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Business School
Export Manager: una storia di lavoro, talento e passione
Intervista ad Antonio Fontana, Ex Export Area Manager per La Doria
S.p.A.
Intervista a cura di Isabella Corsini, Myglange Ngnassi, Noemi Pezzotti
Programma “Retail Your Talent” 2016-2017
INTERNAZIONALIZZAZIONE
Laureato in Economia e Commercio alla Federico II di Napoli, dopo un MBA presso la SAA School of
Management, Antonio Fontana ha iniziato la sua carriera come Product Manager presso Olivetti.
Sin da subito, quindi, ha lavorato nel commerciale, a stretto contatto con il cliente, fino ad arrivare a
ricoprire importanti ruoli a livello internazionale in aziende Retail del settore Food, prima come Export
Manager, dopo come Export Area Manager. Ha cambiato recentemente lavoro e attualmente si
occupa di tutt’altro. Rispondendo a queste semplici domande, ci ha permesso di avere un focus molto
diretto su questo ruolo e ci ha trasmesso immediatamente la passione che ha caratterizzato il suo
lavoro in questi anni.
In base ai due ruoli che ha ricoperto nella sua
carriera in ambito internazionale, ci spiega
che cosa si intende esattamente per Export
Manager e qual è la principale differenza con
l’Export Area Manager?
Generalmente il primo è la persona che ha la
responsabilitàdituttol’exportall’internodell’azienda,
simile all’Export Director; il secondo, invece è una
persona legata principalmente a una specifica area
geografica del mondo, simile all’Area Manager o al
Direttore Italia commerciale. Spesso si fa
confusione, ma l’Export Manager è una figura già
di riferimento alla Direzione Generale. A livello
di compiti da svolgere sono diversi, in quanto
l’Export Area Manager svolge una funzione meno
operativa e più strategica, si occupa della gestione
operativa del day by day su tutti i clienti, cerca
nuove opportunità di lavoro e di investimenti, è
l’interfaccia tra l’azienda e il cliente, cura il business
quotidiano mettendo in atto quello che gli viene
indicato dall’Export Manager, mentre quest’ultimo
ha il compito di trasferire la strategia dell’azienda ai
vari Area Manager in base al portafoglio di prodotti,
da le indicazioni relative al business quotidiano. La
distinzione è titolo, ma anche competenza.
Qual è la giornata tipo di un Export Manager?
Abbastanza complicata: se si lavora in un mercato
Europeo, la giornata è abbastanza simile a quella
di quasi tutti i lavoratori, se si ha la fortuna di
lavorare su mercati Oceanici o Americani gli orari
sono diversi, derivanti soprattutto dal fuso orario
che impedisce la comunicazione e la risposta
tempestiva ai problemi e alle domande. Quindi la
differenza in quest’ambito la fa la zona di lavoro
dell’azienda. Per quelle poche volte che si è in ufficio,
in genere, una giornata tipo è così organizzata: una
prima fase di raccolta delle informazioni e delle
problematiche che sono arrivate nella notte, seguita
dall’organizzazione del lavoro dell’ufficio con tutte
le interfacce che si hanno in quel momento (es.
Customer Service o Produzione) e infine si comincia
ad elaborare le risposte da inviare.
Quali sono le difficoltà maggiori di questo
lavoro e quali, invece, gli aspetti più
interessanti?
“In realtà io il mio lavoro non l’ho
mai trovato difficile, l’Export Manager
è un lavoro bellissimo e, in maniera
specifica, nel Food è meraviglioso, perché
rappresenti l’Italia nelle sue eccellenze,
come quando vendi una Ferrari o quando
presenti D&G”
Le difficoltà, spesso, sono gli orari, la mobilità,
l’adeguamento ai diversi stili di vita dei paesi.
D’altro canto, però, si ha la possibilità e la fortuna di
confrontarsi con il mondo, rappresentare il proprio
paese sotto i suoi aspetti migliori, conoscere culture
completamente diverse, vivere e scoprire posti che
magari non vedresti mai nella tua vita e stabilire
un network di relazioni molto importanti per la tua
futura carriera professionale.
Con quale metafora descriverebbe il suo lavoro?
Che significa “Export Manager” per lei?
Un animale alato. Sei l’uomo con la valigia, un
cittadino del mondo, un globalizzato a tutti gli effetti.
Per me significa fare il lavoro della mia vita, nel
quale ho sempre creduto. Sin dall’inizio, quando ho
lavorato nel Marketing Internazionale, ho capito la
mia passione per le relazioni, per il rapporto diretto
con le persone e l’importanza del “sapersi vendere”.
“Oggi, non vendi più il prodotto, ma vendi
la tua immagine, la tua reputazione e
quella della tua azienda. Per esempio,
soprattutto nel mio settore, si temeva
molto l’avvento dell’e-commerce; ma
io dico sempre “l’e-commerce muove il
pacchetto, l’uomo muove i container”
Quando ha deciso di diventare un Export
Manager?
Mi ci sono trovato un po’ per caso. Disponendo
già di una base formativa consistente, un aiuto
notevole è arrivato dall’esperienza nel Marketing
Internazionale in Olivetti, dove supportavo il
commerciale dell’azienda in fase di vendita e mi
occupavo sia del Trade che del Product Marketing.
Questa esperienza mi ha permesso di acquisire una
solida struttura per poter affrontare una trattativa,
dato che conoscevo molto bene sia i competitors
che il canale nel quale mi trovavo. Tutto ciò mi ha
portato ad avere un grande vantaggio, che mi è
stato di grande utilità durante il mio percorso
professionale. Ho creduto nelle mie capacità e ho
impostato la mia carriera proprio nel commerciale.
Quindi, le esperienze lavorative passate mi hanno
indirizzato sulla scelta del mio lavoro.
Quali sono le competenze e conoscenze,
nonché le attitudini caratteriali che deve avere
un Export Manager?
Sul mio CV c’è scritto come caratteristica fonda-
mentale “attitudine alle relazioni internazionali”. Se-
condo me oggi poter gestire le relazioni è il vantag-
gio più grande, poter avere un network di relazioni
e mantenerlo nel tempo è quello che ti da accesso
a tutta una serie di informazioni che altrimenti non
potresti avere, confrontarsi anche con altre perso-
ne dello stesso settore è fondamentale. Molti dei
miei clienti, che ho incontrato magari all’inizio della
mia carriera, sono ancora miei amici; oggi, grazie
ai Social, abbiamo questa opportunità e possiamo
sfruttarla.
Oltre alle competenze relazionali, anche quelle
commerciali sono necessarie; quest’ultime, però,
intese come “saper vincere” e “saper perdere”.
“Devi saper accettare la sconfitta, sorridere
e ringraziare e quando vinci, invece, non
devi mai schiacciare l’altra persona; devi
sempre riconoscergli un merito e avere
rispetto, perché in questo modo la vittoria
viene accettata, se generi astio e vendetta
il mondo prima o poi te la farà pagare.
Devi pensare che tu, in quell’occasione, sei
stato solo più bravo di loro”
Ovviamente oltre a queste competenze, la
conoscenza del tuo settore specifico è essenziale.
Devi avere quel vantaggio informativo in più che,
anche se piccolo, ti permette di fare la differenza.
Quali sono le qualità che portano un Export
Manager ad essere migliore rispetto ad un
altro?
La modestia. Oggi tutti pensano di poter
fare l’Export Manager e che sia sufficiente la
competenza linguistica, ma non è così. Questa
figura, oggi specialmente, rappresenta una cultura,
una tradizione, i valori legati ad un paese e quelli
dei prodotti che stai vendendo. Se pensiamo alla
cultura americana, che conosco abbastanza bene,
si ricerca proprio la romance, la storia dietro ad
ogni prodotto.
Perciò, si deve saper trasferire questi valori, si deve
essere passionale. Se non si sa raccontare tutto
questo, non si può fare questo lavoro, oggi non
si cerca semplicemente il prodotto industriale, ma
ben altro. Li devi far innamorare di esso ancor prima
di farglielo assaggiare!
Come viene vista un donna in questo lavoro?
È ancora un lavoro prettamente maschile, la
percentuale di uomini, in confronto a quella
femminile, è ancora preponderante. La problematica
maggiore è il retaggio culturale Italiano; viviamo in
un paese in cui la donna è ancora molto legata alla
famiglia, e quindi chiedendole un sacrificio di questo
tipo si andrebbe a sradicare un sistema culturale. La
donna viene vista quasi come un “nemico” in un
ufficio di Export Manager, perché, nel commerciale,
ha sempre un passo in più rispetto ad un uomo,
non c’è niente da fare.
Guardando anche alle mie colleghe, la donna ha
una perseveranza, una metodicità, una costanza
che l’uomo generalmente non ha. Nell’azienda
dove lavoravo, il rapporto era molto equilibrato e
devo dire che molte delle mie colleghe facevano la
differenza rispetto agli altri, lo riconosceva lo stesso
imprenditore.
Che cosa direbbe a un giovane che vorrebbe
diventare un Export Manager?
Bisogna imparare e dimostrare di volerlo fare!
Oggi tanti ragazzi pensano di sapere già tutto.
Per lo stile di vita, si tende ad avere tutto, subito e al
minor costo possibile. Io, all’inizio della mia carriera
ho lavorato molto e ho fatto molti sacrifici, ma ne
sono grato perché è così che ho imparato.
“Secondo me il dramma più grande è
quando non impari più, quando hai
di fronte persone che, per paura o per
cultura, non ti fanno formazione e non ti
insegnano”
Quello che mi sento di consigliare ai giovani d’oggi
è sapersi mostrare, sapersi proporre ed essere
propositivi sempre, c’è sempre qualcuno che ti può
insegnare qualcosa.
Essere umili, senza svilirsi, ma proattivi e impegnarsi
molto, specialmente all’inizio, perché poi è tutto
bagaglio che ritorna. Questo è importante perché
oggi pochi regalano, voi siete di fronte ad un
mercato del lavoro che è molto complicato, con
una competizione altissima che arriva da tutto il
mondo.
Formazione ed esperienza sul campo: quanto
incidono sulla forza di un buon Export
Manager? Quale, in particolare, ha maggior
rilievo?
Incidono molto entrambe. La formazione è continua,
ma l’esperienza gioca un ruolo cruciale. Sono due
componenti imprescindibili, due facce della stessa
medaglia. Facendo formazione fai, inevitabilmente,
anche esperienza.
E’ prevista anche una formazione interna
all’azienda, di solito?
Solo le aziende illuminate fanno formazione interna.
Io ho avuta la fortuna di lavorare in Seat Pagine
Gialle che ha al suo interno una Corporate University,
dove si formano tutti, dal primo degli impiegati al
primo dei dirigenti. Per me la formazione è una
cosa fondamentale, ma pochi investono in essa e
pochi apprezzano il suo valore. A questo proposito
riporto una frase di un dialogo tra il fondatore
della Virgin Richard Branson e il suo CEO, molto
appropriata in questo senso. Quest’ultimo chiedeva
a Branson: “Che facciamo se tutta la gente che
formiamo va via dall’azienda?” e Branson rispose:
“e che succede se tutti quelli che non formiamo
rimangono in azienda?”
Durante il suo percorso professionale, quali
sono state le esperienze che le sono servite
maggiormente (anche negative)?
Posso dire che non ho mai avuto esperienze
negative, fa tutto parte del mio bagaglio. Sono una
persona ottimista di natura, ma sono state proprio
le “bastonate” ad avermi reso più forte. Si deve
prendere il meglio da qualsiasi cosa accada. Si deve
avere una cultura dell’errore molto forte. Proprio
quelle negative sono quelle che mi sono servite
di più, perché si capisce come si può migliorare
veramente.
Quanto il Master che ha conseguito presso la
SAA School of Management le ha aperto la
mente su questo ruolo e quanto le è servito a
livello operativo?
Il Master è stato molto importante, ma soprattutto
perché mi ha dato visibilità in aziende prestigiose.
Prima ero solo uno dei tanti laureati. Il Master è stato
fondamentale per le relazioni, non avrei fatto mai
quello che ho fatto senza di esso. Mi ha permesso
di avere un approccio più diretto, più elevato, più
rispettato nel contatto con gli altri.
Secondo lei, qual è il percorso formativo e
professionale ideale che un giovane dovrebbe
seguire per diventare un buon Export
Manager?
Partire sin da subito in questo ruolo è sbagliato.
Secondo me, la scelta migliore per chi ambisce a
diventare un Export Manager, è partire dal basso, in
particolare dal Customer Service, dai “problemi”, ma
con un approccio propositivo, analitico, seguendo
la logica di capire il problema e sviscerarlo. In questo
modo si inizia ad essere artefici di un processo, si
impara ad avere un quadro del cliente a 360 gradi,
che sarà essenziale per il percorso futuro. Anche
perché poi sarà una delle interfacce con cui si
avranno più rapporti. Partire dall’alto è la cosa più
sbagliata, se si perde contatto con il mercato è un
disastro.
Quanto le decisioni di un Export Manager
incidono sulle decisioni strategiche
dell’azienda?
Molto, se parliamo di Export Manager. Questa figura
ha il dovere di riportare alla direzione gli andamenti
del mercato, deve saper fiutare quello che sta
succedendo. Le decisioni strategiche dell’azienda
dipendono da ciò che un buon Export Manager
riporta. Importa, ancora una volta, essere propositivi
per essere i primi, altrimenti ci arriverai, ma sempre
dopo gli altri. Se invece parliamo di un Export Area
Manager, le sue decisioni incidono meno
sull’azienda, pur rimanendo una figura essenziale
perché è l’occhio del suo capo sul mercato.
Abbiamo visto che entrambe le sue esperienze
diExportManagersonostateindueaziendedel
settore Food che si occupano di distribuzione
e produzione. Ci può raccontare un po’ il suo
iter all’interno di Agritalia e La Doria?
Agritalia è stata l’azienda che mi ha aperto le
porte al mondo del Food, mi dato l’opportunità di
imparare come gestire, tra le altre, un Private Label
all’estero. Secondo me è un’eccellenza, è molto
strutturata proprio per dare quello che manca alle
realtà produttive Italiane, ossia l’orientamento al
servizio. Infatti, oggi, le aziende produttive italiane
hanno una carenza in questo senso, non sono
strutturate abbastanza per dare un buon servizio al
cliente, si pensa più a produrre.
Io ho cercato proprio di dare questo taglio “diverso”
a La Doria, ma è stato molto difficile. È un’azienda che
da dei grandi risultati all’estero, ma cambiare una
cultura aziendale ben radicata è molto complicato.
Con quali team si trovava più spesso a lavorare
e con quali funzioni si rapportava di più?
L’Export Manager lavora con tutti. Avendo un
contatto diretto con il cliente, è una delle figure
che lo conosce meglio e sa come gestirlo.
Quindi, qualunque funzione, si rivolge a lui. Per
questo, ribadisco, è importante avere buone doti
relazionali, non è necessario conoscere tutto, ma
sapersi relazionare con gli altri e saper assumersi la
responsabilità nei confronti dei colleghi e dei clienti.
E se, invece, è l’Export Manager ad avere un
problema a chi si rivolge?
Generalmente, si tende a risolverli autonomamente.
Questo fa parte della capacità negoziale. Se poi è un
problema che richiede una responsabilità oggettiva
diversa, ci si rivolge spesso al Customer Service, che
è il “collo di bottiglia dell’azienda”, da dove partono
poi le relazioni con le altre funzioni.
Infatti, l’Export Manager, solitamente è una figura
che ha un grado un po’ più alto rispetto a tutto il
resto; gerarchicamente è sempre un Quadro proprio
perché, senza dubbio, ha delle responsabilità
maggiori.

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Export Manager: una storia di lavoro, talento e passione Intervista ad Antonio Fontana, Ex Export Area Manager per La Doria S.p.A.

  • 1. Business School Export Manager: una storia di lavoro, talento e passione Intervista ad Antonio Fontana, Ex Export Area Manager per La Doria S.p.A. Intervista a cura di Isabella Corsini, Myglange Ngnassi, Noemi Pezzotti Programma “Retail Your Talent” 2016-2017 INTERNAZIONALIZZAZIONE Laureato in Economia e Commercio alla Federico II di Napoli, dopo un MBA presso la SAA School of Management, Antonio Fontana ha iniziato la sua carriera come Product Manager presso Olivetti. Sin da subito, quindi, ha lavorato nel commerciale, a stretto contatto con il cliente, fino ad arrivare a ricoprire importanti ruoli a livello internazionale in aziende Retail del settore Food, prima come Export Manager, dopo come Export Area Manager. Ha cambiato recentemente lavoro e attualmente si occupa di tutt’altro. Rispondendo a queste semplici domande, ci ha permesso di avere un focus molto diretto su questo ruolo e ci ha trasmesso immediatamente la passione che ha caratterizzato il suo lavoro in questi anni. In base ai due ruoli che ha ricoperto nella sua carriera in ambito internazionale, ci spiega che cosa si intende esattamente per Export Manager e qual è la principale differenza con l’Export Area Manager? Generalmente il primo è la persona che ha la responsabilitàdituttol’exportall’internodell’azienda, simile all’Export Director; il secondo, invece è una persona legata principalmente a una specifica area geografica del mondo, simile all’Area Manager o al Direttore Italia commerciale. Spesso si fa confusione, ma l’Export Manager è una figura già di riferimento alla Direzione Generale. A livello di compiti da svolgere sono diversi, in quanto l’Export Area Manager svolge una funzione meno operativa e più strategica, si occupa della gestione operativa del day by day su tutti i clienti, cerca nuove opportunità di lavoro e di investimenti, è l’interfaccia tra l’azienda e il cliente, cura il business quotidiano mettendo in atto quello che gli viene indicato dall’Export Manager, mentre quest’ultimo ha il compito di trasferire la strategia dell’azienda ai vari Area Manager in base al portafoglio di prodotti, da le indicazioni relative al business quotidiano. La distinzione è titolo, ma anche competenza. Qual è la giornata tipo di un Export Manager? Abbastanza complicata: se si lavora in un mercato Europeo, la giornata è abbastanza simile a quella di quasi tutti i lavoratori, se si ha la fortuna di
  • 2. lavorare su mercati Oceanici o Americani gli orari sono diversi, derivanti soprattutto dal fuso orario che impedisce la comunicazione e la risposta tempestiva ai problemi e alle domande. Quindi la differenza in quest’ambito la fa la zona di lavoro dell’azienda. Per quelle poche volte che si è in ufficio, in genere, una giornata tipo è così organizzata: una prima fase di raccolta delle informazioni e delle problematiche che sono arrivate nella notte, seguita dall’organizzazione del lavoro dell’ufficio con tutte le interfacce che si hanno in quel momento (es. Customer Service o Produzione) e infine si comincia ad elaborare le risposte da inviare. Quali sono le difficoltà maggiori di questo lavoro e quali, invece, gli aspetti più interessanti? “In realtà io il mio lavoro non l’ho mai trovato difficile, l’Export Manager è un lavoro bellissimo e, in maniera specifica, nel Food è meraviglioso, perché rappresenti l’Italia nelle sue eccellenze, come quando vendi una Ferrari o quando presenti D&G” Le difficoltà, spesso, sono gli orari, la mobilità, l’adeguamento ai diversi stili di vita dei paesi. D’altro canto, però, si ha la possibilità e la fortuna di confrontarsi con il mondo, rappresentare il proprio paese sotto i suoi aspetti migliori, conoscere culture completamente diverse, vivere e scoprire posti che magari non vedresti mai nella tua vita e stabilire un network di relazioni molto importanti per la tua futura carriera professionale. Con quale metafora descriverebbe il suo lavoro? Che significa “Export Manager” per lei? Un animale alato. Sei l’uomo con la valigia, un cittadino del mondo, un globalizzato a tutti gli effetti. Per me significa fare il lavoro della mia vita, nel quale ho sempre creduto. Sin dall’inizio, quando ho lavorato nel Marketing Internazionale, ho capito la mia passione per le relazioni, per il rapporto diretto con le persone e l’importanza del “sapersi vendere”. “Oggi, non vendi più il prodotto, ma vendi la tua immagine, la tua reputazione e quella della tua azienda. Per esempio, soprattutto nel mio settore, si temeva molto l’avvento dell’e-commerce; ma io dico sempre “l’e-commerce muove il pacchetto, l’uomo muove i container” Quando ha deciso di diventare un Export Manager? Mi ci sono trovato un po’ per caso. Disponendo già di una base formativa consistente, un aiuto notevole è arrivato dall’esperienza nel Marketing Internazionale in Olivetti, dove supportavo il commerciale dell’azienda in fase di vendita e mi occupavo sia del Trade che del Product Marketing. Questa esperienza mi ha permesso di acquisire una solida struttura per poter affrontare una trattativa, dato che conoscevo molto bene sia i competitors che il canale nel quale mi trovavo. Tutto ciò mi ha portato ad avere un grande vantaggio, che mi è stato di grande utilità durante il mio percorso professionale. Ho creduto nelle mie capacità e ho impostato la mia carriera proprio nel commerciale. Quindi, le esperienze lavorative passate mi hanno indirizzato sulla scelta del mio lavoro. Quali sono le competenze e conoscenze, nonché le attitudini caratteriali che deve avere un Export Manager? Sul mio CV c’è scritto come caratteristica fonda- mentale “attitudine alle relazioni internazionali”. Se- condo me oggi poter gestire le relazioni è il vantag- gio più grande, poter avere un network di relazioni e mantenerlo nel tempo è quello che ti da accesso a tutta una serie di informazioni che altrimenti non potresti avere, confrontarsi anche con altre perso- ne dello stesso settore è fondamentale. Molti dei miei clienti, che ho incontrato magari all’inizio della mia carriera, sono ancora miei amici; oggi, grazie ai Social, abbiamo questa opportunità e possiamo sfruttarla. Oltre alle competenze relazionali, anche quelle commerciali sono necessarie; quest’ultime, però, intese come “saper vincere” e “saper perdere”. “Devi saper accettare la sconfitta, sorridere e ringraziare e quando vinci, invece, non devi mai schiacciare l’altra persona; devi sempre riconoscergli un merito e avere rispetto, perché in questo modo la vittoria viene accettata, se generi astio e vendetta il mondo prima o poi te la farà pagare. Devi pensare che tu, in quell’occasione, sei stato solo più bravo di loro” Ovviamente oltre a queste competenze, la conoscenza del tuo settore specifico è essenziale. Devi avere quel vantaggio informativo in più che, anche se piccolo, ti permette di fare la differenza.
  • 3. Quali sono le qualità che portano un Export Manager ad essere migliore rispetto ad un altro? La modestia. Oggi tutti pensano di poter fare l’Export Manager e che sia sufficiente la competenza linguistica, ma non è così. Questa figura, oggi specialmente, rappresenta una cultura, una tradizione, i valori legati ad un paese e quelli dei prodotti che stai vendendo. Se pensiamo alla cultura americana, che conosco abbastanza bene, si ricerca proprio la romance, la storia dietro ad ogni prodotto. Perciò, si deve saper trasferire questi valori, si deve essere passionale. Se non si sa raccontare tutto questo, non si può fare questo lavoro, oggi non si cerca semplicemente il prodotto industriale, ma ben altro. Li devi far innamorare di esso ancor prima di farglielo assaggiare! Come viene vista un donna in questo lavoro? È ancora un lavoro prettamente maschile, la percentuale di uomini, in confronto a quella femminile, è ancora preponderante. La problematica maggiore è il retaggio culturale Italiano; viviamo in un paese in cui la donna è ancora molto legata alla famiglia, e quindi chiedendole un sacrificio di questo tipo si andrebbe a sradicare un sistema culturale. La donna viene vista quasi come un “nemico” in un ufficio di Export Manager, perché, nel commerciale, ha sempre un passo in più rispetto ad un uomo, non c’è niente da fare. Guardando anche alle mie colleghe, la donna ha una perseveranza, una metodicità, una costanza che l’uomo generalmente non ha. Nell’azienda dove lavoravo, il rapporto era molto equilibrato e devo dire che molte delle mie colleghe facevano la differenza rispetto agli altri, lo riconosceva lo stesso imprenditore. Che cosa direbbe a un giovane che vorrebbe diventare un Export Manager? Bisogna imparare e dimostrare di volerlo fare! Oggi tanti ragazzi pensano di sapere già tutto. Per lo stile di vita, si tende ad avere tutto, subito e al minor costo possibile. Io, all’inizio della mia carriera ho lavorato molto e ho fatto molti sacrifici, ma ne sono grato perché è così che ho imparato. “Secondo me il dramma più grande è quando non impari più, quando hai di fronte persone che, per paura o per cultura, non ti fanno formazione e non ti insegnano” Quello che mi sento di consigliare ai giovani d’oggi è sapersi mostrare, sapersi proporre ed essere propositivi sempre, c’è sempre qualcuno che ti può insegnare qualcosa. Essere umili, senza svilirsi, ma proattivi e impegnarsi molto, specialmente all’inizio, perché poi è tutto bagaglio che ritorna. Questo è importante perché oggi pochi regalano, voi siete di fronte ad un mercato del lavoro che è molto complicato, con una competizione altissima che arriva da tutto il mondo. Formazione ed esperienza sul campo: quanto incidono sulla forza di un buon Export Manager? Quale, in particolare, ha maggior rilievo? Incidono molto entrambe. La formazione è continua, ma l’esperienza gioca un ruolo cruciale. Sono due componenti imprescindibili, due facce della stessa medaglia. Facendo formazione fai, inevitabilmente, anche esperienza. E’ prevista anche una formazione interna all’azienda, di solito? Solo le aziende illuminate fanno formazione interna. Io ho avuta la fortuna di lavorare in Seat Pagine Gialle che ha al suo interno una Corporate University, dove si formano tutti, dal primo degli impiegati al primo dei dirigenti. Per me la formazione è una cosa fondamentale, ma pochi investono in essa e pochi apprezzano il suo valore. A questo proposito riporto una frase di un dialogo tra il fondatore della Virgin Richard Branson e il suo CEO, molto appropriata in questo senso. Quest’ultimo chiedeva a Branson: “Che facciamo se tutta la gente che formiamo va via dall’azienda?” e Branson rispose: “e che succede se tutti quelli che non formiamo rimangono in azienda?” Durante il suo percorso professionale, quali sono state le esperienze che le sono servite maggiormente (anche negative)? Posso dire che non ho mai avuto esperienze negative, fa tutto parte del mio bagaglio. Sono una persona ottimista di natura, ma sono state proprio le “bastonate” ad avermi reso più forte. Si deve prendere il meglio da qualsiasi cosa accada. Si deve avere una cultura dell’errore molto forte. Proprio quelle negative sono quelle che mi sono servite di più, perché si capisce come si può migliorare veramente.
  • 4. Quanto il Master che ha conseguito presso la SAA School of Management le ha aperto la mente su questo ruolo e quanto le è servito a livello operativo? Il Master è stato molto importante, ma soprattutto perché mi ha dato visibilità in aziende prestigiose. Prima ero solo uno dei tanti laureati. Il Master è stato fondamentale per le relazioni, non avrei fatto mai quello che ho fatto senza di esso. Mi ha permesso di avere un approccio più diretto, più elevato, più rispettato nel contatto con gli altri. Secondo lei, qual è il percorso formativo e professionale ideale che un giovane dovrebbe seguire per diventare un buon Export Manager? Partire sin da subito in questo ruolo è sbagliato. Secondo me, la scelta migliore per chi ambisce a diventare un Export Manager, è partire dal basso, in particolare dal Customer Service, dai “problemi”, ma con un approccio propositivo, analitico, seguendo la logica di capire il problema e sviscerarlo. In questo modo si inizia ad essere artefici di un processo, si impara ad avere un quadro del cliente a 360 gradi, che sarà essenziale per il percorso futuro. Anche perché poi sarà una delle interfacce con cui si avranno più rapporti. Partire dall’alto è la cosa più sbagliata, se si perde contatto con il mercato è un disastro. Quanto le decisioni di un Export Manager incidono sulle decisioni strategiche dell’azienda? Molto, se parliamo di Export Manager. Questa figura ha il dovere di riportare alla direzione gli andamenti del mercato, deve saper fiutare quello che sta succedendo. Le decisioni strategiche dell’azienda dipendono da ciò che un buon Export Manager riporta. Importa, ancora una volta, essere propositivi per essere i primi, altrimenti ci arriverai, ma sempre dopo gli altri. Se invece parliamo di un Export Area Manager, le sue decisioni incidono meno sull’azienda, pur rimanendo una figura essenziale perché è l’occhio del suo capo sul mercato. Abbiamo visto che entrambe le sue esperienze diExportManagersonostateindueaziendedel settore Food che si occupano di distribuzione e produzione. Ci può raccontare un po’ il suo iter all’interno di Agritalia e La Doria? Agritalia è stata l’azienda che mi ha aperto le porte al mondo del Food, mi dato l’opportunità di imparare come gestire, tra le altre, un Private Label all’estero. Secondo me è un’eccellenza, è molto strutturata proprio per dare quello che manca alle realtà produttive Italiane, ossia l’orientamento al servizio. Infatti, oggi, le aziende produttive italiane hanno una carenza in questo senso, non sono strutturate abbastanza per dare un buon servizio al cliente, si pensa più a produrre. Io ho cercato proprio di dare questo taglio “diverso” a La Doria, ma è stato molto difficile. È un’azienda che da dei grandi risultati all’estero, ma cambiare una cultura aziendale ben radicata è molto complicato. Con quali team si trovava più spesso a lavorare e con quali funzioni si rapportava di più? L’Export Manager lavora con tutti. Avendo un contatto diretto con il cliente, è una delle figure che lo conosce meglio e sa come gestirlo. Quindi, qualunque funzione, si rivolge a lui. Per questo, ribadisco, è importante avere buone doti relazionali, non è necessario conoscere tutto, ma sapersi relazionare con gli altri e saper assumersi la responsabilità nei confronti dei colleghi e dei clienti. E se, invece, è l’Export Manager ad avere un problema a chi si rivolge? Generalmente, si tende a risolverli autonomamente. Questo fa parte della capacità negoziale. Se poi è un problema che richiede una responsabilità oggettiva diversa, ci si rivolge spesso al Customer Service, che è il “collo di bottiglia dell’azienda”, da dove partono poi le relazioni con le altre funzioni. Infatti, l’Export Manager, solitamente è una figura che ha un grado un po’ più alto rispetto a tutto il resto; gerarchicamente è sempre un Quadro proprio perché, senza dubbio, ha delle responsabilità maggiori.