Ha 28 giorni ed è nata prematura sotto i bombardamenti di Gaza con un tumore molto raro, un teratoma sacro-coccigeo da due chilogrammi: ricoverata all'ospedale Meyer di Firenze, dove è arrivata nell'ambito di un programma di assistenza umanitaria del governo italiano, adesso sta meglio e prosegue il decorso post-operatorio nella terapia intensiva neonatale. I suoi giovani genitori Moataz e Nancy, e i suoi fratellini di 5, 4 e 2 anni attendono con speranza ulteriori miglioramenti.
L'intervento che le ha salvato la vita è durato circa due ore e mezzo. I chirurghi del Meyer hanno asportato una massa, posizionata alla base delle colonna vertebrale, di circa due chili di peso: prima dell'intervento la piccola pesava 4,3 chili, soltanto 1,5 chili subito dopo. "Si tratta di un tumore raro - spiega Enrico Ciardini, direttore di chirurgia pediatrica toracica neonatale urologica al Meyer -, che ha un'incidenza di un caso su 40-50mila nati, e ancor più raro data l'eccezionalità delle dimensioni della massa neoplastica, che pesava quasi tre volte la piccola". La bimba migliora giorno dopo giorno secondo i medici, che non si sbilanciano sulla prognosi, ma le sue condizioni vengono definite confortanti.
La vicenda della neonata è emersa grazie a un post social di Mosab Abu Toha, scrittore e giornalista palestinese premio Pulitzer, e rilanciata in Italia dalla giornalista Mariangela Pira. "Io sono stato contattato dalla task force del Meyer che aveva organizzato questo trasferimento", ha spiegato Marco Moroni, responsabile della terapia intensiva del Meyer, "un mio neonatologo, la dottoressa Paoli, è partita per Gaza e ha accolto la bambina fino da lì", dove "sono venuti a prelevarla con l'aereo".
La famiglia è ospitata in una delle strutture che fa parte della rete di accoglienza del Meyer: a seguirli, oltre al personale sanitario, gli operatori del servizio sociale e i mediatori linguistici messi a disposizione dalla Fondazione Meyer. "Mia figlia sta meglio, ma come padre non mi sento tranquillo finché non uscirà dall'ospedale completamente guarita", ha detto ai giornalisti il padre Moataz. A Gaza "la situazione era molto brutta - ha raccontato ai giornalisti -, eravamo sotto il bombardamento, non c'era la tregua. Eravamo sempre spaventati, e ci spostavamo da un posto all'altro affinché mia moglie partorisse".
Moataz non sa ancora se con la sua famiglia tornerà nella Striscia di Gaza, quando la piccola potrà essere dimessa dall'ospedale. "Gaza è la mia terra - ha spiegato -, le voglio molto bene, è la mia radice, però dopo tutto quello che abbiamo passato non abbiamo acqua potabile per poter bere, non abbiamo cibo, non abbiamo nulla. Mio figlio Faris ora più o meno ha 6 anni e non ha mai visto una scuola. Cosa torno a fare lì? La Gaza che conosco non c'è più, non c'è più nulla. Cosa torno a fare? Io ho appena visto la vita, un altro paese, una vita diversa, e io voglio che i miei figli facciano una vita migliore di quella che abbiamo passato lì".
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