Introduzione
Nel nostro Paese il cambiamento delle abitudini sociali, avvenuto dal secondo dopoguerra in
poi, complice il boomeconomico e le migliori condizioni di esistenza che una ‘vita in città’ e il
‘lavoro in fabbrica’ garantivano, ha portato ad una trasformazione radicale del modo di vivere
della collettività. Il profondo mutamento, avvenuto in un lasso di tempo molto, troppo breve,
tra le altre cose, ha portato al rapido abbandono delle località dall’economia poco redditizia o
troppo inospitali, zone montane, in primis, che rappresentano il 40% del territorio nazionale e
dove dal XVI secolo fino ai primi decenni del 1900 la crescita demografica delle comunità
stanziali era stata continua. In altre parole, «se la popolazione italiana negli ultimi 60 anni è
cresciuta di circa 12 milioni di persone, la montagna ne ha perse circa 900mila»(Cerea, 2016).
Luoghi che prima garantivano la sopravvivenza, secondo le regole della vecchia e frugale
economia di sussistenza, improvvisamente non sono risultati più idonei a sostenere le esigenze
di guadagno della società del consumo. I nuovi principi della civiltà moderna hanno, perciò,
trasformato in posti invivibili territori dove il rapporto reddito/fatica del lavoro non fosse
nettamente positivo.
Dalla metà del secolo scorso, il settore secondario (quello delle attività industriali) e il terziario
(quello dei relativi servizi economico-finanziari) hanno sancito il crepuscolo dei molti mestieri
legati al settore primario (agricoltura, allevamento, pastorizia, selvicoltura, pesca, attività
mineraria e via dicendo), facendo sì che intere generazioni native delle aree rurali e montane si
trasferissero definitivamente in pianura, nelle sempre più affollate realtà urbane. Riferendosi
alla zona di maggior conoscenza dello scrivente, l’Appennino Tosco-Emiliano e, più in
particolare, la Montagna Pistoiese, l’emorragia è tuttora costantemente in atto (Perulli, 2010).
Ovviamente, la perdita dell’umanizzazione della montagna, così come di buona parte della
campagna, porta con sé svariate conseguenze, alcune più immediate e altre a medio-lungo
termine.
Fra le prime, la disgregazione sociale dei piccoli centri abitati ha cancellato tradizioni, usanze e
costumi. Fra i molti temi, ne citiamo solo alcuni: le manifestazioni della pietà popolare, le
specificità agro-alimentari, l’abbigliamento tradizionale, le feste, le celebrazioni, i canti
popolari, fino alla medicina tradizionale e ai riti di origine pagana. La cultura e il folklore locali
solo in qualche caso continuano ad essere preservati – in tutt’altra forma rispetto all’originale –
da istituzioni museali o produzioni editoriali e cinematografiche. Ovviamente, si potrebbero
indicare molti virtuosi esempi. Qui ricordiamo il Museo della Civiltà Montanara di Sestola (MO),
il Museo della Civiltà Contadina di Larciano (PT); fra i testi, le opere di Nuto Revelli, Il popolo che
manca e Il mondo dei vinti; fra le produzioni cinematografiche, L’Albero degli zoccoli (1978) di
Ermanno Olmi.
Inoltre, la partenza dei più giovani ha fatto sì che l’età media dei paesi in via di abbandono si
alzasse vertiginosamente: ormai solo gli anziani continuano ad abitare alcune zone d’Italia, che
sono dunque destinate ad alimentare la già ricca schiera dei paesi abbandonati. Infine, negli
ultimi 50-70 anni, in qualche modo legato al fenomeno del consumismo, si è determinato un
generale imbarbarimento della società, che ha ribaltato il detto “usa le cose e ama le persone”,
finendo per portare ad “amare le cose e usare le persone”. Benché in modo meno accentuato
rispetto alle città, questo sta accadendo anche in molti paesi posti in zone disagiate, dove si è
perso il senso di comunità e la naturale tendenza ad aiutarsi vicendevolmente nei momenti di
difficoltà, qualità che caratterizzava da sempre le piccole collettività.
Fra gli effetti di medio-lungo termine dello spopolamento, invece, si mettono in evidenza
soprattutto:
1) L’aumentato rischio idro-geologico, non limitato soltanto alle zone interessate
dall’abbandono. Già nel 1948 Manlio Rossi-Doria affermava che «la morte degli insediamenti
umani in montagna potrebbe significare l’inizio di grandi rovine nei luoghi dove le attività umane
si esercitano e si concentrano» . Alla mancata cura dei terrazzamenti e delle opere di
canalizzazione delle acque, infatti, conseguono spesso cedimenti dei terreni, frane, danni alle
vie di comunicazione (strade, mulattiere, sentieri) fino a portare alla loro inagibilità, nonché
allagamenti e inondazioni nelle zone abitate poste a valle a causa dei corsi di acqua non più
regimentati.
2) Il rimboschimento, quando guidato da rigorose politiche mirate, determina indubbi benefici
quali il rallentamento dell’erosione del terreno, la protezione da inondazioni e da valanghe, la
ricostituzione della biodiversità, la riduzione dell’effetto serra. Se invece esso avviene in modo
naturale, prendendo, cioè, selvaggiamente il posto di coltivazioni e di pascoli abbandonati,
porta con sé notevoli problematiche ambientali, come il pericolo di incendi o di malattie
parassitarie che rischiano di divenire incontrollabili a causa della fitta densità forestale; la
maggior suscettibilità di caduta degli alberi durante le bufere per “effetto domino”; la perdita
dei prati d’altura per il pascolo; la scomparsa dei terreni adatti alla coltivazione; la modifica
dell’habitat che determina l’incremento delle risorse trofiche e il conseguente aumento della
fauna selvatica (suidi, canidi, ungulati). Quest’ultimo aspetto comporta una maggior invasione
delle zone antropizzate da parte delle diverse razze di animali, che, andando alla ricerca di cibo,
danneggiano le attività agricole e pastorali, oltre ad essere corresponsabili di incidenti stradali
spesso dalle serie conseguenze (Giornata di studi dell’Accademia dei Georgofili: Irrazionali
danni da fauna selvatica all’agricoltura e all’ambiente, Firenze, 20 maggio 2014).
3) La trasformazione in rovine del patrimonio architettonico dei villaggi disabitati ad opera degli
agenti atmosferici e la perdita, dunque, delle peculiarità strutturali, funzionali ed estetiche degli
insediamenti un tempo popolati. Notevole interesse rivestono l’ingegno e l’originalità con cui gli
abitanti riuscivano a superare le asperità dei luoghi per la fondazione dei villaggi, l’adattamento
e l’integrazione dei fabbricati umani all’interno del territorio scelto, che veniva sfruttato al
meglio, valorizzandolo e mai deturpandolo, poiché sostentamento primario per la popolazione
residente. Tutti questi aspetti determinano la particolarità e l’irripetibile unicità di un paese
abbandonato rispetto ad un altro.
È forse superfluo ricordare, inoltre, che l’abbandono di un territorio ne riduce inevitabilmente il
potenziale turistico, che, secondo la logica del circolo virtuoso, al contrario, dovrebbe essere
incentivato, con intelligenza, in considerazione del crescente interesse per il cosiddetto
ecoturismo. In tale direzione va la “Carta per il turismo sostenibile” approvata già nel 1995 in
occasione della prima Conferenza Mondiale sul Turismo Sostenibile con finalità di indicare le
regole per un turismo ‘intelligente’.
Borghi e centri storici minori
1.1 Cos’è un borgo
Nel “costituito” di Siena nel 1903 si legge che “chi governa deve avere a cuore massimamente
la bellezza della città, per cagione di diletto e allegrezza ai forestieri, per onore, prosperità e
acresscimento della città e dei cittadini”. Questo era un precetto attuato ovunque anche
quando si construiva un borgo.
Insieme al borgo si construiva
l’ambiente circonstante; si
construiva il paesaggio e un paese.
Il paesaggio è il luogo in cui la storia
s’incontra con il lavoro e la natura
con la cultura. I borghi sono libri
viventi in cui le civiltà hanno scritto
la loro storia, sono il prodotto
dell’identità di un comunità, al
tempo stesso sono anche generatrici
del senso di apparteneza.
Purtoppo può acadere che quelle entità con forte identità cadano nella tentazione della
chiusura e dell’autocelebrazione, fino a diventare una reliquia, museo, icona, quinta scenica, set
cinematografico. Per certi aspetti è una visione rassicurante, ma una città che decide di essere
soltanto identica alle sue cartoline è una città in necrosi. Al contrario, da una forte identità,
deve nascere una forte spinta all’apertura e al dialogo, perché per le comunità come per le
persone, l’identità va costruita con gli altri e non contro gli altri. Convivere vuoldire condividere
e vuol dire saper accogliere le differenze quale occasione di arricchimento.
La città storica dipende anche dalla qualità della vita, dalla qualità dell’educazione, dai legami di
solidarietà, dalle reti di aiuto vicendevole, dall’estensione dei saperi comuni e delle conoscenze
pratiche, dalla cultura che si riflette e si sviluppa nelle interazioni di vita quotidiana. Cose che
hanno forme di merce, che non hanno un prezzo, ma un valore intrinseco. Cose difficili da
realizzare ma capaci di rifondare la città storica, e di dare un nuovo senso alla città attuale.
Il concetto di borgo, di civiltà, e senso di appartenenza l’abbiamo ricevuto dalle generazioni
passate, che hanno costruito palazzi, monumenti e tessuto sociale. Le città in cui viviamo oggi
non ci appartengono e non appartengono nenché a coloro che sono passati. Abbiamo l’obbligo
di applicare I concetti identitari del borgo alla città attuale e trattarla come parte integrante di
noi stessi.
Dobbiamo mantenere questo patrimonio prezioso e tramandarlo intatto e migliorato alle
generazioni future. A questo proposito, nel bollettino ufficiale n.445 di Italia Nostra, Pier Luigi
Carvellati definisce i centri storici minori come degli elementi maltratatti e ne fa la seguente
distinzione:
 “incapsulati” nell’espresione edilizia enell’agricultura industrializzata. Il processo di
trasformazione, da isediamento storico a centro urbano, si manifesta in contemporanea
con l’espansione dell’urbanizzato, con la coneguente perdita della loro forma, e con la
sostituzione della residenza con attività terziarie. Gli interventi di restauro sono mirati
ala salvaguardia della pietra ma non agli abitanti.
 “abbandonati” nel territorio spesso incolto I centri abbandonati o in via di abbandono si
concentrano sopratutto lungo da dorsale Appenninica. Abbandonati e non più
recuperati.
 “trasfigurati” dal recupero omologante dal turismo. La trasformazione in vilaggio
turistico, non offre soluzioni correspondenti a un autentico recupero dell’insediamento
storico abbandonato.
Borghi storicie centri minori italiani
1.2 Lo spopolamento e l’abbandono dei Borghi .
Lo spopolamento e l’abbandono - i due termini indicano fenomeni distinti - dei piccoli paesi
dell’interno è un problema di enormi dimensioni che interesa la moontagna e le colline italiane.
Le sue cause antiche e recenti sono molteplici, di
natura sa storica (l’emigrazione), antropologica e
politica; ragioni diverse, locali e generali, che
devono essere indagate caso per caso con le
tante peculiarità e i diversi esiti locali (sempre in
un contesto più generale).
La maggioranza dei paesi abbandonati nascono
per le cause naturali. Abbandonati e non più
recuperati. Il cataclisma si trasforma sempre in
nuovo intervento edilizio. Attenzione particolare
è rivolta alle zone dell’Abruzzo colpite dal
violente terremoto. Il Abruzzo è un caso dramatico italiano che può diventare esemplare per i
criteri da adottare. Nuovi insediamenti provvisori diventano abitazioni stabili. Infatti in Italia
sono presenti 8 milioni di alloggi in più rispetto al numero delle famiglie residenti.
I Borghi vengono abbandonati, specialmente dai giovani per vari motivi: attrazione più popolati
e vivaci, ricerca di occupazione, noia. Si assiste a quela che è stata definita la crisi “urbanistico-
esistenziale”. Di fatto, se si scende la soglia dei 2000 abitanti risulta complicato garantire servizi
primari come le scuole, faracie, o peggio ancor degli svaghi. Ecco allora che i giovani
preferiscono entrare nell’orbita delle città pur andando a vivere in periferie senza qualità che si
allargano a dismisura. La malta che unisce le comunità è l’affetto per I luoghi e la complicità tra
le persone, e se cede il senso di appartenenza i paesi si spopolano e le periferie anonime delle
città, crescono. “Per invertire questo fenomeno occorre prima di tutto rafforzare
l’educazione e la formazione per incrementare la “massa critica.“
Lo svuotaento dei luoghi internii ha conseguenze rilevanti a vario livello: antropologico,
geologico, sociale, economico. Costituiesce anche un vuoto di memoria, di rapporti, una
desertificazione ambientale e un deserto di speranze. Negli ultimi anni, questo fenomeno
epocale quasi ignorato e rimosso nell’epoca della modernizzazione selvaggia e
dell’intastamento delle città, è al centro di interese, attenzione, rifflesioni, narrazioni da parte
di soggetti diversi, di studiosi di numerose discipline, anche del mondo politico. Accanto a
rifflesioni attente, profonde, serie e mirate per comprendere e affrontare il fenomeno, in tempi
brevi e localmente ma anche in un quadro di ‘”lunga durata” e in contesti più vasti: accanto a
iniziative concrete, economiche, sociaali tendenti ad arrestare il declino la fuga, l’abbandono o
talora a favorire forme nuove di ritordo e di “ripopolamento”, bisogna segnalare come, di
recente – al pari di quanto era successo negli anni Sessanta con il folklore e le culture popolari
non mancano operazioni “strumentali”, mediatiche, sterilmente nostalgiche e lacrimevoli,
nonché interventi e piani di ricupero che spesso sono più nefasti e distruttivi stesso abbandono.
Osservado il teritorio Italiano notiamo che si sono venute a creare
ampie aree urbane dalla densità molto elevata, il resto del
territorio è costellato e piccola grandezza. Erede dei piccoli borghi
è quel 72% degli oltre 8.000 comuni italiani che conta meno di
cinquemila abitanti. Un’Italia dove vivono più di dieci milioni di
persone e che rappresenta il 55% del territorio nazionale. Questi
5.835 piccoli borghi non solo svolgono un’opera di presidio e cura
del territorio, ma sono portatori insostituibili di cultura, saperi e
tradizioni. Ad oggi si registrano circa 2.500 Borghi abbandonati su
tutto il territorio. Questi luoghi, suggestivi e compomessi dal
passare del tempo dalla natura da catastrofi sono i più numerosi, il
frutto di nni disagi economici, lontananza dai principali poli
commerciali ed industriali, isolamento geografico, difficile
accessibilità, variazione della struttura economica e scarsa rispondenza dell’abiato ale esigene
della vita moderna, il tutto aggravato da disseti derivati anche dal sopraggiungere di eventi
cataclismatici. Per quanto riguardo i centri completamente abbandonati spesso si tratta di
luoghi protagonisti di eventi bellici o di disseti idrogeologici; Molti dei “paesi fantasma” si
trovano nelle zone più sperdute lungo l’arco dell’Appennino.
Una costellazione solo in apparenza minore, che ha fatto grande l’Italia e ancora brilla per
l’inestimabile patrimonio ambientale e artistico custodito. Ma che soffre di gravi problemi:
scarsa attività commerciale, bassa occupazione, popolazione residente fatta di pochissimi
giovani e molti anziani (più del doppio rispetto alla media nazionale le pensioni di invalidità
erogate), poco turismo, scarsità di presidi sanitari e scuole. Tutti sintomi di un male chiamato
disagio abitativo, che nel 1996 interessava 2.830 piccoli comuni, saliti a 3.556 nel 2006. Oggi il
problema riguarda il 42,1% dei comuni italiani e un rapporto di Confcommercio e Legambiente,
realizzato insieme al Cresme, prevede che nel 2016 saranno
4.395. E fra questi, se nessuno interverrà per cambiare le cose, saranno 1.650 quelli destinati a
sparire: un quinto dei comuni italiani, in cui oggi risiede il 4,2% della nostra popolazione.
“Think global, act local”
1.3 Globalizzazione
Il fenomeno dell’industrializzazioneha contrinuito allo spopolamento dei
centri storiciminori, favorendo cosilacrescitadelle aree industrialie delle
loro zone periferiche prive di identità sociale. Col passare del tempo, i
grandi centri commerciali hanno preso il posto delle piccole botteghe,
portando ad un crollo della vendita al dettaglio e favorendo quella all’ingrosso. Questo processo
di globalizzazione è un processo in cui tutto il mondo cerca di adeguarsi ad un unico: il modello
occidentale. Questo è il più grande aspetto negativo della globalizzazione, l’imposizione di un
modello da seguire per tutti indistintamente, senza tener conto di tutte le molteplici diversità
culturali e sociali che caratterizzano ogni singolo paese. La diversità culturale deve essere al
centro dello sviluppo globale,cercando di governare iprocesi di globalizzazione e adattandoli alle
condizioni e alle realtà locali, favorendo cosi l’incontro di popoli e lo scambio di culture;
La Calabria è la terra dei paese
1.4 La Calabria è a rischio
La Calabria è, anche per questa vicenda epocale, un luogo metafora di spopolamento e
abbandono. Scuole, uffici postali, negozi, case chiudono quotidianamente e creano veri e propri
deserti. L’elenco dei paesi a rischio abbandono - in questa, ma anche in altre regioni del Sud e
del Nord - è davvero impressionante, interminabile. Le proiezioni di istituti demografici seri e
attenti ci dicono che tra meno di vent’anni la Calabria potrebbe perdere altri cinquecentomila
abitanti: un deserto che ci riporterebbe alla realtà desolata e desertificata a seguito delle grandi
pestilenze e catastrofi del tardo medioeve. La regione è stta e resta - nonostante le enormi e
devastati catastrofi che ne hanno segnato paesi, popolazioni, cultura, mentalità nonché a
dispetto della crisi e dellerosione del “paese presepe” - la “terra dei paesi”. Il “vuoto” riguarda
anche i grandi “centri urbani”, che hanno il carattere e l dimesione del paese, i cui centri storici
versano oggi in uno stato di abbandono, desolati, cadenti, spesso a rischio crollo. C’è una teoria
teoria infinita di villaggi, piccoli borghi, raggruppamenti di case, dove a volte vivono poche
famiglie, a volte un “ultimo abitante”. I luoghi richiedono cura, attenzione, amore, ma non
meritano bugie, operazzioni di facciata, retorica.
I Borghi Muoiono
1.5 La mancanza di offerta lavorativa
I negozi chiudono…
…ma non è solo colpa della crisi
Il fenomeno irreversibile dell’economia globale e
digitale ha portato ad una concentrazione
dell’offerta del settore terziario in pochi grandi player
che hanno travolto il sistema commerciale delle micro
imprese che, specialmente in Europa, hanno sempre
rappresentato il tessuto principale dell’attività
economica dei piccoli centri.
La mancanza di offerta lavorativa sta accelerando un fenomeno migratorio verso i Borghi
abitativi creando non pochi problemi demografici ai piccoli comuni.
1.6 I Borghi abbandonati più affascinanti d’Italia
Le Città Perdute, le città fantasma e i borghi abbandonati costituiscono un patrimonio
storico, artistico e archeologico di grande importanza per il turismo della regione Lazio. Questo
patrimonio offre la possibilità di immergersi in atmosfere suggestive e arcane che catturano il
turista e il semplice visitatore lasciando ricordi indelebili.
Il fascino indiscutibile che trasmettono le città fantasma e i borghi
abbandonati del Lazio rendono ancor più necessaria una loro rivalutazione e una maggior
tutela da parte delle comunità locali. Un patrimonio culturale di grande valore strategico che
potrà incentivare quel turismo alternativo ed ecosostenibile che sempre di più viene apprezzato
e ricercato. In questa pagina vengono forniti una varietà di spunti e consigli di viaggio su
come visitare le città perdute e borghi i abbandonati del Lazio, scoprendo
i misteriosi retroscena della loro storia e i motivi del loro abbandono da parte della
popolazione. Magiche e sinistre sono le rovine della città perduta di Galeria Antica alle porte di
Roma, Rocchette e Rocchettine nel cuore verde della Sabina, il borgo abbandonatodi Celleno,
l’antica Città di Ninfa e lo splendido borgo di Monterano. Un viaggio alla scoperta di una storia
in parte sconosciuta e misteriosa tutta da rivivere.
 Il Borgo Bagnoregio
Il borgo sorge su un'altura molto precaria, situata su una platea tufacea, rischia di crollare
perché i banchi d'argilla che la sorreggono sono soggetti a continua erosione. Per questo
motivo Civita è stata chiamata "la Città che muore", a indicare il suo delicato equilibrio. Al
momento sono una dozzina gli abitanti del borgo.
 Il Borgo Pentedattilo
Pentedattilo, piccola frazione di Melito di Porto Salvo, fu gravemente danneggiato nel
1783 da un terremoto e si è rapidamente spopolato. Già nel 1811 nel paesino non c'erano
più abitanti e la sede del Comune fu trasferita a Melito Porto Salvo.
 Il Borgo di Bussana Veccchia
Bussana Vecchia è una frazione sulle colline che sovrastano Sanremo. Il paesino,
semidistrutto dal violento terremoto del 1887, fu evacuato dagli abitanti che si spostarono
circa tre chilometri più a valle fondando il paese di Bussana Nuova. Da pochi anni è tornata
a rivivere grazie al turismo.
 Il Borgo di Valle Castellana
E' “un borgo fantasma” in una frazione di Valle Castellana. Si trova nei boschi selvaggi dei
Monti Gemelli - Monti della Laga. Il borgo è totalmente dimenticato e immerso in una delle
zone più autentiche e meno esplorate dell'Appennino centrale. Si sviluppa lungo una
dorsale di pietra arenaria, arroccato su uno sperone di roccia, circondato dai monti. Lo si
può raggiungere solo attraversando boschi e antiche mulattiere che lo uniscono alla civiltà,
caratteristica che lo rende uno dei luoghi senza strada più suggestivi ed estremi del centro
Italia.
 Il Borgo di Galeria
Le rovine di Galeria, immerse nell'Agro Romano, a Nord della Capitale, sono arroccate su
uno sperone tufaceo limitato a Ovest dal Fiume Arrone. Questo sperone di forma pressoché
quadrangolare costituiva al tempo un'ottima difesa naturale. Abbandonata da più di due
secoli, la vegetazione ha preso il sopravvento in tutta l'area dove sorgeva la città fortificata
creando un ecosistema unico nel suo genere.
1.7 I Borghi “dimenticati”
( di Luca Bertinoti)
Stime più o meno attendibili riportano che fra i 6000 paesi abitati da meno di 5000 persone (il
70% dei comuni d’Italia) circa la metà sono completamente o quasi totalmente deserti. È
pensiero comune che a questa seconda categoria, quella dei paesi abbandonati, appartengano
circa mille insediamenti. Un errore molto comune è poi quello di allargare la già numerosa
famiglia dei paesi abbandonati comprendendo borghi che totalmente abbandonati non sono:
Civita di Bagnoregio, il celebre “paese che muore”, ne è un classico esempio. Inoltre, con
eccessiva leggerezza viene spesso dichiarata la morte demografica di cittadine il cui centro
storico è effettivamente abbandonato e in rovina, ma che invece conservano, ad esso contigui,
quartieri più o meno riccamente abitati: Maratea (PZ), Brienza (PZ), Senerchia (AV), Celleno (VT)
sono solo alcuni dei vari paesi che appartengono a questa categoria di mezzo.
Oltre a queste realtà dal nucleo moriente, ma che ancora sopravvivono grazie alla periferia che,
seppur con difficoltà, resiste, val la pena poi di fare una riflessione ancora su altre due
particolari situazioni di abbandono. Della prima fanno parte i paesi “neo-abbandonati”, stravolti
e desertificati in epoca a noi molto prossima da terremoti (vari luoghi nel Centro Italia, in anni
recenti) o da movimenti franosi (Cavallerizzo di Cerzeto nel cosentino). Il loro destino non è
semplice da indovinare, anche se,almeno in qualche caso, si può sperare che si realizzerà un
ritorno degli abitanti.
L’altra peculiare categoria di abbandono è quella dei borghi, spopolatisi in passato, le cui
abitazioni in epoca recente sono state ristrutturate, totalmente o in buona parte, e che oggi
vengono utilizzate nei periodi primaverili ed estivi (Cappia e Succinto nel torinese,
Montefatucchio in provincia di Arezzo e molti altri), restando invece deserte nelle altre stagioni.
I borghi abbandonati vengono, poi, comunemente denominati anche “paesi fantasma”.
Contrariamente a quel che suggerisce il termine, coloro che ne hanno dimestichezza per antica
conoscenza, per memoria familiare o per semplice curiosità personale sanno bene che, in
realtà, di sovrannaturale questi posti possiedono ben poco. Invece, superato l’impatto emotivo
iniziale, che risulta spesso assaiintenso e non sempre positivo per le recondite paure che la
visita ad un luogo abbandonato istintivamente suscita, chi prosegue nell’ardire di visitare questi
templi della memoria si accorge ben presto che non sussistono particolari pericoli, eccezion
fatta ovviamente per lo stato precario delle architetture. Piuttosto, la frequentazione dei borghi
abbandonati svela gradualmente all’occhio allenato il pacato fascino di questi luoghi e
permette di cogliere aspetti, dettagli, tracce, immagini che evocano l’esistenza passata degli
antichi loro abitanti. Lasciando da parte però le suggestioni poetiche, ci rendiamo conto che
quello dei borghi dove la popolazione residente risulta pari a zero, è un argomento in
apparenza di scarsa importanza per la nostra nazione e per le sue istituzioni che, ogni giorno, si
trovano a far fronte a ben altre e più pressanti questioni.

Problematiche: spopolamento dei Borghi e abbandono delle aree rurali

  • 1.
    Introduzione Nel nostro Paeseil cambiamento delle abitudini sociali, avvenuto dal secondo dopoguerra in poi, complice il boomeconomico e le migliori condizioni di esistenza che una ‘vita in città’ e il ‘lavoro in fabbrica’ garantivano, ha portato ad una trasformazione radicale del modo di vivere della collettività. Il profondo mutamento, avvenuto in un lasso di tempo molto, troppo breve, tra le altre cose, ha portato al rapido abbandono delle località dall’economia poco redditizia o troppo inospitali, zone montane, in primis, che rappresentano il 40% del territorio nazionale e dove dal XVI secolo fino ai primi decenni del 1900 la crescita demografica delle comunità stanziali era stata continua. In altre parole, «se la popolazione italiana negli ultimi 60 anni è cresciuta di circa 12 milioni di persone, la montagna ne ha perse circa 900mila»(Cerea, 2016). Luoghi che prima garantivano la sopravvivenza, secondo le regole della vecchia e frugale economia di sussistenza, improvvisamente non sono risultati più idonei a sostenere le esigenze di guadagno della società del consumo. I nuovi principi della civiltà moderna hanno, perciò, trasformato in posti invivibili territori dove il rapporto reddito/fatica del lavoro non fosse nettamente positivo. Dalla metà del secolo scorso, il settore secondario (quello delle attività industriali) e il terziario (quello dei relativi servizi economico-finanziari) hanno sancito il crepuscolo dei molti mestieri legati al settore primario (agricoltura, allevamento, pastorizia, selvicoltura, pesca, attività mineraria e via dicendo), facendo sì che intere generazioni native delle aree rurali e montane si trasferissero definitivamente in pianura, nelle sempre più affollate realtà urbane. Riferendosi alla zona di maggior conoscenza dello scrivente, l’Appennino Tosco-Emiliano e, più in particolare, la Montagna Pistoiese, l’emorragia è tuttora costantemente in atto (Perulli, 2010). Ovviamente, la perdita dell’umanizzazione della montagna, così come di buona parte della campagna, porta con sé svariate conseguenze, alcune più immediate e altre a medio-lungo termine. Fra le prime, la disgregazione sociale dei piccoli centri abitati ha cancellato tradizioni, usanze e costumi. Fra i molti temi, ne citiamo solo alcuni: le manifestazioni della pietà popolare, le specificità agro-alimentari, l’abbigliamento tradizionale, le feste, le celebrazioni, i canti popolari, fino alla medicina tradizionale e ai riti di origine pagana. La cultura e il folklore locali solo in qualche caso continuano ad essere preservati – in tutt’altra forma rispetto all’originale – da istituzioni museali o produzioni editoriali e cinematografiche. Ovviamente, si potrebbero indicare molti virtuosi esempi. Qui ricordiamo il Museo della Civiltà Montanara di Sestola (MO), il Museo della Civiltà Contadina di Larciano (PT); fra i testi, le opere di Nuto Revelli, Il popolo che manca e Il mondo dei vinti; fra le produzioni cinematografiche, L’Albero degli zoccoli (1978) di Ermanno Olmi. Inoltre, la partenza dei più giovani ha fatto sì che l’età media dei paesi in via di abbandono si alzasse vertiginosamente: ormai solo gli anziani continuano ad abitare alcune zone d’Italia, che sono dunque destinate ad alimentare la già ricca schiera dei paesi abbandonati. Infine, negli ultimi 50-70 anni, in qualche modo legato al fenomeno del consumismo, si è determinato un generale imbarbarimento della società, che ha ribaltato il detto “usa le cose e ama le persone”, finendo per portare ad “amare le cose e usare le persone”. Benché in modo meno accentuato rispetto alle città, questo sta accadendo anche in molti paesi posti in zone disagiate, dove si è
  • 2.
    perso il sensodi comunità e la naturale tendenza ad aiutarsi vicendevolmente nei momenti di difficoltà, qualità che caratterizzava da sempre le piccole collettività. Fra gli effetti di medio-lungo termine dello spopolamento, invece, si mettono in evidenza soprattutto: 1) L’aumentato rischio idro-geologico, non limitato soltanto alle zone interessate dall’abbandono. Già nel 1948 Manlio Rossi-Doria affermava che «la morte degli insediamenti umani in montagna potrebbe significare l’inizio di grandi rovine nei luoghi dove le attività umane si esercitano e si concentrano» . Alla mancata cura dei terrazzamenti e delle opere di canalizzazione delle acque, infatti, conseguono spesso cedimenti dei terreni, frane, danni alle vie di comunicazione (strade, mulattiere, sentieri) fino a portare alla loro inagibilità, nonché allagamenti e inondazioni nelle zone abitate poste a valle a causa dei corsi di acqua non più regimentati. 2) Il rimboschimento, quando guidato da rigorose politiche mirate, determina indubbi benefici quali il rallentamento dell’erosione del terreno, la protezione da inondazioni e da valanghe, la ricostituzione della biodiversità, la riduzione dell’effetto serra. Se invece esso avviene in modo naturale, prendendo, cioè, selvaggiamente il posto di coltivazioni e di pascoli abbandonati, porta con sé notevoli problematiche ambientali, come il pericolo di incendi o di malattie parassitarie che rischiano di divenire incontrollabili a causa della fitta densità forestale; la maggior suscettibilità di caduta degli alberi durante le bufere per “effetto domino”; la perdita dei prati d’altura per il pascolo; la scomparsa dei terreni adatti alla coltivazione; la modifica dell’habitat che determina l’incremento delle risorse trofiche e il conseguente aumento della fauna selvatica (suidi, canidi, ungulati). Quest’ultimo aspetto comporta una maggior invasione delle zone antropizzate da parte delle diverse razze di animali, che, andando alla ricerca di cibo, danneggiano le attività agricole e pastorali, oltre ad essere corresponsabili di incidenti stradali spesso dalle serie conseguenze (Giornata di studi dell’Accademia dei Georgofili: Irrazionali danni da fauna selvatica all’agricoltura e all’ambiente, Firenze, 20 maggio 2014). 3) La trasformazione in rovine del patrimonio architettonico dei villaggi disabitati ad opera degli agenti atmosferici e la perdita, dunque, delle peculiarità strutturali, funzionali ed estetiche degli insediamenti un tempo popolati. Notevole interesse rivestono l’ingegno e l’originalità con cui gli abitanti riuscivano a superare le asperità dei luoghi per la fondazione dei villaggi, l’adattamento e l’integrazione dei fabbricati umani all’interno del territorio scelto, che veniva sfruttato al meglio, valorizzandolo e mai deturpandolo, poiché sostentamento primario per la popolazione residente. Tutti questi aspetti determinano la particolarità e l’irripetibile unicità di un paese abbandonato rispetto ad un altro. È forse superfluo ricordare, inoltre, che l’abbandono di un territorio ne riduce inevitabilmente il potenziale turistico, che, secondo la logica del circolo virtuoso, al contrario, dovrebbe essere incentivato, con intelligenza, in considerazione del crescente interesse per il cosiddetto ecoturismo. In tale direzione va la “Carta per il turismo sostenibile” approvata già nel 1995 in occasione della prima Conferenza Mondiale sul Turismo Sostenibile con finalità di indicare le regole per un turismo ‘intelligente’.
  • 3.
    Borghi e centristorici minori 1.1 Cos’è un borgo Nel “costituito” di Siena nel 1903 si legge che “chi governa deve avere a cuore massimamente la bellezza della città, per cagione di diletto e allegrezza ai forestieri, per onore, prosperità e acresscimento della città e dei cittadini”. Questo era un precetto attuato ovunque anche quando si construiva un borgo. Insieme al borgo si construiva l’ambiente circonstante; si construiva il paesaggio e un paese. Il paesaggio è il luogo in cui la storia s’incontra con il lavoro e la natura con la cultura. I borghi sono libri viventi in cui le civiltà hanno scritto la loro storia, sono il prodotto dell’identità di un comunità, al tempo stesso sono anche generatrici del senso di apparteneza. Purtoppo può acadere che quelle entità con forte identità cadano nella tentazione della chiusura e dell’autocelebrazione, fino a diventare una reliquia, museo, icona, quinta scenica, set cinematografico. Per certi aspetti è una visione rassicurante, ma una città che decide di essere soltanto identica alle sue cartoline è una città in necrosi. Al contrario, da una forte identità, deve nascere una forte spinta all’apertura e al dialogo, perché per le comunità come per le persone, l’identità va costruita con gli altri e non contro gli altri. Convivere vuoldire condividere e vuol dire saper accogliere le differenze quale occasione di arricchimento. La città storica dipende anche dalla qualità della vita, dalla qualità dell’educazione, dai legami di solidarietà, dalle reti di aiuto vicendevole, dall’estensione dei saperi comuni e delle conoscenze pratiche, dalla cultura che si riflette e si sviluppa nelle interazioni di vita quotidiana. Cose che hanno forme di merce, che non hanno un prezzo, ma un valore intrinseco. Cose difficili da realizzare ma capaci di rifondare la città storica, e di dare un nuovo senso alla città attuale. Il concetto di borgo, di civiltà, e senso di appartenenza l’abbiamo ricevuto dalle generazioni passate, che hanno costruito palazzi, monumenti e tessuto sociale. Le città in cui viviamo oggi non ci appartengono e non appartengono nenché a coloro che sono passati. Abbiamo l’obbligo di applicare I concetti identitari del borgo alla città attuale e trattarla come parte integrante di noi stessi. Dobbiamo mantenere questo patrimonio prezioso e tramandarlo intatto e migliorato alle generazioni future. A questo proposito, nel bollettino ufficiale n.445 di Italia Nostra, Pier Luigi Carvellati definisce i centri storici minori come degli elementi maltratatti e ne fa la seguente distinzione:  “incapsulati” nell’espresione edilizia enell’agricultura industrializzata. Il processo di trasformazione, da isediamento storico a centro urbano, si manifesta in contemporanea con l’espansione dell’urbanizzato, con la coneguente perdita della loro forma, e con la
  • 4.
    sostituzione della residenzacon attività terziarie. Gli interventi di restauro sono mirati ala salvaguardia della pietra ma non agli abitanti.  “abbandonati” nel territorio spesso incolto I centri abbandonati o in via di abbandono si concentrano sopratutto lungo da dorsale Appenninica. Abbandonati e non più recuperati.  “trasfigurati” dal recupero omologante dal turismo. La trasformazione in vilaggio turistico, non offre soluzioni correspondenti a un autentico recupero dell’insediamento storico abbandonato. Borghi storicie centri minori italiani 1.2 Lo spopolamento e l’abbandono dei Borghi . Lo spopolamento e l’abbandono - i due termini indicano fenomeni distinti - dei piccoli paesi dell’interno è un problema di enormi dimensioni che interesa la moontagna e le colline italiane. Le sue cause antiche e recenti sono molteplici, di natura sa storica (l’emigrazione), antropologica e politica; ragioni diverse, locali e generali, che devono essere indagate caso per caso con le tante peculiarità e i diversi esiti locali (sempre in un contesto più generale). La maggioranza dei paesi abbandonati nascono per le cause naturali. Abbandonati e non più recuperati. Il cataclisma si trasforma sempre in nuovo intervento edilizio. Attenzione particolare è rivolta alle zone dell’Abruzzo colpite dal violente terremoto. Il Abruzzo è un caso dramatico italiano che può diventare esemplare per i criteri da adottare. Nuovi insediamenti provvisori diventano abitazioni stabili. Infatti in Italia sono presenti 8 milioni di alloggi in più rispetto al numero delle famiglie residenti. I Borghi vengono abbandonati, specialmente dai giovani per vari motivi: attrazione più popolati e vivaci, ricerca di occupazione, noia. Si assiste a quela che è stata definita la crisi “urbanistico- esistenziale”. Di fatto, se si scende la soglia dei 2000 abitanti risulta complicato garantire servizi primari come le scuole, faracie, o peggio ancor degli svaghi. Ecco allora che i giovani preferiscono entrare nell’orbita delle città pur andando a vivere in periferie senza qualità che si allargano a dismisura. La malta che unisce le comunità è l’affetto per I luoghi e la complicità tra le persone, e se cede il senso di appartenenza i paesi si spopolano e le periferie anonime delle città, crescono. “Per invertire questo fenomeno occorre prima di tutto rafforzare l’educazione e la formazione per incrementare la “massa critica.“ Lo svuotaento dei luoghi internii ha conseguenze rilevanti a vario livello: antropologico, geologico, sociale, economico. Costituiesce anche un vuoto di memoria, di rapporti, una desertificazione ambientale e un deserto di speranze. Negli ultimi anni, questo fenomeno epocale quasi ignorato e rimosso nell’epoca della modernizzazione selvaggia e dell’intastamento delle città, è al centro di interese, attenzione, rifflesioni, narrazioni da parte
  • 5.
    di soggetti diversi,di studiosi di numerose discipline, anche del mondo politico. Accanto a rifflesioni attente, profonde, serie e mirate per comprendere e affrontare il fenomeno, in tempi brevi e localmente ma anche in un quadro di ‘”lunga durata” e in contesti più vasti: accanto a iniziative concrete, economiche, sociaali tendenti ad arrestare il declino la fuga, l’abbandono o talora a favorire forme nuove di ritordo e di “ripopolamento”, bisogna segnalare come, di recente – al pari di quanto era successo negli anni Sessanta con il folklore e le culture popolari non mancano operazioni “strumentali”, mediatiche, sterilmente nostalgiche e lacrimevoli, nonché interventi e piani di ricupero che spesso sono più nefasti e distruttivi stesso abbandono. Osservado il teritorio Italiano notiamo che si sono venute a creare ampie aree urbane dalla densità molto elevata, il resto del territorio è costellato e piccola grandezza. Erede dei piccoli borghi è quel 72% degli oltre 8.000 comuni italiani che conta meno di cinquemila abitanti. Un’Italia dove vivono più di dieci milioni di persone e che rappresenta il 55% del territorio nazionale. Questi 5.835 piccoli borghi non solo svolgono un’opera di presidio e cura del territorio, ma sono portatori insostituibili di cultura, saperi e tradizioni. Ad oggi si registrano circa 2.500 Borghi abbandonati su tutto il territorio. Questi luoghi, suggestivi e compomessi dal passare del tempo dalla natura da catastrofi sono i più numerosi, il frutto di nni disagi economici, lontananza dai principali poli commerciali ed industriali, isolamento geografico, difficile accessibilità, variazione della struttura economica e scarsa rispondenza dell’abiato ale esigene della vita moderna, il tutto aggravato da disseti derivati anche dal sopraggiungere di eventi cataclismatici. Per quanto riguardo i centri completamente abbandonati spesso si tratta di luoghi protagonisti di eventi bellici o di disseti idrogeologici; Molti dei “paesi fantasma” si trovano nelle zone più sperdute lungo l’arco dell’Appennino. Una costellazione solo in apparenza minore, che ha fatto grande l’Italia e ancora brilla per l’inestimabile patrimonio ambientale e artistico custodito. Ma che soffre di gravi problemi: scarsa attività commerciale, bassa occupazione, popolazione residente fatta di pochissimi giovani e molti anziani (più del doppio rispetto alla media nazionale le pensioni di invalidità erogate), poco turismo, scarsità di presidi sanitari e scuole. Tutti sintomi di un male chiamato disagio abitativo, che nel 1996 interessava 2.830 piccoli comuni, saliti a 3.556 nel 2006. Oggi il problema riguarda il 42,1% dei comuni italiani e un rapporto di Confcommercio e Legambiente, realizzato insieme al Cresme, prevede che nel 2016 saranno 4.395. E fra questi, se nessuno interverrà per cambiare le cose, saranno 1.650 quelli destinati a sparire: un quinto dei comuni italiani, in cui oggi risiede il 4,2% della nostra popolazione. “Think global, act local” 1.3 Globalizzazione Il fenomeno dell’industrializzazioneha contrinuito allo spopolamento dei centri storiciminori, favorendo cosilacrescitadelle aree industrialie delle loro zone periferiche prive di identità sociale. Col passare del tempo, i grandi centri commerciali hanno preso il posto delle piccole botteghe,
  • 6.
    portando ad uncrollo della vendita al dettaglio e favorendo quella all’ingrosso. Questo processo di globalizzazione è un processo in cui tutto il mondo cerca di adeguarsi ad un unico: il modello occidentale. Questo è il più grande aspetto negativo della globalizzazione, l’imposizione di un modello da seguire per tutti indistintamente, senza tener conto di tutte le molteplici diversità culturali e sociali che caratterizzano ogni singolo paese. La diversità culturale deve essere al centro dello sviluppo globale,cercando di governare iprocesi di globalizzazione e adattandoli alle condizioni e alle realtà locali, favorendo cosi l’incontro di popoli e lo scambio di culture; La Calabria è la terra dei paese 1.4 La Calabria è a rischio La Calabria è, anche per questa vicenda epocale, un luogo metafora di spopolamento e abbandono. Scuole, uffici postali, negozi, case chiudono quotidianamente e creano veri e propri deserti. L’elenco dei paesi a rischio abbandono - in questa, ma anche in altre regioni del Sud e del Nord - è davvero impressionante, interminabile. Le proiezioni di istituti demografici seri e attenti ci dicono che tra meno di vent’anni la Calabria potrebbe perdere altri cinquecentomila abitanti: un deserto che ci riporterebbe alla realtà desolata e desertificata a seguito delle grandi pestilenze e catastrofi del tardo medioeve. La regione è stta e resta - nonostante le enormi e devastati catastrofi che ne hanno segnato paesi, popolazioni, cultura, mentalità nonché a dispetto della crisi e dellerosione del “paese presepe” - la “terra dei paesi”. Il “vuoto” riguarda anche i grandi “centri urbani”, che hanno il carattere e l dimesione del paese, i cui centri storici versano oggi in uno stato di abbandono, desolati, cadenti, spesso a rischio crollo. C’è una teoria teoria infinita di villaggi, piccoli borghi, raggruppamenti di case, dove a volte vivono poche famiglie, a volte un “ultimo abitante”. I luoghi richiedono cura, attenzione, amore, ma non meritano bugie, operazzioni di facciata, retorica. I Borghi Muoiono 1.5 La mancanza di offerta lavorativa I negozi chiudono… …ma non è solo colpa della crisi Il fenomeno irreversibile dell’economia globale e digitale ha portato ad una concentrazione dell’offerta del settore terziario in pochi grandi player che hanno travolto il sistema commerciale delle micro imprese che, specialmente in Europa, hanno sempre rappresentato il tessuto principale dell’attività economica dei piccoli centri. La mancanza di offerta lavorativa sta accelerando un fenomeno migratorio verso i Borghi abitativi creando non pochi problemi demografici ai piccoli comuni. 1.6 I Borghi abbandonati più affascinanti d’Italia Le Città Perdute, le città fantasma e i borghi abbandonati costituiscono un patrimonio storico, artistico e archeologico di grande importanza per il turismo della regione Lazio. Questo
  • 7.
    patrimonio offre lapossibilità di immergersi in atmosfere suggestive e arcane che catturano il turista e il semplice visitatore lasciando ricordi indelebili. Il fascino indiscutibile che trasmettono le città fantasma e i borghi abbandonati del Lazio rendono ancor più necessaria una loro rivalutazione e una maggior tutela da parte delle comunità locali. Un patrimonio culturale di grande valore strategico che potrà incentivare quel turismo alternativo ed ecosostenibile che sempre di più viene apprezzato e ricercato. In questa pagina vengono forniti una varietà di spunti e consigli di viaggio su come visitare le città perdute e borghi i abbandonati del Lazio, scoprendo i misteriosi retroscena della loro storia e i motivi del loro abbandono da parte della popolazione. Magiche e sinistre sono le rovine della città perduta di Galeria Antica alle porte di Roma, Rocchette e Rocchettine nel cuore verde della Sabina, il borgo abbandonatodi Celleno, l’antica Città di Ninfa e lo splendido borgo di Monterano. Un viaggio alla scoperta di una storia in parte sconosciuta e misteriosa tutta da rivivere.  Il Borgo Bagnoregio Il borgo sorge su un'altura molto precaria, situata su una platea tufacea, rischia di crollare perché i banchi d'argilla che la sorreggono sono soggetti a continua erosione. Per questo motivo Civita è stata chiamata "la Città che muore", a indicare il suo delicato equilibrio. Al momento sono una dozzina gli abitanti del borgo.  Il Borgo Pentedattilo Pentedattilo, piccola frazione di Melito di Porto Salvo, fu gravemente danneggiato nel 1783 da un terremoto e si è rapidamente spopolato. Già nel 1811 nel paesino non c'erano più abitanti e la sede del Comune fu trasferita a Melito Porto Salvo.  Il Borgo di Bussana Veccchia Bussana Vecchia è una frazione sulle colline che sovrastano Sanremo. Il paesino, semidistrutto dal violento terremoto del 1887, fu evacuato dagli abitanti che si spostarono circa tre chilometri più a valle fondando il paese di Bussana Nuova. Da pochi anni è tornata a rivivere grazie al turismo.  Il Borgo di Valle Castellana E' “un borgo fantasma” in una frazione di Valle Castellana. Si trova nei boschi selvaggi dei Monti Gemelli - Monti della Laga. Il borgo è totalmente dimenticato e immerso in una delle zone più autentiche e meno esplorate dell'Appennino centrale. Si sviluppa lungo una dorsale di pietra arenaria, arroccato su uno sperone di roccia, circondato dai monti. Lo si può raggiungere solo attraversando boschi e antiche mulattiere che lo uniscono alla civiltà, caratteristica che lo rende uno dei luoghi senza strada più suggestivi ed estremi del centro Italia.  Il Borgo di Galeria Le rovine di Galeria, immerse nell'Agro Romano, a Nord della Capitale, sono arroccate su uno sperone tufaceo limitato a Ovest dal Fiume Arrone. Questo sperone di forma pressoché quadrangolare costituiva al tempo un'ottima difesa naturale. Abbandonata da più di due
  • 8.
    secoli, la vegetazioneha preso il sopravvento in tutta l'area dove sorgeva la città fortificata creando un ecosistema unico nel suo genere. 1.7 I Borghi “dimenticati” ( di Luca Bertinoti) Stime più o meno attendibili riportano che fra i 6000 paesi abitati da meno di 5000 persone (il 70% dei comuni d’Italia) circa la metà sono completamente o quasi totalmente deserti. È pensiero comune che a questa seconda categoria, quella dei paesi abbandonati, appartengano circa mille insediamenti. Un errore molto comune è poi quello di allargare la già numerosa famiglia dei paesi abbandonati comprendendo borghi che totalmente abbandonati non sono: Civita di Bagnoregio, il celebre “paese che muore”, ne è un classico esempio. Inoltre, con eccessiva leggerezza viene spesso dichiarata la morte demografica di cittadine il cui centro storico è effettivamente abbandonato e in rovina, ma che invece conservano, ad esso contigui, quartieri più o meno riccamente abitati: Maratea (PZ), Brienza (PZ), Senerchia (AV), Celleno (VT) sono solo alcuni dei vari paesi che appartengono a questa categoria di mezzo. Oltre a queste realtà dal nucleo moriente, ma che ancora sopravvivono grazie alla periferia che, seppur con difficoltà, resiste, val la pena poi di fare una riflessione ancora su altre due particolari situazioni di abbandono. Della prima fanno parte i paesi “neo-abbandonati”, stravolti e desertificati in epoca a noi molto prossima da terremoti (vari luoghi nel Centro Italia, in anni recenti) o da movimenti franosi (Cavallerizzo di Cerzeto nel cosentino). Il loro destino non è semplice da indovinare, anche se,almeno in qualche caso, si può sperare che si realizzerà un ritorno degli abitanti. L’altra peculiare categoria di abbandono è quella dei borghi, spopolatisi in passato, le cui abitazioni in epoca recente sono state ristrutturate, totalmente o in buona parte, e che oggi vengono utilizzate nei periodi primaverili ed estivi (Cappia e Succinto nel torinese, Montefatucchio in provincia di Arezzo e molti altri), restando invece deserte nelle altre stagioni. I borghi abbandonati vengono, poi, comunemente denominati anche “paesi fantasma”. Contrariamente a quel che suggerisce il termine, coloro che ne hanno dimestichezza per antica conoscenza, per memoria familiare o per semplice curiosità personale sanno bene che, in realtà, di sovrannaturale questi posti possiedono ben poco. Invece, superato l’impatto emotivo iniziale, che risulta spesso assaiintenso e non sempre positivo per le recondite paure che la visita ad un luogo abbandonato istintivamente suscita, chi prosegue nell’ardire di visitare questi templi della memoria si accorge ben presto che non sussistono particolari pericoli, eccezion fatta ovviamente per lo stato precario delle architetture. Piuttosto, la frequentazione dei borghi abbandonati svela gradualmente all’occhio allenato il pacato fascino di questi luoghi e permette di cogliere aspetti, dettagli, tracce, immagini che evocano l’esistenza passata degli
  • 9.
    antichi loro abitanti.Lasciando da parte però le suggestioni poetiche, ci rendiamo conto che quello dei borghi dove la popolazione residente risulta pari a zero, è un argomento in apparenza di scarsa importanza per la nostra nazione e per le sue istituzioni che, ogni giorno, si trovano a far fronte a ben altre e più pressanti questioni.