferiscono ad alcune dimensioni connesse con
l’occupazione e con i cambiamenti intercorsi nel mercato del lavoro. Ci riferiamo alla diffusione della contrattazione
atipica, che affligge principalmente i più giovani; alla massiccia disoccupazione giovanile e al conseguente tasso di
turnover;alfattocheigiovanitendonoalavorareinprofessionieinsettoriaminortassodisindacalizzazione.Laquarta
determinante, invece, è rintracciabile proprio nella cultura delle nuove generazioni, le quali, secondo alcune indagini,
adotterebbero dei comportamenti più strumentali e individualistici e quindi sarebbero meno attratte dalla dimensione
valoriale e collettiva proposta dal sindacato.
Continuando questo esercizio di analisi e prima di entrare nel merito dei risultati delle nostre interviste, le evidenze che
emergono dalla letteratura, consentono di raggruppare le diverse determinanti della bassa sindacalizzazione giovanile
in tre distinte direttrici. In primo luogo, l’instabilità dell’impiego e il generale passaggio da una società industriale a
39
una basata sui servizi, ha profondamente inciso sulla capacità stessa del sindacato di interagire con i nuovi assunti.
Tale processo di disgregazione delle unità produttive ha generato una profonda dispersione dal punto di vista spaziale
della classe lavoratrice, la quale si è improvvisamente ritrovata priva di uno dei suoi principali punti di aggregazione: la
grande fabbrica manifatturiera.
In secondo luogo, i giovani, vivendo una condizione di maggiore ricattabilità e instabilità sul posto di lavoro data
dal massiccio ricorso alla contrattazione atipica, e dal fatto che lavorano in contesti più difficili da sindacalizzare,
risultano più esposti a un certo arbitrio datoriale. In questo contesto, l’adesione sindacale rappresenterebbe per questa
generazione un costo individuale particolarmente elevato in quanto, in assenza di adeguate tutele, rischia di impedire
la prosecuzione del rapporto di lavoro e incentivare atteggiamenti di tipo discriminatorio.
Infine, l’ultima direttrice per spiegare la bassa sindacalizzazione dei giovani è rintracciabile in una loro minore attitudine
all’azione collettiva, a vantaggio di una partecipazione più orientata ai servizi. In quest’ottica le nuove generazioni
sarebbero maggiormente propense a ragionare in termini di costi-benefici. L’iscrizione sindacale, perciò, risulterebbe
principalmente funzione della contropartita in termini di servizi o di benefici che si possono ottenere, attenuando in
questo modo quella dimensione valoriale che è stata sempre alla base della adesione al sindacato.
Partendo dalla ricostruzione sin qui proposta, proveremo a completare il quadro di analisi verificando cosa i nostri
intervistati si aspettano dalle organizzazioni di rappresentanza del lavoro e quali sono le principali motivazioni che li
hanno spinti ad aderire (o a non aderire) al sindacato. Al centro della nostra attenzione, quindi, saranno proprio le
argomentazioni utilizzate dalla letteratura per spiegare la scarsa sindacalizzazione dei giovani. In particolare, se dai
dati precedentemente analizzati, emerge chiaramente come la situazione dei nostri intervistati sia effettivamente
caratterizzata da un’elevata contrattazione atipica, da un forte livello di disoccupazione e da una dispersione del lavoro,
proveremo a capire quanto questa condizione abbia influenzato le scelte di sindacalizzazione. Inoltre, muovendoci
all’interno del dibattito sulla diversa attitudine dei giovani, ciò che vogliamo capire è anche se, all’interno del nostro
campione, possa essere rintracciato quell’attitudine più orientata ai servizi offerti e meno alla più generale dimensione
valoriale.
Ovviamente, propedeutico a una analisi approfondita delle determinanti della sindacalizzazione è una ricognizione
sul livello di iscrizione sindacale dei nostri intervistati. Da questo punto di vista, tra i lavoratori del nostro campione si
registra un tasso di iscrizione al sindacato del 13,2% (41,4% degli iscritti è riconducibile alla CGIL, 28,6% alla CISL
e 8,6% alla UIL). Si tratta di un dato di sindacalizzazione che si dimezza (7,2%) se si prende in considerazione
l’intera popolazione che ha partecipato al questionario. Come potevamo aspettarci, infatti, solo l’1,4% degli studenti
ha scelto di sindacalizzarsi. Occorre, inoltre, segnalare che se tra i disoccupati l’attuale tasso di sindacalizzazione si
attesta al 5,8%, la situazione cambia radicalmente prendendo in considerazione le persone in cerca di occupazione
che non hanno rinnovato la propria iscrizione (10,8%). Si tratta di una serie di elementi che ci confermano come la
sindacalizzazione sia un fenomeno sociale fortemente collegato all’attuale impiego e che, in virtù di ciò, la perdita del
posto di lavoro generalmente determini anche la rinuncia alla partecipazione sindacale.
Passando a un’analisi più approfondita sulle determinanti della sindacalizzazione, notiamo subito come l’iscrizione
dei giovani al sindacato si confermi un fenomeno prevalentemente legato ai settori dove questo è tradizionalmente
più forte. Si pensi al bancario-assicurativo (23%), al pubblico impiego (16,6%), all’istruzione (30,7%) e alla sanità
(23,8%). Lo stesso discorso vale anche per l’inquadramento professionale. I nostri intervistati che hanno scelto di
iscriversi al sindacato, infatti, si concentrano principalmente nel mondo operaio (20,6%) a scapito delle professioni
impiegatizie (12,8%). Infine, i nostri dati ci confermano che il sindacato riesce a raccogliere più adesioni nei contesti
aziendali di medie e grandi dimensioni, dove le organizzazioni di rappresentanza hanno più facilità nell’accesso ai
luoghi di lavoro e dove possono intercettare un numero di persone più ampio.
Tutti questi elementi, ci confermano l’ipotesi per cui le nuove generazioni sarebbero meno propense ad aderire alle
organizzazioni di rappresentanza del lavoro poiché impiegate in quei settori dove per il sindacato è più complicato
40
avere accesso. I dati analizzati in precedenza, infatti, ci hanno mostrato come i nostri intervistati siano principalmente
occupati nelle piccole (16,5%) e piccolissime imprese (43,9%) dell’industria e dell’artigianato, siano scarsamente
presenti nella pubblica amministrazione (1,9%) o in altri settori in cui il sindacato è tradizionalmente più forte e
abbiano un’occupazione prevalentemente impiegatizia (51,9%).
Un’ulteriore conferma di questa ipotesi può essere rintracciata guardano ad alcune delle motivazioni più ricorrenti che
hanno spinto i nostri intervistati a recedere dall’iscrizione al sindacato o a non iscriversi1
. Ben il 28,6% di chi non ha
rinnovato la tessera, infatti, lo ha fatto a seguito di un trasferimento da un’azienda all’altra, mentre il 14,2% dei non
iscritti ha evidenziato come la sua scelta derivi dall’assenza del sindacato nella propria impresa.
Se, quindi, l’ipotesi di una mancata sindacalizzazione dei giovani in virtù della loro diffusa attività nei settori meno
sindacalizzati appare come fondata, anche l’incidenza negativa delle forme contrattuali atipiche sulle scelte di adesione
al sindacato dei più giovani si conferma altrettanto solida. Si pensi, infatti, che tra i nostri intervistati solo il 6,4% dei
lavoratori con contratto atipico ha scelto di aderire a un sindacato a fronte del 33,3% dei loro coetanei assunti a tempo
indeterminato.Sitrattadiundatoestremamentesignificativosiaperlasuaevidenteportatacheperl’elevataincidenza
della nuove forme contrattuali sulle coorti di età che stiamo analizzando. Questi dati, perciò, ci portano a evidenziare
come la forma contrattuale rappresenti una delle dimensioni che influenza maggiormente la decisione di iscriversi al
sindacato.
Tuttavia, i dati raccolti non ci permettono di chiarire in maniera definitiva le ragioni che producono questo scollamento
tra i giovani con contratto atipico e le organizzazioni di rappresentanza del lavoro. Indubbiamente, come si diceva in
precedenza,lacondizionediprecarietàsperimentatadabuonapartediquestagenerazioneesponeigiovanilavoratoriai
ricattidatoriali.Inquestaprospettiva,lasceltadisindacalizzarsipuòconfigurarsicomeuncostointerminidiopportunità
che la gran parte dei lavoratori con un contratto atipico sceglie di non assumersi. Tuttavia, nel nostro campione, solo
il 5,9% dei non iscritti ha esplicitato di non aderire al sindacato per paura di essere discriminato sul posto di lavoro. Si
tratta di un elemento che mette in luce come, a fianco del problema della ricattabilità, esistano alte ragioni che tengono
lontani i giovani precari dal sindacato. Occorre, infatti, tenere presente che la scarsa propensione a iscriversi al sindacato
da parte dei giovani esposti alla precarietà rischia di acuire il gap tra questa fascia della popolazione e l’organizzazione
che dovrebbe rappresentarla, rendendo quest’ultima meno permeabile alle richieste del variegato mondo del lavoro
atipico e meno capace di interpretarne i suoi bisogni.
Senza addentrarci in dibattiti filosofici, infatti, dobbiamo tenere a mente che il sindacato, da un lato ha l’ambizione di
rappresentaregliinteressidellavorointuttelesueforme,dall’altrosiconfiguracomeunostrumentodiazionecollettiva
e di tutela per i suoi iscritti. In questo contesto, una base sindacale composta solo marginalmente da quella fascia della
popolazione che sperimenta sulla propria pelle la precarietà sarà meno capace di far emergere le proprie rivendicazioni
e tramutarle in un’azione collettiva realmente efficace.
Infine, ben più complicato appare il discorso sull’ultima direttrice che può influenzare la propensione dei giovani
all’iscrizione sindacale: la questione attitudinale. Anche in questo caso, infatti, come è accaduto in precedenza rispetto
alla partecipazione sociale dei nostri intervistati, i dati che emergono dall’analisi non sono univoci.
Indubbiamente, all’interno del nostro campione è presente una piccola, seppur non trascurabile, fascia della
popolazione socialmente molto attiva, che associa a elevati tassi di partecipazione alla vita pubblica un’altrettanto
elevata propensione all’iscrizione sindacale. Inoltre, tra gli iscritti al sindacato permane una componente (9,9%) che
ha scelto di aderire all’organizzazione del lavoro per motivi valoriali o per ragioni di tipo relazionale (21,1%), ovvero
in base alle indicazioni di qualche collega.
1 - Occorre tenere in considerazione che quando ci riferiamo all’analisi delle motivazioni che hanno indotto i nostri intervistati a non iscriversi al sindacato, i dati
si riferiscono esclusivamente alla forza lavoro, ovvero agli occupati e ai disoccupati. Abbiamo, infatti, escluso dalle nostre considerazioni gli studenti, in quanto
la loro scelta deriva dalla loro condizione occupazionale e non può essere influenzata da elementi interni ai luoghi di lavoro.
41
Tuttavia, se questi elementi appaiono slegati dalla ricerca di benefici diretti, resta innegabile che, per una fascia
piuttosto consistente dei nostri intervistati, la sindacalizzazione rappresenti una scelta finalizzata alla tutela dei propri
interessi individuali e collettivi, al cui interno non assumono valore marginale i servizi. Si pensi, infatti, che il 38% degli
aderenti a un’organizzazione di rappresentanza del lavoro ha basato la sua scelta rispetto ai servizi ricevuti, mentre
il 39,4% ha indicato tra le sue ragioni principali la necessità di far valere i propri interessi. Va anche detto, però, che
guardando a chi ha deciso di revocare la propria delega sindacale, il 28,2% dichiara di averlo fatto per incapacità del
sindacato di tutelare i propri interessi ed il 20,4% dichiara una insoddisfazione rispetto ai servizi.
Nell’insieme, perciò, possiamo evincere che buona parte dei giovani del nostro campione guarda con un certo
interesse alle organizzazioni di rappresentanza del lavoro, anche se appare evidente come questi siano meno legati
alla dimensione valoriale politica e più legati alla dimensione aziendale e all’azione di tutela dei propri interessi. In
pratica, per i giovani lombardi il sindacato si configura come un’organizzazione che può aiutarli a migliorare la propria
condizione materiale sui luoghi di lavoro e non solo.
Infine, pur in questo sbilanciamento valoriale nella direzione di un rapporto pragmatico con le organizzazioni di
rappresentanza, i nostri intervistati non confermano l’idea diffusa di una generazione avversa al sindacato. Va, infatti,
segnalato che solo una parte relativamente contenuta del nostro campione, non aderisce a un’organizzazione di
rappresentanza dei lavoratori in quanto delusa dalle sue scelte (10,9%) o in quanto contraria di principio alla sua
azione e alle sue politiche. Parallelamente, un gruppo più consistente, ma sempre relativamente poco numeroso,
dichiara di non iscriversi poiché non interessato all’attività sindacale (24,9%) o in quanto convinto di non aver bisogno
di strumenti di tutela collettiva (20,7%). In questo contesto, invece, a spiccare per la sua consistenza è proprio quella
parte dei nostri intervistati che, pur non essendo contraria di principio al sindacato, non risulta iscritta perché nessuno le
ha mai chiesto di farlo (35%) o perché l’azienda non è provvista di rappresentanze sindacali (14,2%). Si tratta, di un
atteggiamento di tipo passivo, in parte analogo a quello che abbiamo riscontrato rispetto alla partecipazione alla vita
pubblica. In pratica, i dati ci mostrano come una fetta consistente dei giovani lombardi sarebbe quantomeno interessata
a prendere in considerazione l’idea di aderire a un sindacato, ma non lo fa per mancanza di conoscenze necessarie e
di adeguati stimoli esterni.
42
Tab.13 - Tasso di iscrizione sindacale: differenziali per categorie e condizioni
Fonte: ARES 2.0
43
Fig.14 - Distribuzione iscrizione sindacale per status occupazionale
(sei mai stato iscritto ad un sindacato?)
Fig.15 - I principali motivi alla iscrizione ed alla rinuncia all’iscrizione sindacale
Fonte: ARES 2.0
13,2%
1,4%
5,8% 7,2%
11,6%
10,8% 8,8%
75,2%
98,6%
83,3% 84,0%
Occupato Studente In cerca di
Occupazione
 TOTALE
Sì In passato No, mai
2,8%
9,9%
15,5%
21,1%
38,0%
39,4%
7,1%
9,5%
9,5%
11,9%
16,7%
20,2%
28,6%
28,6%
Perchè il mio coniuge è iscritto
Per affinità ideale/valoriale
Altro
Su consiglio di un collega
Per ottenere servizi
Per far valere i propri interessi
Perché in disaccordo con le sue scelte nazionali
Perché in disaccordo con le sue scelte sul luogo di lavoro
Altro
Perché si è messo in proprio
Perché vuole risparmiare i costi della tessera
Perché il sindacato non gli ha offerto servizi adeguati
Perché ha cambiato datore di lavoro
Perché non crede che il sindacato abbia tutelato i suoi
interessi
MOTIVIPERCUIE'ISCRITTOAL
SINDACATO
MOTIVIPERCUINONE'PIU'ISCRITTOAL
SINDACATO
Fonte: ARES 2.0
44
Tab.14 - I principali motivi di chi non si è mai iscritto al sindacato
Fonte: ARES 2.0
Per concludere, in un contesto in cui le nuove generazioni vivono una condizione di marginalità e di esclusione, il
sindacato potrebbe svolgere un ruolo chiave per dare voce alle istanze del mondo dei più giovani e contribuire alla loro
piena inclusione sociale. Tuttavia, l’analisi che abbiamo condotto ha fatto emergere come nel rapporto tra i giovani
e il sindacato permangono condizioni che rendono questo processo di rappresentanza piuttosto complicato. Abbiamo
infatti potuto constatare come diversi fattori materiali connessi con la posizione delle nuove generazioni nel mercato
del lavoro contribuiscano a tenere separata buona parte di questa generazione dal mondo sindacale. Ci riferiamo
in particolar modo ai lavoratori con contratti atipici, impiegati nella piccola e piccolissima impresa e in settori che
tradizionalmente presentano bassi livelli di sindacalizzazione.
Tuttavia, il vero elemento di novità che emerge da questa ricostruzione è che i giovani lombardi non appaiono così
distanti dal mondo sindacale, ma chiedono a questo un’attenzione particolare rispetto ad alcune esigenze connesse
con lo svolgimento del proprio lavoro. Da questo punto di vista, i dati ci mostrano come le modalità di adesione
abbiano subito degli evidenti cambiamenti negli ultimi anni, facendo passare in secondo piano l’aspetto valoriale
rispetto a un’appartenenza di carattere più pragmatico. Questa, tuttavia, non si configura come prettamente rivolta
all’erogazione di servizi, quanto a una rappresentanza capace di far valere i propri diritti e fornire supporto in termini
di tutela collettiva.
Ancheperquestaragione,leprincipalirichiestechequestagenerazionerivolgealsindacatosonodinaturarivendicativa.
In particolare i giovani che hanno risposto al nostro questionario hanno indicato come prioritaria un’azione diretta del
sindacato per la riduzione e stabilizzazione del lavoro precario (27,5%) e contestualmente un impegno a favore
dell’introduzione di qualche forma di reddito minimo (19,1%). La questione del lavoro, atipico, infatti, come abbiamo
visto in tutti i passaggi di questo lavoro, rappresenta una vera e propria piaga sociale per questa generazione. Tuttavia,
nonostante questo tema condizioni fortemente la percezione dei nostri intervistati, a emergere nel nostro questionario
sono anche altre richieste più generali. Ci riferiamo alla necessità di un maggiore impegno del sindacato nella tutela
delle pensioni (25,7%) e a tutta una serie di iniziative di carattere aziendale che possono migliorare le condizioni
di lavoro come la promozione di percorsi interni di carriera (24,5%) e una maggiore vigilanza sull’applicazione dei
contratti collettivi (21,1%). Solo il 7% dei nostri intervistati, infine, ha espresso la necessità di un sindacato più attento
all’erogazione di servizi per i propri iscritti: un ulteriore riprova di quanto questa generazione non veda solo nei servizi
il vero valore aggiunto dell’azione sindacale.
45
46
5. Conclusioni
Nel corso di queste pagine abbiamo provato a raccontare il mondo dei giovani lombardi concentrandoci sulla loro
condizione lavorativa, sul loro grado in inclusione nella vita sociale e politica, sul loro rapporto con le istituzioni, sulle
loro aspirazioni e sulle loro preoccupazioni rispetto al futuro. Infine, abbiamo voluto approfondire il tema della relazione
tra le nuove generazioni e le organizzazioni sindacali. Queste, infatti, in virtù della loro capillare presenza all’interno dei
siti produttivi della Lombardia, sono le organizzazioni più prossime ai bisogni dei giovani lavoratori e possono, perciò,
giocare un ruolo decisivo nell’intercettare le richieste della forza lavoro e trasformarle in una proposta complessiva in
grado di dare voce alle nuove generazioni.
La struttura analitica proposta ci ha permesso di restituire l’immagine di una generazione che sperimenta condizioni
di lavoro non sempre adeguate; che per buona parte versa in una situazione di esclusione sociale; che si dimostra
mediamente interessata alla dimensione pubblica, anche se presenta una scarsa propensione all’azione collettiva; che
è sfiduciata nei confronti delle istituzioni e più in generale presenta livelli di fiducia nel proprio futuro estremamente
limitati.
In particolare, dal punto di vista materiale, possiamo rinvenire una forte eterogeneità tra i nostri intervistati, che rende
difficile parlare dei giovani come di un corpo sociale omogeneo. Ci riferiamo alla forte stratificazione sociale, la quale
rende possibile estrapolare dal nostro campione almeno quattro distinti gruppi sociali. Da un lato, infatti, l’effetto
congiunto della contrattazione atipica con la flessibilità oraria ha dato luogo a una netta demarcazione tra chi è stato
assunto con un contratto a tempo indeterminato e lavora a tempo pieno e chi, invece sperimenta le più disparate
forme contrattuali. Si pensi, infatti, che se il nostro campione guadagna in media 1.297 euro al mese, vi è una forte
polarizzazione tra chi percepisce una retribuzione inferiore ai 600 euro (11,5%) e chi guadagna oltre 1500 euro
(18,4%).
Dall’altro, invece, all’interno del variegato mondo della disoccupazione, a emergere è una chiara separazione tra
quella fascia della popolazione che sperimenta brevi periodi di ricerca del lavoro, che è relativamente più giovane e che
possiedeuntitolodistudioelevatoequellaconsistentefettadelnostrocampionecheèimbrigliatainunadisoccupazione
di lungo periodo e risulta priva di adeguati strumenti per competere nel mercato del lavoro. In particolare, ci riferiamo
a quel 24% dei nostri disoccupati, che hanno tra i 25 e i 34 anni, che risultano privi di un titolo di studio universitario
e che parallelamente non hanno mai svolto attività lavorativa o che hanno svolto solo impieghi di natura saltuaria.
Sempre dal punto di vista del lavoro, va segnalato che se le condizioni economiche appaiono non sempre adeguate,
il livello di soddisfazione lavorativa misurato attraverso le nostre interviste appare generalmente buono. In pratica, i
giovani lombardi tendono a compensare l’insoddisfazione per il proprio reddito con altri aspetti quali la possibilità di
sviluppare percorsi di crescita professionale, lo svolgimento di mansioni coerenti con le proprie aspettative e i rapporti
interpersonali in azienda. In pratica, per i nostri intervistati, il lavoro non rappresenta esclusivamente uno strumento di
natura economica, ma può diventare anche un importante mezzo per l’autorealizzazione personale.
Rispetto alla partecipazione sociale, invece, i nostri dati tendono a non confermare lo stereotipo di fondo che vede
nelle nuove generazioni una distanza siderale dalla sfera sociale. Quella che emerge da questa ricostruzione, infatti,
è una generazione che nutre un certo interesse per la vita pubblica. Ci riferiamo ai livelli di ascolto dei dibattiti politici
(40,2%), alla tendenza a discutere frequentemente con i propri coetanei di politica (36,1%) e alla lettura quotidiana
dei giornali (38,2%). Si tratta, tuttavia, di un interesse di natura passiva, il quale solo in rare occasioni si trasforma
in una vera e propria azione collettiva. Si pensi, infatti, che meno del 12% dei nostri intervistati ha preso parte negli
ultimi 12 mesi a un comizio o a un corteo.
Attraverso questi dati, perciò, possiamo far emergere due distinti fenomeni sociali. Da un lato, infatti, le nuove
47
generazioni sarebbero caratterizzate da un atteggiamento di natura più pragmatica e meno propensa all’azione
collettiva. Dall’altro, i dati ci dimostrano che la minor propensione alla partecipazione diretta è principalmente associata
a quei gruppi sociali più marginalizzati che fanno più fatica a trovare canali di rappresentanza adeguati: un dato
confermato dall’analisi sulla fiducia nelle istituzioni, che vede la politica nettamente all’ultimo posto, con solo 10,1%
dei nostri intervistati che dichiara di fidarsi almeno in parte di essa.
Tutti questi elementi si ripercuotono in maniera evidente sulla percezione che i giovani hanno del loro futuro. Quella che
emerge dalla nostra analisi, infatti, è una generazione totalmente sfiduciata, che si dichiara preoccupata per il proprio
futuro (82,4%) e che immagina di provare a cambiare la propria condizione emigrando all’estero (26,3%). Anche in
questo caso, i più colpiti appaiono proprio i più deboli, che si dimostrano i più desiderosi di cercare fortuna al di fuori
dell’Italia.
In ultima analisi, a emergere è il ritratto di una generazione pienamente consapevole del divario di opportunità che
sta vivendo nei confronti delle coorti di età nate negli anni precedenti. Si tratta, infatti, della prima generazione che
dal dopoguerra a oggi sperimenta condizioni di vita e di lavoro inferiori a quelle dei propri genitori, senza riuscire a
immaginare una possibile via di uscita alla propria esclusione sociale.
Daquestopuntodivista,idaticheabbiamoraccoltomettonoinlucequattroimportantisfideallequalileorganizzazioni
di rappresentanza dovrebbero provare a dare risposta per migliorare la condizione materiale dei giovani e colmare il
senso di abbandono di parte di una parte sempre più rilevante della popolazione.
In primo luogo vi è la lotta alla precarietà. Questa, infatti, si configura come una vera e propria piaga sociale che si
ripercuote negativamente in tutti gli ambiti che abbiamo analizzato all’interno di questo lavoro. Se, infatti, nel nostro
campione solo il 45,1% è attualmente assunto con un contratto a tempo indeterminato, i dati ci dimostrano che il
massiccio ricorso alla flessibilità contrattuale nella maggior parte dei casi rischia di trasformarsi nella cosiddetta spirale
della precarietà. Si pensi, alla questione salariale che vede i giovani con contratto atipico guadagnare il 73% rispetto
alla media del campione o al fatto che chi è assunto con contratto atipico tende ad avere un tasso di turnover lavorativo
estremamente più elevato rispetto ai propri colleghi con contratti stabili. Come abbiamo visto, inoltre, il ricorso alla
contrattazione atipica non ha effetti negativi solo per quanto riguarda la condizione lavorativa, ma influenza anche
tutte le altre dimensioni che abbiamo analizzato. Ci riferiamo al grado di inclusione nella vita pubblica, al livello di
fiducia nelle istituzione e alla percezione di preoccupazione rispetto al proprio futuro.
Altrettanto importante risulta la lotta alla disoccupazione giovanile attraverso il miglioramento del livello di connessione
tra la scuola e il mondo del lavoro e degli strumenti di politiche attive. I dati raccolti dalla nostra inchiesta, infatti,
mostranocheperunaparteconsistentedelcampionelaricercadilavoroapparecomeunacondizionestrutturaledilungo
periodo. Si pensi, infatti, che il 51,8% degli intervistati è alla ricerca di un’occupazione da più di sei mesi. Si tratta di un
datoestremamentepreoccupantechemetteinlucetutteleinefficienzedelnostrosistemadicollocamentoediraccordo
tra il mondo dell’istruzione e quello del lavoro. Tra i nostri intervistati, infatti, solo il 29,8% ha ricevuto formazione
scolastica per l’orientamento al lavoro. Inoltre, ben più preoccupante appare il dato sui canali di accesso all’impiego.
Tra questi, infatti, il ruolo dell’intermediazione di amici, parenti e conoscenti appare ancora oggi fondamentale per il
27,4% degli occupati, mentre solo l’8,5% di chi è attualmente impiegato ha usufruito dei servizi offerti da un centro
per l’impiego pubblico o privato. Si tratta di un dato che mette in evidenza come un sistema di reclutamento di tipo
familistico-tradizionale sia ancora fortemente radicato nel contesto lombardo.
Il terzo elemento su cui occorre focalizzare l’attenzione è certamente l’istruzione. Come abbiamo potuto apprezzare,
infatti, questa si configura come l’unico strumento effettivo per ridurre l’esclusione sociale e migliorare le condizioni
materiali dei giovani. All’interno dei nostri dati, infatti, l’istruzione universitaria ha un impatto positivo sul salario,
sull’occupazione, sulla soddisfazione lavorativa, sul grado di partecipazione alla vita pubblica e su una migliore
considerazione del futuro. Si tratta, inoltre, di uno strumento in grado di ridurre il rischio della spirale della precarietà,
contribuendo a un minor tasso di turnover lavorativo. In questo contesto, investire sull’istruzione di massa e sui percorsi
48
di formazione interprofessionale può diventare uno strumento fondamentale per migliorare la condizione delle future
generazione e combattere l’esclusione sociale.
Infine, i dati ci mostrano che il capitale sociale inteso come partecipazione alla vita pubblica incide positivamente sul
benessere e sulle possibilità lavorative. In questo contesto, gli individui più attivi nella sfera politica appaiono come i più
propensi a immaginarsi un futuro positivo e i meno disposti a emigrare all’estero. Da questo punto di vista, incentivare
la partecipazione sociale e politica, attraverso forme di rappresentanza più aperte verso le giovani generazioni, non
descrive solo uno strumento di rinnovamento, ma anche un’occasione per migliorare la condizione materiale e sociale
dei più giovani.
In questo quadro articolato, il sindacato appare una dei soggetti più adatti a raccogliere queste nuove sfide. Si tratta,
infatti, di un’organizzazione che, all’interno della profonda crisi di rappresentanza dei corpi intermedi della società, ha
conservato un grado di consenso sufficiente per riuscire a mobilitare le persone e porsi come strumento di cambiamento
sociale. Da questo punto di vista i dati raccolti ci mostrano un livello di fiducia nel sindacato che si attesta al 31,6% a
fronte del 10,1% della politica. Inoltre, per via del suo ruolo strategico all’interno delle imprese, l’organizzazione di
rappresentanzadelmondodellavororisultainunaposizioneavvantaggiatapercomprendereiprocessiditrasformazione
in atto nel mercato del lavoro.
In tale prospettiva, quindi, il sindacato potrà svolgere un ruolo determinante nel processo di riscatto sociale di un’intera
generazione, se sarà in grado di raccogliere le nuove sfide e le nuove rivendicazioni dei giovani e trasformarle in una
piattaforma di rivendicazioni ampia, inclusiva ed efficace.
49
APPENDICE
Il questionario rivolto ai giovani 17-34 anni
INDICAZIONI ANAGRAFICHE DELLA PERSONA INTERVISTATA
A1.	 Provincia di residenza
________________________
A2.	Sesso
Maschio Femmina
A3.	Età
tra 16 e 20
tra 21 e 25
tra 26 e 30
tra 31 e 35
A4. Nazionalità
Italiana Comunitaria Non comunitaria
A5. Tipologia del nucleo familiare
Vivo da solo
In famiglia (padre, madre, figli)	
Con coniuge/partner	
Con coniuge/partner e figli
Solo con figli
Con colleghi/amici/conoscenti
Altro (spec. __________________)
A6. Titolo di studio
Nessun titolo
Licenza elementare
Licenza scuola media inferiore
Qualifica professionale (2 o 3 anni)
Diploma di scuola media superiore
Laurea
Master post laurea
Dottorato
A7. Attualmente sei:
Occupato (sezione B)
Studente/Impegnato in un Tirocinio/stage (training) vai a A8
In cerca di Occupazione (sezione C)
Non sono impegnato nello studio o nella formazione/tirocinio, non lavoro e non cerco (sezione D)
Altro (specificare)_______________________
50
A8. Al momento sei studente di
Liceo
Istituto tecnico
Istituto professionale
Università
Corso Post Laurea
Chi risponde alla A8 va poi alla sezione E
B. OCCUPATI: INDICAZIONI SU POSIZIONE LAVORATIVA E CONTESTO AZIENDALE
B1. Come è inquadrata la sua attività
Libero professionista
Imprenditore
Impiegato
Tecnico specializzato
Operaio
Apprendista
B2. Allo stato attuale qual è la tua condizione occupazionale (solo una risposta)
Lavoro con contratto a tempo indeterminato B4
Lavoro con contratto a tempo determinato B4
Lavoro con contratto stagionale B4
Lavoro con un contratto di collaborazione B4
Lavoro con Partita Iva B4
Lavoro con un contratto interinale B4
Lavoro con un contratto di apprendistato B4
Nessun contratto (vai alla dom B3)
Lavoro con contratto a chiamata B4
Altro
B3. Per quale motivo hai accettato un lavoro “senza contratto”:
Avevo bisogno di soldi
Avevo timore di non ottenere o di perdere il lavoro
Ho preferito lavorare senza contratto per convenienza personale
Non mi è stata offerta una condizione alternativa
Quando ho accettato non ho posto attenzione a questo aspetto
B4. Mi diresti il settore in cui lavori
Agricoltura
Manifatturiero
Costruzioni
Turismo e Ristorazione
Banche e Assicurazioni
Grande Distribuzione e Retail
Informatica, IT e Telecomunicazioni
Comunicazione, grafica e creatività
Pubblica Amministrazione
Sanità
Istruzione
Altro
51
B5. Come hai trovato questo lavoro?
Attraverso il centro per l’impiego (cpi)
Agenzia interinale o altra agenzia privata di intermediazione
Rivolto direttamente al datore di lavoro
Parenti/Amici/conoscenti
Concorso
Segnalazione della scuola, Università
Lavoro nell’azienda in cui ho svolto precedentemente un tirocinio/stage
Risposto ad inserzione su giornale, internet
B6. Quanti siete in azienda (dipendenti, soci attivi, collaboratori) |__|__|
B7. Qual è il tuo orario di lavoro (numero medio ore di lavoro settimanale) |__|__|
B8. Qual è la tua retribuzione mensile
Meno di 500
Tra 500 e 1000
Tra 1000 e 1500
Tra 1500 e 2000
Più di 2000
B9. Quanti lavori hai cambiato negli ultimi 5 anni |__|__|
B10. La tua formazione è stata utile per ottenere questo lavoro?
Molto
Abbastanza
Poco
Per nulla
B11. Sei soddisfatto dei seguenti aspetti del tuo attuale lavoro (Una risposta per riga)
Molto Abbastanza Poco Per nulla
Retribuzione/ Guadagno economico
Mansioni e ruoli ricoperti
Organizzazione del lavoro (orari, turni, gestione straordinari, ferie)
Rapporti con i colleghi
Rapporti con superiori
Condizioni interne di sicurezza
Tempo necessario per raggiungere il luogo di lavoro
Sviluppo competenze e acquisizione professionalità
Interesse per quello che faccio
Prestigio sociale
Stabilità del posto di lavoro
Autonomia nell’organizzare il mio lavoro
Possibilità di fare carriera
Utilità sociale del mio lavoro
Tempo libero rimanente
Vai alla sezione E
52
C. IN CERCA DI OCCUPAZIONE
C1. Hai mai svolto un’attività lavorativa
No, mai
Si, ma saltuaria
Si, ho svolto un’attività lavorativa continuativa
C2. Se eri un lavoratore, avevi un contratto:
A tempo determinato
A tempo indeterminato
Di lavoro interinale o di somministrazione lavoro
Di apprendistato
Altro (specificare )
Non avevo un contratto
C3. Quanto è durato il tuo lavoro? (indicare in mesi)___________
C4. Attualmente stai cercando un lavoro?
No, vai a D
Sì.
C5. Da quanto tempo stai cercando un lavoro?
meno di un mese
da 1 a 6 mesi
da 6 mesi ad un anno
Più di un anno
C6. In che modo stai cercando lavoro/attraverso quali canali?
Ho avuto contatti con un Centro pubblico per l’impiego
Ho avuto contatti con una agenzia interinale
Ho partecipato ad un concorso pubblico
Ho messo inserzioni sui giornali o ha risposto ad annunci
Ho fatto domande di lavoro e/o inviato (o consegnato) curriculum a privati
Mi sono rivolto a parenti, amici, conoscenti, sindacati
Ho cercato lavoro su Internet
Ho fatto ricerche per avviare una attività autonoma (permessi, licenze, locali)
C7. in quale settore stai cercando lavoro?
In qualunque settore
Agricoltura
Manifatturiero
Costruzioni
Turismo e Ristorazione
Banche e Assicurazioni
Grande Distribuzione e Retail
Informatica, IT e Telecomunicazioni
Comunicazione, grafica e creatività
Pubblica Amministrazione
Sanità
Istruzione
Non so
53
C8. Dove stai cercando lavoro
Nella mia città/comune
Vicino alla mia città/comune
Nella mia Regione
In qualsiasi parte d’Italia
All’estero
Ovunque
C9. Qualcuno ti ha mai insegnato come si cerca lavoro (come si scrive un curriculum, a chi rivolgersi…)?
No
Sì, a scuola
Sì, i miei genitori
Sì, all’informagiovani
Sì, amici che già lavorano
C10. Sei mai stato in un Centro per l’impiego (CPI)
Sì, sono iscritto
Sì
No
No, non so cosa sia un Cpi
Vai alla sezione E
D. NEET
D1. Perché se non sei occupato, al momento non sei alla ricerca di un lavoro o non sei inserito in un percorso di
istruzione e formazione
Malattia, problemi di salute personale
Per prendermi cura dei figli, di bambini e/o di altre persone non autosufficienti
Ritengo di non riuscire a trovare lavoro
Non mi interessa lavorare o studiare/non ne ho bisogno
Sto aspettando gli esiti di passate azioni di ricerca
Altri motivi (specificare)
Non so
Vai alla sezione E
E. PARTECIPAZIONE
E1. Negli ultimi 12 mesi, ti è capitato di:
SI NO
Partecipare a un comizio
Partecipare a un corteo
Sentire un dibattito politico
Dare soldi a un partito (per sottoscrizione, iscrizione, sostegno )
Dare soldi ad una associazione
Prendere parte ad una raccolta firme
54
E2. Partecipazione e social media
SI NO
Utilizzi i social network
Segui blog o forum sui temi sociali
Partecipi alle discussioni sui social
Produci materiali multimediali sui temi sociali
E3. Quanti libri non scolastici hai letto negli ultimi 6 mesi? (anche una stima approssimativa)
Indicare il numero |__|__| Nessun libro
E4.Negli ultimi 12 mesi hai letto giornali e quotidiani (anche on line)
Tutti i giorni
Una volta a settimana
Una volte al mese
Mai
E5. Fai o hai fatto parte di
Non ne ho mai fatto parte In passato, ma non ne faccio più parte Attualmente ne faccio parte
Partiti/Altri movimenti Politici	
Centri sociali o collettivi politici	
Associazioni sportive
Associazioni culturali e ludico/ricreativo	
Organizzazioni per la difesa dei diritti dell’uomo
(Emergency, Amnesty International, ecc.)
Associazioni o gruppi di volontariato sociale/
assistenziale
Associazioni ambientali o per la tutela degli
animali
Organizzazioni studentesche
Associazioni per le pari opportunità	
Associazioni para-militari	
Associazioni e gruppi di ispirazione religiosa
E6. Quanto ritieni sia utile impegnarsi in prima persona nella politica?
Molto
Abbastanza
Poco
Per nulla
E7. Ti capita mai di parlare di politica con i tuoi coetanei?
Sempre
Spesso
Qualche volta
Mai
E8. Qual è il tuo livello di fiducia nei confronti delle seguenti figure/enti
Molta Abbastanza Poca Nessuna
La pubblica amministrazione
La scuola
Le forze dell’ordine
Il sindacato
La chiesa
55
La politica
La sanità
Gli scienziati
La magistratura
I media
L’unione europea (UE)
E9. Sei mai stato iscritto a qualche sindacato dei lavoratori
No, mai, vai a E12
Sì, in passato
Si, sono ancora iscritto
E10. Se la risposta E9 è stata SI sono ancora iscritto , puoi indicarci:
Da quanti anni è iscritto
|__|__|
A quale organizzazione è iscritto
CGIL
CISL
UIL
Altro (Specificare)
Quali sono i motivi per i quali si è iscritto? (max due risposte)
Per ottenere servizi
Per far valere i miei interessi
Per affinità ideale/valoriale
Perché il mio coniuge era/è iscritto al sindacato
Perché mi è stato consigliato da un collega
Altro (specificare)
E11. Se la risposta E9 è stata SI, ma in passato, per quali ragioni non si è più iscritto (max due risposte)
Disaccordo con le scelte nazionali dei sindacati
Disaccordo con le scelte dei sindacati sul mio luogo di lavoro
Ho cambiato datore di lavoro
Mi sono messo in proprio
Non credo che il sindacato abbia tutelato i miei interessi
Ritengo che il sindacato non sia stato in grado di offrirmi servizi adeguati
Voglio risparmiare i costi della tessera
Altro specificare
E12. Se la risposta E9 è stata NO, mai, Quali sono i motivi per i quali non si è mai iscritto (max tre risposte)
Non ho voglia di partecipare alle attività sindacali
Nessuno mi ha chiesto di iscrivermi
Non ritengo di avere bisogno del sindacato
Voglio risparmiare i costi della tessera
Il sindacato non rappresenta i miei interessi
Il sindacato non rappresenta gli interessi dei lavoratori
Ho paura di essere discriminato e/o licenziato
Il sindacato mi ha deluso
Il sindacato non è presente nella mia azienda
Il sindacato è una organo che esprime la volontà di alcuni partiti politici
Altro (Specificare)
56
E13. Indipendentemente dalle sue scelte personali, secondo Lei cosa il sindacato potrebbe fare di più o meglio
(max 4 risposte)
Difendere le pensioni
Favorire i miglioramenti di carriera e inquadramento professionale
Aumentare le prestazioni sociali
Migliorare i servizi pubblici
Migliorare i servizi a favore degli iscritti
Rivendicare un reddito minimo per i più bisognosi
Impegnarsi per lo sviluppo economico
Far pagare le tasse a tutti
Stabilizzare i lavori precari
Difendere ambiente e sicurezza dei lavoratori
Estendere le tutele a chi non ne ha
Vigilare sulla corretta applicazione dei contratti
Ridurre le tasse
Aumentare le retribuzioni
Ridurre il lavoro precario
Ridurre l’orario di lavoro
Aumentare le indennità per permessi e congedi
Contrattare welfare integrativo
Contrattare la produttività
Altro (specificare) _________________
Vai alla sezione F
F. IL FUTURO
F1. Quando pensi al tuo futuro lavorativo ti senti più preoccupato o più fiducioso (una sola risposta)?
Mi sento molto preoccupato vai a F3	
Mi sento abbastanza preoccupato	 vai a F3
Mi sento abbastanza fiducioso	
Mi sento decisamente fiducioso	
F2. Se hai affermato che ti senti molto oppure abbastanza fiducioso nella precedente domanda, puoi dircene le
ragioni?
Per niente
d'accordo
Poco
d'accordo
Molto
d'accordo
Totale accordo
Conto su una buona preparazione scolastica e/o universitaria
Ho già un’idea precisa su dove inserirmi
Conto prima o dopo di mettermi in proprio
Penso di lavorare nell’azienda familiare/amici di famiglia
Conto sull’aiuto della mia famiglia nel trovare una collocazione lavorativa
Conto sull’aiuto della mia famiglia finché non trovo un lavoro stabile, vivendo con i
miei genitori e ricevendo qualche aiuto economico
Sono pronto a muovermi anche fuori dalla mia città pur di trovare lavoro, grazie
all’aiuto che mi può dare in tal senso la mia famiglia
Intendo cercare la mia strada senza poter contare affatto sull’aiuto familiare
Vai a F4
57
F3. Se ti senti preoccupato, puoi dircene le ragioni?
Per niente
d'accordo
Poco
d'accordo
Molto
d'accordo
Totale
accordo
Oggi mi sembra difficile trovare lavoro
Se si trova lavoro, spesso è di tipo precario
Le retribuzioni non sono abbastanza adeguate
Non è facile trovare una corrispondenza tra la preparazione ricevuta nella
scuola/università e quello che si può effettivamente fare all’interno di
un’azienda o di un’altra organizzazione
Non c’è più un lavoro che dà la sicurezza e la continuità, una volta inseriti
nell’azienda o in un’altra organizzazione
F4. Tra un anno ti immagini
Studente
Occupato stabilmente
Occupato precario
Disoccupato
Nessuna delle precedenti
Altro
F5. Dove immagini il tuo futuro lavorativo
Nella mia città
In Italia
Fuori dall’Italia
F6. Qual è secondo te l’aspetto più importante del tuo lavoro futuro (possibili max 3 risposte)
Carriera
Guadagni
Coerenza con le mie competenze
Coerenza con le mie aspirazioni
Crescita professionale
Autonomia
Flessibilità
Ambiente di lavoro
Rapporto con i colleghi
Orari e tempi di lavoro
Prestigio sociale
Stabilità/sicurezza
F7. In futuro credi che i tuoi rapporti con il sindacato
Si intensificheranno
Non si intensificheranno
Resteranno invariati

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Lavoro, partecipazione e futuro: una indagine sui giovani in Lombardia

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  • 2. Lavoro, partecipazione e FUTURO: un’indagine sui giovani in Lombardia Il rapporto è stato realizzato da: Umberto Bettarini, Mauro di Giacomo, Clemente Tartaglione (ricercatori ARES 2.0) in stretta collaborazione con la CGIL Lombardia che ha visto l’Impegno in qualità di responsabile del progetto Giacinto Botti (Responsabile Settore artigianato) e di coordinamento delle attività Franco Fedele (Coordinatore Dipartimento Artigianato) Finito di scrivere 03 Agosto 2015
  • 3. SOMMARIO Prefazione 1. Introduzione 1.1 L’indagine: obiettivi, metodologia e struttura del campione 2. Giovani e lavoro 2.1 Gli occupati: tra desiderio di autorealizzazione e la paura della precarietà 2.2 Una generazione alla ricerca disperata di lavoro 3. Partecipazione, fiducia nelle istituzioni e prospettive future: una generazione apatica e sfiduciata? 3.1 La partecipazione dei giovani lombardi alla vita sociale 3.2 Il difficile rapporto tra i giovani e le istituzioni 3.3 Giovani e futuro: ritratto di una generazione sfiduciata 4. I giovani e il sindacato: tra pragmatismo e rivendicazioni collettive 5. Conclusioni APPENDICE Il questionario rivolto ai giovani 17-34 anni pag. 4 pag. 6 pag. 10 pag. 18 pag. 23 pag. 27 pag. 31 pag. 38 pag. 46 pag. 49
  • 4. PREFAZIONE IlDipartimentoArtigianatodellaCGILLombardiaèdadiversianniimpegnatoinunpercorsodiricercaediapprofondimento sulle principali direttrici di cambiamento del mercato del lavoro nel settore artigiano. Si tratta di un lavoro ambizioso di inchiesta e di riflessione politica, finalizzato a migliorare le nostre capacità negoziali e di rappresentanza, dando voce ai bisogni e alle nuove richieste che provengono dalle lavoratrici e dai lavoratori di questo particolare e complesso settore. Inquest’ottica,dopolapubblicazionede“L’ArtigianatoinLombardia:lavoratorieimpresenellasfidadelcambiamento” e dell’Indagine sulla bilateralità in Lombardia: un approfondimento nel settore artigiano”, abbiamo voluto allargare il nostro orizzonte e mettere a disposizione la nostra esperienza per sviluppare un tema che va ben oltre i confini dell’artigianato: il rapporto tra le giovani generazioni e il mondo del lavoro e dei diritti. Mai come in questa difficile fase abbiamo chiara la consapevolezza che i giovani sono la vera speranza per ridare futuro all’Italia e una prospettiva alla nostra CGIL. Solo grazie al loro entusiasmo, alla loro capacità innovatrice e alla loro preparazione, sarà possibile uno slancio per uscire dalla crisi e porre le basi per una effettiva riunificazione del mondo del lavoro e un futuro migliore al nostro paese. Eppure, nonostante questo immenso potenziale, da ormai due decenni le giovani generazioni sperimentano sulla propria pelle condizioni di vera e propria emarginazione ed esclusione sociale. Si tratta, infatti, di una generazione che in buona parte non ha mai conosciuto le tutele previste dai contratti collettivi, e che vive il proprio rapporto di lavoro in completa solitudine, sempre sotto il possibile ricatto datoriale. Quella dei giovani, infatti, è una generazione che troppo spesso, pur in presenza di livelli di scolarità elevati, è intrappolata in una condizione di precarietà lavorativa che si traduce nella totale incertezza verso il futuro. Dare voce al mondo dei più giovani, perciò, non significa soltanto contribuire a un necessario rinnovamento, ma anche e soprattutto a lottare contro una delle più grandi forme di discriminazione e di esclusione sociale che questo paese perpetua da troppi anni. Alla luce di ciò, la CGIL Lombardia ha deciso di scendere in campo per mettere a disposizione delle nuove generazioni luoghi di partecipazione, strumenti di tutela efficaci e servizi utili alla loro integrazione nel mercato del lavoro. Si tratta di un percorso che non può chiudersi su se stesso ma deve coinvolgere tutta l’organizzazione, che deve interrogarsi sulle prassi e sui contenuti necessari per intercettare i nuovi bisogni e interagire efficacemente con i giovani, per assicurare, insieme a loro, il valore della solidarietà, l’uguaglianza delle opportunità e i diritti universali. In quest’ottica lo strumento della ricerca ci appare il più adeguato per conoscere, raccogliere e interpretare le tante domande che ci vengono indirizzate da questa generazione e renderla, così, parte integrante della nostra attività ordinaria. Rappresentare i nuovi bisogni e le nuove istanze, infatti, significa mantenere una visione aperta sul mondo e sulle sue trasformazioni. In pratica, saper interpretare i cambiamenti nel mercato del lavoro e leggere la complessità e le molteplici condizioni che lo contraddistinguono. Pensiamo che partendo da queste considerazioni si possa sviluppare un lavoro che spinga l’organizzazione a ripensarsi e a mettere in campo azioni efficaci per consentire il riscatto sociale a un’intera generazione che nutre ancora fiducia nel sindacato e che ha bisogno di trovare un “luogo” dove partecipare, riconoscersi e organizzarsi collettivamente, per agire nuove sfide e rivendicazioni con lo sguardo rivolto al futuro. Giacinto Botti Franco Fedele Responsabile Settore artigianato Coordinatore Dipartimento Artigianato CGIL Lombardia CGIL Lombardia
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  • 6. 6 1. Introduzione 1.1 L’indagine: obiettivi, metodologia e struttura del campione Giovani, Lavoro, Partecipazione sociale, Lombardia sono le parole chiave su cui fonda questa indagine che attraverso lo strumento dell’intervista proverà a dare voce a una generazione che troppo spesso appare abbandonata e poco ascoltata. Con questo progetto di ricerca, è stato infatti chiesto a oltre mille giovani di età compresa tra 17 e 34 anni, residenti in Lombardia, di raccontare le loro esperienze e il loro modo di immaginare il futuro. Si tratta di una fascia d’età piuttosto ampia ed eterogenea, che ci permette di studiare le percezioni dei giovani nelle diverse fasi della loro vita e nel processo di transazione dalla scuola al lavoro, in un contesto regionale di primaria importanza per l’economia italiana come la Lombardia. Per cui, senza la pretesa di generalizzare i nostri risultati all’intera popolazione italiana, ma soffermandoci all’interno di un quadro locale con le sue specificità, attraverso questo lavoro vogliamo restituire un’immagine articolata della condizione occupazionale di questi giovani lombardi, delle loro attitudini e delle loro percezioni rispetto al futuro. Per dare sostanza ai nostri propositi di ricerca, abbiamo realizzato un questionario a risposta multipla, somministrato tra Febbraio e Marzo 2015, attraverso un sistema CAWI (Computer-Assisted Web Interviewing). In pratica, si tratta di un metodo che, attraverso una piattaforma on-line, consente ai partecipanti all’inchiesta di rispondere alle domande direttamente dai propri dispositivi e in autonomia. La diffusione del questionario è avvenuta attraverso campagne di comunicazione sui social network, in particolare Facebook, con alcune sperimentazioni su Twitter: due piazze che come noto sono frequentate dalla quasi totalità della coorte oggetto di questa nostra indagine Per quanto riguarda i contenuti, abbiamo optato per una raccolta dati su due livelli. Il primo finalizzato a ricostruire il profilo socio-occupazionale dell’intervistato, allo scopo di contestualizzare meglio il suo punto di vista. Ci riferiamo in particolar modo, allo status occupazionale, alla tipologia contrattuale, al genere, al titolo di studio e, più in generale, a tutte quelle variabili che incidono sulla condizione materiale degli individui. Dall’altro, abbiamo voluto raccogliere informazioni rispetto alle percezioni, alla fiducia e agli interessi delle nuove generazioni. Da questo punto di vista, abbiamo lasciato ampio spazio alla raccolta di informazioni rispetto a ciò che viene ritenuto importante per il futuro lavorativo, al rapporto con il sindacato e al tema della partecipazione sociale e politica. Si tratta di elementi che, attraversol’analisi,hannolafunzionedirestituireunanarrazionearticolataeapprofonditasulleansie,lepreoccupazione e i bisogni di chi ha partecipato e che mirano, inoltre, a tratteggiare il rapporto tra questi, le principali istituzioni e le organizzazioni sindacali. L’utilizzodiquestametodologiacihapermessodicollezionareben1018questionarivalidi,chedisegnanouncampione piuttosto bilanciato rispetto a quanto emerge dalle principali fonti statistiche ufficiali. Si tratta di un dato sicuramente importante che conferma la validità della metodologia utilizzata. Entrandonelmeritodeidatiraccolti,perquantoriguardalacomposizionedigenere,siriscontraunaleggerapreponderanza della popolazione femminile, la quale si attesta al 60% rispetto al 40% di quella maschile. Rispetto all’età, i giovani si distribuiscono in modo abbastanza equilibrato tra le classi individuate, con una leggera sovrarappresentazione degli individui tra i 20 e i 22 anni. Tra i nostri intervistati, i cittadini italiani sono l’85%, gli stranieri comunitari l’8% e gli stranieri extracomunitari il 7%. Il titolo di studio cattura una popolazione con un buon livello di istruzione formale in cui si ferma a poco più del 19% la quota di chi non ha superato la licenza media, mentre si attesta al 24% quella componente di giovani che dichiara un livello di istruzione universitario. Infine, il questionario presenta una buona diffusione territoriale che in parte rispecchia la struttura relativa delle popolazione nelle diverse provincie lombarde. Scendendo sempre più verso il tema centrale della nostra analisi “il rapporto dei giovani con il mondo del lavoro“ possiamo notare come nel nostro campione meno di un terzo degli intervistati (31,5%) si dichiari occupato, circa
  • 7. 7 la metà dei rispondenti (47,4%) è attualmente alla ricerca di un’occupazione1, mentre la restante parte può essere inquadrata tra gli studenti, che ovviamente corrisponde alla maggioranza dei giovani nelle fasce di età più basse. Tab. 1 -Distribuzione dei giovani intervistati rispetto alle principali variabili anagrafiche e di istruzione (totale intervistati per macro variabile = 100) Fonte: ARES 2.0 1. Va precisato che la scarsa percentuale di persone che si sono dichiarate NEET (meno dell’1% del campione) ci ha indotto a inglobare questo gruppo sociale nella più vasta categoria delle persone non occupate. Tuttavia, nel nostro caso specifico questa coincide quasi interamente con le persone in cerca di occupazione. Per semplicità, perciò, nel proseguo del lavoro ci riferiremo indistintamente alla categoria delle persone in cerca di occupazione, pur tenendo in considerazione che una parte molto piccola di questo gruppo non è attualmente alla ricerca di lavoro.
  • 8. 8 Fig.1 - Distribuzione dei giovani intervistati per provincia di residenza (totale Lombardia = 100) Fonte: ARES 2.0 Tab.2 - Situazione lavorativa dei giovani intervistati Fonte: ARES 2.0 Nel corso dei prossimi capitoli andremo ad analizzare come i nostri 1018 giovani rispondenti al questionario raccontino la propria condizione, quali siano i loro bisogni e quale siano le loro percezioni rispetto al futuro. Come abbiamo potuto constatare attraverso questa prima rapida ricostruzione, si tratta di un campione coerente con la struttura anagrafica e lavorativa della popolazione giovanile della Lombardia, un dato questo che consente senza dubbio di attribuire ai risultati della survey una valenza universalistica rispetto alla coorte di indagine all’interno del contesto di riferimento. Milano; 33,9 Brescia; 15,5 Varese; 12,8 Monza e Brianza; 11,1 Bergamo; 10,8 Pavia; 5,6 Mantova; 2,8 Como; 2,7 Cremona; 2,7 Altre province; 2,3
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  • 10. 10 2. Giovani e lavoro 2.1Glioccupati:tradesideriodiautorealizzazioneelapauradellaprecarietà QuestoparagrafovuoleraccontareilmododellavoroinLombardiavistodagliocchideigiovani.Nelcorsodelleprossime pagine, perciò, forniremo una breve ricostruzione delle caratteristiche d’impiego dei nostri intervistati. In particolare, proveremo a restituire un ritratto della condizione lavorativa del nostro campione e delle sue aspirazioni sulla base di due distinti indicatori: il reddito dichiarato e il grado di soddisfazione lavorativo espresso. Si tratta di due elementi molto differenti, anche se strettamente intrecciati tra loro. Il primo, infatti, misura la condizione materiale dei nostri intervistati, ovvero, l’elemento dal quale dipendono in maniera sostanziale le loro prospettive future e la possibilità di sviluppare un proprio percorso di vita autonomo. Il secondo, invece, mette in luce diversi aspetti connessi alla sfera soggettiva. Ci riferiamo, ad esempio, al prestigio sociale, ai rapporti con i colleghi, allo sviluppo di competenze, all’autonomia professionale: variabili che compongono il nostro indice di soddisfazione lavorativa e ci permettono di valutare le condizioni di lavoro dei giovani in termini di autorealizzazione personale. Propedeuticoaunaletturacorrettadeirisultatiècertamenteun’analisisullecaratteristichedell’impiegodichiharisposto al questionario. Rispetto a ciò, i dati raccolti restituiscono l’immagine di una generazione che fatica a inquadrarsi nelle categorie occupazionali tradizionali, che vive in un contesto in cui l’intermediazione della famiglia gioca ancora un ruolo chiave nell’accesso all’impiego, che è costretta a cambiare spesso occupazione, che lavora in contesti multi settoriali e chesperimentauna condizione contrattuale non stabile.Inparticolare,inquestaricostruzionecisoffermiamosuquattro aspetti principali: le condizioni contrattuali dei nostri intervistati; il turnover lavorativo; il settore d’impiego; le modalità di collocamento lavorativo. Occorre subito evidenziare che dei giovani intervistati che si dichiarano occupati, solo una piccola parte (19,5%) è collocato in imprese medio grandi. Prevale, invece, la quota di chi sta svolgendo la sua esperienza lavorativa in realtà che hanno una dimensione inferiore a 15 addetti. Fig. 2 - Classe dimensionale dell’azienda in cui è occupato Fonte: ARES 2.0 Meno di 15 addetti 43,9 16-50 addetti 16,5 51-250 addetti 20,1 Più di 250 addetti 19,5
  • 11. 11 Fatta questa premessa, per quanto riguarda le condizioni contrattuali, occorre segnalare che anche nel nostro campione si registra quel processo di costante riduzione dei confini del contratto a tempo indeterminato. I dati, infatti, ci mostrano che più della metà dei nostri intervistati (54,9%) sono assunti attraverso una pletora di contratti atipici di diversa natura. Tempo determinato, partita iva, apprendistato, collaborazione occasionale e tutte le alte più diverse formule contrattuali. Oltre al contratto a tempo indeterminato, va segnalato che anche il lavoro a tempo pieno mostra una certa erosione a vantaggio del part time. Tra i nostri intervistati, infatti, oltre il 31% lavora meno di 35 ore alla settimana: un dato che raggiunge il suo apice tra le donne (36,4%). Sempre i nostri dati confermano un certo dualismo di genere. Le donne, infatti, lavorano prevalentemente con contratti atipici e per un numero di ore settimanali minore di quelle degli uomini. Si tratta, tuttavia, di uno svantaggio delle donne che tende a svanire se si inserisce la variabile dell’istruzione. Da evidenziare è anche che il nostro campione mostra un tasso di turnover lavorativo elevatissimo. Solo il 34,1% degli intervistati, infatti, dichiara di non aver mai cambiato lavoro negli ultimi 5 anni. Tra questi, come potevamo aspettarci, sono i giovani impiegati con contratto atipico quelli a subire in maniera più preponderate il fenomeno del turnover. Si tratta di un dato preoccupante, che evidenzia i rischi connessi alla cosiddetta “spirale delle precarietà”, in cui il contratto atipico perde la sua natura di strumento di transizione, per diventare una condizione strutturale e perenne. Fig. 3 - Tipologia contrattuale dei giovani intervistati in condizione di occupato (tot.per genere=100) Fonte: ARES 2.0 45,1 47,7 42,6 20,1 20,8 19,3 34,8 31,5 38,1 TOTALE MASCHI FEMMINE Tempo indeterminato Tempo determinato Altre forme atipiche
  • 12. 12 Fig. 4 - Distribuzione tipologia contrattuale per classe dimensionale d’impresa (tot. per classe = 100) Fonte: ARES 2.0 Fig.5 - Numero di lavori cambiati negli ultimi 5 anni Infine, per quanto riguarda i canali di accesso all’impiego, si riscontra che il contatto diretto con i datori di lavoro, sia attraverso la risposta ad annunci che all’auto candidatura, rappresenta lo strumento principale di collocamento. Se questo dato appare abbastanza ovvio, a colpire è, invece, il ruolo dell’intermediazione di amici, parenti e conoscenti che risulta essere ancora oggi uno strumento chiave per ottenere un posto di lavoro (27,4%). Si tratta di un dato molto interessante, che si presta a un’interpretazione bifronte. Da un lato, infatti, il ricorso alla famiglia e ai conoscenti è un elementotipicodiunastrutturasocio-economicatradizionale,chefaticaascomparireechecristallizzaledisuguaglianze sociali. Dall’altro potrebbe essere interpretato come il frutto di un’economia a rete di stampo moderno, in cui il network personale diventa un valore aggiunto imprescindibile. Se questa seconda interpretazione fosse prevalente, dovremmo aspettarci che l’intermediazione dei conoscenti sia più forte per quelle figure professionali più dinamiche e meno 39,4% 38,0% 60,7% 57,6% 14,4% 26,0% 16,4% 23,7% 46,2% 36,0% 23,0% 18,6% Meno di 15 addetti 16-50 addetti 51-250 addetti Più di 250 addetti Tempo Indeterminato Tempo determinato Contratto atipico Nessuno 34,1 Meno di tre volte 31,2 Da tre a quattro volte 24,4 Cinque o più volte 10,3 Fonte: ARES 2.0
  • 13. 13 strutturate come le partite IVA o altre forme contrattuali atipiche, che si basano in gran parte sulla relazione con diversi soggetti. Tuttavia, incrociando i dati della tipologia contrattuale con una variabile dicotomica sull’aiuto di amici e parenti, questa correlazione non emerge affatto in quanto tutte le tipologie contrattuali mostrano un andamento simile. Ciò ci porta a sostenere che nel contesto socio-economico in cui vivono i nostri intervistati, tende a prevalere ancora un sistema familistico-tradizionale di reclutamento al lavoro. Una condizione che possiamo far discendere da ragioni culturali ma anche da una infrastruttura di inserimento al lavoro probabilmente non adeguata alle esigenze di questo mercato del lavoro. Ne è una prova la quota particolarmente bassa di chi dichiara di essere entrato nel mondo del lavoro attraverso il centro per l’impiego pubblico o privato (8,5%) Fig. 5 - Modalità di accesso all’impiego (quota % sul totale) Fonte: ARES 2.0 Tutti questi elementi appena sintetizzati hanno delle evidenti ripercussioni sulle condizioni di lavoro sperimentate dai nostri intervistati e, inevitabilmente, influenzano i due indicatori oggetto della nostra analisi: il reddito e l’indice di soddisfazione lavorativa. Per quanto riguarda la condizione materiale, i nostri dati ci raccontano di una generazione fortemente eterogenea rispetto al reddito percepito. Se, infatti, il nostro campione guadagna in media 1.297 euro al mese, vi è una forte polarizzazione tra chi percepisce una retribuzione inferiore ai 600 euro (11,5%) e chi guadagna oltre 1500 euro (18,4%). Da questo punto di vista, diversi sono gli elementi che contribuiscono a determinare l’enorme eterogeneità nei redditi del nostro campione. Tra questi, genere, età, classe dimensionale e titolo di studio possono aiutarci a spiegare alcune delle differenze di fondo. Ci riferiamo in particolar modo alla chiara tendenza alla crescita del salario all’aumentare dell’età e del titolo di studio evidenziata dalle nostre interviste, a una certa disuguaglianza di genere e al fatto che gli addetti nella media e nella grande impresa percepiscano mediamente di più dei loro colleghi delle realtà artigiane e delle piccole e piccolissime imprese dell’industria. Tuttavia, ciò che emerge con maggior forza dalle nostre interviste è che, se tradizionalmente le differenze salariali potevano essere interpretate principalmente in termini di status occupazionale, oggi questa distinzione sembra svanire per essere sostituita dalla tipologia contrattuale. Tra i redditi dei nostri intervistati, infatti, permangono delle differenze significative tra imprenditori e lavoratori 3,8 5,3 7,2 8,5 10,4 27,4 37,4 Concorso Aseguitodiprecedente tirocinio/stage Segnalazionedella scuola/Università Attraversoilcentroper l’impiego/agenziainterinale Altraformadiiserimento Intermediazionedi Parenti/Amici/conoscenti Rispostadirettaadannunci/Rivolto direttamentealdatore
  • 14. 14 subordinati, mentre spariscono completamente le diseguaglianze tra colletti bianchi e tute blu. All’interno del variegato mondo del lavoro subordinato, infatti, è l’effetto congiunto della tipologia contrattuale e del forte ricorso al lavoro part time a spiegare in maniera preponderante la polarizzazione salariale. Si pensi, infatti, che un lavoratore atipico che mediamente lavora un’ ora a settimana in più dei propri colleghi a tempo indeterminato, percepisce una retribuzione media di quasi 400 euro in meno, ovvero del 30% inferiore. Questi elementi ci suggeriscono che per i nostri intervistati il rischio della precarietà rappresenta un problema estremamente attuale e pericoloso. Come abbiamo visto, infatti, quella che spesso viene definita come flessibilità dell’impiego, nel nostro campione si configura come vera e propria precarietà delle condizioni di vita e di lavoro: una piaga persistente nel tempo, che determina salari mediamente al di sotto dei 1000 euro mensili. In questo contesto, perciò, a preoccupare è la condizione della fascia meno retribuita della popolazione. Dai dati, infatti, emerge chiaramente che per una porzione consistente dei nostri intervistati (27%), l’espressione “generazione mille euro” che comunemente è stata utilizzata per descrivere la difficile situazione lavorativa dei giovani italiani, in realtà, più che rappresentare un elemento descrittivo si configura come un auspicio. Fig.6 - Retribuzione netta mensile dichiarata (quota %) Inquest’ottica,permoltideinostriintervistati,immaginarestilidivitadignitosieunfuturoautonomodiventaun’impresa estremamente ardua. Ci riferiamo in particolar modo a quella porzione della popolazione ingabbiata nella “trappola della precarietà”, con un livello di istruzione medio-basso. Per i laureati, invece, la situazione appare leggermente più confortante. Se, infatti, questa fascia della popolazione tende a essere percentualmente più esposta alla contrattazione atipica, nella maggior parte dei casi ciò non si traduce in uno svantaggio reddituale. Fonte: ARES 2.0 meno di 600 € 11,5 601-1000 € 25,7 1001-1500 € 44,4 Oltre i 1500 € 18,4
  • 15. 15 Tab.3 - Valori in euro della retribuzione media tra diversi gruppi Fonte: ARES 2.0 Se finora abbiamo tratteggiato un quadro piuttosto negativo rispetto alla condizione materiale dei giovani lombardi, l’analisi della soddisfazione lavorativa tende in parte a riequilibrare la nostra ricostruzione. Da questo punto di vista, i dati raccolti e riportati nella tabella che segue ci restituiscono l’immagine di una generazione che, nonostante le tante difficoltà, dimostra un certo apprezzamento per la propria condizione di lavoro. Nonostante la scarsa valutazione di buona parte del nostro campione rispetto ad aspetti chiave come la retribuzione, la stabilità dell’impiego e la possibilità di far carriera interna, i risultati sono sorprendentemente alti. Appare, perciò, evidente che per buona parte di questa generazione, la dimensione del salario e della stabilità dell’impiego non rappresenti l’unico elemento importante della propria vita lavorativa. In pratica, per i nostri intervistati, i guadagni non sempre adeguati, vengono spesso compensati dal piacere di svolgere un lavoro coerente con le proprie aspirazioni e che dia loro la possibilità di acquisire competenze. In particolare, il dato più significativo che emerge è l’atteggiamento positivo mostrato dalla gran parte dei rispondenti rispetto al proprio ruolo e alle proprie mansioni interne all’azienda (il 41,5% degli intervistati si considera soddisfatto). Questo elemento è in stretta connessione con una certa soddisfazione sulla possibilità di acquisire competenze lavorando (31,4%), con un pieno apprezzamento per il proprio rapporto con i colleghi (42,2 %) e con l’autonomia organizzativa (36,2%). Coerentemente con questo aspetto, i giovani che lavorano nelle micro-imprese dell’industria e dell’artigianato mostrano livelli di soddisfazione più alti rispetto ai loro colleghi delle altre classi dimensionali. Anche in questo caso a prevalere
  • 16. 16 è l’elemento umano e professionale. I dati, infatti, ci mostrano che a incidere maggiormente sono i rapporti con i colleghi e con i superiori e il modo in cui è organizzato il lavoro. La micro-impresa, quindi, viene rappresentata dai nostriintervistaticomeunluogoincuil’organizzazionedellavoroeirapportiinterpersonalipermettonodifarcoincidere meglio le aspettative individuali e lasciare un certo grado di autonomia. Per quanto riguarda l’inquadramento professionale, va registrato che il lavoro operaio presenta livelli medi di soddisfazione più bassi di quello impiegatizio e questo non lo si può far discendere da differenze retributive bensì dalle condizioni di lavoro. I nostri intervistati descrivono infatti la vita in fabbrica come caratterizzata da rapporti interpersonali gerarchizzati e da una minore autonomia nello svolgimento delle proprie mansioni, condizione questa che sembrerebbe incidere negativamente sul livello di soddisfazione. In base a quanto analizzato, perciò, possiamo trarre la conclusione che per i nostri intervistati il lavoro si caratterizza non solo come soluzione alla condizione materiale della vita, che comunque rimane una variabile di particolare rilievo, ma anche come elemento di autorealizzazione personale. Tab.4 - Grado di soddisfazione sulla base di 15 indicatori descritti del lavoro Fonte: ARES 2.0
  • 17. 17 Tab.5 - Differenze nella soddisfazione lavorativa tra diversi gruppi Daquestabrevericostruzione,perciò,emergonochiaramentedueaspettichiave:daunlatoilricorsoallacontrattazione atipica e alla flessibilità oraria, crea quella spirale della precarietà che incide pesantemente sul reddito di una fascia consistente dei giovani. Si tratta di un elemento che si ripercuote non solo sulla condizione materiale di questa giovane generazione, ma anche sulla sua percezione di sicurezza e sul suo grado di soddisfazione per il proprio impiego. Dall’altro, i nostri dati fanno emergere una dimensione umana connessa al mondo del lavoro. Le nuove generazioni, infatti, al di là della loro condizione economica, dimostrano di avere a cuore il clima aziendale, l’organizzazione del proprio lavoro e la possibilità di svolgere le proprie mansioni con una certa autonomia. Siamo, perciò, di fronte a una generazione che considera il proprio lavoro non solo come un mero strumento economico, ma anche un elemento chiave per la propria autorealizzazione personale e professionale. NB: l’indice generale di soddisfazione lavorativa è stato costruite sommando tutte le risposte alle batterie di domande sulla soddisfazione. L’indice presenta un punteggio massimo teorico di 60 e minimo teorico di 15. Per semplificarne la lettura è stato standardizzato da 0 a 1, dove 0 è indica un livello di soddisfazione lavorativa minimo e 1 massimo. Fonte: ARES 2.0
  • 18. 18 2.2 Una generazione alla ricerca disperata di lavoro Se l’analisi fin qui svolta ci ha mostrato l’immagine di una generazione caratterizzata da una forte stratificazione sociale e salariale tra gli occupati, dobbiamo ora volgere lo sguardo a quella fascia della popolazione che è in cerca di lavoro. In questo paragrafo, perciò, investigheremo le caratteristiche principali dei giovani disoccupati lombardi, studiando come questa condizione incida sulle prospettive future dei nostri intervistati e provando a capire se anche all’interno di questo gruppo sociale si riscontri una certa stratificazione sociale. Ancheinquestocaso,propedeuticoaunaletturacorrettadeirisultati,èun’analisiesplorativasulleprincipalicaratteristiche dei rispondenti che si sono definiti disoccupati e sulle modalità con cui viene ricercato l’impiego. Partendo da queste premesse, occorre rilevare che tra chi si dichiara in cerca di un’occupazione solo la metà (51%) può essere definita propriamente disoccupata, in quanto in passato ha svolto un’attività lavorativa non saltuaria ed è impegnata in un’azione di ricollocamento. Parallelamente, una parte più residuale (10%) è in cerca della sua prima occupazione,mentre,il39%hagiàsvoltoattivitàlavorativeinpassato,maditipoprettamenteoccasionale.Bunaparte di questi, infatti, ha dichiarato di aver lavorato senza contratto (20,4%) o di aver prestato la propria opera in contesti caratterizzati da una forte flessibilità contrattuale. Siamo, perciò, in presenza di un campione di disoccupati che si suddivideametàtrachisidevericollocarenelmercatodellavoroechidifattoèincercadiunaprimaoccupazionestabile. Tab. 6 - Disoccupati rispetto all’esperienza lavorativa nel passato (Hai mai svolto un attività lavorativa in passato?) Entrando più nel merito dell’analisi, i dati descrivono i nostri disoccupati come persone flessibili e fortemente motivate a cercare un impiego; che affrontano le sfide connesse alla ricerca del lavoro con livelli di istruzione mediamente più bassi dei loro coetanei attualmente occupati; che vedono, specialmente per i giovani che si affacciano al mercato del lavoro per la prima volta, la propria condizione occupazionale protrarsi nel tempo. Quella rappresentata dalla nostra indagine è una generazione che, pur di uscire dalla propria condizione, è disponibile a lavorare in qualsiasi settore e ad accettare un’offerta di lavoro anche al di fuori della propria città. Da questo punto di vista, l’immagine di una generazione “Choosy” che vuole il posto fisso senza far fatica, molto in voga nel dibattuto pubblico, sembra essere del tutto smentita dai nostri dati. Si pensi, infatti, che più della metà dei rispondenti (54%) Fonte: ARES 2.0
  • 19. 19 è alla ricerca attiva di un qualsiasi impiego, indipendentemente dal settore produttivo. Inoltre, solo il 22,5% sta svolgendo attività di ricerca esclusivamente nel proprio comune di residenza, mentre tutti gli altri, volgono lo sguardo a bacini sempre più ampi, fino a contemplare anche la possibilità di trasferirsi all’estero. Fig.7 - Dove stai cercando lavoro? (totale intervistati = 100) Quella che abbiamo intervistato è una generazione ben informata, che cerca di sfruttare al meglio tutti i canali per la ricerca del lavoro. Ci riferiamo in particolar modo a internet (32,6%) e alla risposta ad annunci (42,9%), le quali si rivelano le modalità più utilizzate per la ricerca del lavoro. Tuttavia, anche i centri per l’impiego rappresentano uno strumento importante per questa generazione: ben il 63% è stato o è tuttora iscritto ad un CPI e solo il 4,9% dichiara di non conoscere le opportunità offerte da questi mezzi per l’incontro tra domanda e offerta di lavoro. Fig.8 - Modalità di ricerca lavoro 22,5% 46,7% 13,2% 5,7% 1,8% 10,1% Nella città/comune di residenza Vicino alla città/comune di residenza Nella regione di residenza In qualsiasi parte d’Italia All’estero Ovunque Concorso Pubblico 1,8% Ricerche per avviare una attività autonoma 1,8% Amici, conoscenti, sindacati 7,6% Centro per l’impiego/ Agenzia interinale 13,4% Internet 32,6% Consegna curriculum a privati/ risposta ad annunci 42,9% Fonte: ARES 2.0 Fonte: ARES 2.0
  • 20. 20 Va ribadito che nel nostro campione i disoccupati presentano un livello di istruzione formale nettamente inferiore a quello dei loro coetanei occupati. Questi ultimi, infatti, si caratterizzano per una percentuale di laureati che si attesta al 38,4%, mentre tra chi è alla ricerca di un’occupazione questo dato crolla al 16,3%. Si tratta di un divario enorme, che dimostra ulteriormente quanto l’istruzione universitaria rappresenti ancora oggi un vantaggio competitivo nel mondo del lavoro e un argine contro la disoccupazione. Fig.9 - Confronto tra occupati e disoccupati per titolo di studio Fonte: ARES 2.0 Infine,comepotevamoaspettarci,idaticimostranoinpienoledifficoltàchequestagenerazioneincontranell’inserimento e nel ricollocamento nel mercato del lavoro. Oltre la metà dei nostri rispondenti (51,8%), dichiara di essere in cerca di un’occupazione da più di sei mesi. Si tratta di un dato sulla disoccupazione di lungo periodo abbastanza elevato, che si accentua tra i giovani in cerca di prima occupazione (57,6%) e tra le donne (54,5%). Fig.9 - Durata disoccupazione (Da quanto tempo stai cercando un lavoro) Fonte: ARES 2.0 0,6 9,1 8,2 43,7 38,4 2,8 19,1 20,6 41,3 16,3 Fino alla licenza elementare Licenza media Qualifica professionale Diploma superiore Laurea o superiore Occupato Disoccupato Meno di un mese; 11,4% Da 1 a 6 mesi; 36,8% Da 6 mesi ad un anno; 19,5% Più di un anno; 32,3%
  • 21. 21 Sulla scorta di questa analisi esplorativa, a emergere è un quadro in cui la disoccupazione di lungo periodo risulta una condizione strutturale per una parte consistente del nostro campione. In questo contesto, particolarmente preoccupante è la situazione di quella fascia di età compresa tra i 25 e i 34 anni, che non ha mai svolto attività lavorativa in passato (3,1%) o che ha svolto solo impieghi saltuari (35,8%). Si tratta di un gruppo sociale consistente, composto per il 59,6% da giovani con titolo di studio equivalente o inferiore al diploma superiore. Se, perciò, si escludono i laureati (e in parte i laureandi), i quali possono non essere pienamente avviati nel percorso di transizione all’età adulta in quanto hanno utilizzato il tempo per portare a termine un percorso di formazione, questa fascia della popolazione è quella maggiormente esposta ai rischi connessi all’esclusione sociale. Si tratta, di un sottoinsieme del nostro campione, non più giovanissimo, che vede nella disoccupazione una condizione naturale e perenne e che fatica a trovare opportunità lavorative credibili. Infine, i nostri dati mettono in luce la scarsa adeguatezza dei canali di collegamento tra la scuola e il mondo delle imprese, ed in modo particolare delle piccole realtà dell’industria e dell’artigianato. Solo un terzo dei rispondenti (29,8%) dichiara di aver ricevuto un’adeguata formazione scolastica su come si cerca un lavoro, mente tutti gli altri hanno dovuto arrangiarsi in maniera autonoma o sono ricorsi al consueto aiuto degli amici e dei parenti. Questo elemento, unito alle considerazioni del paragrafo precedente, rispetto alla quota residuale di chi è riuscito a entrare nel mondo del lavoro attraverso il centro per l’impiego, evidenziano a pieno tutte le difficoltà del sistema istituzionale di inserimento al lavoro. Si tratta di un problema particolarmente serio, al quale occorrerà porre rimedio per dare una risposta concreta al consistente fenomeno della disoccupazione giovanile di lungo periodo e ai bisogni di quelle fasce sociali meno istruite e quindi più deboli sul mercato del lavoro. Per concludere, l’analisi sui giovani occupati e disoccupati della Lombardia, condotta nel corso di questo capitolo, ci mostra una fotografia del mondo delle nuove generazioni caratterizzata da una forte polarizzazione e stratificazione sociale. Se, infatti, come abbiamo visto nel paragrafo precedente, tra gli occupati coesistono condizioni salariali e lavorative estremamente eterogenee, anche all’interno del variegato mondo dei disoccupati si possono rilevare profili e situazioni divergenti. In particolare, se tra gli occupati preoccupa il cosiddetto fenomeno dei working poors, ovvero, di quei lavoratori che pur avendo un impiego vivono in condizioni di povertà, per quanto riguarda la popolazione in cerca di occupazione appare drammatica la situazione di quella fascia della popolazione in età non più giovanissima (oltre i venticinque anni), caratterizzata da un livello di istruzione basso e che non ha mai svolto attività lavorative in precedenza.Sitrattadiuninsiemedipersonechesperimentaquotidianamentesullapropriapelleidisagidell’esclusione socialeechenecessitadiinterventiimmediatidapartedell’attorepubblicoperprovareaimmaginarsiunfuturomigliore.
  • 22. 22
  • 23. 23 3. Partecipazione, fiducia nelle istituzioni e prospettive future: una generazione apatica e sfiduciata? Finoraabbiamodelineatoalcunecaratteristichedelmondodeigiovanilombardiattraversol’analisidellalorosituazione occupazionale. Si tratta di una prima ricostruzione fondamentale, che ci permette di studiare la condizione materiale del nostro campione, i suoi diversi stili di vita e le sue reali possibilità. Tuttavia, un’analisi ancorata alla sola dimensione economico-lavorativa non ci consentirebbe di capire a fondo questa generazione e di ricostruire in maniera esauriente i suoi tratti principali. In particolare, se lo scopo ultimo di questo lavoro è quello di tratteggiare le ansie, le aspettative e le speranze dei nostri intervistati, dobbiamo tenere presente che oltre alla condizione materiale anche altri fattori concorrono in maniera determinante a influenzare la percezione dei giovani rispetto al proprio futuro. Ci riferiamo in particolar modo alla dimensione della partecipazione alla vita pubblica e al livello di fiducia nelle principali istituzioni. Si tratta, infatti, di due dimensioni chiave che incidono sul cosiddetto capitale sociale, ovvero su quella risorsa in termini relazionali (reti sociali, cooperazione e norme di reciprocità) che consente di ampliare i propri orizzonti, contribuendo a migliorare la propria performance economica e il proprio benessere sociale. Nel corso di questo capitolo, perciò, proveremo a ricostruire il grado e le modalità di partecipazione dei nostri intervistati alla vita pubblica e il livello di fiducia che questi hanno nei confronti delle principali istituzioni. A conclusione di questa ricostruzione, analizzeremo come questi due elementi, uniti ad alcune delle principali variabili considerate nei capitoli precedenti, incidano sulla percezione che i nostri giovani intervistati hanno del proprio futuro. 3.1 La partecipazione dei giovani lombardi alla vita sociale La letteratura, i media e il dibattito pubblico, descrivono spesso i giovani come una generazione poco attiva dal punto di vista politico-sociale, individualista e scarsamente incline all’azione collettiva. Tuttavia, non manca chi nell’analisi empirica ha provato a ribaltare questa convinzione diffusa, facendo emergere come i giovani non mostrino comportamenti sociali diversi dal resto della popolazione (Freeman e Diamond 2003) o come questi partecipino in egual misura alla vita pubblica, ma attraverso forme più dirette come i movimenti sociali (Dalla Porta e Mosca 2003). Nel corso di questo paragrafo ci addentreremo in questo dibattito, per raccontare le modalità di partecipazione più diffuse tra i nostri giovani intervistati e capire qual è il loro grado di coinvolgimento nella vita sociale. In questo contesto, una semplice analisi esplorativa delle principali caratteristiche del nostro campione, risulta utile, ma non completamente sufficiente. Per questa ragione, dopo aver descritto i canali principali di partecipazione e il grado di coinvolgimento nella vita pubblica dei rispondenti all’indagine, proveremo a estrapolare alcune informazioni aggiuntive sulle variabili che influenzano l’attivismo politico-sociale dei giovani. A tal fine, cruciale per l’analisi è la costruzione di un indicatore sintetico che ci permetta di misurare con una certa precisioneillivellodipartecipazionedeinostriintervistatiedicomparareinmanierapuntualeicomportamentiindividuali. Sulla base di queste premesse abbiamo, perciò, calcolato un indice di partecipazione politica standardizzato. Si tratta di un indicatore che varia da 0 a 1, dove 0 indica nessuna partecipazione e 1 un totale assorbimento individuale nella vita pubblica. L’indice è costruito come la sommatoria di tutte le variabili descritte nelle tabelle riportate in questo paragrafo, ponderato in maniera tale da dare a tutte le dimensioni la stessa importanza. Da una prima analisi dei dati, emerge che i nostri intervistati dichiarano livelli di attivismo medio-bassi, con l’indice
  • 24. 24 di partecipazione standardizzato che si attesta attorno a un valore complessivo di 0,27. Si tratta di un dato medio piuttosto contenuto, che però varia molto tra i diversi gruppi sociali: elemento questo che ci impedisce di dire che questa generazione sia nella sua interezza estranea alla politica e all’azione collettiva. Resta, comunque, evidente che più della metà dei nostri intervistati si posiziona rispetto al nostro indice di partecipazione ad un livello inferiore allo 0,25. Tab.7 - Indice di partecipazione politica e differenze tra diversi gruppi Fig.9 - Distribuzione della popolazione rispetto all’indice di partecipazione Fonte: ARES 2.0 Partecipazione bassa (indice inferiore a 0,25) 58,1% Partecipazione Medio-bassa (indice tra 0,25 fino a 0,50) 30,2% Partecipazione Medio-alta (indice superiore a 0,50 fino a 0,75) 8,2% Partecipazione Alta (indice superiore a 0,75) 3,4% Fonte: ARES 2.0
  • 25. 25 Provando ad andare più in profondità, il campione descrive una coorte di giovani che, solo per una quota abbastanza limitata, partecipa in maniera diretta al variegato mondo dell’associazionismo. Tuttavia, guardando al suo insieme, i dati ci mostrano un affresco dei giovani in cui prevale una partecipazione di tipo passivo. Se, infatti, considerassimo l’attività politico-sociale come un bene di consumo, potremmo notare che solo una piccola parte dei nostri intervistati risulta totalmente esclusa dalla sua fruizione, mente la maggioranza dimostra una certa propensione al suo utilizzo. Ci riferiamo indubbiamente al dato sull’ascolto dei dibattiti politici (40,2%), alla tendenza a discutere frequentemente con i propri coetanei di politica (36,1%), ma anche alla lettura dei quotidiani, i quali vengono consultati tutti i giorni dal 38,2% degli intervistati. Si tratta un’insieme di azioni prettamente di consumo, in cui l’individuo non è chiamato a prendere parte alla produzione del bene in questione, ma solo alla sua fruizione. Ad emergere è, quindi, l’immagine di una generazione che mostra un certo interesse per la dimensione politica: un interesse di tipo passivo, che tende a svanire nel passaggio dal consumo all’azione diretta. Se guardiamo, infatti, ai dati sulle attività tradizionali della politica, quali la partecipazione ai comizi o ai cortei, rispettivamente solo l’11,3% e il 12% dei nostri intervistati dichiara di avervi preso parte negli ultimi 12 mesi. Fig. 11 - Il valore dell’impegno diretto e la presenza del tema nel dibattito tra giovani (in % sul totale intervistati) Si tratta di un vero e proprio crollo della partecipazione che in parte si discosta con quanto dichiarato dai nostri intervistati alla domanda “quanto ritieni sia utile impegnarsi in prima persona nella vita politica?”. Da questo punto di vista, se i nostri intervistati mostrano la netta convinzione che l’impegno diretto rappresenti una questione importante, lo scarso livello rilevato nella reale partecipazione alle attività politiche deve indurci ad alcune riflessioni. Non possiamo, infatti, limitarci ad associare la discrepanza tra l’interesse dimostrato e l’attività realmente svolta a una semplice questione di volontà o di scarsa attitudine dei giovani verso l’azione collettiva. Occorre tenere presente che, in un contesto di crisi di legittimità della politica senza precedenti, i giovani sono quella fascia della popolazione più colpita da questa sfiducia generalizzata e che quindi fatica a trovare dei canali di partecipazione adatti a rappresentare in pieno i propri interessi. La poca fiducia nella politica, che analizzeremo meglio nel prossimo paragrafo, unita a una scarsa capacità delle organizzazioni tradizionali di dare voce e tutela alle nuove generazioni, perciò, rappresentano una valida alternativa per spiegare buona parte del crollo della partecipazione diretta dei giovani. 19% 29% 33% 19% 12% 52% 31% 6% Per nulla Poco Abbastanza Molto Per nulla Poco Abbastanza Molto Quanto ritieni sia utile impegnarsi in prima persona nella politica Ti capita mai di parlare di politica con i tuoi coetanei Fonte: ARES 2.0
  • 26. 26 Tab.8 - Livello di partecipazione concreto Fonte: ARES 2.0 All’interno di questa prospettiva, potremmo anche ipotizzare che maggiore sia il livello di marginalizzazione ed esclusione sociale dei nostri giovani, maggiore sia la difficoltà con cui le organizzazioni politico-sociali sono capaci di dare loro risposte in termini di rappresentanza. In quest’ottica, quindi, saremmo in presenza di una sfiducia nella politica e di una conseguente minor partecipazione all’azione collettiva, che si abbatte con più forza sui gruppi sociali più deboli e marginali. Per validare questa ipotesi, perciò, appare opportuno analizzare brevemente l’andamento dell’indice di partecipazione tra i nostri intervistati, per capire se la maggior apatia rappresenti un tratto distintivo degli individui più deboli, o se questa si distribuisca casualmente tra i diversi strati sociali del nostro campione. Da questo punto di vista, i dati ci mostrano un quadro abbastanza coerente a questa tesi. In primo luogo, gli occupati e gli studenti sono le coorti che mostrano livelli di partecipazione nettamente più alti dei loro coetanei disoccupati. Si tratta, quindi, di un elemento esplicativo che non vincola la partecipazione al tema della disponibilità di tempo, quanto alla posizione sociale. In pratica, come si accennava in precedenza, sono le persone meno escluse socialmente a mostrare livelli di partecipazione più ampi. Si pensi ad esempio, che i livelli più bassi di attivismo sociale sono attribuibili proprio a quella fascia di popolazione non laureata, di età compresa tra i 25 e i 34 anni che non ha mai svolto un lavoro stabile in precedenza. Inoltre, l’elemento che sembra determinare in maniera più significativa la partecipazione è l’istruzione. Si tratta di un fattore chiave che incide sia sulla dimensione dell’inclusione sociale, confermando la nostra
  • 27. 27 ipotesi di partenza, sia sull’attitudine individuale alla partecipazione. Come è facilmente intuibile, infatti, la formazione tende a rafforzare il senso civico e incrementare l’attitudine all’azione collettiva. Questa evidenza ci porta a pensare che coesistano almeno due importanti elementi in grado di spiegare i livelli di partecipazionedeigiovani.Daunlato,idaticisuggerisconocomequestagenerazioneabbialivellidiattitudineall’azione collettiva non particolarmente elevati, che vengono convertiti in una partecipazione più ampia attraverso l’intervento dell’istruzione, e quello della partecipazione lavorativa. Dall’altro, quella che emerge dalla nostra ricostruzione è una generazione con un certo interesse per la politica che, molto spesso, non si trasforma un’azione diretta. Si tratta di uno scarsa attitudine alla mobilitazione che, diminuendo all’aumentare dell’inclusione sociale, evidenzia l’esistenza di un problema nella rappresentanza di alcune fasce più marginali del mondo dei giovani. Queste, infatti, essendo più svantaggiate, percepiscono un maggiore senso di abbandono e di sfiducia che si trasforma in un minore interesse nella partecipazione all’attività politica. Questo elemento trova piena conferma nei dati sulla fiducia che presenteremo nel prossimo paragrafo. 3.2 Il difficile rapporto tra i giovani e le istituzioni Partendodalleultimeconsiderazionidelparagrafoprecedente,ciconcentriamosullafiduciaesulruolochequestasvolge nelle scelte dei nostri intervistati. Come abbiamo visto, infatti, la fiducia nelle istituzioni, oltre a essere un indicatore che concorre a determinare il cosiddetto capitale sociale, influenza anche il livello di partecipazione dei giovani alla vita pubblica e la visione del proprio futuro. Una generazione fortemente sfiduciata, infatti, sarà più propensa a emigrare all’estero, sarà meno attiva nel campo sociale e avrà un’immagine del proprio futuro piuttosto scoraggiata. In questo paragrafo ci limiteremo a descrivere come la fiducia nelle istituzioni sia distribuita tra i nostri giovani, rimandando l’analisi sue implicazioni al paragrafo successivo. Anche in questo caso, l’analisi dei livelli di fiducia è stata possibile grazie all’introduzione di un indice di sintesi delle principali dimensioni indagate dal nostro questionario. Per semplificarne la lettura abbiamo standardizzato i valori facendo variare l’indice da 0 (minima fiducia) a 1 (piena fiducia in tutte le istituzioni). Va subito precisato che questo nuovo indicatore segue un andamento non particolarmente dissimile da quello sulla partecipazione costruito nel paragrafo precedente. In particolare, a configurarsi come la dimensione più correlata con l’indice di partecipazione è proprio quella della fiducia nella politica, la quale mostra i livelli più bassi. Si pensi, infatti, che ben l’89,9% degli intervistai dichiara di fidarsi poco o per niente della politica. Si tratta di un’ulteriore conferma della bontà delle argomentazioni sviluppate in precedenza sulla scarsa partecipazione dei gruppi sociali più marginali per via della loro sfiducia e per via della difficoltà nel trovare adeguati canali di rappresentanza dei loro interessi: un campanello d’allarme particolarmente preoccupante che necessita di essere studiato a fondo dalle varie organizzazioni politiche e sociali. Fatte queste precisazioni, i nostri dati ci restituiscono un quadro della fiducia dei giovani nelle istituzioni, più positivo rispetto a quello della partecipazione. Il nostro campione di intervistati, infatti, presenta un livello di fiducia medio pari a 0,43. Possiamo, perciò, dire che chi ha risposto al questionario percepisce le istituzioni come non particolarmente vicine ai propri interessi e solo parzialmente degne di fiducia. In questa panoramica, i giovani lombardi dimostrano una netta preferenza per il mondo della scienza, della sanità e della scuola. Sempre scorrendo la classifica delle istituzioni maggiormente degne di fiducia, il sindacato si attesta in una posizione intermedia, davanti alla chiesa e ai media. Infine, come abbiamo già detto, nettamente all’ultimo posto si conferma la politica, che come ci si poteva aspettare, negli ultimi anni ha perso gran parte della sua credibilità agli occhi dei più giovani.
  • 28. 28 Tab.9 - Distribuzione della popolazione rispetto al livello di fiducia per ciascuna istituzione e valore dell’indice medio di fiducia per ciascuna istituzione. Fonte: ARES 2.0 Guardando all’indice di fiducia nel suo insieme, possiamo osservare una certa variabilità basata su caratteristiche individuali non ascrittive. Va, infatti, sottolineato che il genere e l’età non sembrano influenzare il giudizio dei nostri intervistati rispetto alle diverse istituzioni. Anche in questo caso, invece, è il livello di istruzione a configurarsi come uno dei principali elementi per spiegare le differenze tra i diversi gruppi sociali. Tuttavia, in questo specifico contesto, la scolarizzazione non incide sulla fiducia in maniera lineare o, in altre parole, non si registra una crescita costante del livello di fiducia all’aumentare del titolo di studio. I nostri dati, infatti, ci mostrano un andamento a “U” dell’indice, dove le persone con licenza elementare o del tutto prive di educazione formale e le persone laureate mostrano i livelli più elevati di fiducia nelle istituzioni, mentre tra gli intervistati mediamente istruiti (licenza media e diploma superiore) si registra la maggiore sfiducia. In aggiunta, a determinare il livello di fiducia istituzionale concorrono anche le condizioni materiali degli intervistati. Ci riferiamo in particolar modo al reddito percepito. Le persone con salario inferiore ai 600 euro, mostrano infatti livelli di fiducia decisamente più bassi dei loro coetanei. Infine, come abbiamo già visto, la fiducia nelle istituzioni è correlata all’indice di partecipazione. Gli individui che partecipano di più alla vita sociale e politica, infatti, sono generalmente più
  • 29. 29 propensi a fidarsi delle istituzioni. Nella nostra ricostruzione abbiamo lasciato per il momento da parte il sindacato. Si tratta, infatti, di un’istituzione che per la sua centralità rispetto ai temi trattati in questo lavoro, merita un’analisi approfondita, che sarà oggetto dell’ultimo capitolo. In questa fase, tuttavia, ci limitiamo a rilevare che la fiducia dei nostri intervistati nel sindacato si attesta su livelli intermedi ma certamente superiori a quelli di altre istituzioni tradizionali come la Chiesa e la politica. Piuttosto interessante è, inoltre, l’omogeneità con cui i diversi gruppi sociali hanno espresso la propria fiducia nelle organizzazioni di rappresentanza del lavoro. Dai nostri dati, infatti, non emergono particolari fattori distintivi tra la percezione dei diversi sottogruppi, fatta eccezione per la tipologia contrattuale e per la dimensione d’impresa. I giovani con contratto atipico e quelli impiegati nelle imprese più piccole, infatti, mostrano livelli di fiducia nel sindacato leggermente inferiori rispetto a quelli dei loro coetanei con contratto a tempo indeterminato delle grandi industrie. Si tratta, tuttavia, di differenze non particolarmente significative in termini statistici che confermano la trasversalità nel giudizio sulla fiducia nel sindacato. Quello che emerge da questa ricostruzione è, perciò, una generazione che, nonostante in molti casi risulti a rischio di esclusione sociale, presenta ancora un certo livello di fiducia in molte delle principali istituzioni tra cui la scienza, la sanità e la scuola. L’immagine di quest’ultima rappresenta, senza dubbio, un elemento positivo che può dare speranza sul futuro. Se, infatti, come abbiamo visto a più riprese, il titolo di studio sembra assolvere a una funzione di argine nei confronti dell’esclusione sociale, garantendo condizioni di lavoro migliori, una maggiore probabilità di impiego e livelli di partecipazione alla vita pubblica più alti, è proprio nella scolarizzazione di massa che risiede il segreto per una società più equa. Da questo punto di vista, il fatto che per i giovani la scuola rappresenti una delle istituzioni più degne di fiducia, può far presagire una certa attitudine di questa generazione nel continuare a investire nella propria istruzione e in percorsi di formazione continua. Infine, estremamente preoccupante è il divario tra i giovani e la politica. Se, infatti, nel paragrafo precedente emergeva l’immagine di una generazione interessata ai temi politici ma poco propensa all’azione collettiva, i dati qui analizzati mostrano come la voragine apertasi tra questo mondo e le organizzazioni politiche sembra a oggi incolmabile. Si tratta di un elemento particolarmente grave che dovrà diventare oggetto di una riflessione dei diversi attori politico- istituzionali. Senza adeguati canali di rappresentanza politica, infatti, vengono minate le fondamenta democratiche del nostro paese e si determinano evidenti ripercussioni in termini di coesione sociale.
  • 30. 30 Tab.9 - Indice di fiducia e differenze tra i diversi gruppi social Fonte: ARES 2.0
  • 31. 31 3.3 Giovani e futuro: ritratto di una generazione sfiduciata Ciò che emergere dalla nostra ricostruzione è l’immagine di una generazione interessata alla vita pubblica ma poco propensa all’azione diretta, scarsamente rappresentata dalle diverse organizzazioni socio-politiche, con un livello di fiducia nelle istituzioni medio-basso. Si tratta, inoltre, di una generazione abbastanza eterogenea, che presenta una diffusa percezione di esclusione sociale e un generale senso di abbandono da parte della politica. Ci riferiamo in maniera particolare a quelle persone più deboli per condizioni materiali e istruzione, le quali si dimostrano anche le meno attive nella vita pubblica e le più sfiduciate nei confronti delle istituzioni. In questo contesto, ciò che resta da capire è se l’effetto congiunto della scarsa partecipazione dei giovani alla vita pubblica, della loro moderata fiducia nelle istituzioni e della condizione materiale non sempre adeguata, possa ripercuotersi sulla percezione che i nostri intervistati hanno del proprio futuro. Da questo punto di vista, il questionario che abbiamo somministrato presenta due domande chiave che possono fungere da indicatori per aiutarci nella nostra ricostruzione: la percentuale di persone che immagina di dover emigrare all’estero e il giudizio su quanto l’intervistato si ritiene fiducioso/preoccupato per il proprio futuro. Il primo ci restituisce una misura indiretta di come vengono percepite le opportunità lavorative e di vita offerte dal proprio contesto locale e nazionale; il secondo, invece, ci consente di misurare in maniera più diretta le ansie e le aspettative sul futuro. Rispetto al primo indicatore, va registrato che il 26,3% dei nostri intervistati immagina il proprio futuro all’estero, mentre solo il 33,5% è convinto di poter continuare la propria vita nella città d’origine. Si tratta di un dato che sottolinea una forte propensione all’emigrazione e che si presta ad alcune interpretazioni. Innanzitutto, va detto che parte della popolazione che immagina di trasferirsi è attratta dalla voglia di maturare esperienze e provare sfide nuove. Si pensi che all’interno del nostro campione ben il 34,9% dei giovani tra i 17 e i 19 anni dichiara di voler cercare fortuna al di fuori dei confini nazionali. Da questo punto di vista, quindi, è indubbio come sperimentare percorsi di vita all’estero, anche grazie alle accresciute possibilità di mobilità, rappresenti un elemento attrattivo in sé per le nuove generazioni. Possiamo, infatti, facilmente assumere che i più giovani, in virtù della loro limitata esperienza, non basino le proprie convinzioni sui passati fallimenti nella ricerca dell’impiego, quanto su fattori attitudinali e culturali. Tuttavia, bollare il dato sulla propensione a emigrare come un semplice fenomeno di costume, sarebbe oltremodo semplicista, sia per la sua profonda diffusione, sia per alcune caratteristiche che emergono analizzando in profondità i nostri dati. Si pensi, ad esempio, che l’attitudine a immaginare il proprio futuro all’estero è associata al livello di sfiducia nei confronti delle istituzioni, ad alcune condizioni materiali collegate all’impiego, quali salario e tipologia contrattuale e a minori tassi di partecipazione alla vita pubblica. Si tratta di elementi che suggeriscono come l’emigrazione sia un’opzioneperfarfronteallamancanzadiopportunitàlavorativeingradodioffrireall’individuounapienarealizzazione in termini salariali e personali e che questa colpisca principalmente gli individui più sfiduciati e meno legati alla vita pubblica. Da questo punto di vista, al di là del possibile effetto moda, il fatto che poco più di un quarto del nostro campione immagina un futuro all’estero, fa emergere le fragilità del nostro paese e la sua incapacità di fornire adeguate risposte ai bisogni di una generazione. Si tratta, inoltre, di un dato che se dovesse essere portato alle sue estreme conseguenze, rischierebbe di produrre una vera e propria diaspora generazionale con evidenti conseguenze sulle prospettive di sviluppo del nostro paese. Per questa ragione è, quindi, opportuno ricostruire il profilo delle persone che immaginano un futuro al di fuori dell’Italia in maniera da assumere maggiore consapevolezza su questo fenomeno e incominciare a pensare a possibili contromisure. In particolare, diventa fondamentale capire se l’attrazione verso l’estero rappresenti una tendenza che
  • 32. 32 colpisce principalmente i più istruiti - la cosiddetta “fuga di cervelli” - o se questa sia una caratteristica propria delle fasce sociali più deboli. Si tratta, infatti, di due distinti gruppi sociali che sottendono a scenari completamente opposti: nel primo caso la fuga di cervelli metterebbe in luce l’immagine di un paese incapace di offrire opportunità per quella fascia di persone che ha maggiormente investito in percorsi di istruzione e potrebbe contribuire alla sua crescita in termini di innovazione e sviluppo, nel secondo, invece, emergerebbe un problema di scarsa inclusione sociale e di incapacità nel garantire condizioni dignitose per tutti. In questo contesto, i nostri dati tendono a far prevalere il secondo scenario: quello dell’emigrazione come strumento per combattere l’esclusione sociale. Siamo, infatti, in presenza di un campione in cui i disoccupati immaginano il proprio futuro al di fuori dell’Italia in maniera nettamente più elevata (28,1%) rispetto agli occupati (18,5%). Inoltre, anche all’interno di chi attualmente è occupato, sono proprio quelli con i contratti atipici (23,5%) a considerare più diffusamente l’ipotesi di trasferirsi all’estero rispetto ai loro coetanei con contratto a tempo indeterminato (16%). Infine, i dati ci mostrano una netta decrescita del tasso di chi immagina il proprio futuro all’estero al crescere del titolo di studio. Questo dato, infatti, si attesta al 38,5% tra chi ha un titolo di studio equivalente o inferiore alla licenza elementare, mentre scende fino al 19,5% tra i laureati. Si tratta di un insieme di dati che ci mostrano come a determinare la propensione a emigrare siano principalmente le difficili condizioni economiche di quei gruppi sociali più svantaggiati sul mercato del lavoro. Tuttavia, il fatto che ben il 19,5% dei laureati immagini il proprio futuro in un altro paese, mostra come l’ipotesi della fuga dei cervelli non rappresenti una mera assunzione teorica, bensì una condizione reale, anche se meno diffusa rispetto a un’emigrazione causata dalle condizioni di marginalità nel mercato del lavoro. Se quella che abbiamo appena descritto appare una situazione piuttosto preoccupante, guardano alla nostra seconda dimensione oggetto di studio, il giudizio su quanto l’intervistato si ritiene fiducioso per il proprio futuro, il quadro si fa ancora più cupo. Ben il 47,9% dei nostri intervistati, infatti, si dichiara molto preoccupato, mentre il 34,5% si ritiene moderatamente preoccupato. Si tratta di un dato inquietante, che mette a nudo tutte le fragilità di un sistema socio-economico che ha scaricato sui più giovani i principali costi della crisi e che ci restituisce l’immagine di una generazione totalmente sfiduciata e completamente priva di speranza. Quelli che stiamo analizzando, perciò, appaiono come individui che percepiscono esclusione sociale e sperimentano sulla propria pelle un forte divario di opportunità rispetto alle coorti nate negli anni precedenti. Si tratta, infatti, della prima generazione che dal dopoguerra a oggi subisce una condizione materiale inferiore a quella dei propri genitori e non riesce a immaginarsi delle prospettive di vita in grado di colmare questo gap nel tempo. Ci riferiamo alla contrattazione atipica che, come abbiamo visto, si configura come la modalità principale di accesso al mercato del lavoro e spesso si trasforma in vera e propria precarietà, al tasso di disoccupazione che raggiunge percentuali sopra il 40%, ai cambiamenti legislativi in corso: tutti elementi che incidono non solo sulle condizioni materiali attuali, ma che avranno certamente ripercussioni nel tempo. Si pensi, ad esempio, al calcolo pensionistico, alle possibilità di accesso al credito per l’acquisto di una casa e, più in generale, alla possibilità di immaginare un futuro autonomo. In questo contesto, sono proprio gli elementi appena citati a pesare come un macigno sulla percezione dei giovani e sul loro modo di immaginare il futuro. Chi si dichiara poco o per nulla fiducioso, infatti, giustifica la sua ansia con i problemi connessi alla ricerca dell’impiego e con l’impossibilità di trovare un’occupazione che garantisca stabilità. In pratica, i nostri intervistati mostrano una chiara insofferenza verso una condizione di precarietà dalla quale non si vede alcuna possibilità di uscita. Anche per questa ragione, ben il 45% dei rispondenti ha indicato come aspetto fondamentale per il proprio lavoro del futuro la stabilità e la sicurezza. Si tratta di un dato che si distribuisce in egual misura, sia su chi sta effettivamente sperimentando una condizione occupazionale atipica, sia su chi non è ancora occupato: una condizione auspicata che supera di gran lunga altri elementi che generalmente vengono considerati fondamentali, quali il guadagno (39,2%) e la possibilità di far carriera (23,9%).
  • 33. 33 Sulfronteopposto,invece,traipochichesisonodichiaratiabbastanzaomoltofiduciosiperilpropriofuturo,aprevalere è la consapevolezza di avere un’idea chiara rispetto al proprio percorso e di poter contare su una buona preparazione scolastica. Ancora una volta, a emergere è il ruolo dell’istruzione che, sia dal punto di vista oggettivo sia da come viene percepita dai nostri intervistati, sembra essere la chiave per competere in maniera adeguata nel mercato del lavoro ed evitare di entrare nella cosiddetta “spirale della precarietà”. Fig.12 - La geografia del proprio futuro (Dove immagini il tuo futuro?) Fonte: ARES 2.0 Fig.13 - Percezioni ed attese sul proprio futuro (Pensando al futuro ti senti?) Fonte: ARES 2.0 Nella mia città 33,5 In Italia 40,3 All’estero 26,3 Molto preoccupato 47,9 Abbastanza preoccupato 34,5 Abbastanza fiducioso 14,7 Decisamente fiducioso 2,9
  • 34. 34 Tab.10 - Elementi su cui poggiano gli atteggiamenti fiduciosi rispetto al futuro (Se hai affermato che ti senti molto oppure abbastanza fiducioso, puoi dircene le ragioni?) Fonte: ARES 2.0 Tab.11 - Elementi su cui poggiano gli atteggiamenti di sfiducia rispetto al futuro (Se ti senti preoccupato, puoi dircene le ragioni?) Fonte: ARES 2.0
  • 35. 35 Fig.14 - I valori e attese sul proprio lavoro (Qual è secondo te l’aspetto più importante del tuo lavoro futuro?) Per concludere, i dati presentati in questo capitolo ci mostrano come la difficile condizione giovanile analizzata nel corso del nostro lavoro incida profondamente sulla percezione che i giovani hanno del proprio futuro. Quella che emerge da questa ricostruzione, infatti, appare come una generazione profondamente sfiduciata e in buona parte orientata a sperimentare dei percorsi di vita all’estero. In particolare, a incidere direttamente sulla percezione di fiducia nel futuro sono proprio tutte le variabili che abbiamo analizzato nel corso di questa nostra ricostruzione. Ci riferiamo alla situazione occupazionale, al livello di fiducia nelle istituzioni, al grado di partecipazione alla vita pubblica e al titolo di studio. Tutte queste dimensioni sono riassunte nella tabella qui sotto. Per facilitarne la lettura abbiamo ripetuto l’esercizio di elaborare un indice sintetico della percezione dei giovani sul futuro con valori compresi tra 0 e 1, dove uno rappresenta l’espressione decisamente fiducioso e zero l’espressione molto preoccupato. Come si può vedere, gli individui che mostrano un livello di fiducia più alto sono gli occupati, con un titolo di studio superiore, più attivi nella vita pubblica e che in conseguenza di ciò si mostrano più fiduciosi nei confronti delle istituzioni. In estrema sintesi, perciò, possiamo concludere che la fiducia nel futuro è strettamente associata al livello di inclusione sociale e che i dati negativi presentati in questo capitolo sono il frutto diretto di una condizione materiale e sociale generalmente poco adeguata. 5% 7% 12% 16% 17% 22% 23% 24% 24% 38% 39% 45% Prestigio sociale Flessibilità Rapporto con i colleghi Ambiente di lavoro Orari e tempi di lavoro Autonomia Coerenza con le mie aspirazioni Carriera Coerenza con le mie competenze Crescita professionale Guadagni Stabilità/sicurezza Fonte: ARES 2.0
  • 36. 36 Tab.12 - Differenze nella fiducia sul futuro tra i diversi gruppi Fonte: ARES 2.0
  • 37. 37
  • 38. 38 4. I giovani e il sindacato: tra pragmatismo e rivendicazioni collettive In un contesto in cui prevale la stratificazione sociale; dove le condizioni di lavoro sono estremamente diseguali e troppo spesso insufficienti; in cui il livello di inclusione nella vita pubblica non sempre appare adeguato e nel quale la sfiducia verso il futuro emerge come il tratto peculiare di un’intera generazione, risulta evidente che le istituzioni e le organizzazioni di rappresentanza non sono ancora riuscite a dare delle risposte concrete alle tante esigenze e bisogni di questa fascia della popolazione. Intaleprospettiva,ilruolodelsindacatoapparequantomaicentraleefondamentale,siaperlasuaposizionestrategica, che per la totale sfiducia di cui gode la politica. Innanzitutto, va sottolineato che il sindacato è uno strumento in grado di mettere in connessione i luoghi di lavoro con le istituzioni. Si tratta, infatti, dell’organizzazione più prossima ai bisogni delle persone: un’organizzazione che ha come elemento costitutivo la risoluzione delle controversie di lavoro e il miglioramento della condizione materiale dei lavoratori attraverso l’azione collettiva. Inoltre, proprio per il suo ruolo chiave all’interno delle aziende, il sindacato è potenzialmente in grado di intercettare i nuovi bisogni della forza lavoro, aggregandoli in una proposta complessiva spendibile per far pressione sui vari livelli istituzionali. In questa prospettiva, quindi, a fronte dei cambiamenti strutturali del mercato del lavoro, il sindacato risulta in una posizione avvantaggiata per comprendere i processi di trasformazione e tradurli all’interno di una piattaforma di rivendicazioni ampia e inclusiva. In secondo luogo, in un contesto in cui i corpi intermedi della società versano in condizioni di grave difficoltà, il sindacato sembra aver mantenuto, se pur con evidenti problematicità, un grado di fiducia maggiore rispetto ad altre organizzazioni.Ci riferiamo al dato che abbiamopresentatonelcapitoloprecedenteincuiil31,6%deinostriintervistati dichiara di fidarsi almeno in parte dell’organizzazione dei lavoratori a fronte del 10,1% che crede nella politica. Si tratta di un dato tutt’altro che idilliaco che, tuttavia, all’interno della crisi di rappresentanza in atto, evidenzia come il sindacato rimanga uno dei pochi soggetti dotati di un livello di legittimità adeguato a mobilitare le persone e porsi come strumento di cambiamento sociale nella società. Tuttavia, nonostante queste potenzialità, i dati ufficiali sulla sindacalizzazione nei paesi industrializzati, raccolti nel databasedell’universitàdiAmsterdam(Visser2013),parlanodiunafasediriduzionedelleiscrizionialleorganizzazioni di rappresentanza del lavoro, particolarmente diffusa tra i più giovani. Si pensi, infatti, che in tutti i paesi occidentali il tasso di iscrizione dei lavoratori sotto i trent’anni si attesta a circa un terzo rispetto al dato sull’intera forza lavoro. Si tratta di un elemento abbastanza significativo, che mostra un certo cambiamento nelle attitudini di chi si affaccia per la prima volta nel mercato del lavoro e che senza un’adeguata risposta, rischia di ridurre fortemente le capacità organizzative e il livello di legittimità del sindacato. Da questo punto di vista, la letteratura ha suggerito almeno quattro principali determinanti per spiegare questa minor propensione dei più giovani all’iscrizione sindacale. Tre di queste afferiscono ad alcune dimensioni connesse con l’occupazione e con i cambiamenti intercorsi nel mercato del lavoro. Ci riferiamo alla diffusione della contrattazione atipica, che affligge principalmente i più giovani; alla massiccia disoccupazione giovanile e al conseguente tasso di turnover;alfattocheigiovanitendonoalavorareinprofessionieinsettoriaminortassodisindacalizzazione.Laquarta determinante, invece, è rintracciabile proprio nella cultura delle nuove generazioni, le quali, secondo alcune indagini, adotterebbero dei comportamenti più strumentali e individualistici e quindi sarebbero meno attratte dalla dimensione valoriale e collettiva proposta dal sindacato. Continuando questo esercizio di analisi e prima di entrare nel merito dei risultati delle nostre interviste, le evidenze che emergono dalla letteratura, consentono di raggruppare le diverse determinanti della bassa sindacalizzazione giovanile in tre distinte direttrici. In primo luogo, l’instabilità dell’impiego e il generale passaggio da una società industriale a
  • 39. 39 una basata sui servizi, ha profondamente inciso sulla capacità stessa del sindacato di interagire con i nuovi assunti. Tale processo di disgregazione delle unità produttive ha generato una profonda dispersione dal punto di vista spaziale della classe lavoratrice, la quale si è improvvisamente ritrovata priva di uno dei suoi principali punti di aggregazione: la grande fabbrica manifatturiera. In secondo luogo, i giovani, vivendo una condizione di maggiore ricattabilità e instabilità sul posto di lavoro data dal massiccio ricorso alla contrattazione atipica, e dal fatto che lavorano in contesti più difficili da sindacalizzare, risultano più esposti a un certo arbitrio datoriale. In questo contesto, l’adesione sindacale rappresenterebbe per questa generazione un costo individuale particolarmente elevato in quanto, in assenza di adeguate tutele, rischia di impedire la prosecuzione del rapporto di lavoro e incentivare atteggiamenti di tipo discriminatorio. Infine, l’ultima direttrice per spiegare la bassa sindacalizzazione dei giovani è rintracciabile in una loro minore attitudine all’azione collettiva, a vantaggio di una partecipazione più orientata ai servizi. In quest’ottica le nuove generazioni sarebbero maggiormente propense a ragionare in termini di costi-benefici. L’iscrizione sindacale, perciò, risulterebbe principalmente funzione della contropartita in termini di servizi o di benefici che si possono ottenere, attenuando in questo modo quella dimensione valoriale che è stata sempre alla base della adesione al sindacato. Partendo dalla ricostruzione sin qui proposta, proveremo a completare il quadro di analisi verificando cosa i nostri intervistati si aspettano dalle organizzazioni di rappresentanza del lavoro e quali sono le principali motivazioni che li hanno spinti ad aderire (o a non aderire) al sindacato. Al centro della nostra attenzione, quindi, saranno proprio le argomentazioni utilizzate dalla letteratura per spiegare la scarsa sindacalizzazione dei giovani. In particolare, se dai dati precedentemente analizzati, emerge chiaramente come la situazione dei nostri intervistati sia effettivamente caratterizzata da un’elevata contrattazione atipica, da un forte livello di disoccupazione e da una dispersione del lavoro, proveremo a capire quanto questa condizione abbia influenzato le scelte di sindacalizzazione. Inoltre, muovendoci all’interno del dibattito sulla diversa attitudine dei giovani, ciò che vogliamo capire è anche se, all’interno del nostro campione, possa essere rintracciato quell’attitudine più orientata ai servizi offerti e meno alla più generale dimensione valoriale. Ovviamente, propedeutico a una analisi approfondita delle determinanti della sindacalizzazione è una ricognizione sul livello di iscrizione sindacale dei nostri intervistati. Da questo punto di vista, tra i lavoratori del nostro campione si registra un tasso di iscrizione al sindacato del 13,2% (41,4% degli iscritti è riconducibile alla CGIL, 28,6% alla CISL e 8,6% alla UIL). Si tratta di un dato di sindacalizzazione che si dimezza (7,2%) se si prende in considerazione l’intera popolazione che ha partecipato al questionario. Come potevamo aspettarci, infatti, solo l’1,4% degli studenti ha scelto di sindacalizzarsi. Occorre, inoltre, segnalare che se tra i disoccupati l’attuale tasso di sindacalizzazione si attesta al 5,8%, la situazione cambia radicalmente prendendo in considerazione le persone in cerca di occupazione che non hanno rinnovato la propria iscrizione (10,8%). Si tratta di una serie di elementi che ci confermano come la sindacalizzazione sia un fenomeno sociale fortemente collegato all’attuale impiego e che, in virtù di ciò, la perdita del posto di lavoro generalmente determini anche la rinuncia alla partecipazione sindacale. Passando a un’analisi più approfondita sulle determinanti della sindacalizzazione, notiamo subito come l’iscrizione dei giovani al sindacato si confermi un fenomeno prevalentemente legato ai settori dove questo è tradizionalmente più forte. Si pensi al bancario-assicurativo (23%), al pubblico impiego (16,6%), all’istruzione (30,7%) e alla sanità (23,8%). Lo stesso discorso vale anche per l’inquadramento professionale. I nostri intervistati che hanno scelto di iscriversi al sindacato, infatti, si concentrano principalmente nel mondo operaio (20,6%) a scapito delle professioni impiegatizie (12,8%). Infine, i nostri dati ci confermano che il sindacato riesce a raccogliere più adesioni nei contesti aziendali di medie e grandi dimensioni, dove le organizzazioni di rappresentanza hanno più facilità nell’accesso ai luoghi di lavoro e dove possono intercettare un numero di persone più ampio. Tutti questi elementi, ci confermano l’ipotesi per cui le nuove generazioni sarebbero meno propense ad aderire alle organizzazioni di rappresentanza del lavoro poiché impiegate in quei settori dove per il sindacato è più complicato
  • 40. 40 avere accesso. I dati analizzati in precedenza, infatti, ci hanno mostrato come i nostri intervistati siano principalmente occupati nelle piccole (16,5%) e piccolissime imprese (43,9%) dell’industria e dell’artigianato, siano scarsamente presenti nella pubblica amministrazione (1,9%) o in altri settori in cui il sindacato è tradizionalmente più forte e abbiano un’occupazione prevalentemente impiegatizia (51,9%). Un’ulteriore conferma di questa ipotesi può essere rintracciata guardano ad alcune delle motivazioni più ricorrenti che hanno spinto i nostri intervistati a recedere dall’iscrizione al sindacato o a non iscriversi1 . Ben il 28,6% di chi non ha rinnovato la tessera, infatti, lo ha fatto a seguito di un trasferimento da un’azienda all’altra, mentre il 14,2% dei non iscritti ha evidenziato come la sua scelta derivi dall’assenza del sindacato nella propria impresa. Se, quindi, l’ipotesi di una mancata sindacalizzazione dei giovani in virtù della loro diffusa attività nei settori meno sindacalizzati appare come fondata, anche l’incidenza negativa delle forme contrattuali atipiche sulle scelte di adesione al sindacato dei più giovani si conferma altrettanto solida. Si pensi, infatti, che tra i nostri intervistati solo il 6,4% dei lavoratori con contratto atipico ha scelto di aderire a un sindacato a fronte del 33,3% dei loro coetanei assunti a tempo indeterminato.Sitrattadiundatoestremamentesignificativosiaperlasuaevidenteportatacheperl’elevataincidenza della nuove forme contrattuali sulle coorti di età che stiamo analizzando. Questi dati, perciò, ci portano a evidenziare come la forma contrattuale rappresenti una delle dimensioni che influenza maggiormente la decisione di iscriversi al sindacato. Tuttavia, i dati raccolti non ci permettono di chiarire in maniera definitiva le ragioni che producono questo scollamento tra i giovani con contratto atipico e le organizzazioni di rappresentanza del lavoro. Indubbiamente, come si diceva in precedenza,lacondizionediprecarietàsperimentatadabuonapartediquestagenerazioneesponeigiovanilavoratoriai ricattidatoriali.Inquestaprospettiva,lasceltadisindacalizzarsipuòconfigurarsicomeuncostointerminidiopportunità che la gran parte dei lavoratori con un contratto atipico sceglie di non assumersi. Tuttavia, nel nostro campione, solo il 5,9% dei non iscritti ha esplicitato di non aderire al sindacato per paura di essere discriminato sul posto di lavoro. Si tratta di un elemento che mette in luce come, a fianco del problema della ricattabilità, esistano alte ragioni che tengono lontani i giovani precari dal sindacato. Occorre, infatti, tenere presente che la scarsa propensione a iscriversi al sindacato da parte dei giovani esposti alla precarietà rischia di acuire il gap tra questa fascia della popolazione e l’organizzazione che dovrebbe rappresentarla, rendendo quest’ultima meno permeabile alle richieste del variegato mondo del lavoro atipico e meno capace di interpretarne i suoi bisogni. Senza addentrarci in dibattiti filosofici, infatti, dobbiamo tenere a mente che il sindacato, da un lato ha l’ambizione di rappresentaregliinteressidellavorointuttelesueforme,dall’altrosiconfiguracomeunostrumentodiazionecollettiva e di tutela per i suoi iscritti. In questo contesto, una base sindacale composta solo marginalmente da quella fascia della popolazione che sperimenta sulla propria pelle la precarietà sarà meno capace di far emergere le proprie rivendicazioni e tramutarle in un’azione collettiva realmente efficace. Infine, ben più complicato appare il discorso sull’ultima direttrice che può influenzare la propensione dei giovani all’iscrizione sindacale: la questione attitudinale. Anche in questo caso, infatti, come è accaduto in precedenza rispetto alla partecipazione sociale dei nostri intervistati, i dati che emergono dall’analisi non sono univoci. Indubbiamente, all’interno del nostro campione è presente una piccola, seppur non trascurabile, fascia della popolazione socialmente molto attiva, che associa a elevati tassi di partecipazione alla vita pubblica un’altrettanto elevata propensione all’iscrizione sindacale. Inoltre, tra gli iscritti al sindacato permane una componente (9,9%) che ha scelto di aderire all’organizzazione del lavoro per motivi valoriali o per ragioni di tipo relazionale (21,1%), ovvero in base alle indicazioni di qualche collega. 1 - Occorre tenere in considerazione che quando ci riferiamo all’analisi delle motivazioni che hanno indotto i nostri intervistati a non iscriversi al sindacato, i dati si riferiscono esclusivamente alla forza lavoro, ovvero agli occupati e ai disoccupati. Abbiamo, infatti, escluso dalle nostre considerazioni gli studenti, in quanto la loro scelta deriva dalla loro condizione occupazionale e non può essere influenzata da elementi interni ai luoghi di lavoro.
  • 41. 41 Tuttavia, se questi elementi appaiono slegati dalla ricerca di benefici diretti, resta innegabile che, per una fascia piuttosto consistente dei nostri intervistati, la sindacalizzazione rappresenti una scelta finalizzata alla tutela dei propri interessi individuali e collettivi, al cui interno non assumono valore marginale i servizi. Si pensi, infatti, che il 38% degli aderenti a un’organizzazione di rappresentanza del lavoro ha basato la sua scelta rispetto ai servizi ricevuti, mentre il 39,4% ha indicato tra le sue ragioni principali la necessità di far valere i propri interessi. Va anche detto, però, che guardando a chi ha deciso di revocare la propria delega sindacale, il 28,2% dichiara di averlo fatto per incapacità del sindacato di tutelare i propri interessi ed il 20,4% dichiara una insoddisfazione rispetto ai servizi. Nell’insieme, perciò, possiamo evincere che buona parte dei giovani del nostro campione guarda con un certo interesse alle organizzazioni di rappresentanza del lavoro, anche se appare evidente come questi siano meno legati alla dimensione valoriale politica e più legati alla dimensione aziendale e all’azione di tutela dei propri interessi. In pratica, per i giovani lombardi il sindacato si configura come un’organizzazione che può aiutarli a migliorare la propria condizione materiale sui luoghi di lavoro e non solo. Infine, pur in questo sbilanciamento valoriale nella direzione di un rapporto pragmatico con le organizzazioni di rappresentanza, i nostri intervistati non confermano l’idea diffusa di una generazione avversa al sindacato. Va, infatti, segnalato che solo una parte relativamente contenuta del nostro campione, non aderisce a un’organizzazione di rappresentanza dei lavoratori in quanto delusa dalle sue scelte (10,9%) o in quanto contraria di principio alla sua azione e alle sue politiche. Parallelamente, un gruppo più consistente, ma sempre relativamente poco numeroso, dichiara di non iscriversi poiché non interessato all’attività sindacale (24,9%) o in quanto convinto di non aver bisogno di strumenti di tutela collettiva (20,7%). In questo contesto, invece, a spiccare per la sua consistenza è proprio quella parte dei nostri intervistati che, pur non essendo contraria di principio al sindacato, non risulta iscritta perché nessuno le ha mai chiesto di farlo (35%) o perché l’azienda non è provvista di rappresentanze sindacali (14,2%). Si tratta, di un atteggiamento di tipo passivo, in parte analogo a quello che abbiamo riscontrato rispetto alla partecipazione alla vita pubblica. In pratica, i dati ci mostrano come una fetta consistente dei giovani lombardi sarebbe quantomeno interessata a prendere in considerazione l’idea di aderire a un sindacato, ma non lo fa per mancanza di conoscenze necessarie e di adeguati stimoli esterni.
  • 42. 42 Tab.13 - Tasso di iscrizione sindacale: differenziali per categorie e condizioni Fonte: ARES 2.0
  • 43. 43 Fig.14 - Distribuzione iscrizione sindacale per status occupazionale (sei mai stato iscritto ad un sindacato?) Fig.15 - I principali motivi alla iscrizione ed alla rinuncia all’iscrizione sindacale Fonte: ARES 2.0 13,2% 1,4% 5,8% 7,2% 11,6% 10,8% 8,8% 75,2% 98,6% 83,3% 84,0% Occupato Studente In cerca di Occupazione  TOTALE Sì In passato No, mai 2,8% 9,9% 15,5% 21,1% 38,0% 39,4% 7,1% 9,5% 9,5% 11,9% 16,7% 20,2% 28,6% 28,6% Perchè il mio coniuge è iscritto Per affinità ideale/valoriale Altro Su consiglio di un collega Per ottenere servizi Per far valere i propri interessi Perché in disaccordo con le sue scelte nazionali Perché in disaccordo con le sue scelte sul luogo di lavoro Altro Perché si è messo in proprio Perché vuole risparmiare i costi della tessera Perché il sindacato non gli ha offerto servizi adeguati Perché ha cambiato datore di lavoro Perché non crede che il sindacato abbia tutelato i suoi interessi MOTIVIPERCUIE'ISCRITTOAL SINDACATO MOTIVIPERCUINONE'PIU'ISCRITTOAL SINDACATO Fonte: ARES 2.0
  • 44. 44 Tab.14 - I principali motivi di chi non si è mai iscritto al sindacato Fonte: ARES 2.0 Per concludere, in un contesto in cui le nuove generazioni vivono una condizione di marginalità e di esclusione, il sindacato potrebbe svolgere un ruolo chiave per dare voce alle istanze del mondo dei più giovani e contribuire alla loro piena inclusione sociale. Tuttavia, l’analisi che abbiamo condotto ha fatto emergere come nel rapporto tra i giovani e il sindacato permangono condizioni che rendono questo processo di rappresentanza piuttosto complicato. Abbiamo infatti potuto constatare come diversi fattori materiali connessi con la posizione delle nuove generazioni nel mercato del lavoro contribuiscano a tenere separata buona parte di questa generazione dal mondo sindacale. Ci riferiamo in particolar modo ai lavoratori con contratti atipici, impiegati nella piccola e piccolissima impresa e in settori che tradizionalmente presentano bassi livelli di sindacalizzazione. Tuttavia, il vero elemento di novità che emerge da questa ricostruzione è che i giovani lombardi non appaiono così distanti dal mondo sindacale, ma chiedono a questo un’attenzione particolare rispetto ad alcune esigenze connesse con lo svolgimento del proprio lavoro. Da questo punto di vista, i dati ci mostrano come le modalità di adesione abbiano subito degli evidenti cambiamenti negli ultimi anni, facendo passare in secondo piano l’aspetto valoriale rispetto a un’appartenenza di carattere più pragmatico. Questa, tuttavia, non si configura come prettamente rivolta all’erogazione di servizi, quanto a una rappresentanza capace di far valere i propri diritti e fornire supporto in termini di tutela collettiva. Ancheperquestaragione,leprincipalirichiestechequestagenerazionerivolgealsindacatosonodinaturarivendicativa. In particolare i giovani che hanno risposto al nostro questionario hanno indicato come prioritaria un’azione diretta del sindacato per la riduzione e stabilizzazione del lavoro precario (27,5%) e contestualmente un impegno a favore dell’introduzione di qualche forma di reddito minimo (19,1%). La questione del lavoro, atipico, infatti, come abbiamo visto in tutti i passaggi di questo lavoro, rappresenta una vera e propria piaga sociale per questa generazione. Tuttavia, nonostante questo tema condizioni fortemente la percezione dei nostri intervistati, a emergere nel nostro questionario sono anche altre richieste più generali. Ci riferiamo alla necessità di un maggiore impegno del sindacato nella tutela delle pensioni (25,7%) e a tutta una serie di iniziative di carattere aziendale che possono migliorare le condizioni di lavoro come la promozione di percorsi interni di carriera (24,5%) e una maggiore vigilanza sull’applicazione dei contratti collettivi (21,1%). Solo il 7% dei nostri intervistati, infine, ha espresso la necessità di un sindacato più attento all’erogazione di servizi per i propri iscritti: un ulteriore riprova di quanto questa generazione non veda solo nei servizi il vero valore aggiunto dell’azione sindacale.
  • 45. 45
  • 46. 46 5. Conclusioni Nel corso di queste pagine abbiamo provato a raccontare il mondo dei giovani lombardi concentrandoci sulla loro condizione lavorativa, sul loro grado in inclusione nella vita sociale e politica, sul loro rapporto con le istituzioni, sulle loro aspirazioni e sulle loro preoccupazioni rispetto al futuro. Infine, abbiamo voluto approfondire il tema della relazione tra le nuove generazioni e le organizzazioni sindacali. Queste, infatti, in virtù della loro capillare presenza all’interno dei siti produttivi della Lombardia, sono le organizzazioni più prossime ai bisogni dei giovani lavoratori e possono, perciò, giocare un ruolo decisivo nell’intercettare le richieste della forza lavoro e trasformarle in una proposta complessiva in grado di dare voce alle nuove generazioni. La struttura analitica proposta ci ha permesso di restituire l’immagine di una generazione che sperimenta condizioni di lavoro non sempre adeguate; che per buona parte versa in una situazione di esclusione sociale; che si dimostra mediamente interessata alla dimensione pubblica, anche se presenta una scarsa propensione all’azione collettiva; che è sfiduciata nei confronti delle istituzioni e più in generale presenta livelli di fiducia nel proprio futuro estremamente limitati. In particolare, dal punto di vista materiale, possiamo rinvenire una forte eterogeneità tra i nostri intervistati, che rende difficile parlare dei giovani come di un corpo sociale omogeneo. Ci riferiamo alla forte stratificazione sociale, la quale rende possibile estrapolare dal nostro campione almeno quattro distinti gruppi sociali. Da un lato, infatti, l’effetto congiunto della contrattazione atipica con la flessibilità oraria ha dato luogo a una netta demarcazione tra chi è stato assunto con un contratto a tempo indeterminato e lavora a tempo pieno e chi, invece sperimenta le più disparate forme contrattuali. Si pensi, infatti, che se il nostro campione guadagna in media 1.297 euro al mese, vi è una forte polarizzazione tra chi percepisce una retribuzione inferiore ai 600 euro (11,5%) e chi guadagna oltre 1500 euro (18,4%). Dall’altro, invece, all’interno del variegato mondo della disoccupazione, a emergere è una chiara separazione tra quella fascia della popolazione che sperimenta brevi periodi di ricerca del lavoro, che è relativamente più giovane e che possiedeuntitolodistudioelevatoequellaconsistentefettadelnostrocampionecheèimbrigliatainunadisoccupazione di lungo periodo e risulta priva di adeguati strumenti per competere nel mercato del lavoro. In particolare, ci riferiamo a quel 24% dei nostri disoccupati, che hanno tra i 25 e i 34 anni, che risultano privi di un titolo di studio universitario e che parallelamente non hanno mai svolto attività lavorativa o che hanno svolto solo impieghi di natura saltuaria. Sempre dal punto di vista del lavoro, va segnalato che se le condizioni economiche appaiono non sempre adeguate, il livello di soddisfazione lavorativa misurato attraverso le nostre interviste appare generalmente buono. In pratica, i giovani lombardi tendono a compensare l’insoddisfazione per il proprio reddito con altri aspetti quali la possibilità di sviluppare percorsi di crescita professionale, lo svolgimento di mansioni coerenti con le proprie aspettative e i rapporti interpersonali in azienda. In pratica, per i nostri intervistati, il lavoro non rappresenta esclusivamente uno strumento di natura economica, ma può diventare anche un importante mezzo per l’autorealizzazione personale. Rispetto alla partecipazione sociale, invece, i nostri dati tendono a non confermare lo stereotipo di fondo che vede nelle nuove generazioni una distanza siderale dalla sfera sociale. Quella che emerge da questa ricostruzione, infatti, è una generazione che nutre un certo interesse per la vita pubblica. Ci riferiamo ai livelli di ascolto dei dibattiti politici (40,2%), alla tendenza a discutere frequentemente con i propri coetanei di politica (36,1%) e alla lettura quotidiana dei giornali (38,2%). Si tratta, tuttavia, di un interesse di natura passiva, il quale solo in rare occasioni si trasforma in una vera e propria azione collettiva. Si pensi, infatti, che meno del 12% dei nostri intervistati ha preso parte negli ultimi 12 mesi a un comizio o a un corteo. Attraverso questi dati, perciò, possiamo far emergere due distinti fenomeni sociali. Da un lato, infatti, le nuove
  • 47. 47 generazioni sarebbero caratterizzate da un atteggiamento di natura più pragmatica e meno propensa all’azione collettiva. Dall’altro, i dati ci dimostrano che la minor propensione alla partecipazione diretta è principalmente associata a quei gruppi sociali più marginalizzati che fanno più fatica a trovare canali di rappresentanza adeguati: un dato confermato dall’analisi sulla fiducia nelle istituzioni, che vede la politica nettamente all’ultimo posto, con solo 10,1% dei nostri intervistati che dichiara di fidarsi almeno in parte di essa. Tutti questi elementi si ripercuotono in maniera evidente sulla percezione che i giovani hanno del loro futuro. Quella che emerge dalla nostra analisi, infatti, è una generazione totalmente sfiduciata, che si dichiara preoccupata per il proprio futuro (82,4%) e che immagina di provare a cambiare la propria condizione emigrando all’estero (26,3%). Anche in questo caso, i più colpiti appaiono proprio i più deboli, che si dimostrano i più desiderosi di cercare fortuna al di fuori dell’Italia. In ultima analisi, a emergere è il ritratto di una generazione pienamente consapevole del divario di opportunità che sta vivendo nei confronti delle coorti di età nate negli anni precedenti. Si tratta, infatti, della prima generazione che dal dopoguerra a oggi sperimenta condizioni di vita e di lavoro inferiori a quelle dei propri genitori, senza riuscire a immaginare una possibile via di uscita alla propria esclusione sociale. Daquestopuntodivista,idaticheabbiamoraccoltomettonoinlucequattroimportantisfideallequalileorganizzazioni di rappresentanza dovrebbero provare a dare risposta per migliorare la condizione materiale dei giovani e colmare il senso di abbandono di parte di una parte sempre più rilevante della popolazione. In primo luogo vi è la lotta alla precarietà. Questa, infatti, si configura come una vera e propria piaga sociale che si ripercuote negativamente in tutti gli ambiti che abbiamo analizzato all’interno di questo lavoro. Se, infatti, nel nostro campione solo il 45,1% è attualmente assunto con un contratto a tempo indeterminato, i dati ci dimostrano che il massiccio ricorso alla flessibilità contrattuale nella maggior parte dei casi rischia di trasformarsi nella cosiddetta spirale della precarietà. Si pensi, alla questione salariale che vede i giovani con contratto atipico guadagnare il 73% rispetto alla media del campione o al fatto che chi è assunto con contratto atipico tende ad avere un tasso di turnover lavorativo estremamente più elevato rispetto ai propri colleghi con contratti stabili. Come abbiamo visto, inoltre, il ricorso alla contrattazione atipica non ha effetti negativi solo per quanto riguarda la condizione lavorativa, ma influenza anche tutte le altre dimensioni che abbiamo analizzato. Ci riferiamo al grado di inclusione nella vita pubblica, al livello di fiducia nelle istituzione e alla percezione di preoccupazione rispetto al proprio futuro. Altrettanto importante risulta la lotta alla disoccupazione giovanile attraverso il miglioramento del livello di connessione tra la scuola e il mondo del lavoro e degli strumenti di politiche attive. I dati raccolti dalla nostra inchiesta, infatti, mostranocheperunaparteconsistentedelcampionelaricercadilavoroapparecomeunacondizionestrutturaledilungo periodo. Si pensi, infatti, che il 51,8% degli intervistati è alla ricerca di un’occupazione da più di sei mesi. Si tratta di un datoestremamentepreoccupantechemetteinlucetutteleinefficienzedelnostrosistemadicollocamentoediraccordo tra il mondo dell’istruzione e quello del lavoro. Tra i nostri intervistati, infatti, solo il 29,8% ha ricevuto formazione scolastica per l’orientamento al lavoro. Inoltre, ben più preoccupante appare il dato sui canali di accesso all’impiego. Tra questi, infatti, il ruolo dell’intermediazione di amici, parenti e conoscenti appare ancora oggi fondamentale per il 27,4% degli occupati, mentre solo l’8,5% di chi è attualmente impiegato ha usufruito dei servizi offerti da un centro per l’impiego pubblico o privato. Si tratta di un dato che mette in evidenza come un sistema di reclutamento di tipo familistico-tradizionale sia ancora fortemente radicato nel contesto lombardo. Il terzo elemento su cui occorre focalizzare l’attenzione è certamente l’istruzione. Come abbiamo potuto apprezzare, infatti, questa si configura come l’unico strumento effettivo per ridurre l’esclusione sociale e migliorare le condizioni materiali dei giovani. All’interno dei nostri dati, infatti, l’istruzione universitaria ha un impatto positivo sul salario, sull’occupazione, sulla soddisfazione lavorativa, sul grado di partecipazione alla vita pubblica e su una migliore considerazione del futuro. Si tratta, inoltre, di uno strumento in grado di ridurre il rischio della spirale della precarietà, contribuendo a un minor tasso di turnover lavorativo. In questo contesto, investire sull’istruzione di massa e sui percorsi
  • 48. 48 di formazione interprofessionale può diventare uno strumento fondamentale per migliorare la condizione delle future generazione e combattere l’esclusione sociale. Infine, i dati ci mostrano che il capitale sociale inteso come partecipazione alla vita pubblica incide positivamente sul benessere e sulle possibilità lavorative. In questo contesto, gli individui più attivi nella sfera politica appaiono come i più propensi a immaginarsi un futuro positivo e i meno disposti a emigrare all’estero. Da questo punto di vista, incentivare la partecipazione sociale e politica, attraverso forme di rappresentanza più aperte verso le giovani generazioni, non descrive solo uno strumento di rinnovamento, ma anche un’occasione per migliorare la condizione materiale e sociale dei più giovani. In questo quadro articolato, il sindacato appare una dei soggetti più adatti a raccogliere queste nuove sfide. Si tratta, infatti, di un’organizzazione che, all’interno della profonda crisi di rappresentanza dei corpi intermedi della società, ha conservato un grado di consenso sufficiente per riuscire a mobilitare le persone e porsi come strumento di cambiamento sociale. Da questo punto di vista i dati raccolti ci mostrano un livello di fiducia nel sindacato che si attesta al 31,6% a fronte del 10,1% della politica. Inoltre, per via del suo ruolo strategico all’interno delle imprese, l’organizzazione di rappresentanzadelmondodellavororisultainunaposizioneavvantaggiatapercomprendereiprocessiditrasformazione in atto nel mercato del lavoro. In tale prospettiva, quindi, il sindacato potrà svolgere un ruolo determinante nel processo di riscatto sociale di un’intera generazione, se sarà in grado di raccogliere le nuove sfide e le nuove rivendicazioni dei giovani e trasformarle in una piattaforma di rivendicazioni ampia, inclusiva ed efficace.
  • 49. 49 APPENDICE Il questionario rivolto ai giovani 17-34 anni INDICAZIONI ANAGRAFICHE DELLA PERSONA INTERVISTATA A1. Provincia di residenza ________________________ A2. Sesso Maschio Femmina A3. Età tra 16 e 20 tra 21 e 25 tra 26 e 30 tra 31 e 35 A4. Nazionalità Italiana Comunitaria Non comunitaria A5. Tipologia del nucleo familiare Vivo da solo In famiglia (padre, madre, figli) Con coniuge/partner Con coniuge/partner e figli Solo con figli Con colleghi/amici/conoscenti Altro (spec. __________________) A6. Titolo di studio Nessun titolo Licenza elementare Licenza scuola media inferiore Qualifica professionale (2 o 3 anni) Diploma di scuola media superiore Laurea Master post laurea Dottorato A7. Attualmente sei: Occupato (sezione B) Studente/Impegnato in un Tirocinio/stage (training) vai a A8 In cerca di Occupazione (sezione C) Non sono impegnato nello studio o nella formazione/tirocinio, non lavoro e non cerco (sezione D) Altro (specificare)_______________________
  • 50. 50 A8. Al momento sei studente di Liceo Istituto tecnico Istituto professionale Università Corso Post Laurea Chi risponde alla A8 va poi alla sezione E B. OCCUPATI: INDICAZIONI SU POSIZIONE LAVORATIVA E CONTESTO AZIENDALE B1. Come è inquadrata la sua attività Libero professionista Imprenditore Impiegato Tecnico specializzato Operaio Apprendista B2. Allo stato attuale qual è la tua condizione occupazionale (solo una risposta) Lavoro con contratto a tempo indeterminato B4 Lavoro con contratto a tempo determinato B4 Lavoro con contratto stagionale B4 Lavoro con un contratto di collaborazione B4 Lavoro con Partita Iva B4 Lavoro con un contratto interinale B4 Lavoro con un contratto di apprendistato B4 Nessun contratto (vai alla dom B3) Lavoro con contratto a chiamata B4 Altro B3. Per quale motivo hai accettato un lavoro “senza contratto”: Avevo bisogno di soldi Avevo timore di non ottenere o di perdere il lavoro Ho preferito lavorare senza contratto per convenienza personale Non mi è stata offerta una condizione alternativa Quando ho accettato non ho posto attenzione a questo aspetto B4. Mi diresti il settore in cui lavori Agricoltura Manifatturiero Costruzioni Turismo e Ristorazione Banche e Assicurazioni Grande Distribuzione e Retail Informatica, IT e Telecomunicazioni Comunicazione, grafica e creatività Pubblica Amministrazione Sanità Istruzione Altro
  • 51. 51 B5. Come hai trovato questo lavoro? Attraverso il centro per l’impiego (cpi) Agenzia interinale o altra agenzia privata di intermediazione Rivolto direttamente al datore di lavoro Parenti/Amici/conoscenti Concorso Segnalazione della scuola, Università Lavoro nell’azienda in cui ho svolto precedentemente un tirocinio/stage Risposto ad inserzione su giornale, internet B6. Quanti siete in azienda (dipendenti, soci attivi, collaboratori) |__|__| B7. Qual è il tuo orario di lavoro (numero medio ore di lavoro settimanale) |__|__| B8. Qual è la tua retribuzione mensile Meno di 500 Tra 500 e 1000 Tra 1000 e 1500 Tra 1500 e 2000 Più di 2000 B9. Quanti lavori hai cambiato negli ultimi 5 anni |__|__| B10. La tua formazione è stata utile per ottenere questo lavoro? Molto Abbastanza Poco Per nulla B11. Sei soddisfatto dei seguenti aspetti del tuo attuale lavoro (Una risposta per riga) Molto Abbastanza Poco Per nulla Retribuzione/ Guadagno economico Mansioni e ruoli ricoperti Organizzazione del lavoro (orari, turni, gestione straordinari, ferie) Rapporti con i colleghi Rapporti con superiori Condizioni interne di sicurezza Tempo necessario per raggiungere il luogo di lavoro Sviluppo competenze e acquisizione professionalità Interesse per quello che faccio Prestigio sociale Stabilità del posto di lavoro Autonomia nell’organizzare il mio lavoro Possibilità di fare carriera Utilità sociale del mio lavoro Tempo libero rimanente Vai alla sezione E
  • 52. 52 C. IN CERCA DI OCCUPAZIONE C1. Hai mai svolto un’attività lavorativa No, mai Si, ma saltuaria Si, ho svolto un’attività lavorativa continuativa C2. Se eri un lavoratore, avevi un contratto: A tempo determinato A tempo indeterminato Di lavoro interinale o di somministrazione lavoro Di apprendistato Altro (specificare ) Non avevo un contratto C3. Quanto è durato il tuo lavoro? (indicare in mesi)___________ C4. Attualmente stai cercando un lavoro? No, vai a D Sì. C5. Da quanto tempo stai cercando un lavoro? meno di un mese da 1 a 6 mesi da 6 mesi ad un anno Più di un anno C6. In che modo stai cercando lavoro/attraverso quali canali? Ho avuto contatti con un Centro pubblico per l’impiego Ho avuto contatti con una agenzia interinale Ho partecipato ad un concorso pubblico Ho messo inserzioni sui giornali o ha risposto ad annunci Ho fatto domande di lavoro e/o inviato (o consegnato) curriculum a privati Mi sono rivolto a parenti, amici, conoscenti, sindacati Ho cercato lavoro su Internet Ho fatto ricerche per avviare una attività autonoma (permessi, licenze, locali) C7. in quale settore stai cercando lavoro? In qualunque settore Agricoltura Manifatturiero Costruzioni Turismo e Ristorazione Banche e Assicurazioni Grande Distribuzione e Retail Informatica, IT e Telecomunicazioni Comunicazione, grafica e creatività Pubblica Amministrazione Sanità Istruzione Non so
  • 53. 53 C8. Dove stai cercando lavoro Nella mia città/comune Vicino alla mia città/comune Nella mia Regione In qualsiasi parte d’Italia All’estero Ovunque C9. Qualcuno ti ha mai insegnato come si cerca lavoro (come si scrive un curriculum, a chi rivolgersi…)? No Sì, a scuola Sì, i miei genitori Sì, all’informagiovani Sì, amici che già lavorano C10. Sei mai stato in un Centro per l’impiego (CPI) Sì, sono iscritto Sì No No, non so cosa sia un Cpi Vai alla sezione E D. NEET D1. Perché se non sei occupato, al momento non sei alla ricerca di un lavoro o non sei inserito in un percorso di istruzione e formazione Malattia, problemi di salute personale Per prendermi cura dei figli, di bambini e/o di altre persone non autosufficienti Ritengo di non riuscire a trovare lavoro Non mi interessa lavorare o studiare/non ne ho bisogno Sto aspettando gli esiti di passate azioni di ricerca Altri motivi (specificare) Non so Vai alla sezione E E. PARTECIPAZIONE E1. Negli ultimi 12 mesi, ti è capitato di: SI NO Partecipare a un comizio Partecipare a un corteo Sentire un dibattito politico Dare soldi a un partito (per sottoscrizione, iscrizione, sostegno ) Dare soldi ad una associazione Prendere parte ad una raccolta firme
  • 54. 54 E2. Partecipazione e social media SI NO Utilizzi i social network Segui blog o forum sui temi sociali Partecipi alle discussioni sui social Produci materiali multimediali sui temi sociali E3. Quanti libri non scolastici hai letto negli ultimi 6 mesi? (anche una stima approssimativa) Indicare il numero |__|__| Nessun libro E4.Negli ultimi 12 mesi hai letto giornali e quotidiani (anche on line) Tutti i giorni Una volta a settimana Una volte al mese Mai E5. Fai o hai fatto parte di Non ne ho mai fatto parte In passato, ma non ne faccio più parte Attualmente ne faccio parte Partiti/Altri movimenti Politici Centri sociali o collettivi politici Associazioni sportive Associazioni culturali e ludico/ricreativo Organizzazioni per la difesa dei diritti dell’uomo (Emergency, Amnesty International, ecc.) Associazioni o gruppi di volontariato sociale/ assistenziale Associazioni ambientali o per la tutela degli animali Organizzazioni studentesche Associazioni per le pari opportunità Associazioni para-militari Associazioni e gruppi di ispirazione religiosa E6. Quanto ritieni sia utile impegnarsi in prima persona nella politica? Molto Abbastanza Poco Per nulla E7. Ti capita mai di parlare di politica con i tuoi coetanei? Sempre Spesso Qualche volta Mai E8. Qual è il tuo livello di fiducia nei confronti delle seguenti figure/enti Molta Abbastanza Poca Nessuna La pubblica amministrazione La scuola Le forze dell’ordine Il sindacato La chiesa
  • 55. 55 La politica La sanità Gli scienziati La magistratura I media L’unione europea (UE) E9. Sei mai stato iscritto a qualche sindacato dei lavoratori No, mai, vai a E12 Sì, in passato Si, sono ancora iscritto E10. Se la risposta E9 è stata SI sono ancora iscritto , puoi indicarci: Da quanti anni è iscritto |__|__| A quale organizzazione è iscritto CGIL CISL UIL Altro (Specificare) Quali sono i motivi per i quali si è iscritto? (max due risposte) Per ottenere servizi Per far valere i miei interessi Per affinità ideale/valoriale Perché il mio coniuge era/è iscritto al sindacato Perché mi è stato consigliato da un collega Altro (specificare) E11. Se la risposta E9 è stata SI, ma in passato, per quali ragioni non si è più iscritto (max due risposte) Disaccordo con le scelte nazionali dei sindacati Disaccordo con le scelte dei sindacati sul mio luogo di lavoro Ho cambiato datore di lavoro Mi sono messo in proprio Non credo che il sindacato abbia tutelato i miei interessi Ritengo che il sindacato non sia stato in grado di offrirmi servizi adeguati Voglio risparmiare i costi della tessera Altro specificare E12. Se la risposta E9 è stata NO, mai, Quali sono i motivi per i quali non si è mai iscritto (max tre risposte) Non ho voglia di partecipare alle attività sindacali Nessuno mi ha chiesto di iscrivermi Non ritengo di avere bisogno del sindacato Voglio risparmiare i costi della tessera Il sindacato non rappresenta i miei interessi Il sindacato non rappresenta gli interessi dei lavoratori Ho paura di essere discriminato e/o licenziato Il sindacato mi ha deluso Il sindacato non è presente nella mia azienda Il sindacato è una organo che esprime la volontà di alcuni partiti politici Altro (Specificare)
  • 56. 56 E13. Indipendentemente dalle sue scelte personali, secondo Lei cosa il sindacato potrebbe fare di più o meglio (max 4 risposte) Difendere le pensioni Favorire i miglioramenti di carriera e inquadramento professionale Aumentare le prestazioni sociali Migliorare i servizi pubblici Migliorare i servizi a favore degli iscritti Rivendicare un reddito minimo per i più bisognosi Impegnarsi per lo sviluppo economico Far pagare le tasse a tutti Stabilizzare i lavori precari Difendere ambiente e sicurezza dei lavoratori Estendere le tutele a chi non ne ha Vigilare sulla corretta applicazione dei contratti Ridurre le tasse Aumentare le retribuzioni Ridurre il lavoro precario Ridurre l’orario di lavoro Aumentare le indennità per permessi e congedi Contrattare welfare integrativo Contrattare la produttività Altro (specificare) _________________ Vai alla sezione F F. IL FUTURO F1. Quando pensi al tuo futuro lavorativo ti senti più preoccupato o più fiducioso (una sola risposta)? Mi sento molto preoccupato vai a F3 Mi sento abbastanza preoccupato vai a F3 Mi sento abbastanza fiducioso Mi sento decisamente fiducioso F2. Se hai affermato che ti senti molto oppure abbastanza fiducioso nella precedente domanda, puoi dircene le ragioni? Per niente d'accordo Poco d'accordo Molto d'accordo Totale accordo Conto su una buona preparazione scolastica e/o universitaria Ho già un’idea precisa su dove inserirmi Conto prima o dopo di mettermi in proprio Penso di lavorare nell’azienda familiare/amici di famiglia Conto sull’aiuto della mia famiglia nel trovare una collocazione lavorativa Conto sull’aiuto della mia famiglia finché non trovo un lavoro stabile, vivendo con i miei genitori e ricevendo qualche aiuto economico Sono pronto a muovermi anche fuori dalla mia città pur di trovare lavoro, grazie all’aiuto che mi può dare in tal senso la mia famiglia Intendo cercare la mia strada senza poter contare affatto sull’aiuto familiare Vai a F4
  • 57. 57 F3. Se ti senti preoccupato, puoi dircene le ragioni? Per niente d'accordo Poco d'accordo Molto d'accordo Totale accordo Oggi mi sembra difficile trovare lavoro Se si trova lavoro, spesso è di tipo precario Le retribuzioni non sono abbastanza adeguate Non è facile trovare una corrispondenza tra la preparazione ricevuta nella scuola/università e quello che si può effettivamente fare all’interno di un’azienda o di un’altra organizzazione Non c’è più un lavoro che dà la sicurezza e la continuità, una volta inseriti nell’azienda o in un’altra organizzazione F4. Tra un anno ti immagini Studente Occupato stabilmente Occupato precario Disoccupato Nessuna delle precedenti Altro F5. Dove immagini il tuo futuro lavorativo Nella mia città In Italia Fuori dall’Italia F6. Qual è secondo te l’aspetto più importante del tuo lavoro futuro (possibili max 3 risposte) Carriera Guadagni Coerenza con le mie competenze Coerenza con le mie aspirazioni Crescita professionale Autonomia Flessibilità Ambiente di lavoro Rapporto con i colleghi Orari e tempi di lavoro Prestigio sociale Stabilità/sicurezza F7. In futuro credi che i tuoi rapporti con il sindacato Si intensificheranno Non si intensificheranno Resteranno invariati